“Al temp ëd l’Avent
o pieuva o vent”... “San Silvestr [ultimo giorno dell’anno, ma non solo...]
a ven për tuti”... E’ ben vero che la cultura popolare di tutti i
tempi e di tutti i paesi ha trovato nei proverbi una delle sue espressioni
più genuine e durevoli: cultura orale, passata di generazione in
generazione, riflesso di un ethos, di un sentimento di appartenenza ai
valori di una comunità, forza poetica del logos, della parola delle
origini, oracolo manuale di prudenza, ma insieme gioco linguistico, piacere
della battuta di spirito, distacco ironico... Questo per dire che
la nuova opera di Domenico Caresio (“Grande Raccolta di Proverbi Piemontesi”,
a cura di Dario Pasero, GS Editrice, 2000) non dovrebbe interessare soltanto
i fan del nostro dialetto, ma quanti hanno a cuore la memoria storica di
un popolo; e non solo perché si tratta della più ampia raccolta
mai compilata per la nostra regione, ma anche perché le ben 6790
voci sono state accuratamente ordinate per argomenti e tradotte in italiano;
e anche perché la strenua fatica dell’autore è valorizzata
dalla revisione in grafia normalizzata curata dal professor Dario Pasero,
emerito veterano sul fronte della battaglia per la difesa della “piemontesità”;
a lui si devono, inoltre, i succosi paragrafi introduttivi alle varie sezioni
(Agricoltura, Alimentazione, Amicizia, Amore, ecc.) coi quali si fornisce
un commento e una sintesi interpretativa, mettendo così ordine nello
sterminato materiale magmatico di quella cultura orale. Cultura senz’altro
complessa, e a volte anche contraddittoria, sorta di “filosofia eclettica”,
in cui si combinano senza troppi problemi nuclei di biblica sapienza e
scampoli di sano epicureismo (“A na cativa vaca Dio a-j dà ij corn
curt”; “El frut proibì a l’é ‘l pì savorì”...).
Insomma, buon senso popolare condito con un certo “pessimismo della ragione”,
ma con sullo sfondo la speranza che il buon Dio e il tempo faranno giustizia:
a patto che si sappia sempre tenere quel virtuoso aristotelico “giusto
mezzo”, e non ci si stanchi mai di lavorare (“Ambo travajé, terno
seghité, quaterno mai chité”)...
Certo, ci sarà sempre
qualcuno che di fronte a queste iniziative editoriali di recupero dei dialetti
storcerà il naso; ma dimenticando forse che sono state proprio le
tante parlate locali a dare linfe e colori vitali alla lingua nazionale,
la quale invero nient’altro è stata che dialetto (toscano).
(P.S. Il sottoscritto dichiara
di aver imparato l’italiano con il timore e il rispetto che si ha verso
una lingua straniera; ma conservando sempre per il piemontese quel profondo
sentimento indissociabile da coloro che per primi glielo insegnarono).
piero pagliano