Nereo
Villa - Numerologia della Triarticolazione Sociale - 4°
capitolo.
L'ALFABETO
DEI NUMERI
L'origine della parola è sconosciuta. Da secoli gli eruditi cercano il modo di risalire ai principi occulti della prerogativa che distingue l'uomo dagli altri esseri che lo circondano: il linguaggio verbale.
Ciò a cui si è pervenuti dopo lunghe ricerche è stato solamente l'individuare una serie di ipotesi più o meno probabili(1) e quanto segue non ha la pretesa di formularne un'ulteriore. La natura, che viene in aiuto agli uomini in modo armonico e sincronico ogni volta che essi ne hanno bisogno, si lascia scoprire progressivamente dall'uomo nella misura in cui all'uomo è necessario ed è risaputo che numerose e importanti scoperte illuminarono la vita umana più o meno contemporaneamente in vari punti del globo.
In un certo momento della storia dell'umanità, l'uomo incomincia a far di conto e a segnarne da qualche parte i risultati ed è così che nasce il linguaggio scritto.
Dunque partirò da qui. Se il linguaggio sia nato qui o là, se derivi da una lingua unica o no, se sia un dono o no degli dèi, stabilire ciò non è l'intento di questo lavoro. Il rapporto fra lettera alfabetica e numero è invece quanto mi propongo di illustrare ai fini di pervenire a prinicipi validi per la ricerca della Verità, servendomi di numeri, in modo che a tale verità possa arrivare chiunque, anche coloro che sono a digiuno di matematica, di alfabeti antichi o di glottologia.
"Uno, due, tre...", così ha inizio il "Timeo" di Platone in cui egli cerca di indagare la natura dell'universo.
In quest'opera platonica, un pitagorico proveniente dall'Italia, spiega ai filosofi del tempo la natura dell'universo, dalla sua origine fino alla comparsa dell'uomo, e dei quattro elementi, Terra, Aria, Fuoco e Acqua, si dice nel Timeo che furono creati da Dio "per forma e numero".
A fondamento del quattro però vi è nel Timeo l'uno il due e il tre, non solo per un mero succedersi di numeri, bensì perché per il pitagorismo tutto si conclude con il tre(2) e col quattro tutto riprende daccapo in una nuova dimensione, in un nuovo livello di numeri, come quello in cui il dieci inizia le decine e il cento le centinaia.
Qui si palesa un importante presupposto di ordine planetario: l'aspetto tri-articolato del mondo, e cercherò di mostrare la cosa in tutta la sua chiarezza.
Il numero tre è sempre stato considerato nell'antichità il numero per eccellenza della perfezione. Basti osservare che il concetto di perfezione stesso significa qualcosa che ha etimologicamente a che fare con quello di compimento, fine, termine. La particella ter di "termine" è, in latino, un avverbio che significa "tre volte" ed è qui molto significativa anche perchè nel linguaggio è facile e frequente il passaggio fonetico dalla "r" alla "l". Il latino "ter" diventa il greco "tel" che ritroviamo nelle parole greche: "télos" che significa "fine", "teleuté", "fine, morte", e "teleté", "iniziazione".
Da questo punto di vista, l'iniziazione al tre, che si sta proponendo qui per la conoscenza del quattro, appare dunque come l'"Iniziazione per eccellenza" ai massimi misteri, poiché ha in se stessa il tre, come un seme che deve essere fatto germinare e fiorire affinché possa dare il suo frutto.
L'antico insegnamento dei pitagorici principiava così dalla consapevolezza che l'uno e il due non sono veri e propri numeri.
Per Pitagora tutto partiva dal tre: l'uno e il due non erano sentiti come numeri veri e propri, in quanto, sommati, non dànno un risultato diverso di quello che si ottiene nel moltiplicarli, come avviene invece per tutti gli altri numeri. E, anzi, il due ha un comportamento intermedio fra quello dell'uno e quello del tre:
1 x 1 = 1, minore di 1 + 1 = 2
2 x 2 = 4, uguale a 2 + 2 = 4
3 x 3 = 9, maggiore di 3 + 3 = 6
Che i primi due numeri fossero anomali rispetto agli altri non era però la sola causa dell'eccellenza del numero tre. Altre ragioni possono essere infatti scorte al di fuori dell'aritmetica, e cronologicamente prima di quando nella Magna Grecia e nell'Ellade l'aritmetica si costituiva in scienza ad opera principalmente della Scuola Italica.
Nella maggior parte dei linguaggi del pianeta la numerazione parlata è decimale. Il linguaggio dispone cioè di nove voci per designare i primi nove numeri, i quali perciò costituiscono ed esauriscono un gruppo, una categoria cioè un livello, un piano preciso in cui abitano le unità di questo primo ordine.
Il decimo numero, espresso anch'esso da una voce distinta, appartiene a un nuovo livello di numeri: il gruppo delle unità del secondo ordine. Mediante un'opportuna combinazione di queste voci con quelle precedenti, il linguaggio, senza ricorrere a ulteriori voci, risolve il problema fondamentale di "battezzare" con nome proprio i numeri fino al novantanove.
Analogamente, per la decina di centinaia (migliaio) si può procedere all'infinito con questo sistema.
Teoricamente si potrebbe assumere invece del dieci, un altro numero come base del sistema di numerazione, per esempio il dodici, oltretutto più facile da dividere, in quanto ammette quattro divisori anziché due. E questo spiega l'esistenza di un sistema sussidiario e secondario dodecimale, soprattutto in uso nel commercio per merci "dozzinali" appunto, come le uova, che per consuetudine sono vendute a "serqua" o a "mezza serqua".
Il sistema di numerazione a base dieci è tuttavia il più diffuso, anche per il fatto - constatato già a suo tempo da Aristolele(3) - dell'uso spontaneo delle dieci dita per calcolare più sicuramente e speditamente, o, appunto secondo varie conferme del linguaggio: "a mena-dito", per indicare facoltà mnemonica, "digiti", usato fino al XVII secolo per indicare le unità, "digitale", usato oggi soprattutto nel campo dell'elettronica.
L'importanza del numero dieci nella matematica pitagorica è indipendente dall'adozione del dieci come base del sistema di numerazione, in quanto testimoniata dallo spirito stesso del linguaggio: nella maggior parte delle lingue infatti vi sono tre voci distinte ed etimologicamente indipendenti per designare i primi tre numeri. Il Timeo di Platone inizia con le voci "uno", "due", "tre", quasi anelando a dire subito tutta la verità. Dopo il "ter" di questa "terna" di numeri, il "quattro", che in latino significa "quattro volte", viene designato con la voce "qua-ter" da cui traspare il fatto straordinario che dopo aver contato fino a tre vi è un ri-inizio. L'antico augurio latino "O terque quaterque beati!" significava "O felicissimi voi", nel senso di: "siate felici non tre o quattro volte ma un numero infinito di volte". Il ri-inizio con il quattro è ancora visibile nelle espressioni italiane di "terna", "quaterna" e di "caterva", espressione di moltitudine infinita.
Con ciò è possibile riconoscere nella lingua e nell'antica mentalità una concezione e una consuetudine che riconosce al numero tre un'importanza particolare, tanto da farne, per così dire, l'ultimo numero, in modo di avere nel quattro una nuova unità.
La somma di questi primi quattro numeri è:
1 + 2 + 3 + 4 = 10
Il dieci è una unità al livello superiore.
Questa operazione, che nei testi di numerologia, cabalistici o teosofici, è indicata come "radice teosofica" o "valore segreto" di un numero, veniva raffigurata in un triangolo alla cui base stava il quattro:
l |
l | l |
l | l | l |
l | l | l | l |
La forma della figura è la medesima della lettera greca "delta":
D
corrispondente all'italiana "d", quarta dell'alfabeto e iniziale di "decade" in ambedue le lingue.
Sul segreto della tetrade, costituito dalla decade ("Valore Segreto" di 4 o "VS 4" = 10), l'iniziato pitagorico prestava giuramento.
La collocazione della "d", comune a molti alfabeti, al quarto posto, sembra qui contraddire il sostenitore del convenzionalismo: la ragione per cui la lettera "d" è quarta è una ragione numerica e non può venire attribuita solo al semplice fatto che viene dopo la "c".
Fra il linguaggio e i numeri scorre dunque lo stesso "sangue", una parentela molto stretta e un rapporto preciso. Come la parola "quaterna" è data dall'avere letteralmente e qualitativamente rinnovata in sè la prima triade (qua-ter), così la decade è data dall'avere quantitativamente in sé la somma della "triangolarizzazione" del "quattro", cioè della tetrade. Ancora oggi nella matematica vengono chiamati triangolari i numeri ottenuti sovrapponendo il primo al secondo, il secondo al terzo, e così via come se si trattasse di biglie:
VS 1 = 1l |
VS 2 = 3 l | l |
VS 3 = 6 l | l | l |
VS 4 = 10 l | l | l | l |
VS 5 = 15l | l | l | l | l |
Il calcolo del "VS" (valore segreto) di un numero è ancora più semplice, applicando la formula derivante dal seguente ragionamento. Se si pone, accanto ad un numero triangolare (quello di lato 5 ad esempio) lo stesso triangolare capovolto, ne risulta un parallelogramma, costituito da 5 file di 5 + 1 unità ciascuna, cioè in totale 5 x 6 = 30 unità; la metà sarà il triangolare di lato 5.
° ° ° ° °
° ° ° °
° ° °
° °
°
Si può dunque stabilire la formula generale per trovare un triangolare (o VS) di "posto" ennesimo, cioè:
n(n+1) | ||
VS | n = | -------- |
2 |
dove VS sta per "Valore Segreto" e "n" per un numero qualsiasi. L'uso di questa formula è molto semplice, basta sostituire a "n" il numero di cui si vuole calcolare il Valore Segreto.
Poiché conoscenze di questo tipo sono andate perdute, cercherò di riportarle alla luce, proprio perchè ci appartengono come qualcosa di quel sacro a cui sono indissolubilmente legate. Ne darò un esempio applicativo.
Alla fine del Vangelo di Giovanni si parla di 153 grossi pesci, miracolosamente pescati. Il 153 è il Valore Segreto di 17, ricavabile, come abbiamo precedentemente visto, in queste due maniere:
1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+11+12+13+14+15+16+17 = 153
oppure, applicando la formula:
17(17+1) | |||
VS | 17 = | -------- | = 153 |
2 |
Si tratta di un numero particolarmente significativo.
Nell'antico Egitto tale conoscenza è messa in luce dagli egittologi nel il rapporto fra questo numero e il Vangelo(4).
Si noti che le quattro facce delle piramidi sono triangolari e che la Piramide di Cheope, detta anche Grande Piramide è stata studiata da molti ricercatori proprio per le sue proporzioni alquanto significative.
Ma per chiarire meglio il valore del numero 153, Valore Segreto di 17, bisognerebbe soffermarci maggiormente sull'importanza di quegli alfabeti costituiti da lettere-che-sono-numeri come ad esempio l'ebraico e il greco.
Queste lingue possono anche intimorire noi occidentali in quanto non le sentiamo nostre, ma occorre sapere che per comprendere la portata del simbolismo di lettere e numeri, bisogna solo lasciare andare un po' l'immaginazione, consapevoli che simboli e numeri ci appartengono.
Per fare ora un esempio pratico di come "funziona" una lingua numerica si prenda la prima lettera dell'alfabeto ebraico ("ALEF"). Essa corrisponde al numero 1. La decima ("IOD") al 10, la quinta ("HE") al 5, la sesta ("VAV") al 6, ecc...
L'interpretazione delle lettere attraverso il loro valore numerico è un'antica arte detta "gematria" che offre la possibilità di arrivare a capire ciò che sapientemente si nasconde tra le righe di quei testi che tradotti in modo letterale o confessionale, paiono spesso astrusi o incomprensibili, tanto che ci siamo abituati ad accettarli per fede.
Attraverso semplici operazioni aritmetiche si può arrivare invece a scoprire significati nuovi, in quanto appartenenti a ciò che in verità abbiamo ormai dimenticato: la solarità perenne dell'unica tradizione possibile, quella della luce della Conoscenza.
Le lettere dell'alfabeto ebraico, come quelle di ogni altro alfabeto numerico, vengono infatti dette "solari" in quanto esatte cifre conoscitive del nostro sistema solare e del cosmo intero in cui questo si inserisce.
Come i dieci numeri (in ebraico "séfirot") significano un tutto (tutti gli altri numeri ne provengono), così le 22 lettere dell'alfabeto solare corrispondono al cosmo e al conoscibile, e le 32 vie possibili di saggezza di cui parla l'antichissimo libro dello Splendore (Zoar) e quello della Formazione (Sefer Yetzirà) sono appunto le 22 lettere più quei 10 numeri, invisibilmente e sapientemente incorporati in esse.
Le lettere si organizzano secondo il ritmo dei numeri, e i numeri imprimono il loro ritmo alla combinazione delle lettere e delle parole, in perenne oscillazione di onde sonore da sempre trasmesse e da sempre accolte come simboli nella nostra interiorità più profonda.
Oggi non è più il tempo di mistiche non coscienti, e la consapevolezza di tale processo diviene conseguentemente una vera e propria Iniziazione. Si tratta di un'Iniziazione alla "percezione" di un mondo diverso da quello dei sensi ordinari: equivalenze inaspettate - nascenti da sostituzione o da comparazione - con altre che abbiano il medesimo valore numerico, conducono nel mondo simbolico dei mistici antichi, non secondo fideismi confessionali tendenti a dividere l'umanità in sette o fazioni, bensì secondo la sicurezza di un linguaggio numerico, comprensibile a tutti, quasi come nel linguaggio musicale.
Il linguaggio dei numeri non è monopolio dell'ebraismo, né di qualsiasi altra cultura. E' un linguaggio solare, appartenente concretamente al Cosmo.
Il nome di Dio, Yawhé, si scrive in ebraico con quattro delle precedenti lettere appositamente citate: IOD, HE, VAV, HE, in numeri 10, 5, 6, 5, somma totale 26. Questo numero "divino" per eccellenza lo ritroviamo però anche nella parte più "umile" dell'uomo: i piedi. Il piede umano è costituito infatti - e con ragione - da 26 ossa ed è riconosciuto dalla riflessologia che il piede è sintesi di tutto il corpo. Ma il 26 è anche un numero del cielo, quasi che perfino i piedi camminando sulla Terra vogliano indicarlo: 26.000 sono gli anni che la moderna astronomia calcola come durata periodica del fenomeno della precessione solare.
Ecco dunque che questo numero rivela una connessione unitaria fra i concetti di "uomo", "cosmo" e "divino".
Questa "unitarietà" la si ritrova ancora nella lettera ALEF: la lettera numero 1, che viene scritta con due piccoli IOD simmetrici (ognuno di valore 10) e una VAV trasversale (di valore 6), così che questo numero 1, caro al monoteismo ebraico, ha sapientemente in sè il 26 (10 + 10 + 6 = 26), che esprime in modo triarticolato o tri-unitario.
1ª lettera "iod", valore numerico 10 | |
"waw" centrale, valore numerico 6 | |
2ª lettera "iod", valore numerico 10 | |
somma totale = 26 |
Da questo punto di vista, il numero 153 precedentemente osservato offre qualcosa di nuovo da scoprire e la rete di pesci di cui parla il Vangelo di Giovanni assume una capienza cosmica: leggendo il 153 da destra a sinistra secondo il modo ebraico, si ottiene il valore 351. Questo numero è il portatore, anche se occulto, di quel 26 cosmico e divino, essendone il suo Valore Segreto.
Infatti
1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+11+12+13+14+15+16+17+18+19+20+21+22+23+24+25+26 = 351
Ci si può rendere conto allora - e mai espressione fu più appropriata (proprio attraverso i conti) - che un'interpretazione cosmologica dei testi sacri diventa possibile e accessibile a tutti tramite la chiave numerologica.
Moltissime altre cose si potrebbero dire a questo proposito ma qui vogli solo rimarcare che per l'esempio mi sono basato sul valore numerico 26 e non sulla cultura o sulla fede di una confessione religiosa. Del 26 si tratta, non di ebraismo, né di cattolicesimo, né di altro. Prova ne è che, volendo, potremmo anche noi italici vantare un 26 nella nostra antica cultura: il numero delle lettere del nostro antico alfabeto etrusco erano appunto 26...
E il 26 è una fonte inesauribile di Conoscenza soprattutto in quanto è connesso con la più importante parola che l'uomo può dire a sè stesso: "Io".
NOTE
(1) Cfr. F. D'Olivet, "La lingua ebraica restituita", Ed.
Quaderni dell'Officina.
(2) Federici Cardinali
Borromei Archiep. Mediolani - De Pytagoricis numeris libri tres,
Mediolani 1627; lib. II, cap. XXVI, p. 116. La biblioteca
Ambrosiana di Milano possiede due esemplari (forse gli unici
esistenti) di quest'opera del cardinale Federico Borromeo sui
numeri pitagorici. Si tratta di un "in folio" piccolo
di 167 pagine in cui l'autore osserva che Aristotele riporta la
sentenza pitagorica che "tutto si conclude col numero
ternario, il quale è inerente a tutte le cose" (cit. in A.
Reghini, "Dei numeri pitagorici", Ed. Ignis, p. 13).
(3) Cfr. A.
Reghini, "Dei numeri pitagorici", Ed. Ignis, p. 19.
(4) Nella Piramide di Cheope "la lunghezza della Grande
Galleria, al soffitto, è di 153 piedi, numero simbolico, uguale
ai 153 pesci che i discepoli trassero a riva con le reti in
seguito all'invito del Cristo risuscitato. Il numero 153 è la
somma di tutti i numeri da 1 a 17 compreso. [...] Secondo
Habermann, questo numero 17 rappresenta, alla scala 1/100,
l'altezza (1700 pollici) della Piramide dalla linea di base sino
alla 50ª fila di muratura [...]. Inoltre, dalla 50ª fila alla
piattaforma della cima della Piramide ci sono ancora 153 file.
(G. Barbarin, "Le profezie della grande piramide", Ed.
Atanor, p. 66).