Secondo la convenzione sottoscritta da Necci e Incalza il 24 settembre 1991, l'Ente FS (oggi S.p.A.) ha affidato a TAV S.p.A. la progettazione e la costruzione delle nuove linee: TAV ha poi trasferito a sua volta la progettazione di massima, la verifica dei piani esecutivi ed il controllo della realizzazione delle opere ad Italferr Sis.-TAV S.p.A., la società di ingegneria di proprietà FS.
Per la realizzazione FS e TAV hanno ritenuto opportuno ricorrere alla figura dei General Contractors (IRI, ENI e FIAT), inquadrandoli come unici soggetti responsabili della progettazione esecutiva e della elaborazione forfettizzata del costo delle opere e dei tempi di realizzazione, fissati in 5-6 anni dall'apertura dei cantieri. I General Contractors sono organizzati in Consorzi per la realizzazione delle diverse tratte e dei nodi.
I contenuti normativi dei contratti risultano, in apparenza, fortemente innovativi: "chiavi in mano" senza possibilità di modifiche, revisione prezzi standardizzata con l'inflazione, premi e penalità sui tempi di consegna, ampie responsabilità dei General Contractors anche nei rapporti con gli Enti Locali.
Se tale meccanismo doveva in teoria rovesciare il circolo vizioso dei costi aggiuntivi causati dalle varianti in corso d'opera, ne risulteranno però evidenti i limiti allorché le richieste di variazioni progettuali degli Enti Locali dopo la consegna dei progetti esecutivi in Conferenza dei Servizi verranno affrontate con grande difficoltà, al limite dell'ostruzionismo, dai Consorzi stessi. In pratica questo sistema ha già messo in evidenza tutti i suoi limiti: la tratta Roma-Napoli ha già subito diversi aggiustamenti di prezzo rispetto alle previsioni iniziali, mentre per la tratta MI-BO è assodato che verrà rideterminato il c.d. "prezzo chiuso" una volta conclusi i processi di approvazione da parte degli Enti Locali [nota 66].
Sicuramente meno innovativa è l'assenza di qualsiasi meccanismo competitivo: inizialmente l'intero sistema di opere era previsto da realizzarsi senza gare d'appalto, e per la Milano-Napoli i lavori sono stati affidati utilizzando forme di trattativa privata.
La fretta che ne è derivata [nota 67] non solo ha avuto ripercussioni sulla redazione dei progetti esecutivi, ma ha anche provocato l'intervento ripetuto della Commissione Antitrust [nota 68] e del Parlamento [nota 69].
Conseguentemente il piano finanziario di TAV approntato nel gennaio 1994 ha sancito che "saranno affidati con gare formali aperte alle imprese europee i nodi urbani, il 40% del valore delle linee (utilizzando in sostanza un meccanismo di subappalto) e l'ammodernamento della Firenze-Roma, cioè metà del valore complessivo del sistema infrastrutturale AV. L'altra metà resterà ai General Contractors".
Siccome la giurisprudenza corrente identifica, per i contratti di appalto affidati mediante trattativa privata, il momento della stipula contrattuale per stabilire quali siano le leggi vigenti da rispettare, in ragione del fatto che si procederà ad una rinegoziazione del "prezzo chiuso" per la MI-BO si può anche prospettare un ulteriore intervento dell'Antitrust. Infatti la rinegoziazione del prezzo chiuso (che di fatto corrisponde alla stipula definitiva del contratto tra TAV e G.C.) avverrà in condizioni di illegittimità del ricorso alla trattativa privata per opere di questo genere (essendo oggi in vigore la normativa europea recepita con D.Lgs 406/91).
Peraltro sulla Roma-Napoli sono già in essere alcuni ricorsi
che fanno riferimento al pronunciamento dell'Antitrust che, come noto,
dopo una sofferta valutazione (ai voti 3 a 2), stabilì di imporre
ai General Contractor il subappalto di una quota del 40% dell'importo complessivo
dei lavori [nota 70]. E del resto si impone
una riflessione sugli elementi resi noti nei giorni scorsi dalle indagini
in relazione al controllo esercitato da organizzazioni camorristiche sugli
affidamenti dei lavori.
Il "Contratto di programma" siglato nel marzo 1996 da Ministro dei Trasporti e Ferrovie dello Stato delinea una situazione tutt'altro che chiara, in particolare per quanto concerne le garanzie preventivamente acquisite ed il reale livello di rischio di impresa che dovrebbe caratterizzare l'intera operazione. In particolare, occorre considerare:
Il quadro che emerge dalla lettura dell'articolato è contraddittorio. Infatti, se da un lato l'impegno sottoscritto comprende solamente la linea Torino-Milano-Napoli, il rimando all'articolo 6.5 per quanto concerne la costruzione di ogni altra tratta si presta ad una doppia interpretazione: se, da un lato, ulteriori investimenti dovranno preventivamente passare il vaglio dell'analisi di redditività finanziaria e socio-economica, dall'altro proprio le due ulteriori tratte AV Milano-Venezia e Milano-Genova trovano espressa conferma in quanto impegni legittimamente assunti da FS nei confronti di TAV.
Quanto poi all'art. 11.2, il testo non abbisogna di commenti, essendo,
questo sì, del tutto cristallino: la concorrenza di capitale privato
all'operazione, ancorché agevolata dalla garanzia statale sugli
interessi (art. 11.4) è condizione non necessaria all'avvio ed al
completamento del progetto. Il quale progetto, una volta aperti i cantieri,
dovrà comunque essere portato a termine, privati o non privati che
siano i capitali, essendo comunque lo stato impegnato ad individuare «le
adeguate forme di supporto finanziario» al fine di evitare il
verificarsi di interruzioni.
Molti dubbi sono del resto stati avanzati circa la natura realmente "privata" dell'investimento per la realizzazione dell'Alta Velocità. Nell'ottobre 1991, Guglielmo Zambrini evocava "ricordi autostradali" per analizzare l'operazione (si era, ai tempi, alla firma della convenzione quadro fra FS e TAV), denunciando però alcuni elementi specifici della nuova impresa che non erano presenti nemmeno nella vicenda autostradale:
«La differenza con le autostrade è importante. Il pedaggio, magari insufficiente, era a carico degli utenti (poi c'era il contributo). Qui il costo del pedaggio va sostanzialmente a carico dell'Ente FS: perché a parte il contributo del 40% (12 mila miliardi su una spesa di 30 mila) e gli interessi per 10 anni (si dice ora 8.500 miliardi), l'Ente FS rinuncia per 50 anni ai proventi del traffico trasferito dalle linee attuali alle nuove linee Alta velocità. (...) Sembra del tutto o quasi svanire il concetto del privato; non si tratta di fare intervenire i privati, ma soltanto di privatizzare "formalmente", tanto per consentire, come ha detto lo stesso Amministratore straordinario, di saltare gli ostacoli e i vincoli delle attuali leggi finanziarie (Il Mondo, 22 luglio 1991). In sostanza spesa pubblica travestita da privata, ma soltanto per evitare i controlli e le autorizzazioni (e i conti).
É una vicenda simile a quella delle autostrade, anche se allora la legge finanziaria non esisteva. Si trattava comunque di sottrarre le sospirate autostrade nazionali a qualsiasi ordine di priorità della spesa pubblica: nel quadro della politica economica complessiva, all'interno della politica dei trasporti, all'interno della stessa politica delle strade. Se il problema è di stravolgere la spesa pubblica è una tecnica convalidata» [nota 71].
La reale assimilabilità dell'operazione AV al cosiddetto project financing è uno degli elementi maggiormente discussi. Lo stesso Ragioniere generale dello Stato rilevava in proposito: «Il giudizio quindi sull'impostazione generale della TAV è sostanzialmente positivo per quanto riguarda la creazione di un soggetto autonomo titolare del progetto Alta Velocità. Permangono invece alcune perplessità riguardo all'ingegneria societaria e finanziaria, che forse non consente ancora alla TAV di essere considerata un modello compiuto di "project financing".
Sotto questo aspetto, mi limito a indicare quelli che sembrano i principali punti critici:
Successivamente, come si è detto in premessa, è l'Autorità garante della concorrenza (Antitrust) ad analizzare il progetto, che pur non rilevando formali infrazioni al termine della indagine avviata nel marzo del 1993 individuava comunque alcuni punti controversi dell'operazione:
Per quanto riguarda in particolare il finanziamento, dai contratti emerge, anche a parere dell'Antitrust, «... un quadro contraddittorio con le finalità dello strumento project financing». Infatti, se da una parte «... il rischio della gestione fa capo alle FS», dall'altra lo sfruttamento economico, formalmente attribuibile a TAV, si riduce alla cessione dei propri diritti a fronte di corrispettivi che, indipendentemente dai risultati di gestione, dovranno assicurare la copertura del debito, l'equilibrio economico dell'iniziativa e la remunerazione dell'investimento.
D'altra parte, occorre ricordare come l'intera operazione sia nata e prosperata all'insegna di un sano protezionismo economico; è una notazione "stonata" rispetto alle suggestioni europee di cui lo stesso progetto ama ammantarsi, ma è un fatto difficilmente contestabile: «Una gara internazionale per l'affidamento della linea ferroviaria ad Alta velocità Milano-Torino sarebbe una cosa gravissima che può causare ritardi alla realizzazione delle opere; danni alle imprese italiane e soprattutto all'occupazione visto che con le nuove linee si dovrebbe dare lavoro a 50 mila persone». Così tuona a Lione il presidente del comitato promotore per l'AV est-ovest Sergio Pininfarina, un signore il cui nome, forse a titolo di riconoscenza per l'opera di promozione, è stampato a chiare lettere sulle locomotive del treno veloce ETR 500. Ed insiste: «Da imprenditore dico che l'idea della gara internazionale è pericolosa e noi la avversiamo totalmente: se sarà accolta causerà ritardi su tutte le tratte dell'Alta velocità» [nota 73].
In presenza di un così duro atteggiamento, non stupisce quindi che l'interesse degli investitori privati (il decantato pool di banche estere che dovevano garantire solidità e prestigio all'operazione) sia rapidamente venuto meno. Tant'è che queste hanno finito per ridimensionare la loro partecipazione, lasciando il testimone della partecipazione internazionale al "navigato" Crédit Lyonnais: «Gli istituti esteri presenti nel capitale della TAV hanno ridimensionato la loro partecipazione rinunciando a sottoscrivere l'aumento di capitale da 100 a 400 miliardi di lire chiuso l'8 febbraio scorso. La quota inoptata (circa l'8%) da Goldman Sachs, Daiwa Europe, Swiss bank corporation e Salomon Brothers sarà sottoscritta dalle cinque banche del «Comitato tecnico-scientifico» formato dalla Banca di Roma, Imi, Mediobanca, Crediop, e Crédit Lyonnais. La decisione delle istituzioni estere di non sottoscrivere la ricapitalizzazione sembra collegata alla loro esclusione da un consorzio per la concessione di un maxi prestito di 5 mila miliardi alla TAV » [nota 74].
«Le premesse per il nostro intervento erano ben altre - fanno
sapere le banche estere - alle origini si era parlato di quattro consorzi
bancari, uno giapponese, uno americano, uno europeo e uno italiano, che
dovevano spartirsi equamente i compiti. Ora però si prendono tutto
gli italiani» [nota 75].
Il dispositivo societario per il finanziamento del progetto AV è il seguente: FS (oggi SpA) concede a TAV SpA la progettazione esecutiva, la costruzione e lo sfruttamento economico delle linee e delle infrastrutture per il sistema AV [nota 76].
Secondo i promotori dell'opera la quota del capitale sociale di TAV detenuta da FS [nota 77] dovrebbe divenire minoritaria a regime, ovvero corrispondere al 40%, mentre il restante 60% andrebbe nelle mani di privati (sostanzialmente banche, tra le quali Credit Lyonnais, Crediop, Imi, Mediobanca, Banca di Roma, CARIPLO,). Inoltre tutto il meccanismo di finanziamento viene presentato come imperniato sul 60% di risorse private e il 40% di risorse pubbliche.
Alla quota pubblica però non è stato aggiunto l'ammontare degli interessi intercalari, cioè degli interessi che maturano nel periodo in cui il progetto non è ancora entrato nella fase di sfruttamento commerciale e pertanto non genera ricavi. Tale somma, a carico di FS, ammonta a 3.085 miliardi di Lire e risulta peraltro ancora da finanziare non essendo stata ricompresa nell'importo complessivo degli investimenti [nota 78].
Per quanto attiene il 60% cosiddetto a carico dei privati, la maggior parte consiste in prestiti praticamente garantiti dallo Stato (come peraltro previsto dal contratto di programma). Infatti si danno due casi:
Soltanto la partecipazione al capitale di TAV è l'unico "capitale di rischio" dell'operazione. Ma esso è destinato a coprire, una volta a regime, un'esigua quota dell'intervento. Infatti dei 2.000 miliardi previsti di capitale sociale di TAV sono a carico dei privati 1.200 miliardi, corrispondenti al 4,1% della totalità dei costi di investimento (esclusi gli interessi intercalari).
Il meccanismo di finanziamento lascia in sintesi aperti diversi interrogativi di non trascurabile rilevanza:
Mentre FS ha affidato a TAV la responsabilità dello sfruttamento economico dell'opera; TAV a sua volta ha riaffidato la gestione in esclusiva all'Ente FS che si è impegnato a corrispondere il canone (C1) di affitto. Come ricordato in precedenza, inizialmente tale canone era previsto addirittura svincolato dal risultato reale d'esercizio delle linee. FS comunque dovrà in ogni caso pagare a TAV quanto basta per "...assicurare la copertura del debito complessivo contratto [...] per finanziare la realizzazione dell'investimento..." [nota 87]. Inoltre FS ha in questo modo rinunciato per il periodo di concessione (50 anni) ai proventi del traffico trasferito dalle linee attuali alle nuove linee ad AV [nota 88]. A sua volta TAV dovrà corrispondere ad FS una quota per l'utilizzo di reti, stazioni, nodi ed impianti utilizzati in comune con FS e che rimangono di proprietà dell'Ente Ferrovie.
Tale meccanismo si attuerà attraverso la costituzione (l'ennesima) di una società ad hoc, la TAVCO S.p.A. (di proprietà FS) incaricata della gestione del sistema AV. Sarà questa società la prima ad avere grattacapi se i passeggeri reali dovessero essere molti meno di quelli previsti. FS deve comunque assicurare la gestione tecnica delle linee con proprio personale e materiale rotabile adeguato (in pratica la gestione vera e propria).
Se dal punto di vista strettamente finanziario il piano reso disponibile da TAV [nota 89] può avere una sua coerenza logica, finalizzata a garantire il ritorno del credito bancario privato, altrettanto non può dirsi dal punto di vista di FS. Le ferrovie infatti devono agire nell'interesse pubblico, e come tali devono giustificare un investimento secondo un'analisi costi/benefici che tenga conto, oltre che dei costi/benefici finanziari interni (o diretti), anche dei costi/benefici esterni che gravano sulla collettività, così come è avvenuto ad esempio per gli investimenti tipo FIO (specialmente la metodologia seguita per l'analisi).
In questo senso tutta la valutazione del progetto presenta grandi aree oscure:
Il problema dell'analisi degli investimenti di FS è stato a suo tempo sollevato anche dall'allora Ministro Caravale che ha cercato di introdurre alcuni elementi innovativi nel rapporto con le Ferrovie dello Stato, tutti finalizzati ad esercitare un maggior controllo sulla S.p.A. ad azionariato pubblico: creazione di una struttura ministeriale di verifica del rispetto degli impegni da parte di FS, utilizzo di nuovi criteri economici per la gestione dell'infrastruttura ferroviaria e di un nuovo metodo di calcolo per la rivalutazione dei trasferimenti statali, introduzione di una formula che prevede che i progetti FS siano sottoposti preventivamente, oltre che all'analisi finanziaria svolta da FS, ad un'analisi economico-sociale svolta dal Ministero dei Trasporti [nota 90].
Ancora più incerta appare la struttura dei benefici attesi dall'intervento: senza entrare nel merito dei rientri finanziari, fortemente condizionati dall'indeterminatezza della domanda e delle tariffe, si rileva che per i restanti benefici interni (ristrutturazione e modernizzazione delle dorsali principali, riduzione dei tempi operativi ed incremento della capacità di trasporto, miglioramento tecnologico della rete, miglioramento dell'offerta nei nodi, integrazione europea) qualsiasi stima è condizionata dall'assenza di indicazioni precise sugli investimenti per gli interventi complementari di armonizzazione del nuovo sistema con le reti di rango minore [nota 91]. In altri termini, la quadruplicazione, corretta in un'ottica di sviluppo equilibrato del sistema, acquista senso economico solo nell'ambito di un progetto che garantisca connessione ed armonizzazione con le reti di rango regionale [nota 92].
Il progetto però non comprende interventi sulla rete esistente, e buona parte di ciò che viene descritto come beneficio del quadruplicamento delle linee (incremento del servizio locale, nuovi servizi merci, riorganizzazione della rete, ecc.) non può essere ottenuto se non con ulteriori investimenti, sui quali si tace.
Effettivi e condivisibili appaiono alcuni benefici esterni (reddito ed occupazione, ricadute tecnologiche e commerciali, aumento di competitività del sistema economico nazionale, ecc.): la natura di questi ultimi è tuttavia scarsamente dipendente dalla scelta strategica dell'AV. Una valutazione coerente di tali benefici non può quindi prescindere da analisi comparate con altri tipi d'intervento (perlomeno in una fase di scarse risorse finanziarie come quella che sta attraversando FS): dell'esistenza di tali analisi non si ha notizia.
Uno degli aspetti più singolari e preoccupanti di questo progetto è il fatto che esso, mediante il complicato gioco societario di scatole cinesi, sia affidato in sostanza a soggetti che hanno tutto l'interesse nella realizzazione dell'investimento e pressocché nessun interesse nella gestione. Questa peraltro è l'unica chiave con cui si possono intendere alcune scelte, quali la velocità di esercizio, il materiale rotabile, il tipo di alimentazione, l'approccio ai nodi, ecc., il cui onere gestionale si prospetta pesantissimo [nota 93]. Una seconda grave ricaduta del meccanismo adottato è la generale tendenza alla minimizzazione dei costi interni dell'investimento mediante il tentativo di trasferirli a costi esterni (cioè gravanti a carico della collettività); esemplari in questo senso sono i tentativi di risoluzione di numerose interferenze dirette contenute nel progetto esecutivo depositato nel 1992 in Conferenza dei Servizi per la tratta Milano-Bologna [nota 94].
Su quanto detto a proposito dell'architettura finanziaria e istituzionale del progetto aleggia un ulteriore, ed assai significativo, elemento di incertezza. Quello relativo ai costi reali dell'operazione.
La tabella seguente riassume le determinazioni di costo e le stime elaborate tra il 1991 ed il 1996 circa l'investimento complessivo necessario alla realizzazione delle linee AV. É inoltre riportata una stima previsionale - effettuata dal Centro Servizi Quasco di Bologna - relativa all'ammontare delle opere a consuntivo 2003 (dati in miliardi di lire).
Tra il 1991 ed il 1996, l'importo totale dei costi necessari alla realizzazione del sistema AV è cresciuto di oltre il 110% (144% se si considerano anche gli incrementi di costo relativi agli interventi sui nodi), ovvero ad un tasso medio annuo di circa il 16%.
La stima previsionale effettuata da Quasco circa l'ammontare finale porta a considerare un ulteriore incremento medio annuo, nel periodo 1995-2003, di circa il 6%.
Si tratta, in tutti e due i casi, di tassi medi di incremento ben superiori
ai tassi di inflazione, programmati o meno, rilevati e previsti nell'arco
dei dodici anni che intercorrono fra il 1991 ed il 2003.
1991 (*) | 1991 (**) | 1993 (***) | 1994 (°) | 1995 (°°) | 1996 (°°°) | 2003 ^) | |
Torino-Milano | 2,100 | 2,340 | 2,700 | 3,416 | 3,651 | 4,458 | 6,440 |
Milano-Bologna | 2,900 | 3,800 | 4,480 | 4,595 | 5,051 | 6,045 | 9,720 |
Bologna-Firenze | 2,100 | 2,700 | 3,230 | 3,402 | 3,866 | 6,060 | 6,480 |
Firenze-Roma | - | 460 | 460 | 460 | 460 | 640 | 1,400 |
Roma-Napoli | 3,900 | 5,000 | 5,300 | 5,508 | 6,038 | 7,101 | 9,750 |
Totale linea TO-NA | 11,000 | 14,300 | 16,170 | 17,381 | 19,066 | 24,304 | 33,790 |
Milano-Genova | 3,100 | 3,100 | 3,100 | 3,300 | 3,300 | 4,956 | 10,600 |
Milano-Venezia | 3,900 | 3,890 | 5,400 | 5,400 | 5,400 | 8,700 | 12,610 |
TOTALE LINEE | 18,000 | 21,290 | 24,670 | 26,081 | 27,766 | 37,960 | 57,000 |
NODI | 2,080 | - | - | 4,150 | - | 11,100 | 15,600 |
TOT. GENERALE | 20,080 | - | - | 30,231 | - | 49,060 | 72,600 |
(*) 7 agosto 1991 - Convenzione FS-TAV, Fonte: QUASCO
(**) 31 dicembre 1991, Stime FS - Fonte: Il Mondo 25 maggio 1992
(***) Ottobre 1993 - Concessione, Fonte: QUASCO
(°) Bilancio TAV 1994
(°°) Agosto 1995 - Libro bianco Dini, Fonte: QUASCO
(°°°) Fonti: TO-MI-NA, TAV 1996; MI-GE COCIV 1996; MI-VE + Nodi, QUASCO
(^) Stime a consuntivo elaborate da QUASCO
La maggioranza degli analisti concordano nel ritenere i costi di costruzione inizialmente paiono eccessive [nota 95].
Sulla Scheda di sintesi del piano economico-finanziario di TAV aggiornata al giugno 96 gli investimenti ammontano a 29.012 Miliardi di Lire. Con questa somma si prevede la realizzazione della linea AV TO-MI-NA, compresi nodi, imprevisti e spese di ingegneria. Su tale previsione di spesa si osserva quanto segue:
In sintesi, escludendo la tratta FI-ROMA per la quale si prevedono soltanto
opere di adattamento, le somme previste per la realizzazione delle sole
tratte AV del sistema TO-MI-NA ammontano a 19.930 miliardi di Lire. A ciò
corrisponde un costo medio inferiore a 34 miliardi per km, così
disaggregati [nota 98]:
Il costo unitario (che comprende le voci "General contractors", "servizi di ingegneria", "altri costi" e "fondo riserva") varia dunque dai 33,3 miliardi / km della Milano-Bologna ai 78,3 miliardi della Bologna-Firenze.
Si tratta di cifre relativamente modeste, se comparate ad infrastrutture simili realizzate negli anni passati, ma anche ad infrastrutture attualmente in discussione. Per la "variantina" di valico dell'A1, che tanta discussione ha creato lo scorso agosto, ad esempio, è prevista una spesa di 1.600 - 2.000 miliardi, a fronte di un tracciato di complessivi 18 km, dei quali 8,7 (il 48%) in galleria. Fanno, considerando la previsione "bassa" quasi 89 miliardi/chilometro. La linea AV Bologna-Firenze dovrebbe costare dunque un buon 40 % in meno, e si svolge in galleria per oltre il 93% del proprio tracciato (ed in viadotto per buona parte del restante 7%). Per l'ipotesi di attraversamento in sotterranea del nodo di Modena, i progettisti di Cepav Uno stimavano - al novembre 1994 - il costo di una galleria naturale (foro cieco) della lunghezza di 4 km in complessivi 696 miliardi (cfr. tabella seguente) [nota 99].
Costi (m.rdi) |
||||
N° | km | Unitario | TOTALE | |
Consolidamenti | 4 | 40 | 160 | |
Avanzamento galleria | 4 | 46 | 184 | |
Pozzi attacco e uscita | 2 | 30 | 60 | |
Impianti speciali | 1 | 85 | 85 | |
Fresa Hydroschield | 1 | 150 | 150 | |
Totale Galleria Modena | 160 | 639 |
Si trattava dunque, in quel caso, di 160 miliardi /chilometro (ma - quella volta - il problema era di dimostrare la non fattibilità dell'opera). Si noti che la componente "variabile" (consolidamenti + avanzamento galleria) comporta comunque un costo di oltre 80 miliardi / km, mentre i costi fissi (impianti speciali, fresa), nel caso di uno sviluppo di opere quale quello previsto fra Bologna e Firenze, possono essere presumibilmente ridotti se rapportati al singolo chilometro. Nondimeno, dalla expertise a suo tempo prodotta da Cepav Uno si deriverebbe un costo unitario di una linea in galleria profonda di almeno 100 miliardi / km.
La medesima fonte riporta inoltre i costi unitari a suo tempo stimati con riferimento alle altre tipologie progettuali previste, indicando in lire 13,1 miliardi/km il costo del rilevato, ed in 28,7 miliardi / km il costo del viadotto. A tali costi vanno aggiunti poi gli importi relativi agli espropri (nel caso particolare, stimati in 2,2 miliardi / km), i costi di armamento e per impianti tecnologici (5,1 miliardi/km). Complessivamente, il costo di realizzazione di un chilometro di rilevato veniva dunque valutato (novembre 1994) in Lire 20,4 miliardi, mentre nel caso del viadotto l'importo totale saliva a 36 miliardi / km. Appare allora evidente che, nella definizione dei costi complessivi dell'operazione, qualche elemento deve essere sfuggito. Infatti, comparando tali stime con i costi medi dichiarati nel 1996 (e considerando oltretutto che fra il 1994 ed il 1996 il costo preventivato globale delle linee è salito del 30% circa per il tratto Milano-Bologna e del 70% per il tratto Bologna-Firenze) emerge una sostanziale incongruenza delle previsioni "micro" e "macro": i 33 miliardi/km (1996) della Milano-Bologna sono di poco superiori al costo preventivato per una linea in rilevato nel 1994 (senza considerare oltretutto oneri accessori ed aggiuntivi, e senza considerare che, nei fatti, lungo la Bologna-Milano si farà ampio ricorso ai viadotti), mentre i 78 miliardi/km (inclusi i fondi di riserva) previsti sempre nel 1996 sulla Bologna-Firenze risultano comunque inferiori ai soli costi variabili per la realizzazione di una galleria naturale indicati nel 1994 da Cepav Uno in 86 miliardi/km.
Per confronto si consideri inoltre che la costruzione delle nuove linee
AV tedesche ha registrato costi oscillanti, in Lire 1996, tra 37 (Hannover-Würzburg)
e 44 (Mannheim-Stoccarda) miliardi al km (Fonte DB, dati 93).