IVREA - Proseguendo
nello sforzo di meglio comprendere e far comprendere la terribile situazione
della Palestina, il Centro Documentazione Pace di Ivrea ha invitato lunedì
29 gennaio un attivista del movimento per i diritti umani in Palestina.
Raslan Mahagna ha parlato
nella Sala Dorata del Comune, che aveva patrocinato l’incontro ed era rappresentato
dagli assessori Mermoz e Rao, ad un pubblico molto attento e partecipe,
che alla fine ha dato vita ad un’animata discussione, con molte richieste
di approfondimenti e spiegazioni.
E’ evidente la necessità
di informazione, per tutti. Il Centro Bitselem, di cui Raslan fa parte,
in Israele, è sorto nell’89 proprio allo scopo di documentare e
denunciare le violazioni dei diritti umani in Palestina e premere sul governo
israeliano per modificarne la politica repressiva. Raslan è un palestinese
con cittadinanza israeliana (sono circa un milione come lui), vive vicino
a Nazareth, svolge la sua attività nel Centro Bitselem, organizza
visite di giornalisti, diplomatici ecc., sia israeliani che europei, nei
Territori Occupati e a Gaza per farne conoscere la realtà.
Una realtà di
vita soffocata e assediata. Da quando è ripresa l’Intifada (dopo
la provocatoria passeggiata di Sharon alla spianata delle Moschee) i Territori
sono chiusi, revocati ad arbitrio i permessi per uscirne ai 200 mila palestinesi
che lavorano in Israele, distrutta la vita agricola, vuoti i mercati, chiuse
le scuole (anche le Università). Anche l’accesso agli Ospedali può
essere bloccato all’improvviso (e sono stati documentati 20 morti per questo);
così come all’improvviso, da un’ora all’altra vengono chiuse strade
prima percorribili. Nella ricerca di sentieri o passaggi secondari che
aggirino i blocchi israeliani, molti palestinesi sono morti. Gli insediamenti
dei coloni, distribuiti su tutto il territorio palestinese, sono collegati
da strade vietate ai palestinesi, ma costruite espropriando uliveti e case
loro. Il caso più clamoroso è quello di Hebron, dove un vero
esercito è spiegato a difendere i 400 coloni israeliani della città,
e i palestinesi non possono uscire di casa mai, se non per due ore
alla settimana. Ma innumerevoli sono gli esempi di questa azione arrogante
di repressione e di sopraffazione, che sembra obbedire ad una logica di
logoramento vitale oltre che psicologico. Certo, la giustificazione portata
dagli Israeliani è quella della loro sicurezza, ma le provocazioni
continue alimentano solo la spirale della violenza. E’ una situazione che
porta danno anche a Israele.
In questa nuova Intifada
sono morti finora 400 palestinesi (di cui 150 sotto i 17 anni) e 12000
sono i feriti; gli israeliani uccisi sono stati 40. Grave anche la disuguaglianza
esistente tra i palestinesi cittadini di Israele (come Raslan che ci ha
parlato) e gli israeliani; discriminati in molte occasioni, non possono
lavorare nell’industria (per motivi di sicurezza!); spesso le loro terre
sono state confiscate; le loro condizioni economiche sono precarie: basta
vedere le differenze tra il quartiere arabo e quello ebreo di Nazareth.
Proprio a Nazareth a ottobre i palestinesi cittadini israeliani hanno manifestato
a favore dei loro fratelli dei Territori Occupati: ci sono stati ben 13
morti!
Alla domanda del pubblico:
che cosa possiamo fare noi per aiutarvi? Raslan risponde: fare pressione
attraverso i media e gli appelli affinché Israele osservi le risoluzioni
dell’Onu per la restituzione dei territori occupati e il ritorno dei profughi
e prima di tutto siano rispettati quei fondamentali diritti umani così
gravemente calpestati in Palestina.
liliana curzio