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    PARLA MONS. GREGORIO ROSA CHAVEZ
    MIGLIAIA DI FIRME PER MONS. ROMERO BEATO

    80 mila firme per sostenere la beatificazione di mons. Oscar Romero sono state raccolte da Pax Christi e consegnate il mese scorso a Roma in occasione delle celebrazioni per il ventennale della morte del vescovo di San Salvador ucciso, mentre celebrava la messa, dagli squadroni della morte filo-governativi il 24 marzo 1980. 
       Domenica 7 maggio Giovanni Paolo II ha ricordato i "martiri del 2000", e tra gli oltre 12 mila nomi di nuovi martiri, uomini e donne, c'era anche quello di mons. Romero. Il fatto nasconde un piccolo giallo. Nelle settimane precedenti il 7 maggio molti quotidiani hanno "gridato allo scandalo" per l'omissione del nome del Vescovo tra il lungo elenco di martiri. Ma a pochi giorni dalla celebrazione il suo nome è comparso. C'è chi sostiene che sia stato inserito all'ultimo momento per volere del Papa, chi sostiene al contrario che c'è sempre stato. Ma quello che conta, in fondo, è che Romero sia stato ricordato. 
       Il mese scorso l'attuale vescovo ausiliare di San Salvador, mons. Gregorio Rosa Chavez, 58 anni, ha incontrato, a Torino, la delegazione piemontese della Caritas. Mons. Chavez nel 1982 fu nominato vescovo titolare di Mulli e vescovo ausiliare di San Salvador. Per undici anni, fino al 1994, ha ricoperto la carica di Segretario delle trattative per la pace in Salvador e per tutto il processo di pace. Attualmente è presidente della Caritas per la regione dell'America Latina e Caraibi e vicepresidente di Caritas Intenrational. 
       Mons. Chavez, è stato  stretto collaboratore di mons. Oscar Romero e ne prosegue l'opera in America Latina. "Da otto anni, in Salvador, abbiamo firmato la pace ma è come se fossimo ancora in guerra - ha evidenziato  monsignor Chavez -. Povertà, disoccupazione e violenza sono i tre motivi che  non permettono al mio Paese di vivere una pace quotidiana". 
       "Romero è stato un uomo scomodo - ha sottolineato il prelato -, ma ora il popolo sta riscoprendo la sua figura. Oggi s'incomincia a parlare liberamente di lui come di un santo; ma per qualcuno rimane sempre un comunista. E' ancora lungo il cammino per arrivare alla verità storica sull'attività profetica di questo martire. E' su questa linea che ha lavorato la Chiesa in questi anni, ma c'è ancora molto lavoro da compiere". 
       "Ho conosciuto Romero da adolescente, quando ero ancora un seminarista - ricorda Chavez -. Originari della stessa diocesi, ho lavorato con lui per le comunicazioni sociali e l'ho aiutato nei momenti critici che ha attraversato il Salvador. Quando veniva assassinato un sacerdote (ne sono stati uccisi 20) ero io a scrivere i comunicati. Tra noi c'era una grande amicizia e confidenza". 
       "Traspare chiaramente nel diario di monsignor Oscar Romero la sua volontà di informare, dialogare, il suo desiderio di lasciarsi interrogare dalla realtà e dalle persone. Questa era la chiave della chiesa di Romero, una chiesa comune dove la gente si sentiva in pace, la gente si sentiva Chiesa": così mons. Chavez descrive l'amico arcivescovo trucidato vent'anni fa. 
       "Romero ha scritto che la chiesa esiste per annunciare la Pasqua - prosegue -, la Chiesa annuncia Cristo che è venuto a parlare del regno di Dio, e ci deve essere comunione tra messaggio e messaggero in Cristo". 
       "Questa è la sfida per noi in America Latina, ma lo è anche per voi del primo mondo, è la sfida per tutti, per ognuno di noi, per diventare una vera Chiesa - ci ricorda mons. Chavez -. Anche se è più facile essere cristiani nel terzo mondo, bisogna esserlo anche qui da voi". 
       Parlando della situazione, oggi, in Salvador, Chavez ha evidenziato che "la metà dei giovani ha meno di vent'anni, e non ha opportunità di lavoro. I giovani non riescono a finire gli studi e non lavorano. Sta diventando un fenomeno preoccupante. Questi ragazzi si organizzano in bande violente.  La mia parrocchia sta portando avanti un progetto per cercare di recuperare questi giovani dalla strada. Non dobbiamo dimenticare che sono ragazzi nati nella guerra e che vivono un'altra forma di guerra. Da fonti governative risulta, infatti, che nel mio Paese ci sono 8 mila omicidi all'anno. Viviamo una guerra non dichiarata". Secondo il vescovo con il cambio del governo potrà nascere un maggior senso del sociale, ma sottolinea "è una opportunità, non una certezza. Per anni la Chiesa è stata considerata il nemico pubblico numero uno. Ora la situazione è migliorata, i militari hanno perduto potere, si può parlare apertamente e si sta formando un'opinione pubblica più chiara. Stiamo crescendo nello spirito democratico, c'è la possibilità di una vera riconciliazione sociale. La società civile potrà assumere un ruolo importante. La chiesa continua ad aiutare la gente a costruire una società giusta e solidale". 
      
    c.g. 
     


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