Dopo la povertà,
l'AIDS e la guerra, un nuovo flagello si è abbattuto sul nord dell'Uganda:
una epidemia di Ebola, altamente contagiosa e letale. Ne hanno parlato
più o meno tutte le fonti di informazione nelle scorse settimane,
mettendo in evidenza il sacrificio del personale sanitario, che sta letteralmente
donando la vita per salvare vite umane e contenere il contagio. In due
mesi il virus Ebola in Uganda ha fatto morire 150 persone; tra loro 13
erano operatori dell'ospedale di Gulu, epicentro dell'epidemia.
Il 5 dicembre le agenzie
han diffuso la grave notizia della morte del suo direttore sanitario, il
dottor Matthew Lukwiya, considerato già un eroe e un martire, per
il suo generoso e coraggioso servizio ai malati, fino al dono di sé.
Lascia la moglie Margaret, il figlio Peter di 12 anni e due gemelli più
piccoli. Di lui e di altri "martiri della carità verso i malati"
ci ha scritto una testimone diretta, suor Dorina Tadiello, che da due mesi
condivide la stessa lotta, nell'ospedale fondato e diretto dai coniugi
Piero e Lucille Corti. " Il martirio e la santità del nostro personale
sono un dono che il presente e il futuro dovrà valorizzare. Sono
tutti giovani con davanti sogni e progetti per l'avvenire, eppure si prodigano
rischiando la vita e sacrificandola per evitare una grossa catastrofe.
Questi sono i segni belli e incoraggianti, che ci parlano del bene presente
tra noi, anche se spesso esso è silenzioso e nascosto."
Di suor Dorina si parlò
sul Risveglio popolare nel 1996-97, per le vicende della guerra e per la
sua missione contro l'AIDS. Alcuni in Ivrea la conoscono per aver fatto
incontri nella parrocchia del Sacro Cuore e nell'Istituto per geometri.
Dalle sue lettere e telefonate
sappiamo che, nonostante la stanchezza e il rischio del suo lavoro, è
decisa a rimanere nel reparto infettivi, almeno finchè non arriveranno
altri medici, mentre ora con lei, dopo la morte di Lukwiya, c'è
solo un altro giovane medico ugandese.
Suor Dorina ha assistito
fino all'ultimo istante anche sr. Pierina Asienzo, infermiera ugandese
morta il 5 novembre nell'ospedale governativo, dove "pochi sanitari accettano
di stare a contatto con i malati di ebola". Nella lettera del 17 novembre
racconta di Grace Akullo, un'infermiera di 27 anni, madre di due bambini,
sacrificatasi nel reparto infettivi, dando prova di una profonda fede cristiana.
" Aveva accettato di lavorare
lì con serenità, sentendo tutta l'importanza e la necessità
del lavoro, ma era anche preoccupata per la gravità della situazione
e il rischio che correva. Spesso diceva di avere il presentimento di morire
di Ebola. Si preoccupava dei suoi figli ancora piccoli e di suo padre a
cui era rimasta solo questa figlia. Un giorno, mentre facevamo il
giro in reparto, mi disse che non si sentiva bene e che doveva uscire.
Quella stessa sera gli esami dissero che era ammalata di Ebola. Fu un grosso
colpo, ma cercava di mascherare sotto un sorriso tutta la paura e l'ansia
del momento. Le sue condizioni peggiorarono in pochi giorni. Una sera pregammo
insieme, parlammo e poi mi disse che amava molto il canto, ma che non riusciva
a cantare, il respiro era troppo difficoltoso. Allora le chiesi di dirmi
quali erano i suoi canti preferiti, che io avrei cantato per lei.
Iniziai a cantare, anche
se a fatica, con l'emozione che mi soffocava le parole. Lei seguiva con
gli occhi chiusi. Il suo sorriso e la mano che batteva il tempo mi dicevano
che stava assaporando ogni parola.
Il giorno dopo le sue condizioni
si aggravarono ulteriormente. Per tutto il giorno il personale medico si
alternò per seguirla. Si tentò tutto il possibile. Il direttore
sanitario dell'ospedale, il dott. Matthew Lokwya continuava a ripetere
che Grace non poteva e non doveva morire. Ma era chiaro che non c'era più
niente da fare…non c'era più speranza in una ripresa.
Allora parlò
a Grace rassicurandola che si sarebbe preso cura dei suoi bambini e soggiunse:
"Grace, tu hai fatto del tuo meglio e anche noi abbiamo fatto il possibile
per combattere la malattia, ora ci resta una sola cosa da fare: mettere
la nostra vita nelle mani del Signore e accettare che sia fatta la sua
volontà, per quanto incomprensibile possa essere per noi."
Grace chiese il Sacramento
degli Infermi e partecipò con grande coinvolgimento. Il respiro
era sempre più difficoltoso, ma Grace sembrava volerci comunicare
qualcosa. Mi avvicinai e le chiesi se voleva parlare e mi rispose con un
cenno affermativo del capo. Allora le tolsi la maschera dell'ossigeno.
Ci fissò tutti, poi con un grosso sforzo, quasi a raccogliere
le poche energie rimaste, intonò un canto che dice: "Dio, nostro
Padre, tu sei il vasaio e noi la creta nelle tue mani, il capolavoro uscito
dalle tue mani. Modellaci e trasformaci e immagine del tuo Figlio". Le
parole le uscivano a fatica e spesso erano incomprensibili, ma continuò
con un secondo canto, le cui parole dicevano: "Signore Gesù posa
gentilmente la tua mano su di me. Possa il tuo tocco darmi la tua pace,
il perdono e la guarigione. Posa gentilmente la tua mano su di me. Signore
noi veniamo a Te attraverso i nostri fratelli. Veniamo a Te per tutti
i nostri bisogni, veniamo a Te chiedendo pienezza di vita. Posa gentilmente
la tua mano su di me”.
Seguì il canto di
Isaia che dice: "Lo Spirito del Signore è su di me, lo Spirito del
Signore mi ha consacrato, lo Spirito del Signore mi ha inviato a portare
il lieto annuncio ai poveri, a ridare la vista ai ciechi, la libertà
ai prigionieri, ad annunciare l'anno di grazia del Signore". Poi spirò.
Nelle lunghe e sofferte ore che hanno preceduto la sua morte, Grace aveva
preparato con meticolosità il suo ultimo canto di lode a Dio e il
suo messaggio per noi. Il dr. Matthew Lokwya commentando la morte di Grace
diceva: "davanti a noi si sta dispiegando un grande mistero di luce. Nel
nostro personale, morto di Ebola, mai una parola di risentimento, rabbia,
pentimento per aver accettato di lavorare in situazioni così rischiose.
Solo ringraziamento e incoraggiamento a perseverare".
Già in occasione
del funerale di suor Pierina Asienzo, lo stesso medico ugandese si era
così profeticamente espresso: "In questi anni abbiamo affrontato
tante sfide: la guerra, le epidemie di colera, meningite… ma la più
grande è Ebola. Questo mi ha fatto capire che l'essere medico è
una chiamata di Dio. Più vedo gente morire, più sento la
vocazione di dedicare la mia vita ai malati. Io ho fatto già la
mia scelta: sono pronto a dare la mia vita per i pazienti."
Infatti il dott. Matthew
aveva rifiutato molte offerte di lavoro in ospedali europei perché
amava troppo la sua gente per andarsene".
Ecco come lo descrive sua
mamma: "Mio figlio scelse di diventare medico per poter aiutare la nostra
gente. Per lui era una chiamata. Molti, anche tra i nostri parenti, gli
dicevano che era uno stupido. Avrebbe potuto aprire una clinica privata,
fare soldi a palate e diventare ricco". Il dott. Matthew Lukwiya ha scelto
la strada più difficile, percorrendola fino al sacrificio della
vita a 42 anni.
Per informazioni tel. 0125
251012 o fra.monti@libero.it.
Per contributi alla missione
di sr. Dorina: c/c postale 13661202 intestato all'Asso-ciazione "Good Samaritan-Onlus"
Via Manzoni 8, 21040 Caronno Varesino.
m. rosa tadiello
e pierangelo monti