LOCANA - Uno scenario irreale,
quasi irriconoscibile agli occhi di chi ben conosceva prima quei medesimi
luoghi. E’ così che a distanza di due mesi dalla grande alluvione
del 15 e 16 ottobre, la più disastrosa che si rammenti a memoria
d’uomo nelle nostre valli, ancora si presentano al visitatore gli
abitati delle borgate Rosone, Casetti e Cussalma, le più colpite
da quel drammatico evento. Chi scrive vi è salito da poco, per provare
a prendere direttamente coscienza dello stato dei luoghi e degli
animi di chi li abita.
UNO SCENARIO LUNARE
Sin dal primo sguardo ciò
che stringe il cuore è l’impressionante entità dei danni
a fabbricati e abitazioni, che ben rende l’idea di quale e quanta deve
essere stata in quei giorni, in quelle interminabili ore, la devastante
furia degli elementi. Così è ad esempio di fronte a un intero
condominio di Rosone, irreparabilmente compromesso nonostante fosse stato
costruito negli anni ‘50 dopo la grande frana che aveva suggerito la ricollocazione
di molte abitazioni in siti ritenuti assolutamente sicuri. Per non parlare
dei cumuli di macerie cui sono ridotte quelle che erano le case delle famiglie
Bruno Mattiet e Mondin; o quella di Gina Mezzanatto, residente nel vecchio
edificio scolastico del borgo e portata in salvo appena prima della sua
totale cancellazione.
TANTE STORIE,
UN UNICO DRAMMA
Aggirandomi tra le rovine incontro
Piero Guglielmetti, ex sindaco di Locana, che mi saluta e mi invita a salire
sul suo fuoristrada per continuare il giro.
“Uno dei miei figli si
era sposato appena quindici giorni prima dell’alluvione - mi confessa -
e aveva comprato casa proprio in quel condominio distrutto:una vita di
risparmi e sacrifici spariti in un attimo. Per non parlare del trauma di
mia madre, ultraottantenne, che neppure in presenza dell’ordinanza di sgombero
si rassegnava a lasciare la sua casa: si è arresa soltanto quando
ha capito che l’avremmo comunque portata via con la forza”.
CERCANDO LE CAUSE
Sono soltanto due dei tanti
episodi di un dramma che, pur colpendo alcuni più di altri, non
è stato percepito né vissuto al singolare, ma assunto in
forma collettiva da tutta la gente che abita qui. Gente che ora vorrebbe
capire il perché, trovare a una spiegazione a quanto accaduto. “Si
è trattato di un evento atmosferico certamente eccezionale - dice
ancora Guglielmetti -, le cui conseguenze avrebbero potuto a mio parere
essere più contenute se l’Aem avesse effettuato opere di manutenzione
più curate sulle condotte che trasportano le acque dalle dighe agli
impianti idroelettrici: frane e smottamenti trovano alimento da eventuali
perdite. Inoltre è un fatto che l’apertura delle paratoie sull’invaso
dell’Eugio abbia dato un notevole contributo alla frana riversatasi nel
rio Piantonetto con effetti devastanti”.
NEL BAR DEI RICORDI
Il viaggio prosegue con una sosta
nell’unico bar rimasto aperto in tutta la zona: quello gestito da Giuseppe
Bugni. Racconta sconsolata la moglie del titolare: “Gli anziani ricordano
ancora i tempi in cui a San Giuseppe si poteva mangiare, bere e ballare
in ben cinque locali pubblici; c’erano negozi di commestibili e di altri
generi; d’estate e in occasione delle feste, la gente accorreva numerosa
anche dal fondovalle. Da qualche anno non è più così:
nonostante gli impianti dell’Aem abbiano portato posti di lavoro, siamo
rimasti sempre di meno. La situazione era già grave prima dell’alluvione,
figuriamoci adesso. Se non verranno presi provvedimenti immediati, anche
la poca gente rimasta sarà costretta ad abbandonare irrevocabilmente
le nostre montagne“.
“GRAZIE A CHI NON CI HA LASCIATI SOLI”
L’ultimo incontro è
con il prevosto don Fernando Salvetti, che proprio quest’anno festeggia
gli ottant’anni (è coscritto del Papa). “Nonostante i danni irreparabili
la gente dà ancora segni visibili di speranza nell’avvenire: non
ho ancora trovato nessuno che si sia detto prossimo o pronto ad abbandonare
le borgate. Forse anche perché durante le ore della massima emergenza
e in quelle immediatamente successive, per certi versi ancor più
tremende, hanno trovato e toccato con mano la solidarietà di tanti
enti e associazioni, dei volontari, di tante generose persone a cui va
il nostro grazie più sentito”.
C’E’ ANCORA SPERANZA
C’è ancora voglia
di lottare, c’è ancora speranza, dunque. Lo dimostra una battuta
raccolta ancora al bar Bugni: “La geologa che è venuta a fare gli
accertamenti sulla situazione del territorio ha detto che l’intera zona
è a rischio idrogeologico: speriamo che si sia sbagliata...”, ci
ha detto un avventore con una sincera e commovente ingenuità, che
può essere propria solo di un sentimento viscerale e irrazionale
come l’amore.
L’amore invincibile che
nonostante tutto - nonostante la desolazione, la rabbia, la paura - la
gente di qui continua a riservare alle proprie montagne.
piero valesano