2. Filosofia del sistema e scelte tecniche e di progetto
2.1 Obiettivi "strategici", scelte "tattiche"
Il progetto AV dichiara di voler perseguire l'obiettivo "strategico"
di potenziare l'intero sistema ferroviario nazionale, coerentemente con
un obiettivo "politico" - ampiamente condiviso - di riequilibrio
a favore della rotaia dell'attuale ripartizione modale ferro/gomma nel
trasporto di persone e di merci. Pur assumendo come prioritario tale obiettivo,
il problema non si può limitare al "se" e "come"
il progetto AV possa effettivamente perseguirlo, ma anche (e forse soprattutto)
se quello sia il progetto "più efficace" (fra i tanti
possibili) per conseguire il riequilibrio nella ripartizione modale.
Nei fatti, il progetto AV nasce e si consolida quale progetto "autonomo",
nel senso che prescinde dalla situazione del sistema ferroviario nazionale,
dall'analisi e dall'individuazione delle criticità puntuali, dall'approfondimento
della domanda quale criterio per definire le priorità di intervento
sul versante dell'offerta. Esso viene presentato piuttosto come una sorta
di necessario adeguamento ad ipotetici standard europei.
2.2 Suggestioni europee
I riferimenti europei ed internazionali del progetto vanno dalla supposta
preferenza per l'alta velocità accordata in sede UE agli interventi
sulla rete ferroviaria (che, come vedremo in seguito, è tutta da
dimostrare), alla dichiarata esistenza di «... normative della
Comunità Europea che escludono l'utilizzo del sistema 3 kV c.c.
per linee ad Alta Velocità» [nota
1] fino alla pretesa strategicità delle linee italiane nell'ambito
di un più generale disegno di relazioni internazionali che riguardano
l'intero continente. Si confonde, all'insegna di concetti generici quale
quello dell'interoperabilità delle reti europee, la necessaria definizione
di standard internazionali di segnalamento e trazione (che, di fatto, riguardano
il materiale rotabile) con la pretesa necessità di costruire nuove
linee con velocità di progetto di 300 km/h. Nella realtà
(si confrontino in proposito le allegate SCHEDE TECNICHE 5. L'ALTA VELOCITÀ
IN EUROPA E 6. L'ALIMENTAZIONE A 25 KV CA ) il problema dei parametri tecnico
progettuali delle linee veloci europee e delle condizioni che garantiscono
una effettiva interoperabilità fra le diverse reti è riconducibile
a numerose questioni, e non sembra, per il momento, poter essere risolto
a partire dalle infrastrutture: conviene, semmai, concentrarsi sul materiale
rotabile e di trazione.
Si descrivono poi suggestive quanto evanescenti direttrici ferroviarie
europee, magari attribuendovi nomi mitologici (il "corridoio carolingio"),
e disegnando foschi scenari di competizione per l'acquisizione di flussi
di traffico diretti ad est, che sembra imprescindibile ricondurre verso
sud (lungo il "corridoio mediterraneo").
Si arriva così a conclusioni paradossali (quanto meno dal punto
di vista metodologico), come nel caso dello studio di fattibilità
della linea Torino-Venezia, dove la supposta domanda di traffico sulla
relazione è originata dalla linea veloce Torino-Lione, che a sua
volta deve soccorrere l'incremento di domanda derivante dal segmento italiano
del corridoio internazionale est-ovest.
2.2.1 Decisioni europee
La recente decisione N. 1692/96/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
(23 luglio 1996) sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete
transeuropea dei trasporti [nota 2] offre, in
proposito, alcuni spunti di grande interesse. Si riporta di seguito, pertanto,
il testo del comma 2 dell'art. 10 (Caratteristiche della rete ferroviaria)
di tale decisione europea:
«La rete ferroviaria ad alta velocità comprende:
linee specialmente costruite per l'alta velocità, attrezzate
per velocità generalmente pari o superiori a 250 km/h mediante le
attuali o mediante nuove tecnologie,
linee specialmente ristrutturate per l'alta velocità, attrezzate
per velocità pari a circa 200 km/h,
linee specialmente ristrutturate per l'alta velocità. a carattere
specifico a causa di vincoli legati alla topografia, al rilievo o ai nuclei
urbani, la cui velocità deve essere adeguata caso per caso.
Tale rete è composta dalle linee indicate nell'allegato I
quali linee ad alta velocità o linee ristrutturate per l'alta velocità».
Rientrano, dunque, nella definizione europea di Alta velocità,
sia le linee specializzate per velocità "pari o superiori"
a 250 km/h, che le linee ristrutturate per velocità pari a circa
200 km/h, e financo quelle con velocità inferiori, posto che vincoli
legati "alla topografia, al rilievo o ai nuclei urbani"
ne giustifichino gli specifici parametri progettuali.
Non si trovano, invece, riferimenti, alla velocità di 300 km/h
che sembra rappresentare, per il progetto italiano, una vera e propria
"questione di principio". Tanto da affermare, a proposito di
materiale rotabile, che gli elettrotreni passeggeri "Pendolino"
ETR 460, ETR 470 e ETR 480 sono caratterizzati da «prestazioni
non propriamente AV» [nota 3] (pur
consentendo velocità massime di 200 - 250 km/h). Questa affermazione,
come parecchie altre, è stata sostanzialmente ritrattata in sede
di lavori del tavolo tecnico, ma tant'è: essa è comunque
la spia di quanto l'impostazione progettuale adottata sia pregiudiziale,
nel senso etimologico del termine. La scheda tecnica n° 1 mostra in
dettaglio quanto la scelta dei 300 km/h sia campata in aria, come lo sarebbe
qualsiasi altra predefinizione della velocità massima cui si giungesse
in assenza di una specifica analisi tecnico-economica.
Le conseguenze pratiche che le definizioni europee possono comportare
sono notevoli: una linea ad Alta velocità non necessariamente deve
essere realizzata ex novo, non necessariamente deve consentire velocità
di 300 km/h, e soprattutto non necessariamente deve sacrificare alla velocità
massima le prioritarie esigenze di integrazione e di incremento dell'accessibilità
cui la rete europea delle infrastrutture deve tendere. Ciò conferma
come, nello specifico caso italiano, la forte opzione iniziale (linee "intrinsecamente
specializzate"), successivamente sedimentata nelle faticose trattative
in sede di conferenze dei servizi, fosse solamente una delle alternative
praticabili sotto l'etichetta dell'alta velocità.
Altre (forse meno costose, o forse più efficaci, o entrambe le
cose) alternative erano praticabili, ed avrebbero comunque dovuto essere
considerate nella fase iniziale del progetto. Dall'intervento puntuale
e localizzato sulle tratte realmente critiche, all'adeguamento dei sistemi
di controllo e gestione del traffico; dalla realizzazione di varianti (magari
a servizio delle merci, e dunque svincolate dalla priorità di passaggio
all'interno delle aree urbane) alla progettazione di materiali rotabili
espressamente pensati per una più veloce percorrenza dei tracciati
esistenti; dalla esplorazione di nuovi tracciati veloci a servizio di aree
non raggiunte dall'attuale rete ferroviaria quale alternativa ai quadruplicamenti
in sede, progressivamente slittati all'esterno dei centri urbani, alla
innovazione nell'offerta commerciale e tariffaria. Tutto questo, ed altro
ancora, poteva essere oggetto di progetti strategici del tutto coerenti
con gli indirizzi europei in materia di reti ferroviarie e di reti ad alta
velocità [nota 4].
Per quanto riguarda, invece, la definizione di soluzioni calibrate
sulla domanda esistente (che, giova ricordarlo, è una domanda prevalentemente
di breve e media percorrenza, e dunque più sensibile al comfort
ed alla regolarità del servizio che non alla velocità di
punta), queste vengono genericamente ricondotte alla liberazione di tracce
sui vecchi itinerari, una volta raddoppiati con le linee AV.
La rigidità del processo decisionale intrapreso (disegno di
alcune direttrici da raddoppiare in assenza di considerazioni puntuali
sugli effettivi ed articolati livelli di saturazione, assenza di una reale
programmazione di sistema dell'esercizio combinato delle nuove direttrici,
ricerca della fattibilità tecnico-economica in funzione della soluzione
progettuale predeterminata, e dunque assenza di un vero processo di selezione
dell'alternativa di intervento più vantaggiosa in termini economici,
funzionali ed ambientali) ha di fatto precluso ogni reale dibattito sulle
scelte che venivano via via consolidandosi, e ciò anche sulla base
di un presunto (e tutt'altro che dimostrato) carattere "imprenditoriale"
del progetto.
Il "sistema" che esce da questo processo è, nei fatti,
assai poco definito: ad una dichiarata "unità" del sistema
Torino - Milano - Napoli fanno da contraltare, nei documenti prodotti da
TAV e Italferr, due filosofie affatto differenti.
La linea Milano - Napoli, infatti, è considerata una linea "intrinsecamente"
specializzata per il trasporto passeggeri (in quanto si ritiene che tale
segmento di domanda sia sufficiente a sostenerne gli oneri finanziari),
con la riserva di 50 tracce merci al periodo notturno, ed una previsione,
in sede di primo esercizio, di 10 di queste (peraltro nemmeno contabilizzate
nell'analisi del cash-flow del progetto).
La linea Torino - Venezia, viceversa, è dichiarata essere interessata
da una domanda equamente ripartita fra merci e passeggeri, tanto da ipotizzare,
nell'esercizio, pesanti limitazioni alla velocità dei treni passeggeri,
che potrebbero percorrerla a velocità massima solamente in alcune
fasce orarie di punta.
Entrambe le nuove direttrici ricalcano più o meno fedelmente
gli itinerari esistenti, salvo passare all'esterno di buona parte dei centri
urbani posti lungo la direttrice storica. In alcuni casi sono previste
interconnessioni, in altri no; cosicché, complessivamente, i centri
urbani serviti dalla nuova linea saranno meno di quelli serviti attualmente.
Sulla linea Milano - Napoli (ed in particolare sulla tratta Milano Bologna)
si verifica dunque la situazione paradossale per cui le merci (che viaggiano
sulla linea storica) continueranno a passare dentro le città, mentre
gli intercity le bypasseranno all'esterno.
Quanto alla linea Milano-Genova, il recente Studio di Impatto Ambientale
prodotto consolida questo tentativo di accreditarne un uso promiscuo ed
universale (treni merci misti a treni passeggeri a 300 km/h), senza porsi
il problema del perché in nessuna altra esperienza ad oggi consolidata
in ambito internazionale sia operativo - su linee ferroviarie veloci -
un esercizio misto con siffatte caratteristiche.
Rispetto alla definizione "immaginifica" corrente (i 300
km/h), il progetto, anche in seguito agli adeguamenti intervenuti in corso
di progettazione esecutiva, ha incrementato significativamente il suo carattere
"spurio", dove ad alcune scelte tipiche delle linee veloci specializzate
per il trasporto di passeggeri se ne aggiungono altre che dovrebbero connotare
un impiego universale della linea, senza peraltro riuscire a caratterizzare
in senso univoco il significato complessivo dell'operazione. Allo stato
attuale della progettazione, le tratte effettivamente percorribili alla
velocità massima di 300 km/h sono in tutto tre, e assommano complessivamente
a meno della metà dello sviluppo lineare del sistema; di queste,
poi, una è compresa fra Torino e Milano, e sarebbe dunque soggetta
ai citati vincoli di esercizio, essendo percorsa da treni merci e passeggeri
in egual misura.
Resta, forse quale sedimento di passate aspirazioni, quella "intrinseca
specializzazione" delle nuove linee che da diverse parti denunciata
quale elemento di ambiguità dell'intero sistema, specializzazione
negata dai proponenti (ed in alcuni casi oggettivamente evitata, ad esempio
ricorrendo ad un tracciamento dei binari basato su ipotesi estreme di percorrenza,
ovvero per velocità comprese fra 80 e 300 km/h), è però
presente in alcune scelte (assai discusse) che, alla luce delle limitazioni
via via introdotte, tendono progressivamente a perdere di significato.
Ci si riferisce, innanzitutto, alla rarefazione delle interconnessioni
previste, assai meno frequenti di quelle a loro tempo realizzate sul tratto
centrale del sistema (la direttissima Roma Firenze) e di quelle che caratterizzano,
ad esempio, le linee veloci "universali" realizzate in Germania
[nota 5]. Ci si riferisce al by pass di
centri urbani anche importanti (tutti i capoluoghi di provincia presenti
lungo la via Emilia, ma anche, ad esempio, l'area di Latina, che resta
esclusa dal terzo itinerario progettato fra Roma e Napoli). Ci si riferisce
ad alcune deroghe alle norme internazionali in materia di andamento planoaltimetrico
delle linee, con l'adozione di pendenze massime del 18 per mille (Bologna-Firenze)
e del 21 per mille (Roma-Napoli) assai più vicine agli standard
delle linee specializzate "francesi" che non a quelli delle linee
universali "tedesche", a suo tempo già rilevate, ad esempio,
da Guglielmo Zambrini:
«Si ribadisce dunque la scelta francese della specializzazione,
escludendo quella tedesca (e smentendo quella della direttissima Roma-Firenze)
della universalità. Sono scelte già emerse nei passati studi
Sfiav. E temi già trattati. Ma nel frattempo la legge 137/89 ha
ratificato l'accordo di Ginevra sulle grandi reti internazionali ferroviarie
europee. Linee nuove: B1 (solo pax) pendenza massima 35 per mille; B2 (anche
merci) 12,5 per mille.
Le specifiche tecniche dei progetti Sfiav, col loro 18 per mille
sui tronchi Roma-Napoli e Bologna-Firenze, sono "fuori legge"
o comunque non consentono più alcuna prospettiva di traffico merci,
neppure con gli accorgimenti verbali della specializzazione "intrinseca"
e della selezione delle ore notturne».[nota
6]
Ci si riferisce, inoltre, alla scelta del sistema di alimentazione
(anche questo "francese" a 25 kV c.a., che rende inagibili le
nuove linee a tutti i locomotori e gli elettrotreni attualmente in forza
al parco rotabile FS, con ciò implicitamente imponendo l'adozione
di costosi sistemi politensione su tutti i nuovi mezzi di trazione. Sul
problema dell'alimentazione si veda la scheda n° 6.
Resta, infine, la sistematica sottovalutazione del rapporto fra il
nuovo progetto ed i nodi ferroviari ed urbani da esso interessati. Le linee
AV iniziano e finiscono alle porte delle città, laddove i problemi
di congestione e saturazione sono più evidenti, ma anche laddove
più critici diventano i problemi dell'impatto urbanistico ed ambientale
derivante dall'inserimento in tessuti urbani di infrastrutture ferroviarie
veloci. Eppure, si continua a considerare il progetto Torino-Milano-Napoli
quale progetto compiuto ed integrato, e si dichiarano alcune tratte pronte
per l'apertura dei cantieri, salvo dimenticarsi di dire che i tratti terminali
"muoiono" nelle periferie urbane, in attesa di definizione dei
progetti di penetrazioni urbana [nota 7].
Un'ultima notazione riguarda la solidità dei modelli internazionali
così spesso evocati a proposito di AV. Giuste le notizie apparse
di recente sulla stampa italiana, la scelta di linee veloci "intrinsecamente"
specializzate appare essere messa in discussione anche in Francia, dove
come si è detto tale opzione era stata più coerentemente
perseguita. Sarebbe quanto meno opportuna una riflessione sul fatto che
ora, in quel paese, si intenda mutare rotta, andando verso una più
diffusa ristrutturazione delle linee esistenti, sulle quali inserire treni
ad assetto variabile del tipo di quelli prodotti ed esportati dalla nostra
industria nazionale, avendo compreso che:
«il costo previsto delle linee ad alta velocità in progetto
è infatti nettamente superiore alle previsioni iniziali; la loro
redditività, in compenso, è quasi sempre inferiore (circa
la metà di quanto sperato inizialmente, per il collegamento Lione-Torino):
nessun programma, quindi, è in grado di finanziarsi senza un cospicuo
intervento dello stato». [nota 8]