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    CANDIA - INCONTRO PROMOSSO DAL VESCOVO E DALLA PASTORALE DEL LAVORO
    LA POVERTA’, LE MILLE POVERTA’...
    A CONFRONTO AMMINISTRATORI PUBBLICI E COMUNITA’ CRISTIANA

    Da qualche tempo si auspica la possibilità di “tavoli’’ di dialogo e di confronto fra istituzioni pubbliche e comunità cristiana su temi e questioni che toccano il territorio. Accogliendo una richiesta che gli era stata rivolta da più parti - ed era già sfociata in un incontro precedente - il Vescovo ha invitato gli amministratori locali ed i politici che provengono dallo stesso territorio della Diocesi di Ivrea ad un incontro e ad uno scambio di vedute sul tema della (delle) povertà.
       Il fatto che l’iniziativa sia stata assunta dal Vescovo stesso, con la collaborazione dell’Ufficio pastorale per i problemi sociali e del lavoro, non sta a significare - secondo quanto Mons. Miglio ha dichiarato introducendo la riunione - la volontà di “ritagliarsi’’ uno spazio “sacro’’ nella società, ma di esprimere un desiderio di presa a carico e di collaborazione fra differenti soggetti, nell’ottica della “laicità’’ e del comune servizio al bene comune.
       L’incontro ha avuto luogo venerdì 5 maggio, presso il Soggiorno “Caritas’’ di Candia Canavese ed ha visto la partecipazione di una cinquantina di amministratori. Dopo il saluto del Vescovo, la relazione di Ada Fumagalli, della Caritas di Ivrea ha tracciato una mappa delle povertà, soprattutto di quelle emergenti (dalle famiglie a reddito zero, ai fenomeni del disagio giovanile, alla tratta ed alla schiavitù delle donne provenienti dai Paesi poveri...), individuando, fra gli aiuti da offrire, quelli orientati ad avvicinare i meno abbienti (gli immigrati in particolare) alle istituzioni ed ai servizi che esse sono in grado di assicurare.
       Il tema dell’accompagnamento verso la fruizione dei servizi è stato più volte segnalato, nel corso della serata, come ambito in cui porre maggiore attenzione ed investire maggiori risorse. E’ seguita la relazione della Dott.ssa Maria Pia Brunato, assessore alla Solidarietà ed alle politiche giovanili della Provincia di Torino, che, inizialmente, ha fatto presente il ruolo ridotto che la Legge assegna alla Provincia, relativamente alle povertà, alle quali è il Comune l’ente considerato istituzionalmente più “vicino’’.
       Ma, soprattutto nelle Regioni Piemonte e Lombardia si assiste ad una notevole frammentazione di Comuni rispetto al territorio: 1.209 Comuni nel Piemonte, 315 nella sola Provincia di Torino. Comuni, spesso, di piccole dimensioni e scarsamente attrezzati ad affrontare problematiche del genere. A tale scopo si vanno istituendo i Consorzi socio-assistenziali, cui sono affidati, però, compiti prettamente gestionali.
       Manca, così, l’anello intermedio fra bisogni e politiche, che aiuta a leggere ed a riflettere sui bisogni, stabilisce delle priorità. Solo di conseguenza si può pensare al reperimento delle risorse, alla razionalizzazione dei servizi in rapporto ai costi. Quanto alle politiche per l’immigrazione - area in cui si concentrano notevoli fenomeni di povertà - la Legge 401 ha istituito il “Comitato per l’immigrazione’’. E’ di lì che passano tutte le politiche per l’immigrazione.
       Il fatto che esso debba essere presieduto dal Prefetto è rivelatore di una certa mentalità per cui si tratta di un problema primariamente di ordine pubblico e non (come dovrebbe) di integrazione sociale. Circa poi le politiche giovanili la relatrice valuta positivamente la Legge 285, soprattutto per l’introduzione di un metodo di lavoro, consistente nel creare una “rete’’, sul territorio, che integri e metta in sinergia differenti agenzie educative.
       Del dibattito che è seguìto, con contributi variegati e complessi, mi limito a segnalare temi ed accenti ricorrenti. In primo luogo, si è apprezzata l’opportunità offerta di un momento di “meditazione’’, con un po’ di salutare distacco rispetto alle urgenze delle decisioni e delle pratiche amministrative. Fra le urgenze sociali e le povertà che vi sono connesse, si è più volte segnalata quella della casa. Le politiche sociali, in generale, richiedono, ora, una profonda revisione, in vista di interventi che siano davvero mirati sui singoli bisogni, per evitare di far pagare ai meno abbienti costi sempre più elevati ed evitare di favorire chi non ne ha effettivamente bisogno.
       Si è inoltre accennato alle “condizioni’’ in cui gli amministratori si trovano ad affrontare le problematiche del bisogno, con il rischio di veder crescere, in un ambito solo burocratico e spesso scarsamente attrezzato, insensibilità e cinismo, o la sensazione frustrante di sforzi inutili ed improduttivi. Di qui l’esigenza di una pianificazione territoriale, fra più Comuni, capace di valorizzare soggetti e forze diverse, soprattutto nell’ambito del volontariato.
       L’attenzione si è così venuta spostando dai bisogni di ordine materiale alla valutazione di povertà più “diffuse’’ ed inquietanti: la povertà di valori e di ideali, la difficoltà a “socializzare’’ risorse che non siano solo fatte di aiuti economici, il dilagante individualismo (a cui la Chiesa stessa e le altre istituzioni educative non sono, per loro parte, estranee), la tendenza a far ricorso alla carità spicciola, erogata da enti assistenziali, come stampella impiegata per surrogare carenze più gravi e strutturali, e, sul versante opposto, la tendenza a “scaricare’’ tutti i problemi sulle istituzioni pubbliche, con rischi di interventi burocratizzati e poco incisivi...
       In tema di povertà, avvertita nell’ambito educativo della trasmissione dei valori, non si poteva evitare di affrontare il discorso sui giovani. Giovani che talora appaiono poco sensibili alle politiche di ordine sociale, perché poco interessati alle “risposte’’ elaborate e fornite da sedi lontane od estranee. L’importante - si è fatto rilevare da un giovane - non sta nel fornire risposte giudicate esatte, ma nel suscitare domande corrette ed interessanti, accettando di rivedere in profondità il modo - in termini culturali - in cui il mondo degli adulti propone valori ed orientamenti di vita.
       Non sono state molte, a dire il vero, nel corso della serata, le domande rivolte direttamente alla Chiesa. Si è potuto cogliere, comunque, accenti diversi, fra chi auspicava l’opportunità di abbandonare, nel campo dell’impegno per i bisognosi, etichette confessionali (e, potenzialmente, integristiche) e chi manifestava il timore, invece, nella prospettiva della formazione di una società multietnica e multireligiosa, di vedere dispersa la propria identità anche religiosa.
       Un terreno specifico in cui, comunque, si è riconosciuto ed auspicato il contributo che la Chiesa cattolica può portare è quello finalizzato a “creare comunità’’, a soddisfare una domanda di (ri)aggregazione della comunità locale, condizione e “clima’’ necessari ad affrontare efficacemente le problematiche della povertà. E’ un altro dei temi ricorrenti nel dibattito. Di fronte alla coscienza che “i poveri sono sempre con noi’’, che la povertà è una malattia endemica, spetta alla Chiesa con le sue risorse riempire lo spazio (di difficile “gestione’’!) che c’è fra istituzioni e volontariato, di alimentare una coscienza vigile e, all’occorrenza, critica e stimolante, sulle attenzioni che dedichiamo ai poveri ed alle povertà e sulle politiche che via via si pongono in atto in questo settore.
     
    don piero agrano

      
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