IVREA - Davanti a fenomeni
diffusi di violenza si può scommettere su una modalità di
intervento quale è l’educazione? Pare proprio di sì, a dare
retta a don Riccardo Tonelli, della Università Salesiana di Roma,
che ha svolto una interessante relazione su questo tema, lo scorso sabato
4 novembre, presso l’Istituto “Card. Cagliero”, nell’ambito del convegno
“Ragazzi fra violenza e vuoto educativo”. Naturalmente occorre intendersi
su ciò che si vuol dire con “educazione”.
In primo luogo occorre,
a giudizio di don Tonelli, assicurare all’educatore un punto di osservazione
sensato sulla realtà sulla quale è chiamato a lavorare. Questa
prospettiva da cui osservare i fenomeni sociali può presentarsi
con tre tratti. Il primo si può così formulare: essere giovani
oggi, è più importante che essere giovani tout court. La
condizione epocale è più decisiva che il semplice aspetto
evolutivo. Ciò significa che l’esperienza dell’essere stati giovani
in passato non è più spendibile nell’oggi.
Il secondo tratto evidente
che caratterizza la condizione giovanile è la frammentazione. In
sostanza, non esiste più una “categoria” giovani, ma tante storie
diverse, in cui ciascuno reagisce a modo suo a questa particolare situazione
culturale, in cui l’originalità è l’elemento qualificante.
Un denominatore comune
sotto cui possiamo raccogliere esperienze diverse è, però,
uno stato diffuso di orfanità, il venire meno di un solido legame
con le generazioni precedenti, legame in cui potesse aver luogo la trasmissione
non solo di norme e di valori, ma di “ragioni di senso”. Così padri
e madri “giocano” a mettersi alla pari con i figli. E spesso si assiste
alla ricerca di figure sostitutive o di surrogati.
In tale situazione, la
missione educativa va riletta precisando soprattutto la mèta, la
finalità fondamentale, che è quella di dare (o di restituire)
ad ogni persona la consapevolezza di una propria dignità, la gioia
di vivere così come si è, la capacità di sperare,
assumendo un ruolo di protagonista nella propria e altrui storia. La questione
principale si incentra, allora, sulla “qualità della vita”, che
si ha davanti come finalità del proprio lavoro educativo. Una “qualità”
in grado di autorizzare e di fondare la speranza.
La condizione necessaria
non è quella di sviluppare teorie sofisticate, ma di far fare esperienza,
negli ambiti quotidiani di vita (famiglia, scuola, chiesa...). Per arginare
la violenza occorre, dunque, impegnarsi per una cultura “alternativa”,
che assuma gli elementi caratteristici di questa “qualità della
vita”, su cui anche l’ispirazione evangelica ha da dire la sua.
Un primo compito educativo,
è ovvio, è quello di aiutare a dire “chi siamo”, ad identificarsi
non sui titoli che si esibisce, ma su ciò che si è in realtà.
Ora, “si è” nella misura in cui si è capaci di “farsi prossimo”,
aprendosi ed ascoltando le istanze dell’altro.
Un problema connesso è
quello della “stabilità”: si cambia rapidamente opinioni, atteggiamenti,
modi di agire. In passato si faceva assegnamento alla omogeneità
e alla robustezza della cultura dominante. Ora non è più
così. Una parte importante spetta, ora, a giudizio di don Tonelli,
alla capacità di affidarsi e di fidarsi, una dinamica che partendo
dalle relazioni umane (fidarsi - affidarsi: a chi?) può condurre
incontro ad una fede religiosa.
Un ultimo tratto della
“qualità della vita” che ci si impegna a costruire, riguarda l’interiorità.
Si è speso molto tempo, in passato, a dividere fra valori “positivi”
o “negativi”. Ora un controllo selettivo del genere è difficile
e poco praticabile, reso di fatto impossibile dalla situazione di complessità
in cui ci troviamo. La costruzione di una identità attraverso la
scelta di valori in cui identificarsi richiede che si assicuri (o si restituisca)
a ciascuno uno spazio di interiorità, in cui trovarsi a riflettere
e a decidere.
Il discorso fatto sin qui
sulla “qualità della vita” ha bisogno evidentemente di essere sviluppato
ed esplicitato. E’ il compito che ogni educatore si assume ogni giorno,
per accettare responsabilmente la sfida che una cultura segnata dalla violenza
continuamente gli pone innanzi.
don piero agrano