Concentrare nello spazio di appena
15 giorni un viaggio missionario nella Repubblica Centrafricana, un paese
grande più di 2 volte l'Italia, ma poco conosciuto o conosciuto,
ben che vada, solo per il regime d'altri tempi, sanguinario e megalomane
di Bokassa, richiede al ritorno un periodo adeguato di decantazione, per
filtrare attraverso la mente e il cuore, persone, incontri ed esperienze.
Sto vivendo questa fase e mi passano
davanti in sequenza le immagini, i suoni e gli aromi di un'Africa fatta
di savane sterminate, villaggi di capanne di paglia e fango, che impigriscono
lungo i fiumi e le piste di terra rossa; o le danze, ritmate dai tamburi,
nelle notti di luna piena. E' l'Africa suggestiva, che incanta e fa innamorare
chi sta ad ascoltare i racconti appassionati dei vecchi missionari.
Mi torna in mente l'Africa piena
di misteri e di paure, di cui sono permeate la cultura e la religione di
un popolo che crede ciecamente nel likundu (malocchio) e che si fa aiutare
dallo zo ti nganga (l'uomo della medicina, lo stregone) per conoscere l'antidoto,
capace di neutralizzare il male.
Mi rendo conto, però, che
quando si rientra da un viaggio come quello che ho fatto, non c'è
più posto per la poesia e neanche per il mistero.
L’impatto con l’Africa
Fin dal primo momento che metti piede
nella capitale Bangui, la povertà ti prende a schiaffi e conosci
l'Africa dei disastri coloniali, degli aiuti di governi occidentali mai
arrivati o sperperati, delle dittature militari e delle instabilità
politiche che rendono drammatiche le condizioni di vita delle persone.
La Repubblica Centrafrica-na è
tra i paesi più poveri dell'Africa subsahariana. Le strutture scolastiche
e sanitarie dello Stato, le poche che esistono, sono fatiscenti. I funzionari,
i militari, gli insegnanti, i medici non ricevono lo stipendio da mesi:
per vivere, devono "arrangiarsi" e a poco servono gli scioperi o gli ammutinamenti
che riescono a organizzare.
Il numero dei malati di AIDS e dei
sieropositivi è molto alto: tante delle vittime sono donne
e tanti sono i giovani, e tutti praticamente sono lasciati al loro
destino, perché il costo rende impossibile il ricorso alle medicine.
Questa situazione, che in realtà,
è ancora più drammatica di quanto abbia saputo descrivere,
non è la conseguenza della fatalità, ma dell'ingiustizia,
della negligenza, della corruzione, che sono sempre colpe umane.
C'è, per fortuna, del buono
anche in un paese che sembra alla deriva.
La Chiesa in Centrafrica gode di
grande prestigio e ha una notevole autorevolezza morale e sociale. La presenza
cristiana (25% di cattolici e 25% di protestanti) è visibile ovunque,
specialmente nell'istruzione e nella sanità. La voce dei Vescovi,
le loro lettere pastorali, la radio cattolica locale, sono seguiti con
molta attenzione, anche se chi governa li accusa di interferenze nella
vita politica e fa di tutto per metterli a tacere.
C'è una collaborazione esemplare
tra i vari Istituti religiosi: tutte le comunità presenti sul territorio
sono ogni giorno, a ore stabilite, in contatto tra loro, attraverso la
radio.
Ho visitato i due Seminari che i
Frati Cappuccini e i Carmelitani hanno creato accanto a quello diocesano,
a La Yolé, nei pressi di Bouar: le vocazioni non mancano e
vengono accompagnate dai responsabili con uno scrupolo particolare.
L’incontro con suor Petra e suor
Silvia
E' proprio per incontrare due religiose
della nostra Diocesi, suor Petra e suor Silvia, che sono stato in Centrafrica,
insieme con Gianmarco, un medico che fa parte del Gruppo Amizade.
Suor Petra è originaria di
Frassinetto, ha studiato a Rivarolo, è entrata fra le Suore di San
Giuseppe, si è laureata in medicina ed è partita per l'ex-Zaire,
ora chiamato Repubblica Democratica del Congo.
Le Suore di San Giuseppe di Torino
hanno aperto due comunità nella Repubblica Centrafricana: una a
Bangui, con tre suore congolesi, e una a Markounda, dove adesso vive e
opera suor Petra, con un'altra suora italiana e due suore congolesi.
Markounda è un grosso villaggio,
500 chilometri a nord della capitale; c'è soltanto il fiume Nana
Barya (con poca acqua, tanto che si può attraversare a piedi) che
lo separa dal Ciad.
L'arrivo delle Suore ha, in pochi
anni, cambiato il villaggio: con il sostegno economico di molti amici,
tra cui il Gruppo Amizade e la Bottega Tam Tam, sono stati costruiti il
dispensario e la scuola, strutture preziosissime, capaci di far fronte
alle emergenze sanitarie ed igieniche della zona e di dare una formazione
scolastica e umana alle nuove generazioni.
La scuola si chiama NA KOTA NGIA,
con grande gioia: un nome che dice tutto.
Abbiamo partecipato alla festa di
chiusura dell'anno scolastico e la gioia dei bambini, ma anche dei loro
genitori, è stata la ricompensa più gratificante per le suore
e per le maestre.
Sulla vasta radura della missione
c'è già una nuova costruzione, dai colori vivaci: sono altre
aule, che in autunno entreranno in funzione, per accogliere altri alunni;
e in un angolo sono già accatastate molte pietre, che serviranno
a costruire un'altra scuola, appena arriveranno gli aiuti necessari.
Siamo stati anche a Maitikoulou,
120 chilometri a est, dove suor Petra ha aperto un avamposto sanitario,
con la presenza fissa di un'infermiera e dove Francesco, un volontario
italiano che vive nella missione, segue dei progetti agricoli, con risultati
e prospettive interessanti.
Queste (e altre ancora) sono le
cose che si vedono a Markounda; ma la testimonianza missionaria delle suore
si estende alla catechesi, alla preparazione delle liturgie ( chi potrà
mai dimenticare la vivacità e l'eleganza ritmica delle piccole
"danseuses", che hanno animato la Messa ?), al sostegno premuroso della
pastorale dell'abbé Michel. Ed è in questa testimonianza,
forse meno vistosa, che ho intuito la spiritualità, suggerita dal
fondatore Père Médaille alle "sue" suore: dolcezza, semplicità
e umiltà.
L’opera di suor Silvia
Suor Silvia è di Albiano,
appartiene a un Istituto di Pontremoli, le suore del Lieto Messaggio. La
sua comunità, composta da tre suore italiane e da una Probanda centrafricana,
ha la missione a Wantiguera, alla periferia di Bouar, sulla strada per
il Cameroun.
La zona è molto bella, il
verde della savana abbaglia, il clima è buono (siamo a 1000 metri
di altitudine); ma la povertà e i problemi sono sempre gli
stessi.
Stupisce che un Istituto così
piccolo, senza esperienze missionarie alle spalle, abbia avuto la
forza di aprirsi a orizzonti così impegnativi. Tutto era già
scritto nelle intuizioni profetiche di Madre Serafina Formai, la fondatrice.
Con le suore condivide croci e delizie,
don Adriano, un sacerdote "fidei donum" della Diocesi di Pontremoli.
Anche a Wantiguera ci sono le scuole
materne ed elementari. E' appena stata portata a termine la costruzione
di un dispensario; ora c'è la preoccupazione di trovare un medico,
o almeno un'infermiera che lo gestisca.
Suor Silvia, pur non avendo
la qualifica per farlo, ha però una competenza pratica, acquisita
"sul campo".
Nei giorni di permanenza alla missione
sono stato testimone di un continuo via-vai di mamme, con bimbi malati
e denutriti: per tutti suor Silvia aveva la medicina giusta, accompagnata
da una parola e da un sorriso rassicuranti.
A don Adriano e alle Suore è
affidata la cura pastorale di parecchi villaggi della "brousse".
Sono stato a Fada, uno di questi
villaggi: un pozzo, poche capanne con il fuoco sempre acceso davanti e
l'immancabile pentola con la manioca che bolle.
Durante la stagione delle piogge
gli adulti sono lontani, a lavorare la terra: al villaggio restano solo
i vecchi, i bambini e qualche animale vagabondo.
A Fada, con don Adriano, ho celebrato
la Messa in lingua sango, sotto un albero gigantesco di manghi. La sua
ombra riusciva ad abbracciare tutti: le nostre vite, tanti cammini incerti,
le rassegnazioni, i sogni e le risorse di un popolo che lotta per sopravvivere,
gli aneliti e gli ideali di generosità di un mondo che sta bene,
il sacrificio di tante persone, come suor Petra, suor Silvia e le loro
consorelle, che, ogni giorno, con pazienza e con amore seminano speranza.
don gianni giachino