La storia, dall'antichità
ai giorni nostri, ci ha abituato a pensare al conflitto come a qualche
cosa di violento, alle bombe, al rumore, alla distruzione. Spesso finiamo
per convincerci che non ci sia altra forma, che non ci sia alternativa.
Ho trascorso il mese di
ottobre in Argentina, realizzando un sogno covato per molti anni, e in
quel paese lontano ho conosciuto luoghi e persone che mi hanno conquistata,
spazi infiniti, città bellissime, paesi piccolissimi e semplici,
persone cordiali ma, soprattutto, ho avuto finalmente la possibilità
di conoscere le Madri di Piazza di Maggio. Donne su cui avevo letto molto,
su libri e giornali, e che finalmente, il 19 ottobre, ho potuto incontrare.
Sono madri e nonne, continuano a cercare le figlie e i figli che la dittatura
di Jorge Videla ha fatto sparire nel nulla e quei bambini e quelle bambine
che sono nati in carcere, che sono stati rubati dai militari e che ora
sono grandi e non sanno nulla dei loro veri genitori.
Ogni giovedì le
Madri arrivano silenziosamente nella piazza dedicata alla rivoluzione contro
gli spagnoli, iniziata il 25 maggio del 1810, posano il tavolino su cui
espongono libri, dischi, magliette su cui è riprodotto il fazzoletto
bianco che portano in testa e che è diventato il loro simbolo.
Parlano con le persone che ogni giovedì si ritrovano sulla piazza,
argentini, stranieri, turisti. Poi, per un'ora camminano attorno al monumento
che si trova al centro della piazza, davanti alla Casa Rosada, sede della
presidenza della Repubblica, sfilano con uno striscione azzurro su cui
è scritto "Vivir combatiendo la injusticia".
Alle cinque raccolgono
lo striscione, il tavolino e se ne vanno, in silenzio ma lasciando ancora
una volta il segno profondo della loro protesta, delle loro richieste,
della costanza e del coraggio che da molti anni le sostiene in questa ricerca
disperata. Ho parlato con loro, le ho ringraziate per il lavoro che
fanno, per questo atto così importante per la giustizia e la democrazia,
non soltanto in Argentina ma in tutto il mondo. Mi hanno risposto: "Ma
non facciamo nulla, camminiamo soltanto!" Se questo è
nulla, mi auguro che tutto il mondo impari a non fare nulla, a camminare
soltanto. Perché quel nulla ha attraversato il mondo, ha seminato
un modo nuovo e non violento di chiedere giustizia, cerca di dimostrare
che, soltanto mantenendo vivo il ricordo di ciò che è successo,
è possibile evitare gli stessi errori.
gabriella bona