IL VESCOVO : COPPIE DI FATTO,
UNIONI OMOSSESSUALI, RICHIESTE DI PERDONO...
CRISTIANI, DIALOGO
E DIVERSITA’
CHIESA A CONFRONTO
CON LA CULTURA CONTEMPORANEA
La posizione del Parlamento europeo,
a proposito delle unioni di fatto, ha suscitato vasta eco, compresi alcuni
interventi ospitati dal nostro settimanale riguardanti specialmente le
coppie omosessuali. Il primo rischio che si corre in queste occasioni è
quello di rincorrere i problemi quando c’è un po’ di clamore, per
poi dimenticarli velocemente, e dimenticare così la cosa più
importante, che è quel lavoro educativo pastorale che il Direttore
del Risveglio richiamava molto opportunamente nel suo editoriale della
scorsa settimana.
E’ stata pubblicata inoltre
da alcuni organi d’informazione la lettera di un gruppo di credenti omosessuali,
riportata anche dal Risveglio, inviata alcune settimane fa ad ogni vescovo
del Piemonte. Come promesso, ne abbiamo parlato nella recente riunione
della Conferenza regionale, anche se non pensavamo di aver ricevuto una
“lettera aperta’’ e questo cambia forse un po’ le modalità del dialogo.
Il problema delle unioni
di fatto e quelli sollevati dalla lettera citata portano sempre con sé
qualche polemica, inevitabile, poiché si tratta, a mio avviso, di
argomenti sui quali non è possibile essere neutrali, trattandosi
di scelte di vita; per questo anche le leggi e la politica di uno stato
e di una società laici hanno pur sempre una valenza pedagogico-educativa,
perché presuppongono l’una o l’altra visione della persona umana
e della vita.
Il concetto di laicità
cui ci richiamiamo come cristiani è quello indicato dal Concilio
Vaticano II, al n. 36 della Gaudium et Spes: una laicità che non
è laicismo perché si muove entro gli spazi assegnati da un
Creatore che per noi è anche il Dio della Rivelazione. Una laicità
che deve metterci in grado di ascoltare, di cercare di capire, di dare
sempre con rispetto il nostro giudizio etico, e soprattutto di testimoniare
e spiegare che se noi siamo attenti ad una determinata visione della persona
e della vita non è per difendere principi confessionali, ma perché
siamo convinti di servire una cultura della persona e della società
che garantisca il loro futuro e la loro crescita. Il metodo del dialogo
e del confronto sono d’obbligo, poiché dobbiamo essere sempre pronti
a rendere ragione della speranza che è in noi. (cfr. 1Pt. 2,15).
L’insegnamento della chiesa
sui temi toccati è noto, e non deriva da retaggi o da pregiudizi
culturali del passato, ma dall’antropologia che si ricava dalla Rivelazione.
Temi come la vita e la morte, l’uomo e la donna, la sessualità,
la coppia e la famiglia, la procreazione ed i meccanismi della vita, sono
oggi un terreno su cui il confronto tra antropologia cristiana e altre
prospettive si fa sempre più serrato (l’altro terreno incandescente
è quello dell’economia, legato ai problemi della giustizia e della
pace, e quindi sempre legato al rispetto della vita).
Nel confronto con la cultura
contemporanea ci rendiamo conto, oggi più di ieri, che il riferimento
alla Parola di Dio ci rende “diversi’’, di quella diversità già
ben delineata nella Lettera a Diogneto, e ricordata a noi in modo efficace
da don Chino Biscontin nell’incontro del gennaio scorso a Vische. Le scienze
umane ci possono aiutare molto a distinguere tra elementi culturali e insegnamento
rivelato, ma non potranno mai sostituire il nostro riferimento ultimo alla
Parola del Signore e al suo progetto fondamentale, nel quale vanno inseriti
i nostri.
Ciò che invece spesso
sfugge, nella discussione, è la distinzione tra la valutazione oggettiva
del problema e le situazioni soggettive: altro è parlare della strada
da percorrere, come il Signore l’ha tracciata (e non finiamo mai di scoprirla),
altro è parlare delle condizioni e delle responsabilità soggettive
di ogni singola persona, con la propria storia e la propria coscienza,
che solo Dio conosce e valuta. Nessuno può giudicare e tanto meno
condannare, emarginare o disprezzare. Qui si collocano opportunamente le
richieste di perdono, per tutte le volte che non siamo stati capaci di
accogliere, di accompagnare, di incoraggiare e dare speranza, ma anche
per le volte che non abbiamo testimoniato e annunciato il vangelo con chiarezza
e amore, dimenticando che la forza dello Spirito è capace di condurre
tutti alla pienezza della Carità (uguale a Santità). Infatti
alla luce del vangelo non conta tanto dove uno si trova o da dove parte,
ma dove vuole arrivare, grazie alla parola di Colui che solo può
dire “alzati e cammina’’ e “...neppure io ti condanno, va e non peccare
più’’.
Del recente documento “Memoria
e riconciliazione’’ vorrei segnalare i paragrafi 5,3 e 5,5, riferiti sia
ai metodi di intolleranza e persino di violenza usati nel servizio della
verità, sia alle responsabilità dei cristiani che talora
nascondono, piuttosto che manifestare, il genuino volto di Dio e della
religione. Il n. 6,2 invita a individuare i destinatari umani delle richieste
di perdono (il primo destinatario è sempre Dio), “all’interno o
fuori della
comunità ecclesiale, con opportuno
discernimento storico e teologico... ciò sarà fatto tanto
meglio quanto più ci sarà dialogo e reciprocità tra
le parti in causa’’.
Il documento invita a cercare
insieme, con chi si sente ferito, i gesti più opportuni per un cammino
di riconciliazione. E’ un impegno affidato alle singole chiese locali,
come dire che il documento vaticano ha coscienza di non aver fatto un elenco
esaustivo e affida a ciascuno di noi il compito di continuare sulla strada
indicata, anche per evitare che ci capiti, come talora avviene nelle confessioni,
di parlare delle colpe degli altri, magari davvero grosse, dimenticando
però le nostre, che a noi sembrano sempre tanto piccole.
+ arrigo miglio
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