Richard Feynman Blues

dedicato a crotali e a cobra...

 

 

 

Il blues di Richard Feynman è la ballata della scienza che i docenti di fisica non possono comprendere ma che devono insegnare.

 

La comunità scientifica insegna molte assurdità del calcolo, per esempio che ciò che percepiamo come luce è attuato da un processo di movimento, esprimibile perciò con una formula matematica. Altro esempio: se nel mondo percepibile appare un colore, lo riconduce a un movimento ondulatorio e ne calcola il numero di vibrazioni in un dato periodo di tempo. Supponendo che tutto sia materiale, crede che tutto possa essere spiegato col calcolo, semplicemente riconducendo tutto il percepibile a rapporti, esprimibili in formule matematiche. Secondo questi scienziati, si arriva alla massima conoscenza possibile dei fenomeni naturali se si è in grado di spiegare in tal modo le cose.

 

Ridurre il mondo materiale a un'operazione aritmetica è infatti l'ideale della scienza odierna, e poiché senza energia le parti della supposta materia non possono esser messe in moto, i sedicenti uomini di scienza pongono l'energia tra gli elementi con cui spiegare il mondo.

Vi è però un problema: con l'introduzione del concetto di energia nel concetto di movimento la matematica trapassa nella meccanica e tutto è visto come un meccanismo assurdo. Per esempio il tempo è visto nello spazio percorso dalle lancette dell'orologio e lo spazio nel tempo calcolato per percorrerlo. Spazio percorso e tempo calcolato per percorrerlo riguardano però sempre il mosso, non il moto. Questo però non conta per questa scienza che conta tutto.

 

E da secoli oramai si ragiona sotto l'influsso di questa scienza orbata di logica. Avviene perciò da secoli che nello scienziato sparisca ogni coraggio di pensare in modo autonomo, assieme al giudizio critico stesso, entrambi completamente rimossi e sostituiti dall'appagante scienza della materia, produttrice di così tanto servizio tecnico e tecnologico per la trasformazione delle molte condizioni pratiche della vita.

Non per tutti però tutto ciò è soddisfacente e bisogna pur dire che esistono anche studenti e studiosi che da una spiegazione del mondo corporeo quale quella prospettata dalla tecnologia o dalla scienza della materia non si sentono appagati, soprattutto se il mondo così spiegato risulta assurdo.

 

Costoro però, quando fanno a se stessi o ad altri troppe domande e cercano nuove strade per nuove risposte meno assurde (come dovrebbe essere logico in un sano essere umano), diventano generalmente malvisti, così che spesso sono costretti a cedere al "mistero dell'assurdo". Ma è il cedimento di Fantozzi, che trova perfino più comodo esaltare ciò che non comprende, quasi fosse la massima conquista del suo tempo. Chiamare le cose con nomi di altre cose non è però una grande conquista ma solo una grande confusione, in base alla quale la libertà diventa schiavitù, l'ignoranza diventa scienza, e tutto diventa il suo contrario.

Avviene perciò che molto spesso studenti e docenti, NON capendo assolutamente ciò che studiano e spiegano, sono costretti a mandare a memoria come orazioni queste perle di scienza per una ragione molto semplice: non c'è alcunché da capire in una scienza che è diventata scienziaggine, cioè qualcosa da comprendere ma non da intuire, come fu spiegato da Einstein a proposito della Fisica: "la Fisica è comprensibile e non intuitiva" (Albert Einstein, "Physikalische Zeitschrift", Vol. 21: "Allgemeine Diskussion ueber Relativitaetstheorie bei Versammlung deutscher Naturforscher und Aerzte", Bad Nauheim, September 1920).

Ecco cosa diceva l'illustre fisico Richard P. Feynman, premio Nobel 1965: "Ciò di cui adesso vi parlerò è ciò che noi insegniamo ai nostri studenti di fisica [...] ma credete che ve ne parlerò in modo che voi possiate capire? No, non sarete in grado di capire [...] Dato che non capirete, è mio compito persuadervi a NON andare via. Perché vedete, i miei studenti di fisica non capiscono neppure loro. E questo accade perché NEPPURE IO CAPISCO. NESSUNO CAPISCE. [...] LA TEORIA DELL'ELETTRODINAMICA QUANTISTICA DESCRIVE LA NATURA COME ASSURDA DAL PUNTO DI VISTA DEL SENSO COMUNE. Ma va pienamente d'accordo con gli esperimenti. Così, spero che possiate accettare la natura così come essa è: ASSURDA" ("QED - The strange theory of light and matter", Princeton University Press, 1985, pp. 9-10).

Questo tipo di argomentazione - che Feynman ribadiva all'inizio delle sue celebrate lezioni di Meccanica Quantistica ("The Feynman Lectures on Physics", Addison-Wesley Publ. Co., 1965), insistendo sull'assoluta impossibilità di comprendere razionalmente certi fenomeni, mostra che da più di un secolo si impone, dall'alto del MINISTERO della cultura di Stato, il MISTERO da credere, una sorta di filosofismo ciarliero consistente nello spegnimento della ragione in nome della possibilità di lavorare. Se vuoi lavorare non devi pensare, devi laurearti a memoria. In tal modo si rinuncia a ogni tentativo di reale SPIEGAZIONE SCIENTIFICA.

Cui prodest? A chi giova tutto ciò? Il favore va tutto a una fisica meramente FORMALE - nella migliore tradizione delle più attuali e vincenti concezioni sui fondamenti della matematica - per valutare le cui teorie sono sufficienti da un canto l'impeccabilità della struttura "logica", dall'altro la corrispondenza delle previsioni numeriche con le osservazioni sperimentali.

La scienza di oggi, di fatto, non è più scienza ma superstizione, credenza, fede. Ed anche se ha trasformato molte condizioni pratiche della vita, le sue idee di base tramite cui l'osservazione naturale cerca di comprendere il mondo dell'esperienza, sono malsane e insufficienti di fronte a un sano pensare.

Oggi la scienza predica di non pensare per poter lavorare, quindi se si osserva questo scopo che si prefigge, si scopre necessariamente che essa non è sana.

Coloro il cui bisogno di causalità è pago quando riesce a ricondurre i processi naturali a una meccanica degli atomi, non hanno l'organo per comprendere questa infermità.

La grandezza, la figura, la posizione, il movimento, la forza, e così via, sono percezioni esattamente come sono percezioni la luce, i colori, i suoni, gli odori, i sapori, le sensazioni di caldo, di freddo, ecc. Se di un oggetto io separo una sua qualità dalle altre per considerarla da sola, non ho più a che fare con quell'oggetto, ma solo con una mia astrazione mentale. Attribuire a questa astrazione lo stesso grado di realtà di quell'oggetto, sarebbe il più grande controsenso pensabile.

Rispetto alle altre possibili percezioni, i rapporti di spazio e di numero non hanno altro vantaggio che quello di essere più semplici e più facilmente individuabili. Proprio su queste due qualità poggia la sicurezza della matematica.

Quando la scienza riconduce tutti i processi del mondo corporeo a elementi esprimibili matematicamente e meccanicamente, ciò è dovuto al fatto che, per il nostro pensiero, matematica e meccanica sono facili e comode da adoperare. E il pensiero umano ama la comodità.

Lo si può constatare già dal fatto che lo scienziato odierno pone l'energia al posto della materia.

Per spiegare che tutto, perfino una bastonata in testa, è relativo, lo scienziato odierno deve ragionare più o meno così: "Se mi chiedo quale sia la condizione per cui uno dei miei strumenti sensori agisce devo dire che questo mio strumento reagisce alle differenze di energia che ha, rispetto all'ambiente. Se dappertutto ci fosse la stessa temperatura del mio corpo, non potrei in alcun modo sperimentare calore. Così è per il bastone: se ricevo un colpo di bastone in testa, non sento il bastone ma la sua energia, dato che il bastone è la cosa più inoffensiva del mondo. Dunque ciò che sento dal colpo non è altro che una differenza dello stato di energia contro il mio strumento percettivo, ed è indifferente che il bastone si muova contro di me o io contro il bastone. Se entrambi avessimo velocità uguale o ugualmente direzionata, in base al mio sentire, il bastone non esisterebbe più, perché non può venire in contatto con me e produrre uno scambio di energia".

Insomma la scienza di oggi isola l'energia dal campo del percepibile, cioè la astrae da tutto ciò che energia non è. In tal modo riconduce tutto il percepibile ad un concetto astratto, cioè ad un'unica sua qualità individuabile nella manifestazione energetica, da calcolare come quantità.

Dunque per la scienza teorica odierna il fatto di impigliarsi nell'abitudine mentale dell'astrazione è del tutto normale.

Se si chiede ad uno scienziato odierno qualcosa circa questa abitudine non si ottiene alcuna giustificazione se non che questo procedimento è un fatto psicologico sperimentale che appaga il suo bisogno di causalità nella misura in cui i processi di natura si risolvono in manifestazioni energetiche calcolabili. In sostanza, risolvere i processi naturali in una meccanica di atomi o dissolverli in manifestazioni di energia, è uguale.

 

Entrambe le soluzioni scaturiscono dalla tendenza del pensiero umano alla comodità.

Ora, tutti questi ragionamenti e queste giustificazioni non sono schizofrenie di un pazzo ma reali testimonianze di scienziati cent'anni prima di quelle di Feynman sul fatto che non c'è niente da capire. Il ragionamento della bastonata in testa fu fatto dal famoso chimico Friedrich Wilhelm Ostwald (1853-1932) (F. W. Ostwald, "Il superamento del materialismo scientifico", Lipsia 1895, conferenza tenuta nella 3ª seduta dell'Assemblea di scienziati e medici tedeschi a Lubecca il 20/09/1895). E così come Ostwald dissolveva in manifestazioni energetiche i processi della natura, allo stesso modo Emil Du Bois-Reymond (1818-1896) li risolveva nella meccanica atomica (Du Bois Reymond, "Sui limiti della conoscenza naturale", 5ª edizione, Lipsia 1882).

In realtà, tutta questa è scienziaggine.

 

Come non si possono "dissolvere" i processi del mondo corporeo in una meccanica di atomi, allo stesso modo tali processi non si possono dissolvere, né risolvere in rapporti di energia, perché procedere così, significa solo distogliere l'attenzione dal contenuto del mondo reale dei sensi per rivolgerla ad astrazioni irreali, il cui striminzito contesto qualitativo è oltretutto anch'esso astratto dal medesimo mondo sensibile.

 

Esiste poi una forzosa distinzione attuata dalla scienza fra le qualità delle cose che riesce a quantizzare e delle cose che non riesce ancora a quantizzare. Per cui cerca, come un prestigiatore, di far sparire le une nelle altre. Ma non è e non sarà mai lecito spiegare uno dei gruppi di qualità del mondo dei sensi: luce, colori, suoni, odori, sapori, condizioni di calore, ecc., "dissolvendolo" nell'altro gruppo di qualità del medesimo mondo sensibile: grandezza, forma, posizione, numero, energia, ecc. Il compito della scienza non può essere questo "dissolvimento" di un genere di qualità nell'altro. Eppure oggi il compito della scienza non è altro che questo. Dovrebbe essere invece quello di ricercare relazioni e rapporti tra le varie qualità percepibili del mondo sensibile.

 

Si fecero perciò errori grossolani per generare la scienziaggine odierna.

Kirchhoff (Gustav Robert Georg Kirchhoff, 1824-1887), per esempio, fece l'errore di affermare che il compito della matematica era "di descrivere completamente e nel modo più semplice i movimenti che avvengono nella natura" (G. R. G. Kirchhoff, "Vorlesungen über mathematische Physik, vol. 1°, Lipsia 1876; vedi anche Ludwig Boltzmann, "Gustav Robert Kirchhoff", Lipsia 1888). Si sbagliava di grosso. In Meccanica, per esempio, la matematica non si limita a descrivere nel modo più semplice e completo i movimenti che avvengono in natura, ma ricerca dati processi necessari al moto, rilevandoli dalla somma dei movimenti che avvengono in natura, perché solo così può poi enunciarli come leggi meccaniche fondamentali. Eppure il secolare ripetere sentenze di Kirchhoff come questa continua ancora oggi come una dottrina di fede.


Il "dissolversi" dei processi sensibilmente percettibili in movimenti meccanici impercettibili è talmente diventato un'abitudine per i fisici teorici, che non si accorgono nemmeno di continuare a porre astrazioni al posto di realtà.

 

Quindi occorre un blues, il blues del mistero di ciò che non si comprende ma che si deve insegnare...
 

Come si può amare la chiarezza e connettere un'impressione sensoria al concetto di materia senza andare oltre il mondo dell'esperienza? Esistono corpi di determinata grandezza e posizione ed esistono movimenti e forze. Poi esistono fenomeni di luce, colori, calore, elettricità, vita, ecc. Se siamo realmente empirici (dal termine greco "empeiria", esperienza, composto di "en", in, e di "peira", prova) dobbiamo rilevare che non c'è mai stata una prova che la grandezza, il colore, il calore, ecc., siano connessi a una materia. La materia di cui parla la FISICA DELLA MATERIA chi l'ha mai provata? Chi l'ha mai vista? Se siamo onesti con noi stessi dobbiamo dire che in nessun luogo possiamo trovare materia nel mondo dell'esperienza. Di fronte a un tavolo diciamo infatti che quello è un tavolo, proprio perché lo spirito del linguaggio non consente di mentire. Non diciamo che quello è materia di quel tavolo. Chi vuole pensare la materia di qualcosa deve sempre aggiungerla all'esperienza col pensiero. Ripeto: un tale aggiungere materia ai fenomeni del mondo empirico può essere fatto solo col pensiero. Eppure da secoli, sotto l'influsso di Kant e dei kantiani (quasi tutti gli scienziati sono kantiani) questa inosservata aggiunta si riscontra nelle considerazioni fisiche e fisiologiche, divenute familiari alla scienza naturale, oggi divenuta perciò scienza meramente teorica ma del tutto priva di empiria.

 

Le considerazioni scientifiche condussero perciò alla credenza dogmatica che i processi esteriori, che per esempio fanno sorgere il suono nell'orecchio, la luce nell'occhio, il calore nell'organo di senso del calore, ecc., non abbiano nulla in comune con la sensazione di suono, di luce, di calore, ecc. Si pretese che quei processi esteriori fossero invece DATI movimenti della materia.

 

Gli scienziati che cercavano quale genere di processi esteriori di movimento facessero sorgere nell'anima (attività interiore) umana il suono, la luce, il colore ecc., arrivarono così ad una prima conclusione: fuori dall'organismo umano, in nessun punto di tutto lo spazio cosmico c'è il rosso, l'azzurro, o il giallo, ma soltanto un movimento ondulatorio di una finissima materia elastica, l'etere, la quale, sentita attraverso l'occhio, si presenta come rosso, azzurro o giallo. Infatti - si diceva - se non esistesse un occhio capace di vedere, non vi sarebbe il colore, ma solo etere in movimento. Dunque l'etere fu detto oggettivo, il colore soltanto soggettivo, formato unicamente nel corpo umano. Poi, con l'avvento della genialità di Einstein, si arrivò ad una seconda conclusione e l'etere fu decretato superfluo: "SUPERFLUITÀ" (cfr. A. Einstein, Ann. Phys., 1905, Ed. it.: AAVV "Cinquant'anni di Relatività", Ed. Giuntine Sansoni, Firenze, 1955).

 

Oggi la scienza è quindi arrivata a "credere scientificamente" - ma senza alcun supporto sperimentale che non sia esperimento teorico, cioè pensiero non riconosciuto come pensiero - che l'organismo umano sia il vero generatore dei processi di suono, calore, colore, ecc.

 

Chi però fa dell'organismo umano il generatore dei processi del suono, del calore, del colore ecc., dovrebbe necessariamente vedere nell'organismo umano anche il generatore di ciò che è misurabile, l'estensione, la grandezza, la posizione, il movimento, le forze, ecc., dato che queste qualità matematiche e meccaniche sono inscindibilmente collegate col restante contenuto del mondo percepibile.

 

Invece no. Queste sono credute oggettive, mentre il profumo di una viola è creduto soggettivo... Qui vi è una contraddizione della scienza, simile a quella di una chiesa che a causa di pregiudizi biblici non voglia ammettere un eliocentrismo.


La separazione dei rapporti di spazio, numero e movimento, come pure delle manifestazioni energetiche, da tutte le altre qualità sensibili (suono, colore, ecc.) non è che una funzione del pensiero che astrae. Funzione soggettiva (in base al pregiudizio che il pensare umano sia soggettivo)? Le stesse leggi della matematica e della meccanica si riferiscono a oggetti e processi astratti, cioè rescissi dal mondo empirico, e perciò possono anche trovare applicazione solo nell'ambito del mondo empirico. Ma se si dichiara che anche le forme e le condizioni matematiche e meccaniche sono meramente soggettive, non rimane null'altro che possa servire di contenuto al concetto di cose e di eventi oggettivi. E allora cosa succede? Succede che da un concetto vuoto di contenuto non si può derivare alcun fenomeno.
 

Finché i sedicenti scienziati e i loro caudatari (codazzo mass-mediatico), i sedicenti filosofi, ecc., sosterranno che le percezioni sensibili non sono che stati soggettivi suscitati da processi oggettivi, un sano pensare dovrà sempre opporre delle due l'una: che essi giocano con concetti vuoti, oppure che attribuiscono all'oggettività un contenuto preso a prestito dal mondo dell'esperienza che dichiarano soggettivo!

 

Qui siamo nello stile della comicità logica di Crozza, che reputo un gran fortunato, dato che osservando la stupidità del mondo non fa di certo fatica a trovarne a chili oggi...

 

La matematica è importante; però va rispettata e dovrebbe essere usata per servire il mondo materiale finito, non per fare mere chiacchiere su quello infinito, dato che quando si pone la matematica nell'infinito, essa non vale più: non conta più. Cioè si può dire tutto e il contrario di tutto. Ho mostrato questa cosa presentando Giuseppe Di Saverio, un vero matematico, che si è accorto della crisi dei fondamenti della matematica (si veda: "La crisi dei fondamenti della matematica"). Quindi non mi dilungo su di essa.

 

Dico solo che servirsi della matematica dovrebbe aiutare a chiarire, e NON a confondere all'infinito, la ricerca naturale delle cose del mondo.   

 

Il compito del fisico dovrebbe essere quello di riportare processi complicati della sfera del colore - o del suono, calore, elettricità, magnetismo, ecc. - a più semplici fenomeni entro quella stessa sfera; dovrebbe cioè riportare casi complicati di colore ai casi di colore più semplici. A tale scopo dovrebbe pertanto servirsi di leggi matematiche e meccaniche fino a dove i processi del colore si svolgono in forme spazialmente e numericamente determinabili. In Fisica ciò che corrisponde al metodo matematico è la ricerca dei rapporti entro i fenomeni di colore, suono, ecc., NON la riduzione dei loro processi a fenomeni di moto e a rapporti di forze entro una materia priva di colore, di suono, ecc. Infatti sotto l'influsso di questa riduzione la Fisica diventa Matematica e Meccanica applicate, e così avviene per gli altri campi della scienza naturale generando contraddizione infinita.

 

La contraddizione consiste nell'impossibilità di allacciare con un ponte vivente i due seguenti dati di fatto:

1° che in un dato punto dello spazio domini un determinato processo di movimento di materia priva di colore;

 

2° che in quel punto l'uomo veda rosso.

Dal movimento può essere dedotto solo movimento; e dal fatto che un movimento agisca sugli organi di senso e da qui sul cervello, segue soltanto, secondo il metodo matematico e meccanico, che il cervello è indotto dal mondo esterno a certi processi di movimento, non però che esso percepisca i fenomeni concreti di suono, colore, calore, ecc.


Ciò è stato riconosciuto perfino da Du Bois Reymond: "Quale legame pensabile esiste tra dati movimenti di dati atomi nel mio cervello, da un lato, e dall'altro, coi fatti per me originari, innegabili, non ulteriormente definibili: io sento dolore, sento gioia, io assaporo dolce, odoro profumo di rose, odo suono d'organo, vedo rosso [...] Movimento può generare solo movimento" (Du Bois Reymond, 1882, op. cit.).

 

Purtroppo Du Bois Reymond credette che con ciò si dovesse registrare un limite della conoscenza della natura. Ma questa è una panzana, in quanto il motivo per cui non si può derivare da un dato processo di movimento il dato di fatto che "io vedo rosso", consiste semplicemente nel fatto che la qualità "rosso" e un dato processo di movimento sono un'inscindibile unità. La separazione tra i due avvenimenti può solo essere concettuale, cioè compiuta nell'intelletto. Il processo di movimento corrispondente al "rosso" non ha in sé alcuna realtà: è un'astrazione. Voler derivare il fatto: "vedo rosso" da un processo di moto è un'assurdità, esattamente come sarebbe assurdo pretendere di derivare proprietà reali di un pezzo di salgemma cristallizzato in forma cubica dal cubo matematico.


Dunque il limite della conoscenza imposto da Du Bois Reymond è un dogma fideistico, cioè una scienziaggine. Il fatto che non si possa derivare da movimenti altre qualità sensibili non è dovuto all'esistenza di un limite della conoscenza ma semplicemente dal fatto che tale esigenza è insensata. Sarebbe come pretendere che un gatto nascesse da un topo, o un vino dall'acqua. Occorrerebbe dunque distinguere il concetto di fenomeno empirico da quello di credenza o di fede.


La tendenza a trascurare i fenomeni di colore, suono, calore, ecc. come tali, per considerarne solo i processi meccanici corrispondenti, può nascere solo dalla credenza che alle semplici leggi della matematica e della meccanica corrisponda un grado di comprensibilità superiore a quello delle qualità degli oggetti percepibili e di ogni reciproco rapporto fra questi. Questa credenza però è a dir poco demenziale. Le più semplici proprietà degli oggetti spaziali e numerici sono senz'altro designate come comprensibili, perché si possono abbracciare facilmente e completamente. Tutta la comprensione matematica e meccanica è un riportarci a dati di fatto semplici, evidenti a un riconoscimento immediato. La proposizione che due grandezze che siano uguali ad una terza devono essere anche uguali tra loro, è conosciuta per immediato riconoscimento del fatto stesso che esprime. Nello stesso senso sono conosciuti per immediata intuizione anche i semplici eventi del mondo del suono e dei colori e le altre percezioni di senso. I fisici teorici, solo perché sedotti dal preconcetto che un semplice fatto matematico o meccanico sia più comprensibile di un fenomeno elementare, per es., di suono o di colore, eliminano dai fenomeni lo specifico del suono e del colore e considerano solo i processi di moto corrispondenti alle percezioni di senso. E poiché non possono pensare movimenti senza qualcosa che si muova, considerano come portatrice dei movimenti la materia spogliata di tutte le proprietà sensibili. Chi non è impigliato in questo preconcetto dei fisici, può riconoscere che i processi di moto sono condizioni inscindibilmente legate alle qualità sensibili. Il contenuto dei movimenti ondulatori corrispondenti ai fenomeni sonori sono le qualità di suono medesime. Lo stesso vale per le altre qualità di senso. L'uomo sano conosce il contenuto dei movimenti oscillatori del mondo fenomenico per riconoscimento immediato, non già perché, per mezzo del pensiero, si aggiunga ai fenomeni una materia astratta.

Anche se questo modo di considerare le cose sembrerà assurdo al fisico teorico odierno, egli non potrà certo negare che il concetto "cubo di salgemma" comprende sia la parte osservabile del salgemma percepibile coi sensi, sia un'altra puramente concettuale determinata dalla stereometria. Non potrà però ritenere lecito ritenere valida la prima escludendo la seconda o viceversa.


Lo dico perché le menti scientifiche odierne ritengono assurdo affermare che i concetti e le idee appartengono alla realtà esattamente come le appartengono l'energia operante nello spazio e la materia che riempie lo spazio. Concetti e idee sono, per questi spiriti, un prodotto del cervello umano e nulla più.


Già gli Scolastici sapevano come le cose stessero al riguardo; ma la Scolastica fu sprezzata dalla scienza. Ed ancora oggi è disprezzata, però non la si conosce; e si ignora soprattutto ciò che in essa è sano e ciò che non è sano. Sano è il suo sentimento che concetti e idee non sono solo chimere inventate dallo spirito umano per comprendere le cose reali, ma che hanno davvero a che fare con gli oggetti stessi, più ancora della materia e della forza. Questo sano sentimento degli Scolastici è un'eredità delle grandi prospettive filosofiche di Platone e di Aristotele. Non sana, nella Scolastica, è la confusione tra questo sentimento e le rappresentazioni introdottesi nell'evoluzione medioevale delle confessioni religiose, nessuna esclusa. Quest'evoluzione trova la fonte di ogni spiritualità, dunque anche dei concetti e delle idee, nel Dio inconoscibile perché extra-universale. Ha bisogno di credere in qualcosa che non sia di questo mondo. Ma un pensare umano sano si attiene a questo mondo. E non si occupa d'altro mondo che di questo. Al tempo stesso, però, spiritualizza questo mondo. Vede nei concetti e nelle idee, realtà di questo mondo, come le vede nelle cose e negli eventi percepibili ai sensi. La filosofia greca fu un'emanazione di questo pensare sano. La Scolastica ne accolse in sé ancora un barlume, ma cercò d'interpretarlo secondo la fede, ritenuta cristiana, nell'al di là. Non dovevano essere i concetti e le idee ciò che di più profondo l'uomo vede nei processi di questo mondo, bensì Dio, l'al di là. Nulla costringe chi afferra l'idea di una cosa, a cercarne un'ulteriore "origine", dato che egli raggiunge già quanto appaga il bisogno umano bisogno di conoscenza. Questo bisogno però non importava agli Scolastici, i quali volevano salvare ciò che riguardavano come idea cristiana di Dio. Volevano trovare nel Dio oltremondano l'origine del mondo, sebbene la loro ricerca dell'essenza intima delle cose fornisse loro soltanto concetti e idee.

 

Oggi l'astrofisica del big bang, credendo nell'origine del mondo dal nulla, ripete lo stesso insano errore della Scolastica.

Nel corso dei secoli le rappresentazioni confessionali religiose divennero più efficaci degli oscuri sentimenti ereditati dall'antichità greca.


Si perdette il sentimento della realtà dei concetti e delle idee. Ma insieme si perdette anche la fede nello spirito stesso. Cominciò l'adorazione di ciò che é puramente materiale e iniziò l'era newtoniana entro la scienza della natura. Ormai non si parlava più dell'unità che sta alla base della molteplicità del mondo; ogni unità fu negata; fu degradata a rappresentazione "umana". Nella natura si vide soltanto la pluralità, la molteplicità. Fu questa idea generica fondamentale quella che sedusse Newton a vedere nella luce, non già un'unità originaria, ma qualcosa di composito. Da allora, proprio a causa delle idee generali di cui la scienza si servì per comprendere la natura, cioè con la dottrina newtoniana dei colori e con l'einsteinismo della luce misurata (l'einsteinismo è newtonismo ancora più astrattizzato e trasformato in fisica meramente teorica ma antilogica), siamo arrivati a opinioni insane, dato che si è perduta del tutto la comprensione di ciò che è la luce nella serie delle qualità naturali. Perciò, date certe premesse, la scienza odierna ignora pure come la luce appaia colorata, come cioè nel regno della luce appaia il colore.

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Bibliografia essenziale:

R. Steiner, "Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe. Per una Fondazione della Scienza dello Spirito (Antroposofia)", Ed. Antroposofica, Milano 2008).