TASSELLI PER IL GIUBILEO MISSIONARIO
CONSUMO CRITICO
Quando andiamo al Supermercato, la nostra
attenzione viene catturata da una serie notevole di prodotti, tutti ben
allineati, tutti ben confezionati; prodotti che, senza usare parole, ti
invitano: “Comprami!’’. A noi resta l’imbarazzo della scelta. E spesso
proprio di imbarazzo si tratta. La scelta che facciamo, abitualmente è
dettata da questi tre criteri: il prezzo, la pubblicità e l’esperienza
precedente.
Sono criteri da consumatori
ordinari ed anche un po’ svogliati, non da consumatori consapevoli. Perché
il consumatore consapevole sa che tutte le volte che fa acquisti è
“come se andasse a votare’’ (Alex Zanotelli) e sa che è sufficiente
una variazione minima delle vendite (2-3%) per indurre un’impresa a rivedere
le proprie posizioni. Da queste consapevolezze è nato il “consumo
critico’’, che può essere definito un atteggiamento di scelta permanente
che si applica a tutto ciò che compriamo ogni volta che andiamo
a fare la spesa.
Concretamente, il consumo
critico consiste nello scegliere i prodotti non solo in base al prezzo
ed alla qualità, ma anche in base alla storia dei prodotti stessi
e delle imprese che ce li offrono. Il consumo critico ha lo scopo di far
cambiare le imprese, attraverso le loro stesse regole economiche, che sono
basate sul gioco della domanda e dell’offerta. Il prodotto: c’è
da tenere presente la tecnologia impiegata (se è ad alto o basso
consumo energetico), quanti e quali veleni sono stati causati durante la
sua fabbricazione e quanti ne causerà durante il suo utilizzo ed
il suo smaltimento, se è stato ottenuto da materie prime riciclate
o di primo impiego o da fonti non rinnovabili.
Le imprese: c’è
da considerare se non costringano i produttori a vivere in condizioni di
sfruttamento a motivo dei salari irrisori, o per mancanza di misure appropriate
di sicurezza, che prezzo viene pagato ai piccoli contadini, se per colpa
delle imprese non siano costretti alle monocolture od a vendere i propri
terreni ai latifondisti. A volte capita, poi, che un prodotto può
risultare buono da tutti i punti di vista, ma è stato fabbricato
e messo sul mercato da una multinazionale che possiede tanti altri prodotti
che non sono conformi ai criteri scelti dal consumatore consapevole, o
possiede altre attività inquinanti od esporta rifiuti pericolosi
nel Sud del mondo e nell’Est europeo, o è compromessa con regimi
militari e dittatoriali.
E allora... occhio alle
etichette! Saperle leggere, al di là della data di scadenza, non
è facile. Le “marche’’ dei prodotti sono tante, ma molto spesso
risalgono a poche multinazionali. Ed il nome della multinazionale sull’etichetta
non viene indicata. Un esempio. La multinazionale Nestlè possiede
queste “marche’’: Recoaro, After Eight, Alemagna, Antica gelateria del
corso, Buitoni, Perugina, Condiriso, Motta, La valle degli orti, Levissima,
Maggi, Mare fresco, Nescafé, Nesquik, Orzoro, Panna, Locatelli,
San Pellegrino, Olio Sasso, Acqua Vera... e tante altre.
Come si fa a sapere? Bisogna
ricorrere a fonti di informazione più dettagliate: uno strumento
utilissimo è il libro Guida al consumo critico del Centro Nuovo
Modello di Sviluppo, pubblicato dalla casa editrice EMI (in vendita presso
la Bottega Tam Tam di via Varmondo 6 ad Ivrea), dove sono passate al vaglio
oltre 350 società e tutti i principali prodotti di largo consumo.
C’è chi boicotta sistematicamente i prodotti delle multinazionali
e preferisce i piccoli produttori locali, che evitano sprechi ed imballaggi
di difficile smaltimento; altri preferiscono i negozietti all’angolo o
il mercatino, dove è possibile trovare i prodotti freschi di stagione;
altri scelgono i prodotti biologici.
Oggi i consumatori consapevoli,
per “contare’’ di più, si stanno organizzando. Sono nati i Gruppi
d’acquisto, che mettono in contatto consumatori e produttori della zona.
Questi Gruppi ritengono di importanza fondamentale comunicare alle imprese
i motivi per cui comprano o non comprano i loro prodotti e far conoscere
le proprie motivazioni anche ai lavoratori delle imprese, per avere in
loro degli alleati. L’esperienza dice che dove i consumatori si fanno sentire,
le imprese a poco a poco cambiano, forse non per motivi di giustizia, ma
perché non vogliono perdere quote di mercato.
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