Nereo Villa - Numerologia della Triarticolazione Sociale - 2° capitolo.


UN ANTICO DILEMMA

Fin dai tempi più antichi, due opposte concezioni del mondo risiedono nell'umanità, generate dalle due opposte valutazioni rispetto alla cosiddetta "casualità" o "avvenimento fortuito".

Da un lato si considera il "caso" irrealtà e si ammette una ragione superiore che fa succedere gli eventi; dall'altro invece si sostiene che tutto ciò che esiste è frutto del "caso", e che l'ipotesi di una ragione superiore non è altro che un mero desiderio dell'uomo, una sua proiezione mentale sul reale, romantica congettura, ma frutto solo del suo elucubrare su un mondo di dèi, di santi o di semidèi.

Di fronte a queste opposte visioni, gli antichi filosofi si esprimono.

Per Anassagora (496 ca a.C. - 428 ca. a.C.), l'uomo è collegato alla vita del pensiero, che abbraccia tutto ciò che si espande nel tempo e nello spazio. Questa estensione di pensiero guida il movimento dei corpi celesti e, in quanto essenza, pèrmea la natura intera. Anassagora si sentiva interiormente così in relazione con l'universo(1).

Per Democrito (460 ca - 370 ca a.C.) il pensiero universale e cosciente di Anassagora e la sua forza generatrice di fenomeni naturali secondo uno scopo determinato, non è altro che una necessità incosciente della natura. E la natura è per lui completamente senz'anima(2). Democrito considera il pensiero nient'altro di più che un'interiore ombra della materia. Nasce con tale visione il prototipo ideologico della concezione materialistica del mondo. Per Democrito l'uomo conosce le cose per convenzione ed il suo sapere è spurio, fasullo: "per convenzione il colore, per convenzione il dolce, per convenzione l'amaro..."(3).

La sua argomentazione si fonda su due principi, il cosiddetto "ente", corrispondente agli atomi, e il secondo "non ente", corrispondente al vuoto fra atomi.

Nella sua filosofia resta senza risposta il quesito: come è possibile conoscere le cose tramite un impianto di conoscenza spurio?

Il problema di come l'uomo possa "dal sapere spurio arrivare col sapere autentico a percepire l'ente e il non ente"(4) non esiste. E' solo dato da un errore di impostazione del problema.

Altrimenti si dovrebbe saper rispondere alla seguente altra domanda: sostenere che l’uomo conosce le cose per convenzione equivale a sostenere una conoscenza esatta o un sapere spurio?

Già Platone (427-374 a.C.) diceva, a proposito degli antilogici, che "della verità (costoro) non fanno alcun conto né si danno alcun pensiero, capaci come sono, per effetto di quella loro sapienza che mescola insieme e confonde ogni cosa, di piacere ugualmente a se stessi"(5).

Non c'è dunque da meravigliarsi se anche oggi vi sia una simile tendenza di pensiero illogico e inconseguente, dato che il tempo presente offre all'uomo una vita sempre più frenetica, in cui fermarsi a riflettere risulta sempre più difficile se si tratta di superare l'antico sofismo di Protagora (nato fra il 491 e il 481 a.C.) per cui giusto e sbagliato, vero e falso, ecc., vengono considerati "relativi" ad ogni individuo.

Se davvero credessi alla relatività di giusto e sbagliato, dovrei anche chiedermi con Platone: perché non portiamo un bambino ammalato da un carpentiere invece che da un dottore(6)?

Immagino una brevissima disputa fra due filosofi del quinto secolo a. C., il primo, un discepolo dei sofisti (o di Protagora o anche un politico d'oggi) e il secondo, un discepolo di Socrate, che rappresenti l'opposta concezione:

Il discepolo di Protagora:
Il discepolo di Socrate:











"Non esiste verità assoluta".
"E' vero?".
"Assolutamente sì".
"Mah!..."(7).









Persone come il discepolo dei sofisti vengono ancora oggi facilmente insignite di premio Nobel, mentre persone come l’allievo di Socrate, maieuticamente evolutivi, o più semplicemente persone creative, vengono ostacolate da migliaia di leggi statali. Ben pochi infatti si accorgono che tale modo di pensare è una malattia dello spirito che fa tollerare l’antilogicità e le inconseguenze di pensiero, con grande trionfo dell'ottusità.

Uno degli ultimi sostenitori di questo modo di pensare patologico è il francese Jacques Monod, premio Nobel per la medicina nel 1965.

Tutta la sua opera è intesa a sostenere "l'evento Vita" come "un caso" in cui la "mutazione" iniziale, attivante l'evoluzione degli esseri viventi è un mero fatto fortuito.

Per giustificare la capacità degli esseri viventi di trasmettere la propria legge strutturale ("invarianza") e di modificarne le relative prestazioni in ragione dell'ambiente ("teleonomia"), Monod è costretto a dire che la "casuale mutazione", una volta inscritta nel codice genetico, viene riprodotta in miliardi di copie, entrando nel campo della selezione, che rientra nella categoria della "causale necessità".

Con la possibilità di una mutazione iniziale casuale-che-si-fa-causale, egli vorrebbe concedere a casuali capacità genetiche la peculiarità di rientrare in un sistema contrario alle proprie intrinseche caratteristiche genetiche di "casualità".

Ciò è tanto assennatoe quanto voler sostenere l'ipotesi che un cucciolo di un orso possa comportartarsi come una piccola aquila, e quindi volare.

Se non si vuole essere illogici o antilogici, è facile osservare anche qui un errore di impostazione del problema(8) non molto diverso da quello di Democrito, l'umano che pretendeva conoscere l'impossibilità dell'umano conoscere, o da quello di Protagora, che pretendeva assolutizzare l'inesistenza della verità assoluta.

 


Note

(1) Cfr. R. Steiner, "L'evoluzione della filosofia dai presocratici ai postkantiani", Ed. Bocca, p. 45.
(2) Cfr. R. Steiner, "L'evoluzione della filosofia dai presocratici ai postkantiani", Ed. Bocca 1949, p.47. La concezione atomistica di Democrito è meno materialistica dell'"atomismo" attuale (cfr. anche R. Steiner "Nascita e sviluppo storico della scienza", Ed. Antroposofica, p.33).
(3) Enciclopedia Garzanti di Filosofia, p.201.
(4) Ibid.
(5) Platone, "Opere Complete", Fedone XLIX 101e, p. 164, Ed. Laterza.
(6) Cfr. R. Cavalier & E. Lurio, "Platone", Ed. Feltrinelli, p. 76.
(7) ibid.
(8) Cfr. V. Azzolini, "Risposta a Monod, caso e necessità, dilemma inconsistente", Ed. MEB. L'autore evidenzia, in senso scientifico, il "dilemma" di Monod come "errore di impostazione del problema" a p. 16.