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Il Maestro Licinio Refice
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Licinio Refice nella sua casa di Patrica
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Licinio Refice
di Emanuele Marino Lapide posta nella
casa del Maestro
Di antiche origini, Patrica è un’amena cittadina della Ciociaria posta in posizione dominante sulla valle del Sacco. Le sue abitazioni si reggono l’una all’altra fitte e stipate e i vicoli che la percorrono, spesso sormontati da archi e portichetti, sono sequenza quasi ininterrotta di gradinate. Una delle vie principali di questa rara oasi di pace è stata dedicata a Mons. LICINIO REFICE, musicista di fama internazionale, che qui ebbe i suoi natali il 12 febbraio 1883 e che ora riposa
nel piccolo Cimitero, la cui passeggiata aveva tante volte percorso nei momenti di sosta dal suo alacre lavoro, quando, tra una composizione e l’altra, veniva a ritemprare le forze e a recuperare nuove energie creative tra i luoghi della sua infanzia a lui tanto cari. Non è facile descrivere la personalità di un uomo che tanto ha fatto parlare di sé e che ancora, a 46 anni dalla sua morte, ha lasciato a coloro che lo hanno incontrato seppure brevemente, un incancellabile ricordo unito alla certezza di essersi trovati di fronte ad un individuo senza dubbio fuori del
comune. Così lo descrive il Maestro Dott. D. Teodoro Onofri, che fu suo allievo: «... Sebbene non fosse nato all’ombra del cupolone romano, aveva un po’ di temperamento (ma forse era solo uno stile che lo divertiva) del “romanaccio”: impulsivo ed esplosivo, scanzonato e rumoroso, rude e scabro. Quando fece la vestizione di Terziario Francescano volle il nome di Frate Leone. E gli piaceva ruggire. Ma si trattava solo di superficie e di scorza: in realtà aveva un animo caldo di bontà e, talora, persino atteggiamenti e gesti di ingenuità bambinesca. Dardi,
schegge, e frustate; e, magari, poco dopo, espansioni accorate, esaltazioni vibranti di generosità insospettate. Di queste incandescenti antinomie era contestata la fisionomia spirituale di Licinio Refice... » Questo ritratto profondamente umano ci fa comprendere la sua natura bizzarra, geniale e appassionata: quella natura che è palesemente espressa in ogni sua composizione. Compiuti gli studi ecclesiastici nel Collegio Leoniano di Anagni, Licinio Refice frequentò in Roma il Conservatorio di musica di S. Cecilia, e, terminati i primi studi musicali con Ernesto Boezi,
si diplomò in composizione alla scuola di Stanislao Falchi ed in organo con Remigio Renzi. Per 36 anni fu Maestro Direttore della Cappella Liberiana di S. Maria Maggiore, alla quale dedicò la parte migliore della sua attività di compositore e direttore. Insegnò nel Pontificio Istituto di Musica Sacra dal 1911 al 1950, ordinario di
Armonia, di Strumentazione e Critica Musicale; e, dopo la morte del M° Casimiri, di Composizione e Direzione, meritando da Pio XII uno speciale compiacimento per la «lunga attività di Insegnante e Artista, messa al servizio della
Fede e della Chiesa ». Insieme al Padre De Santi, a Schuster, Perosi, Boezi, Casimiri Dobici e Dagnino contribuì a risollevare le sorti della Musica Sacra, caduta molto in basso data l’invadenza dei motivi profani, che, con molta disinvoltura, venivano eseguiti durante i riti Sacri. I suoi lavori sono stati interpretati da Claudia Muzio, Renato Pasero, Augusta Oltrabella, Beniamino Gigli, Renata Tebaldi, Renata Scotto e rappresentati nei più noti teatri d'Italia e del mondo come il Teatro alla Scala di Milano, Teatro dell'Opera di Roma, San Carlo di Napoli, Massimo di Palermo, Colon di Buenos Aires, Comunale di Rio de Janeiro e Comunale di San Paolo del
Brasile.
Scrisse numerose opere di musica sacra:
Mottetti, Cantici, Te Deum, Inni, Salmi e varie Messe, stampate dalle più accreditate Case Editrici Nazionali ed Estere.
Si ricordano di lui particolarmente i poemi sinfonico - vocali :
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LA CANANEA - Oratorio che l’Autore presentò nel 1919 come saggio al Conservatorio di S. Cecilia ottenendo il primo premio scolastico;
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LA VEDOVA DI NAIM - Poemetto scritto nel 1912 e rimasto inedito;
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MARIA MAGDALENA - scritto nel 1914 su testo di D. Paolo M. Ferretti, presentato dall’Accademia Naz. Di S. Cecilia nel 1919;
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DANTIS POETAE TRANSITUS - su testo di Giulio Salvatori, eseguito per la prima volta a Ravenna nel 1926 per le Celebrazioni del VII Centenario della morte dell’Alighieri;
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IL TRITTICO FRANCESCANO - su testo di Emidio Mucci, eseguito in Assisi nel 1926 per la Celebrazione del VII Centenario Francescano;
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LA SAMARITANA - su testo di Emidio Mucci, eseguito per la prima volta nel 1934 in Aquisgrana, per l’inaugurazione del 2. festival della Società Internazionel della Musica Sacra e poi all’Augusteo;
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EMMAUS - rimasto inedito;
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LILIUM CRUCIS - su testo di Emidio Mucci;
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L’ORACOLO - scritto nel suo paese natale durante l’ultimo conflitto mondiale.
Sono anche universalmente noti i suoi lavori teatrali:
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CECILIA
- azione sacra in tre episodi preceduti da un annuncio, su testo di Emidio Mucci, fu portato a termine nel 1923, ma più lontana fu la sua prima realizzazione scenica, che avvenne al Teatro dell’Opera di Roma il 15 febbraio 1934 (protagonista Claudia Muzio);
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MARGHERITA DA CORTONA
- leggenda in un prologo e tre atti, su testo di Emidio Mucci, andò in scena per la prima volta alla Scala di Milano il 1° gennaio 1938 (protagonista Augusta Oltrabella).
Alla sua attività di compositore, egli unì quella di direttore. Sotto questa veste si fece conoscere oltre che nei concerti dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia (da cui ebbe nel 1936 il prestigioso titolo di Accademico effettivo), nei centri più importanti d’Italia e dell’estero. Compì anche giri di concerti con un complesso vocale da lui stesso formato, allo scopo di far conoscere i capolavori dei nostri Maestri del passato e le
migliori composizioni dei contemporanei. Si spense improvvisamente a Rio de Janeiro mentre assisteva alle prove della sua Cecilia. La salma imbalsamata, dopo essere stata esposta nell’Oratorio di Nostro Signore della Gloria, in Brasile, venne trasportata in Italia. Il 28 settembre 1954, a Roma, alla presenza di un folto e commosso pubblico, furono celebrate solenni esequie nella Basilica di S. Cecilia in Trastevere, indi il suo corpo poteva raggiungere la sua estrema dimora nella sua città natale. Per interessamento del Rag. Aldo Bartocci, Segretario del Ponticio
Istituto di Musica Sacra, il Comune di Roma ha intitolato a Licinio Refice una via nella zona di Castel Fusano, ove numerose strade portano il nome di illustri musicisti. Anche a Frosinone il Conservatorio Musicale e un tratto della via Marittima sono stati dedicati al grande Compositore ciociaro.
BIBLIOGRAFIA
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Annuario 1954-55 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
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Licinio Refice - A cura di Emidio Mucci.
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Le composizioni di Licinio Refice - A cura di Emidio Mucci e Teodoro Onofri.
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Bollettino degli amici del Pontificio Istituto di Musica Sacra - 50. di fondazione - 1911-61 n° 1-4 (Dicembre 1961).
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Arte in Ciociaria - di Luigi Alonzi.
LICINIO REFICE
NELLE ENCICLOPEDIE
di Michele Colagiovanni
Il musicista patricano è presente in quasi tutte le enciclopedie generali e, naturalmente, in tutte quelle specificamente dedicate alla musica. Egli è presente perfino nel dizionario Melzi e, insolitamente, con dovizia di informazioni. Quasi tutte le recensioni riportano l’errore della data di nascita, 1885 anziché 1883. Data la difficile reperibilità di alcune di tali enciclopedie, riportiamo di seguito le recensioni di alcune, a beneficio dei visitatori e... studiosi! « Il mondo della musica
», enciclopedia edita da Garzanti, al volume lI, colonne 2067-2068 così si esprime:
REFICE, LICINIO (Patrica, Frosinone 1885 - Rio de Janeiro 1954). Compositore. Compì gli studi ecclesiastici nel Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, e in seguito, attratto da viva passione per la musica, dopo studi preparatori col maestro Boezi, entrò al Liceo di Santa Cecilia, studiandovi l’organo col Renzi e la composizione con Stanislao Falchi. Si diplomò nel 1910, conseguendo il primo premio con l’oratorio Cananea. Nello stesso anno passò a insegnare armonia, composizione religiosa e lettura musicale critica alla Pontificia Scuola di musica sacra. L’anno dopo fu chiamato a dirigere la Cappella Liberiana di Santa Maria Maggiore, al cui ufficio attese fino alla morte. Le sue composizioni seguirono dapprima una linea rigorosamente tradizionale, mantenendosi fedeli all’oratorio da poco rinnovato da Lorenzo Perosi;
poi un ricco, robusto e libero temperamento musicale, tendenze artistiche appassionate lo avviarono dalla sacra rappresentazione dell’opera, pur religiosa e contenuta in una atmosfera di mistico ardore; tendenze che già rivelavano le sue prime composizioni lirico sinfoniche, alcune delle quali notevoli, come La vedova di Naim (1912) e Maria Maddalena, poema in un prologo
e tre parti (1917). Nel 1919 scrisse uno dei suoi migliori oratori, Il martirio di S. Agnese, un prologo e due parti (testo latino dell’abate P. Ferretti), eseguito all’Augusteo con la direzione di B. Molinari. Seguono Visione mistica sulla morte di Dante, in quattro parti (versi di G. Salvadori), per il sesto centenario della morte del poeta, eseguita in S. Apollinare di Ravenna nel settembre 1921, Trittico francescano (testo di Emidio Mucci), per il centenario del santo, in tre parti (Le nozze con la povertà, Le stimmate, Morte e glorificazione), l’oratorio La Samaritana, e l’opera Cecilia che, rappresentata nel 1934 al Teatro Reale dell’Opera, ebbe a mirabile interprete, nel ruolo della protagonista, il soprano Claudia Muzio. Pur non priva di qualche spunto di
scuola verista, questa opera fonde, in nobile armonia, purissime melodie gregoriane, usate con discrezione, e temi di libera ispirazione. Alla santa romana diede in seguito una ideale sorella in Margherita da Cortona (testo di E. Mucci), prologo e tre atti, rappresentata alla Scala nel 1938. Se pur siano meno presenti in quest’opera i lirici rapimenti e le religiose meditazioni di Cecilia, la passionalità inebriata e tormentata della santa ha influito più drammaticamente sullo spirito del musicista, col risultato di una teatralità più vivace ed esteriore, evidente e sviluppata nei cori e nelle scene finali.
Stringata e generica la recensione nel « Grande dizionario enciclopedico » della UTET, volume XV, pagina 695. Appena un po’ più ricca di informazioni è, della stessa editrice, la recensione inserita nel dizionario "La musica", volume 11, pagina 785. Manca però qualsiasi valutazione.
Nella "Grande enciclopedia della musica classica", edita da Curcio, volume III, pagina 1127, si legge:
REFICE, LICINIO. Compositore italiano (Patrica, Frosinone, 1885 - Rio de Janeiro, 1954). Studiò privatamente a Roma con E. Boezi, poi all’Accademia di S. Cecilia con S. Falchi (composizione) e al Conservatorio con R. Renzi (organo), diplomandosi nel 1910. Dopo aver frequentato il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, fu ordinato sacerdote (1910). Insegnò in seguito al Pontificio Istituto di Musica Sacra (musica sacra, armonia, strumentazione, lettura della partitura e canto gregoriano) dal 1912 al ‘48; fu pure maestro di cappella alla Basilica romana di
Santa Maria Maggiore (1911-47). Diresse vari concerti, a capo di una corale di musica sacra, in Italia e all’estero. Fece parte, con L. Perosi, del movimento che intendeva restaurare la musica sacra italiana. Dotato di facile inventiva e di una vena lirica ancor più spiccata che in Perosi, si dedicò anche all’opera lirica, aderendo alla corrente musicale che intrecciava i moduli del dramma wagneriano con l’imperante stile verista, alla luce popolare di uno melodismo tipicamente italiano. Nel 1934 presentò al Teatro dell’Opera di Roma Santa Cecilia (nell’interpretazione prestigiosa di Claudia Muzio) e nel 1938 riscosse un vivo successo alla Scala con Margherita da Cortona. Compose inoltre gli oratori Cananea
e La Samaritana, alcuni poemi sinfonico-vocali e numerosa musica sacra. Morì a Rio, mentre dirigeva l’opera Santa Cecilia.
Una curiosità: il nome di Refice compare perfino in « Brevi cenni di Storia della Musica », di Achille Schinelli, « nuova edizione rifatta ed aggiornata fino al 1954 », edizioni Signorelli. In questo agile volumetto, in sole novantanove pagine, si fa la storia della musica mondiale e di ogni tempo! Il nome di Refice compare a pagina 72, tra i contemporanei che “hanno ottenuto notevoli successi nella produzione operistica”.
Riccardo Moretti
Medico per tradizione di famiglia e fisico per vocazione.
Seguì con molto interesse gli studi di Marconi e l'invenzione del suo "telegrafo senza fili" del 1895 le cui trasmissioni consistevano nella irradiazione di impulsi, quelli del codice Morse.
Dopo intensi studi, Moretti, il 17 marzo del 1905, depositò il brevetto del "radiotelefono magnetico", un apparecchio che metteva in comunicazione due corrispondenti tra loro,senza fili. Oggi potremmo definirlo l'antenato del telefono cellulare o della ricetrasmittente. Con il "radiotelefono magnetico" fu trasmessa per la prima volta la parola tra Roma e Tripoli.
Libero De Libero
Narratore, critico d'arte e poeta, uno dei maggiori del Novecento.
Nasce a Fondi, ma si trasferisce a Patrica, dove il padre era stato nominato segretario comunale, in tenera età e vive nel paese gli anni della giovinezza. Con Luigi Diemoz fonda a Roma il quindicinale "L'Interplanetario che ospita i primi racconti di Alberto Moravia e i primi poemetti di Leonardo Sinigalli.
Ha come collaboratori Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli e Arnaldo Beccaria. Amico di Giuseppe Ungaretti, che gli pubblica la prima raccolta di versi, ma anche di Palazzeschi, Penna, Brancati e Carlo Levi.
Diventa direttore della Galleria della Cometa che espone opere di Carrà, C. De Chirico, Cagli, Mafai e Gattuso.
Ritorna assiduamente a Patrica. che lui considera come la vera patria, tanto che nel cimitero volle la tomba, per trascorrervi lunghi periodi fino alla morte avvenuta nel 1981 a Roma.
Tra le sue opere sono da ricordare:
Solstizio, Eclisse, Banchetto, Ascolta la Ciociaria, Romanzo (Premio ibico1965), Madrigali, Di brace in brace (Premio Viareggio 1971), Scempio e lusinga (Premio Fiuggi 1974), Circostanze.
Tra quelle in prosa:
Malumore, Amore e morte, Camera oscura, Il guanto nero e Racconti alla finestra.
Erminio Giuseppe Bufalini
Generale dell'esercito, nacque a Patrica nel 1899 e morì a Roma nel 1968.
E' il capostipite dei poeti dialettali patricani.
Costretto a vivere lontano dal paese natio e risospinto lì "dalle spire tragiche della guerra", si dilettò a scrivere poesie, poemetti, riflessioni, spassose descrizioni di tipi e personaggi paesani, epigrammi in cui traspare tutto il suo affetto per la gente patricana, per i luoghi, le viuzze altalenanti delle scalette...
La maggior parte delle poesie di Bufalini sono raccolte nei volumetti "Poesie patricane" edito nel 1983 e "Ricordi di Patrica" del 1954.
Così scriveva Libero De Libero di E. Bufalini e della sua poesia in occasione della pubblicazione del volumetto del 1954:
Patrica messa in versi
Fra tutte le variazioni fonetiche che il dialetto ciociaro subisce da luogo a luogo, con una distinzione perfino topografica, la parlata di Patrica è quella che fa più spicco per la cadenza brusca e l’accento perentorio.
Priva com’essa è di certi vezzi che accivettano la cantilena nei paesi limitrofi, può sembrare anche più rozza e più dura delle altre; ma sotto la sua scorza petrosa vibra segretissimo un pudore che la comprime tutta e l’abbrevia in un ritmo scontroso, e pungente tanto da scoprire subito la sua vena ironica, in cui non è difficile risentire residui di classica comicità; la stessa che anima molte delle usanze popolane, dagli zanni carnevaleschi alle litigate non solo tra donne, dalle dicerie mordaci a certi
nomignoli davvero biografici.
Per spiegarsi meglio bisognerebbe citare almeno una delle stornellate a dispetto di questo o di quel tizio, che un tempo circolavano addirittura stampate in foglietti: lo sfogo satirico era più crepitante d’una fiamma di "strugli" e lasciava segni dl scottatura sulle carni del castigato. Sarebbe grande la voglia di ripetere a memoria qualche “fiuritto d’uva” che fa rima con ”bua”, ma il rischio è di finire con gli occhi abbottati.
Negli antichi tempi, anche col dialetto patricano si fecero stroppolette e canzoncine, tramandate a voce sino a ieri, e chissà se te cantano ancora le giornatare: forse Mammattina, la madre di Urbano Simoni, è stata l’ultima a saperle tutte e se l’è portate gelosamente con se. Ma versi nella parlata di "Sammucito" o delle "Ravi" chi li ha mai scritti per dire amore a una donna o per celebrare feste e festini?
Non è stata perciò poca la mia sorpresa di ritrovare fresco e saporito il dialetto di Patrica leggendo il poemetto “A festa du San Rocco” e le altre poesie di Erminio Bufalini, umanista anche lui come Io zio abate don Pietro. Un generale nientemeno, e non sembra che gli studi e la pratica di strategia l’abbiano incallito nella carriera del soldato: la nascita paesana, per la quale ha serbato un amore grande quanto la tradizione ciociara, oggi gli rende un frutto di poesia così gentile in onore di Patrica, che
lui si porta in petto non diversa da una bandiera conquistata con le memorie e gli affetti. Anche se zampillante dalla perenne nostalgia, in cui non ho fatto che frugare Patrica da cima a fondo in tanti anni d’assenza, la sorpresa non è tutta di cuore, ma è soltanto una vicenda dl commozione.
Questo poemetto riconduce subitamente a una giornata di festività, la più
clamorosa dell’anno, quando le donne (“c’iusceva a fiara ‘nfaccia”) sfoggiavano la loro bellezza come una toletta in mezzo agli spari di mortaretto e all’allegria della banda e delle campane a stormo:
Steva a Santo Duminico ‘mpustato,
all’ alba, Arcagnolo i agli primo scrocco
già i primo murtaletto era vulato
sino a Cauciano a di’ ch’ era San Rocco.
Salutevono allora i matutino
Carluccio Foggia i Mimmo Tammurino
E i versi traboccano da un vocabolario colorito e succulento che rifà vive e tumultuose le persone trascorse nella loro storia come protagonisti d’una festa ormai ferma nel tempo della favola.
Par di risentire a una a una le voci dei paesani risorgenti dal remoto a passo di saltarello e sono essi, tutti quanti, che mi trascinano per i capelli dalla "Madonna Longa" alle "Casi Novo", dal "Caùto" al "Sutimo": me stesso ombra tra le infinite ombre che al tempo della mia infanzia erano ancora presenze sgargianti per quelle strade,
presso la soglia d’una casa, a una finestra spumante di garofani, in corsa per i mille scalini, e in quel giorno di San Rocco che è sempre la festa nazionale di chi vive lontano da Patrica e ogni notte ascolta lo scorrere lento e dolce dell’acqua nella fontana della Piazza, mentre improvvisa si riaccende per lui la voce di Mariarosa la fornara che grida sotto la finestra:
“Cristì, ammassa !… Carlì, appana !”
Ma chi può dir meglio di Erminio Bufalini l’ amore per Pratica meia?
Prussepio du casetto tutti buci,
cupi du lapi,
t’entra ‘na luci
du paradiso appena arrapi:
vu tengo ‘mpetto
a cumm’ a lu castegno dentro i cardo...
E sono versi d’amore che vorrei aver scritto io nel dialetto in cui ho detto le prime parole: è certamente in patricano che dirò le ultime.
Roma, Capodanno 1954
Libero de Libero
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