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UNA STORIA COME TANTE, FATTA DI VIOLENZA, STRADA, POVERTA’...E SPERANZA
IL MIO NOME E’ MARCOS, HO 13 ANNI
UN "BAMBINO DI CATAVENTO" SI RACCONTA IN UNA LETTERA

Mi chiamo Marcos e ho 13 anni. 

Noi non ci conosciamo; ma io sento spesso parlare di voi da tio Danilo. Lui ci dice che in Italia i bambini di Catavento hanno molti amici che li pensano e li aiutano. 

La mia storia è una delle tante "storie di strada". 

Fino a otto anni ho avuto una famiglia: mio papà possedeva un pezzo di terra e, aiutato dalla mamma e dal mio fratello più grande, coltivava il miglio e la mandioca. Avevamo anche alcune mucche: erano magre e non davano il latte; ma, di tanto in tanto, ne vendevamo una e in cambio ci davano un po' di carne, un sacco di riso e uno di fagioli. La mia casa era di taipa (fango), come tutte le case del villaggio; nel cortile c'erano le galline, il cane e due maialini. Ero un bambino fortunato, perché mangiavo tutti i giorni. Le mie due sorelle, più grandi di me, andavano alla scuola, mentre io restavo in casa o accompagnavo la mamma nel campo. La mamma portava legata sulla schiena la mia sorellina Selma; ma molto spesso, mentre lei zappava, l'affidava a me, che la facevo giocare. 

Ormai si avvicinava anche per me il giorno in cui sarei andato a scuola. Ma questo giorno non arrivò mai, perché per due anni consecutivi non ci fu la stagione delle piogge e il papà, dopo aver venduto le mucche e il campo, andò in città per cercare lavoro. Non ritornò più a casa. In casa entrò un altro uomo, il mio patrigno. Lui beveva molta cachaça e, quando era ubriaco picchiava me, le mie sorelle e anche la mamma. Mio fratello più grande se ne andò quasi subito di casa. Io riuscivo a mangiare soltanto quando la nonna, di nascosto, mi dava qualcosa. Avevo sempre molta fame e molta paura di vedere quell'uomo arrivare ubriaco. Un giorno non ce l'ho più fatta: con il mio amico Rogeiro, che viveva nelle mie stesse condizioni, sono venuto in città. Avevamo tutti e due otto anni. 

Per quattro anni la strada è stata la mia casa e la mia famiglia. I primi tempi mi sentivo bene, ero contento di essere lontano dal mio patrigno. Mi mancavano, però, molto la mamma, le mie sorelle e il mio villaggio. Mi avevano accettato in una banda, dove tutti erano più grandi di me: rubavamo al supermercato, chiedevamo l'elemosina davanti alla rodoviaria, qualche volta andavamo davanti al ristorante, dove mangiano gli impiegati delle banca o i ricchi gauchos e, quando il padrone non ci cacciava, qualche buon avanzo riuscivamo a metterlo in pancia. 

Purtroppo c'erano dei giorni in cui le cose non andavano bene e allora non rimaneva che la colla. 

La colla da falegname costa poco e, se non hai i soldi per comprarla, trovi sempre un amico che te ne regala una bustina. La metti in una bottiglietta di plastica, la diluisci con un po' di benzina o con qualche solvente e poi l'aspiri a fondo, attraverso la bocca e il naso. Dopo, non senti più fame e non pensi più a niente. Noi meninos de rua non avevamo il diritto di pensare, di sognare come gli altri bambini; anzi non avevamo nemmeno il diritto di esistere, perché davamo fastidio. 

Di giorno stavamo in compagnia della paura, sempre pronti a scappare, quando arrivava la polizia; di notte, sui marciapiedi, al riparo di cartoni, i nostri sonni erano pieni di incubi. 

Forse anche in Italia avete sentito parlare degli "squadroni della morte". 

Io li conoscevo bene: conoscevo i nomi di tutti e ho imparato subito a stare lontano dai luoghi che frequentavano abitualmente e a nascondermi, quando fiutavo il pericolo. Nossa Senhora Aparecida, che mia mamma mi ha insegnato a invocare ogni sera prima di addormentarmi, mi ha sempre protetto. Alcuni dei miei amici, tra cui Rogeiro, non sono stati fortunati come me e ora non ci sono più. La legge della strada non perdona: se ti prendono, paghi. 

Un anno fa, Danilo e alcuni giovani che facevano la ronda notturna per le vie di Barreiras, mi hanno trovato. 

Da tre giorni non mangiavo, pioveva e faceva molto freddo. Mi hanno portato in un bar a mangiare e poi mi hanno accompagnato alla Casa de Passagem, dove ho trovato altri ragazzi come me. 

Un mese dopo sono entrato nel Progetto Catavento e ora mi sento come a casa mia. 

La mattina frequento la scuola pubblica: sto imparando a leggere e a scrivere. Anche se ho già 13 anni, non mi sento a disagio, perché ci sono altri ragazzi che hanno la mia stessa età. E poi, tutti mi vogliono bene e gli insegnanti non fanno differenza tra quelli che sono più preparati e quelli, come me, che fanno molta fatica per ricuperare il tempo perduto. 

Al pomeriggio, qui alla Cascalheira ci sono dei volontari che ci aiutano a fare i compiti e organizzano dei giochi; abbiamo anche un maestro di capoeira, che è una lotta simulata e ci aiuta molto a controllare le nostre reazioni. Il mercoledì pomeriggio andiamo al Rio das ondas dove facciamo il bagno e abbiamo anche la possibilità di giocare al pallone. 

Nel Progetto Catavento siamo in 60 ragazzi, dai 6 ai 15 anni; vogliamo bene ai nostri insegnanti e animatori e li chiamiamo tutti familiarmente tio e tia.  

Quando avrò 15 anni, entrerò nella Scuola-cantiere, dove potrò imparare un mestiere. A me piacerebbe fare il meccanico, oppure andare nella fazenda Nadia a lavorare la campagna. 

Qui a Catavento noi preghiamo ogni giorno per tutti voi che ci aiutate, anche se non vi conosciamo. Sappiamo di non essere soli, perché molti pensano a noi e ci vogliono bene. 

Noi non potremo mai ricambiare, ma saremo sempre riconoscenti a chi ci aiuta a stare lontani dai pericoli della strada e a imparare un mestiere che, un giorno, ci permetterà di avere e mantenere la famiglia.  

Aiutato da Danilo, ho scritto questa lettera, anche a nome dei miei amici, per dire grazie a tutti.  
marcos da silva lima

 
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