Nereo Villa

 

LE SCOMODE VERITÀ DELLA RELATIVITÀ

 

La relatività di Albert Einstein (1879-1955) non è una scoperta ma un’invenzione parassitaria per parassiti, falsamente dichiarata poggiante su risultati sperimentali. Questo parassitismo “culturale” è una specie di moda che, un poco alla volta, è stata IMPOSTA agli ambienti “scientifici” della scuola dell’obbligo, usando tecniche di pressione e di ricatto profondamente disoneste. Vi sono state, infatti, minacce di esclusione dal posto di lavoro e del blocco della carriera accademica per coloro che non vollero sottomettersi. Ancora oggi chi non accetta Einstein come indiscutibile paradigma di intelligenza è destinato a fare la fine di Louis Essen (1905-1997) che negli anni Settanta del secolo passato criticò la relatività speciale, cioè i fondamenti della teoria einsteiniana della relatività (vedi più avanti a proposito del sistema GPS o Global Positioning System).

La figura e l’opera di Einstein costituiscono di fatto la maggiore mistificazione di tutti i tempi, dato che Einstein non fu uno scienziato ma un attivista politico, issato come scienziato ad altezze inusitate mediante l’argano della propaganda, e lì mantenuto per ragioni che di “scientifico” hanno ben poco.

Con Einstein nasce in effetti un gioco di specchi demenziale in cui la luciferina vanità umana inciampa, cade, e non si solleva, dato che perfino oggi il web è pieno di einsteiniani, capaci di “dimostrare” tutto e il contrario di tutto, massimamente tronfi di avere compreso, e quindi di possedere, la genialità di Einstein.

In realtà non c’è al mondo nessuno che possa seriamente accettare ciò che comporterebbe l’accettazione della teoria einsteiniana (per esempio che NON esistano: i colori, il cielo stellato, il profumo di un fiore, ecc.).

Perfino l’ordigno termonucleare, tragicamente reale, spesso citato da costoro come prova empirica della validità dell’einsteinismo, è spiegato al contrario di come stanno invece le cose, dato che l’assoluta - e quindi non relativa - esplosione della bomba atomica, ben difficilmente avrebbe potuto attuarsi in base ai “fatti” fantasmagorici quali sono i coacervi algebrici einsteiniani “relativistici”.

Una volta elevato sul piedistallo della gloria con l’argano della pubblicità, Einstein divenne uno strumento efficientissimo di coloro che, dotati di ingenti mezzi, tale pubblicità manovrarono. Da allora in poi la sua opera fu esclusivamente politica.

 

Fin dall’inizio egli fu vicino a organizzazioni di estrema sinistra. Nel 1923 fu uno dei membri fondatori della Società degli amici della Russia bolscevica. Non cambiò neanche dopo aver abbandonato nel 1933 la Germania per sbarcare (era d’obbligo) negli Stati Uniti. Ma da pacifista che era, divenne un militarista ugualmente zelante. Forse l’unico epiteto rispondente a verità che gli sia stato associato è quello di “padre della bomba atomica”: in senso non tecnico o scientifico ma militare, essendo stato Einstein uno degli animatori principali del “progetto Manhattan” per lo sviluppo di quell’ordigno che avrebbe dovuto essere utilizzato non solo contro il Giappone ma anche contro l’Europa se l’occasione si fosse presentata. Dopo il 1945 ridivenne pacifista e fu alla testa di una “crociata” per la creazione di un governo mondiale guidato da Stati Uniti, Inghilterra e Unione Sovietica. Frutto delle sue ultime attività fu la stesura del manifesto Russell-Einstein, la cosiddettaBibbia della società Pugwash” (sui misfatti di Bertrand Russell e sul genocidio vedi: “Genocidio ONU”; http://digilander.libero.it/VNereo/onu_&_anacronismo-02-genocidio-onu.pdf). Questa società di “scienziati per la pace” fu lanciata nel 1954 da certi Rabinowicz e Rotblat con l’appoggio del miliardario (premio Lenin) Cyrus Eaton: essa esiste ancora ed è una delle tante associazioni che larvatamente danno ‘buoni consigli’ ai governi.

In merito alla carriera politica o extrascientifica di Einstein, che comprende quasi tutta la sua attività soprattutto dopo il 1933, si veda Yann Moncomble, “La Trilatérale e les secrets du mondialisme” (Ed. Faits et Documents, Paris, 1980).


Ma veniamo al tempo presente.

 

Oggi esistono acceleratori di particelle in grado di frantumare la materia nei suoi costituenti più elementari e rilevarne i “rottami”, cioè altre particelle sempre più piccole o elusive. Ed esistono orologi atomici che misurano il tempo con la tolleranza di pochi nanosecondi. È quindi innegabile che le più recenti tecnologie dovrebbero rendere i cosiddetti effetti relativistici, sempre più osservabili e misurabili. È quindi proprio da tali tecnologie che ci si aspetterebbe una definitiva conferma della teoria di Einstein.

 

Ebbene avviene proprio il contrario.

Sono proprio esse a mettere sempre più in crisi il postulato base della teoria, e cioè quello che stabilisce la costanza della velocità della luce per ogni osservatore inerziale. È il caso ad esempio degli orologi atomici a bordo dei satelliti del sistema GPS.

 

Oggi il più acefalo relativista accenna al GPS (Global Positioning System), come alla prova per eccellenza a favore della relatività. Questo perché gli orologi atomici a bordo dei satelliti sono programmati in modo da tener conto degli effetti relativistici. Addirittura, al tempo del lancio dei primi satelliti, fu nominata un’apposita commissione che si occupò di verificare che gli effetti relativistici fossero opportunamente tenuti in conto dai progettisti del sistema, e persino dai costruttori di ricevitori satellitari.

Ma le cose non sono esattamente come sembrano.

Gli orologi atomici a bordo dei satelliti sono CONTINUAMENTE RESETTATI dalle stazioni di controllo sulla Terra, proprio perché questo è l’unico modo per mantenerli precisi.


A rilevare che gli orologi atomici manifestano deviazioni così rilevanti da mettere in dubbio qualsiasi effetto dell’ordine temporale atteso fu nientemeno che il fisico inglese Louis Essen (1905-1997), considerato il “padre” dell’orologio atomico, per aver progettato e costruito nei primi anni ’50 il primo orologio atomico al cesio funzionante, nonché per aver compiuto con esso la prima misurazione estremamente accurata della velocità della luce. Essen mise seriamente in discussione tale esperimento sulla base della scarsa affidabilità degli orologi atomici nel lungo periodo (in verità è impossibile misurare la luce, perché la luce è immateriale, vedi più avanti). Quello che non si sa o che non si vuole ricordare è che la serie di articoli fortemente critici nei confronti della relatività speciale scritta da Essen negli anni ’70 del secolo scorso pose fine alla sua brillante carriera, e decretò il suo isolamento a vita dal mondo accademico. È possibile trovare in rete un toccante sito del figlio di Louis Essen, che ricorda la figura del celebre fisico, cercando un editore per l’ultimo libro scritto dal padre e mai pubblicato! Segno dunque che ancora oggi chi non da’ ragione ad Einstein non mangia...

Va altresì evidenziato che le alterazioni temporali della relatività speciale sono considerate reali invece che apparenti, interpretazione in contraddizione con i principi stessi della teoria della relatività. Inoltre, anche qui i calcoli sono effettuati sulla base di un riferimento polare, cioè di un’ideale Terra non rotante, in contraddizione col principio di relatività.

Lungi dal “salvare” la logica della relatività speciale, il GPS la rende dunque una TEORIA INUTILE. Se così non fosse gli orologi atomici a bordo dei satelliti non avrebbero bisogno di essere CONTINUAMENTE RESETTATI dalle stazioni di controllo. E COME SI SA, IN FISICA CIÒ CHE RISULTA INUTILE È ANCHE DANNOSO.

I relativisti odierni si comportano come i sostenitori di Einstein del suo tempo, vale a dire in modo simile a quello dei falsificatori del suo tempo (alla Eddigton per intenderci, vedi più avanti la questione dell’eclissi del 1919.

Albert Einstein (1879-1955), “Uomo del secolo” secondo la rivista Time, scrisse un lungo trattato su una teoria della relatività speciale (in effetti recava il titolo “Saggio sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, 1905), senza riportare testi di riferimento di sorta. Ma prima che Einstein stilasse il documento del 1905, molti dei concetti chiave che egli presentò come sue idee erano noti a Lorentz e a Poincaré.

Come mai nessuno ne parla e se qualcuno lo dice finisce come Louis Essen nel “ghetto” dei senza lavoro o degli isolati dal mondo accademico?

Come era sua tipica caratteristica, Einstein non elaborò le teorie; si limitò a requisirle appropriandosene. Un ladro dunque! Oltretutto un ladro di idiozie, come sarà qui mostrato.

Einstein è dunque un ignorante e un manipolatore, dato che si impadronì di un corpus di “sapere” già esistente, selezionando e raccogliendo i concetti che preferiva (quindi del tutto sballati), ed intrecciandoli poi in un resoconto come suo proprio contributo alla relatività speciale.

Tutto ciò avvenne con la totale consapevolezza e approvazione da parte di molti dei suoi pari, come nel caso degli editori degli “Annalen der Physik” (la rivista specializzata di fisica dove Einstein pubblicò il saggio).

Perfino l’equazione più celebre di tutti i tempi E=mc², convenzionalmente attribuita alla sola sua competenza, non era dunque sua, dato che prima ancora che a lui può essere attribuita a S. Tolver Preston (1875), a Jules Henri Poincaré (1900) e ad Olindo De Pretto (1904). E perfino il senso che tale formula vorrebbe esprimere (la conversione della materia in energia, e dell’energia in materia) era già noto a Sir Isaac Newton (“corpi ordinari e luce sono reciprocamente convertibili…”, 1704).

Dal momento che EINSTEIN NON RICAVÒ MAI CORRETTAMENTE E=mc² (Ives, 1952), sembra non esservi alcun elemento che colleghi l’equazione a qualcosa di originale dello stesso Einstein.

La presentazione selettiva dei dati dell’eclissi del 1919, ad opera di Arthur Eddington, in modo che apparentemente corroborassero la teoria generale della relatività “di Einstein”, è una delle massime truffe della scienza del XX secolo; il prodigo sostegno di Eddington ad Einstein modificò il corso della storia; ma è oramai notorio che Eddington era più interessato ad incoronare Einstein principe della scienza che a verificare la teoria. La comunità dei fisici, consapevolmente o inconsapevolmente, ha intrapreso una sorte di frode e cospirazione silenziosa; questo è il risultato dell’essersi limitati a stare a guardare mentre si verificava l’iperinflazione dei documenti e della reputazione di Einstein. La scienza attuale dunque, per la propria natura intrinseca, si dimostra pertanto di corte vedute.

 

In linea generale, i chimici, leggono e scrivono di chimica, i biologi di biologia, i fisici di fisica. Avviene però sempre più regolarmente - come del resto tutti sanno - che costoro si trovino in competizione per accaparrarsi lo stesso provento in denaro destinato alla ricerca (nel suo senso più lato); quindi nel caso in cui i sedicenti scienziati desiderino più denaro per se stessi, possono anche decidere di competere in senso sleale, ed il modo per farlo è quello di convincere gli enti che erogano i finanziamenti, di rappresentare una branca della scienza come più importante di qualsiasi altra. Ovviamente se gli enti di finanziamento riconoscono tale importanza, ciò comporta difficoltà per le restanti scienze. Ed uno dei metodi per ottenere più denaro è, appunto, quello di creare un supereroe - un supereroe come Einstein.

La reputazione di Einstein è il prodotto della comunità dei fisici, dei suoi seguaci e dei media. Ciascuno di questi gruppi trasse, e trae ancora, enormi vantaggi elevando Einstein ad icona; la comunità dei fisici riceve miliardi di dollari in sovvenzioni per la ricerca, i sostenitori di Einstein sono generosamente gratificati. Inoltre, le corporazioni dei media, come la rivista Time, riescono a vendere ancora oggi milioni di copie, piazzando sulla propria copertina Einstein come “l’uomo del secolo”.

Quando questo scandalo scoppierà, la comunità dei fisici, i sostenitori di Einstein ed i media cercheranno di minimizzare le notizie negative, conferendo loro una interpretazione positiva. I loro sforzi comunque, saranno smascherati quando il documento di Einstein dal titolo “Saggio sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, sarà considerato per quello che è in realtà: il più perfetto atto di plagio del XX secolo.

In merito alla relatività speciale occorre pertanto informare circa il lavoro di Poincaré (anche se costui non è davvero una cima). Jules Henri Poincaré (1854-1912) apportò a detta teoria un rilevante contributo. Il sito Internet della Encyclopedia of Philosophy riporta che Poincaré: “delineò una versione preliminare della teoria speciale della relatività”, ricavando la trasformazione di Lorentz.

Anche Keswani (1968) fu indotto ad affermare che: “già nel 1895 Poincaré, l’innovatore, aveva ipotizzato che è impossibile individuare il “moto assoluto” e che nel 1900 introdusse “il principio di moto relativo”, che in seguito nel suo libro “Science and Hypothesis”, pubblicato nel 1902, definì con i termini equivalenti di “legge della relatività” e “principio di relatività”. Einstein quando redasse il suo documento nel 1905 privo di testi di riferimento, non riconobbe nessuno dei precedenti lavori teorici di Poincaré.

Oltre ad avere delineato la versione preliminare della relatività, Poincaré fornì una parte cruciale dell’intera teoria, vale a dire la sua trattazione del tempo locale; egli inoltre, ideò il concetto di sincronizzazione degli orologi, fondamentale nella relatività speciale.

Charles Nordman, fu indotto a scrivere: “Si dimostrerà che il credito della maggior parte delle cose che vengono attualmente attribuite ad Einstein è, in realtà, dovuto a Poincaré [...]. Tutto questo era già noto a Poincaré e ad altri ben prima dell’epoca di Einstein, e ascrivendo a quest’ultimo la scoperta, si fa torto alla verità”.

Altri scienziati, a differenza del pubblico, non furono per nulla colpiti dalla teoria della relatività generale “di Einstein”. In “Physics in my generation” (1956), Max Born scriveva: “Un’altra curiosa caratteristica del lavoro di Einstein del 1905, ormai famoso, è l’assenza di qualsiasi riferimento a Poincaré o a chiunque altro. Da’ l’impressione di un’impresa del tutto nuova. Tuttavia, come ho cercato di spiegare, ciò ovviamente non corrisponde a verità”. Undici anni dopo G. Burniston Brown (1967), noterà che “contrariamente all’opinione comune, risulterà chiaro che nella derivazione delle utili formule della teoria della relatività speciale o ristretta, Einstein ha svolto un ruolo di minore importanza, mentre Whittaker ha chiamato in causa la teoria della relatività di Poincaré e di Lorentz [...]”.

In virtù del fatto che in alcuni ambienti la teoria della relatività speciale di Einstein era conosciuta come la teoria della relatività di Poincaré e Lorentz, si sarebbe indotti a pensare che questi ultimi potrebbero aver avuto qualcosa a che fare con la sua formulazione. Nel documento di Einstein ciò che stride è il fatto che anche se Poincaré era il massimo esperto mondiale di relatività, APPARENTEMENTE Einstein non ne aveva mai sentito parlare, né pensato che avesse fatto nulla che valesse la pena di citare come riferimento!

Chi era dunque Einstein se non un ladro di opere altrui? È oramai notorio che egli si fece ben pochi scrupoli nel rubare il lavoro di altri e a proporlo come proprio.

Che ciò fosse intenzionale appare alquanto ovvio. Si prendano in considerazione le seguenti parole di R. W. Clark a proposito del saggio del 1905 di Einstein, che pur essendo “uno dei più considerevoli documenti scientifici che sia mai stato scritto” “anche la forma e lo stile erano insoliti” (Roland W. Clark, “Einstein - the life and time”, pag. 101). Perché Einstein, con la sua formazione da impiegato dell’ufficio brevetti, non avvertì la necessità di citare testi di riferimento nel suo articolo sulla relatività speciale? Ci si aspetterebbe che egli, in quanto neofita, riporti tali testi in abbondanza, piuttosto che il contrario. Come mai un editore scientifico, di fronte ad un lungo manoscritto non accreditato, si attenne agli standard più elevati?Apparentemente quando lo scritto fu pubblicato sugli “Annalen der Physik” non vi fu alcuna iniziativa di controllo qualitativo; gli editori più competenti lo avrebbero respinto senza nemmeno prendersi la briga di leggerlo e, come minimo, sarebbe stato lecito aspettarsi che un editore svolgesse delle ricerche nella letteratura relativa, per accertarsi che la rivendicazione di primogenitura di Einstein fosse corretta.

Max Born nel 1956 affermava: “Il punto sorprendente è che esso non contiene un singolo riferimento ad opere precedenti”, indicando così l’evidente anomalia dell’assenza di riferimenti, e che ciò, per gli standard di inizio secolo, è assai peculiare, persino dilettantesco.

Einstein dunque imbrogliò le cose per evitare gli addebiti di plagio, che tuttavia erano chiare.

Ecco un appunto di Bjerknes (2002) circa il seguente brano di James MacKaye: “La spiegazione di Einstein è un mascheramento dimensionale di quella di Lorentz [...]. Quindi la teoria di Einstein non è la negazione o un’alternativa a quella di Lorentz; si tratta solamente di un suo duplicato di un suo mascheramento [...]. Einstein sostiene costantemente che la teoria di Lorentz è corretta, solo che si trova in disaccordo con la sua “interpretazione”. Non è chiaro, quindi, che in questo, come in altri casi, la teoria di Einstein è semplicemente un mascheramento di quella di Lorentz e che l’apparente disaccordo relativo all’“interpretazione”, si riduce soltanto ad una questione di termini?”.

Poincaré ha scritto 30 libri ed oltre 500 saggi di argomento filosofico, matematico e fisico; Einstein a sua volta scrisse sugli stessi argomenti, ma negò di aver mai letto i contributi di Poincaré alla fisica.

Tuttavia molti concetti di Poincaré - ad esempio che la velocità della luce è un limite e che la massa aumenta con la velocità - finirono nel saggio di Einstein del 1905, senza essere accreditati. Si tratta di concetti sballati in quanto la velocità della luce è una assurdità (vedi più avanti). Eppure sono finiti nel saggio di Einstein. 

L’azione di Einstein di saccheggiare quasi interamente l’opera di Lorentz e Poincaré per stilare il proprio scritto diede l’inizio al plagio; nell’era dell’informatica, questo genere di plagio non potrebbe mai essere protratto indefinitamente, tuttavia la comunità dei fisici non ha ancora voluto ristabilire la verità.

 

Ma - UDITE, UDITE - : in un suo documento del 1907 Einstein espone la seguente sua idea sul plagio: “Mi sembra che sia nella natura delle cose che quanto segue sia già stato parzialmente risolto da altri autori. Ciononostante, dato che in questa sede i temi in questione vengono affrontati secondo una prospettiva inedita, ho la facoltà di omettere una rassegna del tutto pedantesca della letteratura relativa [...]”. Dunque per Einstein rubare “secondo una prospettiva inedita” ciò che appartiene ad altri è lecito in quanto è “nella natura delle cose”. Sì: è nella natura di Gamba di legno o della Banda Bassotti! Dunque con questa affermazione, Einstein dichiarava che il plagio debitamente confezionato, costituisce un accettabile strumento di ricerca.

Plagiare significa: “rubare o sottrarre e quindi far passare per proprie idee, parole, produzioni artistiche, ecc., di altri” (cfr. il “Webster’s New International Dictionary of the English Language”, seconda edizione integrale, 1947, pag. 1878). Appunto ciò che ha esattamente fatto Einstein.

Riconoscere i dovuti crediti comprende due aspetti: tempismo e adeguatezza. Dire al mondo 30 anni dopo, che Lorentz fornì le basi della relatività speciale, non è tempestivo, né adeguato, né conferisce i crediti dovuti. Niente di ciò che Einstein scrisse “ex post facto”, cioè in modo retroattivo rispetto ai contributi di Lorentz, altera la fondamentale azione di plagio. Ed Einstein esponeva la reale natura del plagio nel suo saggio del 1935 intitolato “Derivazione elementare dell’equivalenza tra massa ed energia” nel quale scrisse: “Il quesito riguardante l’indipendenza di quelle relazioni è naturale in virtù della trasformazione di Lorentz, la reale base della relatività speciale”! Così Einstein giunse persino a riconoscere che la trasformazione di Lorentz, costituiva la vera base del suo saggio del 1905. Chiunque nutra dei dubbi sul fatto che egli fosse un ladro, dovrebbe porsi una semplice domanda: cosa conosceva Einstein e quando ne venne a conoscenza? Einstein l’ha passata liscia col plagio premeditato e non col plagio fortuito, che è onnipresente (Moody, 2001).

La storia di E=mc² è taciuta ma bisognerebbe conoscerla. Chi infatti si è accorto della materia che si trasforma in energia e viceversa? Tale idea  risale come minimo a Sir Isaac Newton (1704). Brown (1967) ha dichiarato quanto segue: gradualmente si fece strada la formula E=mc², avanzata senza dimostrazione generale nel 1900 da Poincaré; una cosa che siamo in grado di affermare con certezza, è che non fu Einstein a ricavare l’equazione E=mc².

Chi dunque ricavò quell’equazione?

Bjerkness (2002) ha proposto come possibile candidato S. Tolver Preston il quale “basandosi sulla formula E=mc², negli anni ’70 dell’Ottocento formulò l’energia atomica, la bomba atomica, e la superconduttività”.

Oltre a Preston, nella storia di E=mc² un altro dei personaggi principali che merita parte del credito è Olindo De Pretto (1904). Quello che rende il tempismo così sospetto, è il fatto che Einstein parlava correntemente l’italiano, riesaminava documenti redatti da fisici italiani ed il suo miglior amico, Michele Besso, era della Svizzera italiana; chiaramente Einstein, avrebbe avuto accesso alla letteratura, nonché la competenza per leggerla. In “Einstein’s E=mc² was Italian’s idea” (Carroll 1999), vi sono evidenti riscontri del fatto che, nei termini della formula attribuita ad Einstein, De Pretto si trovava più avanti di lui.

Nei termini della comprensione dell’ingente quantità di energia, che poteva essere rilasciata da un piccolo quantitativo di massa, a Preston (1875) si può riconoscere una conoscenza, anteriore alla nascita di Einstein; chiaramente Preston impiegava E=mc² nel proprio lavoro, in quanto il valore che determinò - cioè che un granello era in grado di sollevare un oggetto di 100.000 tonnellate sino ad un’altezza di tre chilometri - da’ l’equazione E=mc².

Secondo Ives (1952), la derivazione della formula E=mc² tentata da Einstein era fatalmente viziata, in quanto egli si propose di spiegare quello che aveva presunto; ciò assomiglia alla spensierata manipolazione delle equazioni derivate da Einstein per il decadimento radioattivo; risulta che egli miscelò meccanica e cinematica, e saltò fuori il neutrino. Il neutrino potrebbe essere una particella mitica creata accidentalmente da Einstein (Carezani 1999). Riguardo ai neutrini abbiamo una duplice scelta: o ce ne sono almeno 40 tipi diversi, oppure ce ne sono zero tipi. In questo ambito domina il rasoio di Occam.

L’eclisse del 1919 usato per la formula attribuita ad Einstein è la storia di un’altra bufala. Quanto accadde ai tropici il 29 Maggio 1919, rappresenta la definizione più chiara di frode scientifica; particolarmente evidente è che Eddington truccò i dati dell’eclisse solare, affinché i risultati si conformassero al lavoro di Einstein sulla relatività generale. Poor (1930), Brown (1967), Clark (1974) e McCausland (2001), si occupano tutti delle questioni inerenti a questa eclisse. Quello che rende sospette le spedizioni a Sobral e a Principe, è l’entusiastico appoggio di Eddington ad Einstein, come si evince dalla sua dichiarazione: “Sostenendo come prima cosa i test e verificando infine la teoria ‘avversa’, il nostro osservatorio nazionale ha mantenuto vive le migliori tradizioni scientifiche”. In questo caso appare evidente che Eddington non rispettò i fondamentali canoni scientifici, dato che il suo lavoro era quello di raccogliere dati, non di verificare le teorie di Einstein.

Ulteriori riscontri della frode si possono evincere dalle dichiarazioni dello stesso Eddington e dalla loro presentazione ad opera di Clark: “La giornata del 29 Maggio iniziò con una forte pioggia, che cessò soltanto intorno a mezzogiorno. Il gruppo riuscì a scorgere per la prima volta il sole soltanto dopo le 13,30, quando l’eclisse aveva già avuto inizio. Fummo costretti ad effettuare la programmata serie di fotografie sulla fiducia”. Eddington manifesta il suo reale preconcetto: era deciso a fare qualsiasi cosa affinché si dimostrasse che Einstein aveva ragione. Eddington, comunque, non era tipo da farsi scoraggiare: “Sembrava che nonostante gli sforzi, almeno per quanto riguardava Principe, la spedizione non sarebbe andata a buon fine [...] sviluppammo le fotografie, due ogni notte per le sei notti successive all’eclisse [...] La nuvolosità mandò all’aria i miei piani ed io fui costretto a trattare le misurazioni secondo modalità diverse da quelle che avevo previsto; di conseguenza non mi è stato possibile fare alcuna dichiarazione preliminare inerente ai risultati”.

In realtà le dichiarazioni di Eddington sono assai eloquenti sugli esiti; non appena scovò un brandello di prova, che fosse coerente con la teoria della relatività generale, immediatamente proclamò che dimostrava la teoria stessa. Questa è scienza?

Dove si trovavano gli astronomi quando Eddington presentò le sue scoperte? Vi fu qualcun altro che, oltre a lui, esaminò di fatto le lastre fotografiche? Poor lo fece, e respinse in toto le conclusioni di Eddington. QUESTO FATTO AVREBBE DOVUTO FAR ESITARE QUALSIASI SCIENZIATO DOTATO DI QUALCHE DEONTOLOGIA PROFESSIONALE.

Ecco alcune citazioni del resoconto di Poor: “La formula matematica, in base alla quale Einstein ha calcolato la sua deviazione di 1,75 secondi perché i raggi di luce oltrepassino il margine del sole, è una nota e semplice formula di ottica fisica [...].
Non uno solo dei concetti fondamentali relativi alla variabilità del tempo, o alla curvatura o torsione dello spazio, alla simultaneità, o alla relatività del moto, è in alcun modo implicato nella previsione o nelle formule di Einstein, inerenti alla deviazione della luce [...]. Alle molte ed elaborate spedizioni in occasione dell’eclisse, di conseguenza, è stata attribuita un’importanza fittizia; i risultati di tali iniziative non possono dimostrare né confutare la teoria della relatività (Poor, 1930).

Da Brown (1967) apprendiamo che Eddington, non vedeva l’ora di annunciare al mondo che la teoria della relatività era confermata e, in tale contesto, quello su cui Eddington si basava, era una prematura valutazione delle lastre fotografiche. Inizialmente le stelle “sembravano” curvarsi come avrebbero dovuto, come stabilito da Einstein, ma in seguito, secondo Brown, accadde l’inatteso: si osservarono molte stelle che si curvavano in una direzione trasversale rispetto a quella attesa ed altre ancora in direzione opposta a quella prevista dalla relatività.

L’assurdità dei dati raccolti durante l’eclisse del 1919, fu dimostrata da Poor (1930), il quale fece notare che l’85% dei dati dell’eclisse sudamericana fu scartato a causa di un “errore accidentale”, vale a dire che i dati contrastavano con la costante di scala di Einstein; per una strana coincidenza, il 15% dei dati “validi” era coerente con quest’ultima. In qualche modo le stelle che non si conformavano alle teorie di Einstein, furono convenientemente accantonate, ed il mito ebbe inizio.

Così SULLA BASE DI UNA MANCIATA DI AMBIGUI DATI, FURONO MESSI DA PARTE 200 ANNI DI TEORIE, SPERIMENTAZIONE ED OSSERVAZIONI, PER FARE SPAZIO AD EINSTEIN.

Non di meno lo screditato esperimento di Eddington, è ancora citato come vangelo da Stephen Hawking (1999); è difficile capire come quest’ultimo possa commentare che: “La nuova teoria dello spazio-tempo curvo fu denominata relatività generale… Fu confermata in modo spettacolare nel 1919, quando una spedizione britannica in Africa Occidentale, durante un’eclisse, osservò un lieve spostamento della posizione delle stelle prossime al sole. La loro luce, mentre oltrepassava il sole, era piegata, come previsto da Einstein. Qui vi era il riscontro diretto della curvatura di spazio-tempo”. Hawking è onestamente convinto che una manciata di dati, per giunta manipolati, costituisca la base per rovesciare un paradigma che era sopravvissuto ad oltre due secoli di minuziosi ed accurati esami? Se la risposta è affermativa significa che Hawking è un cretino.

La vera domanda, comunque, è: CHE PARTE EBBE EINSTEIN IN TUTTO QUESTO? All’epoca in cui scrisse il suo documento del 1935, egli doveva sicuramente essere venuto a conoscenza del lavoro di Poor, che tra l’altro scrisse: “Lo spostamento stellare di per sé, ammesso che sia reale, non mostra la minima attinenza con le deviazioni previste da Einstein: non concordano, né nella direzione, né nelle dimensioni o nel tasso di diminuzione della distanza dal sole”. Perché Einstein non espresse pubblicamente le proprie opinioni su un documento che contraddiceva direttamente il suo lavoro? Perché i suoi seguaci non hanno tentato di ristabilire la verità sui dati contraffatti del 1919?

Quello che rende tutto ciò così sospetto, è che entrambi gli strumenti e le condizioni fisiche non favorivano l’esecuzione di misurazioni di grande precisione. Come sottolineato in un articolo del “British Institute of Precise Physics”, pubblicato nel 2002 su Internet, le macchine fotografiche a calotta, utilizzate nelle spedizioni erano accurate solo per 1/25° di grado; ciò stava a significare che proprio in virtù della sola imprecisione dell’apparecchio fotografico, Eddington rilevava valori oltre 200 volte troppo precisi!

Nonostante nel 1919 le prove sperimentali sulla relatività fossero assai inconsistenti, l’enorme fama di Einstein si è preservata intatta, e da allora, la sua teoria è considerata una delle massime conquiste del pensiero umano.

È chiaro che Eddington, sin dall’inizio, non aveva alcun interesse a mettere alla prova la teoria della relatività, ma gli premeva unicamente confermarla.

La falsificazione dei dati operata da Eddington ed altri è un palese sovvertimento del procedimento scientifico, che ha fuorviato la ricerca scientifica per tutto il XX secolo. Probabilmente supera il caso dell’uomo di Piltdown come massima mistificazione della scienza degli ultimi 100 anni. Il “British Institute of Precise Physics” si è posto la seguente domanda: “Fu questa la mistificazione del secolo?” E non ha potuto rispondere che: “Il rapporto della Royal Society sulla relatività nell’eclisse del 1919 ha ingannato il mondo per 80 anni!”.

Non si sottolineerà mai a sufficienza che l’eclisse del 1919, rese Einstein quello che conosciamo; il fenomeno lo catapultò verso la fama internazionale, nonostante il fatto che i dati fossero falsificati e che non esistesse nessun tipo di supporto alla relatività generale. Questo travisamento della storia è noto da più di 80 anni ed è tuttora suffragato da individui come Stephen Hawking e David Levy.

Il pubblico tendenzialmente è convinto che gli scienziati siano fondamentalmente i paladini dell’etica, che il rigore scientifico costituisca il metro di giudizio della verità; in realtà le persone capiscono ben poco di come la scienza sia gestita al cospetto dei personaggi importanti.

Einstein era convinto di essere al di sopra del protocollo scientifico, spiegava le regole a suo piacimento; la sua flagrante e reiterata passione per il plagio è quasi dimenticata.

Quando queste cose verranno alla luce si parlerà davvero della luce, non di materia oscura...

 
Oggi la relatività è divenuta un’intoccabile pietra di paragone, utilizzata per mettere sotto processo qualsiasi altra teoria alternativa. Ma quali sono le ragioni che hanno determinato la supremazia quasi assoluta della teoria di Einstein nel mondo della fisica odierna? E fino a che punto tale supremazia è giustificata

La storia umana è spesso segnata da teorie dogmatiche e omnicomprensive che vogliono controllare vaste aree del sapere, e che finiscono solo col frenare il progresso e mettere in ombra l’universalità del pensare.

Il sistema aristotelico tolemaico fu una di queste teorie. Nonostante fosse fondata sul falso postulato che poneva la Terra al centro dell’universo, divenne nei secoli un’inattaccabile cattedrale ideologica. Questo perché il tortuoso apparato matematico della teoria, modellato a forza sui dati sperimentali, riusciva a prevedere, e addirittura con ottima approssimazione, tutti i moti celesti allora conosciuti.

Giudicando col senno di poi, è chiaro che si trattava di una teoria sbagliata, in quanto basata su di un principio sbagliato. Ma nonostante ciò, funzionava. E dal momento che qualsiasi tipo di osservazione astronomica accurata, quindi in grado di mettere in crisi il postulato geocentrico, rimase per lungo tempo al di là della portata dei mezzi d’indagine disponibili, l’idea di un pianeta Terra felicemente posto al centro dell’universo dominò incontrastata per parecchi secoli.

Il dubbio che le cose non stessero proprio così si manifestò tuttavia in isolati pensatori. La prima ipotesi eliocentrica risale addirittura a tre secoli prima di Cristo, frutto del filosofo e matematico greco Aristarco di Samo. Costui riuscì ad arrivare al modello eliocentrico per pura intuizione, data la pressoché inesistente risorsa tecnologica del suo tempo.

Ciò non deve stupire più di tanto, dato che Aristarco di Samo fu anche il primo a misurare le distanze della Luna e del Sole dalla Terra, nonché ad attribuire correttamente la causa dell’alternanza delle stagioni all’inclinazione dell’asse terrestre.

Purtroppo proprio la sua idea più geniale, il modello eliocentrico appunto, non riscosse il favore che avrebbe meritato. Tutto ciò che Aristarco ricavò da essa fu una condanna per empietà e corruzione della gioventù, per averla concepita ed insegnata. È probabile che alcuni in seguito abbiano nuovamente accarezzato la sua idea eliocentrica. Ma per lungo tempo nessuno ebbe più il coraggio di professarla pubblicamente. Pertanto essa rimase per quasi duemila anni una verità nascosta, un’idea giudicata dalla scienza ufficiale come troppo blasfema e rivoluzionaria per essere presa in considerazione: l’idea di abitare in un pianeta al centro dell’universo e di costituirne l’unica specie intelligente era troppo perfetta per essere accantonata in nome di un punto di vista più razionale, ma decisamente meno appagante.

Ci vollero secoli di battaglie scientifiche, combattute da uomini intellettualmente isolati e guardati con sospetto dalle autorità ecclesiastiche e dalla comunità, per dimostrare che la “folle” intuizione di un uomo dell’antica Grecia era vera, e che il Sole non girava affatto attorno alla Terra. A dimostrazione del fatto che a volte le apparenze ingannano. Ma il cambiamento non fu né facile, né indolore. Copernico e Keplero, i principali fautori del modello eliocentrico, furono inizialmente isolati e derisi.

Galileo, il più autorevole sostenitore della teoria in Italia, proprio per aver fortemente appoggiato l’ipotesi copernicana basandosi sulle sue osservazioni al telescopio del moto dei satelliti maggiori di Giove e delle fasi di Venere, fu notoriamente accusato dalla Chiesa Cattolica di eresia e costretto a sconfessare le proprie idee con una celebre “abiura”, cui seguirono gli arresti domiciliari a vita - condanna per la quale la Chiesa ha chiesto pubblica ammenda solo pochi anni fa.

Anche i nostri tempi, proiettati ormai nel terzo millennio e tanto intrisi di scienza e tecnologia, sono dominati da una possente ed omnicomprensiva cattedrale di demenza: la teoria della relatività di Einstein.

Nel 2005, la teoria della relatività di Einstein ha compiuto il suo primo secolo di vita. Nata per risolvere i problemi posti dall’elettrodinamica di Maxwell, la relatività conquistò molto presto un ruolo predominante nel mondo della fisica, paragonabile solo a quello occupato in precedenza dalla dinamica newtoniana. Ciò avveniva nonostante il fatto che per lungo tempo il credito conferito alla teoria sia basato essenzialmente sulla fiducia, dato che la verifica dei singolari effetti previsti da Einstein era del tutto al di là della portata dei mezzi d’indagine disponibili.

Non va altresì dimenticato che agli inizi del ‘900, non esisteva né la radio né l’aviazione, e si discuteva ancora sull’esistenza degli atomi.

Oggi lo scenario scientifico è decisamente cambiato. E recenti esperimenti in cui la luce è stata rallentata sino ad essere addirittura fermata - risultato conseguito contemporaneamente dallo Harward-Smithsonian Center for Astrophysics e dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Harward - o di quelli in cui al contrario la luce è stata fatta viaggiare più veloce del limite imposto da Einstein - Istituto di ricerca sulle onde elettromagnetiche del CNR di Firenze e Istituto di ricerca NEC di Princeton.

E allora come la mettiamo? La posta in gioco è alta. Nel caso la falsità del postulato della luce venisse definitivamente confermata, si tratterebbe dell’abbandono della relatività “in toto”, dal momento che, come dichiarò Einstein stesso, l’intera teoria della relatività poggia sul postulato della COSTANZA della luce, venendo meno il quale, essa crolla come un castello di carte.

Forse proprio per questo motivo, una delle principali occupazioni dei fisici teorici di oggi, sembra essere quella di trovare continui escamotages teorici che giustifichino le sempre più frequenti trasgressioni sperimentali al postulato della luce, rendendo inevitabile il parallelo con l’affannoso tentativo degli uomini di scienza del passato di tamponare le incongruità tra i moti dei pianeti ed il modello Aristotelico-Tolemaico.

Ovviamente non è facile analizzare in un articolo divulgativo una teoria che in passato si diceva compresa da tre persone soltanto al mondo, Einstein incluso, ovviamente, e che a tutt’oggi è digerita a fatica da buona parte degli studenti dei corsi di fisica, e spesso inconfessabilmente incompresa persino dai loro docenti.

I sostenitori della relatività affermano che, proprio a causa delle complesse implicazioni del MODELLO fisico-matematico alla base della teoria, sia praticamente impossibile per un profano riuscire a farsene un’idea seppur approssimativa e men che meno un’opinione critica corrente.

A me invece pare che proprio nessuno possa davvero sostenere che la teoria della relatività di Einstein possa stare in piedi. COME PUÒ UN ASSOLUTO FARE DA BASE A UN RELATIVO O VICEVERSA?

CIÒ CHE PIÙ CONTA IN UNA TEORIA, NON DOVREBBERO ESSERE I MODELLI MATEMATICI (che sono mere rappresentazioni, cioè concetti individualizzati), MA I CONCETTI CHE STANNO ALLA BASE DI TALI RAPPRESENTAZIONI dette MODELLI”.

Il linguaggio matematico, dal più semplice algoritmo al più complesso sistema di equazioni, è indubbiamente un buon strumento per qualificare concetti che comportino relazioni precise e complesse. Ma proprio in quanto linguaggio, esso è criticabile solo formalmente. Cioè eleganza e correttezza formale di un modello matematico non garantiscono che esso corrisponda necessariamente alla realtà, esattamente come una frase grammaticalmente ineccepibile, non esprime necessariamente un vero contenuto concettuale.

Solamente un’idea può essere compresa, e di conseguenza accettata o rifiutata. La relatività speciale comporta problemi, nonché i fatti sperimentali che oggi sembrano falsificarla.

La seguente analisi della bufala della relatività speciale, cioè di quella parte storicamente più antica della teoria attribuita ad Einstein che, sulla base del dogma einsteiniano sulla costanza della luce, si traduce poi nella bufala della relatività generale. In altre parole, la relatività speciale costituisce a tutti gli effetti il fondamento dell’intero edificio teorico di Einstein, senza il quale, anche la Generale non ha più ragione di esistere, almeno nella forma oggi conosciuta.

Si osservi il suono e anche da questo punto di vista, risulterà che quella di Einstein si rivela una teoria fallace tanto nelle premesse quanto nelle verifiche sperimentali.

Come tutti sanno, il suono è una perturbazione ondulatoria che si trasmette per mezzo di onde longitudinali attraverso un mezzo elastico, per compressione e rarefazione del mezzo. Nell’aria il suono si trasmette alla velocità di circa 340 m/s (nell’acqua a circa 1500 m/s e nei metalli a velocità fino a 17 volte maggiori). Già nella prima metà del XVII secolo, von Guerick, aveva dimostrato che il suono necessita di un mezzo per propagarsi, e quindi nel vuoto non si propaga, e Marsenne ne aveva misurato per primo la velocità di propagazione nell’aria (ottenendo un dato ancora approssimativo). Invece i fisici di fine Ottocento, appurata la natura elettromagnetica della luce erano pronti a scommettere che anch’essa, come il suono, si propagasse attraverso un mezzo, da essi battezzato “etere”, in onore al pensiero di Aristotele. Oltre ai quattro elementi fondamentali teorizzati da Empedocle, la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco, Aristotele postulò l’esistenza di un quinto elemento, da lui chiamato “etere”, incomposto, ingenerato, eterno e inalterabile, invisibile e privo di peso, che avrebbe permeato l’intero universo, oltre a costituire il principale ingrediente dei corpi celesti.

L’etere dovrebbe quindi permeare l’intero universo, dal momento che persino la luce delle stelle più lontane, è in grado di giungere fino a noi.

Altra analogia tra suono e luce, sempre secondo la scienza di fine Ottocento, riguardava il cosiddetto effetto Doppler, consistente nel fenomeno di cui tutti abbiamo esperienza: il suono emesso da una sorgente in movimento, ad esempio la sirena di un’ambulanza o il rombo di un’automobile da corsa, è percepito con un’intonazione più alta quando si avvicina, e più bassa quando si allontana. Il primo a dimostrare e spiegare tale effetto, fu Christian Doppler nel 1842, con un celebre esperimento che utilizzava musicisti a bordo di un treno in moto, la cui intonazione era valutata da osservatori in quiete. La spiegazione di tale effetto contenuta nei testi di fisica, è apparentemente semplice: quando una sorgente sonora si avvicina a noi, la sua velocità si sottrae a quella del suono, dando luogo ad una compressione delle onde sonore (innalzamento della frequenza e quindi del tono del messaggio sonoro); quando invece si allontana da noi, la sua velocità si somma a quella del suono, dando luogo ad una dilatazione delle onde sonore (abbassamento della frequenza d’ascolto e quindi del tono del messaggio sonoro).

I fisici pre-relativisti, pensavano che anche la luce si comportasse in modo analogo al suono, e quindi utilizzarono la medesima equazione per descrivere entrambi gli effetti.

 

Però sbagliarono, perché un simile pensare presuppone che la luce sia quello che non è, cioè qualcosa di materiale o di meccanico come il suono… Se le cose fossero davvero così, perché mai non dovremmo pretendere di udire le onde della luce con le orecchie come quando udiamo un rock? Così non è. La luce fa aprire gli occhi ma gli occhi non vedono la luce. Perché la luce NON è materia. Io posso solo vedere cose illuminate dalla luce, non la luce. Se entro in una stanza buia per cercare qualcosa, per trovarla devo per forza accendere la luce. Se dopo avere visto la cosa che cercavo, mi salta in mente di vedere anche la luce, cosa faccio? Accendo un’altra luce? No, perché la luce, mentre illumina le cose, illumina anche se stessa. Ma non si muove. Non viene verso il mio occhio. Il mio occhio è in essa e io vedo le cose. Non c’è alcuno scorrere della luce dalla lampada a me. Se ci fosse non direi “accendo la luce” o “accendo l’interruttore della luce” ma “apro la luce” o “apro il rubinetto della luce”, come quando faccio SCORRERE l’acqua.

 

Il relativista dirà che queste considerazioni linguistiche non sono scientifiche o che provengono da un pazzo. Ebbene io preferisco questa pazzia che mi fa percepire la realtà del cielo stellato a quella che me la nega, in nome della congettura - questa, sì, mancante di positività scientifica - della presunta morte di tale cielo stellato a causa dell’ingente quantità numerica di “anni luce” che esso impiegherebbe per arrivare fino al mio occhio come immagine luminosa. A proposito di positività scientifica, faccio notare che il metodo della scienza naturale è identico a quello della scienza dello spirito a carattere antroposofico. Per esempio il libro di Steiner che ne costituisce la base, intitolato “La filosofia della libertà”, recava come sottotitolo: “Risultati di osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali”. Dunque in senso scientifico “pazzia” dovrebbe invece essere ritenuta una fede o il credere ingiustificati che la luce sia fatta di materia, ed oltretutto di materia in movimento.

 

Cosa è la luce?

 

La luce è un’entità sovrasensibile, IMMATERIALE, che entra nel sensibile, nella materia, dove diventa percepibile.

 

La scienza della cosiddetta velocità della luce è NESCIENZA, perché manca, appunto, di indagine positiva. Infatti le forme di quel movimento attribuite alla luce NON sono luce: ciò che con esse è trasmesso non è altro che il VEICOLO di quanto è creduto luce. Ma la luce - occorre sperimentarlo in sé - è immateriale. Ripeto: anche se si manifesta tramite la materia, la luce è IMMATERIALE. LA MATERIA (nel caso della luce: la materia più sottile, cioè l’atmosfera) È INFATTI SEMPRE PRIVA DI LUCE. LA MATERIA È, ANZI, SOLAMENTE REALE PORTATRICE DELL’OSCURITÀ. Modificandosi, grazie alla luce, si può solo dire che la materia è mossa. Questo è scientifico. Ma la luce è onnipresente in quanto immateriale. Ed è colta come luce sotto forma di movimento dal soggetto che l’accoglie da una determinata fonte. Ma è parvenza: mera parvenza. Sembra che luce si propaghi. Ma non è così. La luce è un’entità onnipresente ed extrasensibile, posta al di là del sensibile, appunto, al di là della materia, e che solo l’elemento interiore del percepire può cogliere. Si immagini un’astronave: risplende e viaggia nell’oscurità dello spazio. Posso forse dire che la luce si muove con l’astronave? No. Posso solo dire che la luce è presente in ogni punto dello spazio e perciò è RIFLESSA dall’astronave in movimento. In verità la luce non ha bisogno di muoversi, PERCHÉ È. La luce è. Punto e basta (si veda in proposito M. Scaligero, “Il pensiero come antimateria”).

Al sedicente scienziato della velocità della luce occorre una coscienza più rigorosa circa la funzione del pensare nel percepire. Senza questa coscienza la materia (compresa la materia che egli attribuisce alla luce che poi crede di misurare come velocità) diventa per lui un mito, una fede, che è il segno della sua incapacità di penetrarla.

Ma facciamo pur finta di credere al relativista. La relatività speciale o ristretta, nasce come risposta ai problemi posti dalle “scoperte” nel campo dell’elettrodinamica, avvenute verso la fine dell’Ottocento. Dopo che Maxwell aveva “chiarito” (si fa per dire) la natura ondulatoria della luce, assimilandola alla famiglia delle onde elettromagnetiche, l’idea che l’intero universo fosse permeato da una sostanza impalpabile, l’ETERE, attraverso la quale le onde luminose si propagavano, pose il problema di definire la caratteristiche fisiche di tale mezzo. Ma prima ancora, comportò la necessità di dimostrarne l’esistenza.

Proprio per rilevare la presenza dell’ETERE, nel 1887 il fisico Albert Abraham Michelson, in collaborazione con Edward Williams Morley, condusse un ingegnoso esperimento.

L’idea era semplice: il fatto che la Terra orbiti intorno al Sole alla velocità di circa 30 Km/s, supponendo l’etere come stazionario rispetto al Sole, avrebbe dovuto comportare una differenza tra la velocità della luce nella direzione del “vento d’etere” e la sua velocità con “vento d’etere” contrario. Tale supposta differenza nella propagazione della luce sulla Terra è detta anisotropia, ma è chiaro che già qui si presuppone una materialità dell’etere che non esiste. Per accorgersi della forza eterica occorre il pensare non il misurare. Se ho di fronte a me un uomo vivo e un uomo morto vedo la differenza delle due “cose” percepibili ma non vedo la materia di tale differenza. Solo nella “cosa” morta ho a che fare con un reale corpo fisico, nel quale è già iniziato il disfacimento che porta poi alla putrefazione. Invece nel vivente non vi è solo un corpo fisico ma anche una vitalità che lotta continuamente contro tale disgregazione. Chiamo eterica quella forza coesiva che plasma sostanzialmente la forma della “cosa” viva, cioè dell’uomo vivo. Però non posso dire che quella forza si veda. Posso vederla sovrasensibilmente in quanto eterea, o eterica appunto. Alcuni scienziati come Maria Goeppert Mayer, Jensen, e Wigner, volendo misurarla come forza coesiva del nucleo atomico, l’hanno chiamata “magica” individuando “numeri magici” (cfr.: “Sulla fisica magica e oscura”; http://digilander.libero.it/VNereo/sulla-fisica-magica-e-oscura.htm). Altri scienziati come il russo Vadim Nikolaevich Tsytovich hanno chiamato questa vitalità “corpo bioplasmatico”. Un secolo fu chiamata “corpo vitale” o “corpo eterico” da Rudolf Steiner.

Ebbene per misurare l’etere cosmico Michelson (altro genio!) si inventò il cosiddetto interferometro, cioè un gioco di specchi in cui, tramite specchi semiriflettenti, un raggio di luce monocromatica viene sdoppiato, costretto a percorrere identiche lunghezze lungo due bracci perpendicolari, e infine nuovamente ricomposto, dopo aver quindi compiuto identici percorsi di “andata e ritorno”, ma perpendicolari tra loro.

In base ai principi dell’elettrodinamica di Maxwell, in presenza di “vento d’etere” (?!) la luce non avrebbe viaggiato (?!) alla stessa velocità nei due bracci dell’interferometro (con il braccio principale opportunamente orientato nella direzione del supposto moto attraverso l’etere), dando perciò luogo a frange d’interferenza osservabili (?!) nel raggio risultante finale (A. A. Michelson e E. W. Morley, “On the Relative Motion of the Earth and the Luminiferous Ether”, Am. Journal of Science (3rd series) 34 333-345, 1887).

L’esperimento ovviamente fallì portando ad un risultato nullo con evidente distorsione dei fatti. Tuttavia contribuì nel 1907 a conferire allo statunitense Michelson il suo bel Nobel (sic!) facendolo diventare uno dei fisici più celebri del mondo, dato che, proprio grazie al fatto che tale distorsione contribuì in modo determinante all’affermazione della relatività (oggi l’erronea versione del “risultato nullo” del suo esperimento è citata in quasi tutti i testi che si occupano di relatività speciale).

Ad ogni modo, per la cronaca, Michelson continuò per il resto della sua vita a credere fermamente nell’etere, e a condurre nuovi esperimenti per tentare di dimostrarne l’esistenza in modo inconfutabile.

Ciò che sfugge a questi caproni del materialismo dialettico è che l’etere non è qualcosa da credere bensì da percepire sovrasensibilmente mediante intuizione veggente. E ciò è possibile a tutti coloro che incominciano a rendersi conto che la parola “io” non è vuota di contenuto in quanto sovrastruttura della materia, bensì è piena di contenuto immateriale e ciò nonostante massimamente percepibile...

In ogni caso da questo momento in poi la scienza diventa alienazione e/o cecità volontaria.

Negli anni seguenti all’esperimento del 1887, il fisico irlandese George Fitzgerald, e indipendentemente il fisico dei Paesi Bassi, Hendrik Lorentz, avanzarono l’ipotesi di una contrazione della materia dovuta al moto attraverso l’etere, in grado di accorciare il braccio dell’interferometro nella direzione del moto ed equalizzare così i due percorsi perpendicolari della luce, spiegando il risultato nullo - in sostanza, secondo tale interpretazione il braccio in cui la luce viaggia più veloce, risulterebbe accorciato, rendendo il tempo allungato (per via della velocità più bassa della luce) di tale viaggio identico a quello avente luogo nell’altro braccio, in cui la luce viaggia più veloce. Scemenze su scemenze: tempo allungato, percorso perpendicolare della luce, viaggio della luce (sic!)…

Lorentz elaborò poi una completa teoria sull’elettrodinamica dei corpi in movimento basata ovviamente sull’esistenza dell’etere e del suo effetto di contrazione delle lunghezze, dette poi “contrazione di Lorentz”. Pubblicò tale teoria nel 1904, in un articolo intitolato “Fenomeni elettromagnetici in un sistema in moto a qualsiasi velocità inferiore a quella della luce”, che conteneva un gruppo di trasformazioni di coordinate riviste in base ai suoi principi e in grado di lasciare invariata l’equazione di propagazione della luce, dette poi “trasformazioni di Lorentz”.

Da queste idiozie nasce poi la mega idiozia di Einstein, il quale da anonimo impiegato all’ufficio brevetti di Berna, con tre articoli del 1905 pubblicati sugli “Annelen der Phisyk” sarebbe diventato il genio dei geni della storia della fisica. Uno di questi articoli, intitolato, appunto: “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, proponeva una teoria straordinariamente simile a quella di Lorentz, giungendo ad equazioni identiche, nonostante fossero anch’esse idee idiote come quella della velocità della luce e della contrazione delle lunghezze (effetto doppler del suono proiettato patologicamente sulla luce).

In Einstein, ovviamente, l’ipotesi dell’etere era abbandonata, in favore di due semplici postulati. Il primo del tutto scontato in quanto già sostenuto da Galileo, secondo il quale ogni moto inerziale (non accelerato) è relativo. Il secondo imponeva che la velocità della luce nel vuoto fosse costante per qualsiasi osservatore inerziale. DAVA però PER SCONTATA UNA VELOCITÀ DELLA LUCE CHE NON PUÒ ESISTERE, DATO CHE LA LUCE, ripeto, NON È MOVIMENTO (cfr. R. Steiner, “Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe. Per una fondazione della scienza dello spirito - Antroposofia”, Ed. Antroposofica, Milano 2008, p. 246).

Al tempo di Einstein e di Steiner era molto dibattuta la questione se alla base dei fenomeni della luce, del calore, dell’elettricità, ecc. vi fosse o non vi fosse solo movimento nell’etere. Ed Hertz aveva appunto mostrato come la propagazione delle azioni elettriche nello spazio soggiacesse alle stesse leggi della propagazione delle azioni luminose. Da ciò si poteva arguire che anche alla base dell’elettricità vi fossero onde simili a quelle portatrici della luce: “Finora si è pure presunto che nello spettro solare sia attiva solo una specie di movimento oscillatorio, il quale, a seconda che cade su reagenti sensibili al calore, alla luce, o, ad azioni chimiche fa sì che si producano effetti di calore, luce, sensibilità chimica ecc.” (ibid., p. 247). Questa era però un’ovvietà senza alcun valore per Steiner: “se si investiga che cosa avviene nell’estensione spaziale mentre sono trasmesse le entità in questione, si deve arrivare a un movimento unitario. Poiché in un mezzo, in cui è possibile SOLTANTO il movimento, tutto deve reagire col movimento; e compirà mediante movimenti anche tutte le trasmissioni a cui è chiamato. Se poi io investigo però le forme di quel movimento, non apprendo CHE COSA sia la cosa trasmessa, bensì in che modo essa mi sia trasmessa. Ma È SEMPLICEMENTE ASSURDO DIRE CHE IL CALORE O LA LUCE SIANO MOVIMENTO. Movimento è soltanto la reazione alla luce della materia suscettibile di movimento” (ibid.).

Ebbene il punto di vista assurdo dei credenti nella velocità della luce fu pian piano accettato dal mondo: la velocità della luce era trattata come una costante assoluta anche se la scienza aveva combattuto secoli per liberarsi dall’idea di una quiete assoluta della Terra, insita nel dogma Aristotelico-Tolemaico.

Ora si ritrovava a dover fronteggiare un nuovo dogma altrettanto imbarazzante, quello della costanza universale della velocità della luce.

Molti fisici videro nella teoria di Einstein un rifacimento della teoria di Lorentz, con l’aggiunta di un postulato folle, quello della luce.

Einstein, da parte sua, sostenne sempre di non essere stato a conoscenza del lavoro di Lorentz e di Michelson al momento della stesura della sua teoria. E in effetti la relatività speciale è l’unico articolo nella storia della letteratura scientifica moderna a non contenere alcuna citazione di lavori o ricerche altrui, per quanto non sembri affatto il lavoro di una mente isolata, ma piuttosto di una mente alterata o sognante.

Ebbene la relatività acquistò grande fama e consensi in un tempo relativamente breve, specialmente negli Stati Uniti. Tanto che, a pochi anni soltanto dalla pubblicazione della teoria, tutti gli scienziati le cui idee erano state copiate da Einstein venivano già considerati tutt’al più suoi precursori, e molti di questi furono premiati (o sarebbe il caso di dire messi a tacere) proprio per aver contribuito all’affermazione della relatività speciale. Emblematico fu il caso di Lorentz, del quale si scrisse, e si scrive tuttora, che aveva già formulato le equazioni della relatività speciale prima di Einstein, senza però riuscire a capirne appieno il significato! In tal modo dunque fu lastricata la strada maestra poi percorsa da Einstein, rendendo il percorso più agevole a quest’ultimo.

Intorno al 1916, ormai celebre ed affermato in tutto il mondo, Einstein pubblicò la relatività Generale, ovvero quella parte della Teoria che estende gli effetti della relatività Ristretta ai campi gravitazionali. La follia einsteiniana dilaga, e la generalizzazione è ottenuta per mezzo di una nuova idea, questa volta basata sull’esperienza, il cosiddetto principio di equivalenza, che stabilisce l’indistinguibilità tra accelerazione inerziale ed accelerazione gravitazionale, e da cui consegue l’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale. Tale principio sancisce in sostanza l’impossibilità per un osservatore di poter distinguere tra gli effetti di un’accelerazione costante causata dalla spinta di un motore (o da un moto rotatorio uniforme), e gli effetti causati dall’accelerazione costante data da una forza gravitazionale: in entrambi i casi egli è spinto in una direzione da una forza costante.

La confusione della follia aumenta progressivamente: il “principio di equivalenza” stabilisce, allo stesso modo, l’indistinguibilità tra uno stato di imponderabilità - assenza apparente di gravità - dovuto ad una caduta libera in un campo gravitazionale, quale quella eccezionalmente sperimentata dagli astronauti in orbita intorno alla Terra, e uno stato di reale assenza di forze gravitazionali, di fatto inesistente. L’uomo orbitante attorno a un pianeta è infatti un’eccezione rispetto alla vita reale dell’uomo, dato che nel suo quotidiano (vita reale) sperimenta la normale direzione centripeta di sé secondo la direzione gravitazionale terrestre, non la combinazione di questa con un’altra direzione il cui moto è rettilineo ma simultaneamente anche curvilineo, data la forma sferica del pianeta.

Questo però non significa che lo spazio sia curvo ma semplicemente che nell’infinitamente grande come nell’infinitamente piccolo gli opposti coincidono. Lo spazio non è né curvo né non curvo. Curvo o non curvo sono qualità di oggetti che sono nello spazio, non qualità dello spazio in sé. Lo spazio è immateriale. Perciò si può parlare dello spazio interno di un sasso. La realtà di tale spazio interno non è il suo vuoto riempito di una determinata materia, bensì il suo rispondere a una percezione ideale, che la fisica non sa di avere come percezione ideale. Perciò con la stessa stravaganza con cui si può dire che lo spazio è curvo si potrebbe dire che il cerchio è un poligono di 360 lati. Però in tal modo si confonderebbero i “gradi” coi “lati”, rispettivamente “angolari” e “rettilinei”. Ciò che è angolo non può però essere anche retta. Oppure può esserlo solo con un’immaginazione non conforme a dati percepibili ma a dati congetturati o favoleggiati. Dunque occorre una diversa logica per affermare il principio di equivalenza fra imponderabilità e ponderabilità.

Il principio di equivalenza di Einstein è quindi la sua necessità dogmatica per mascherare di logica ciò che logico non è, dato che si tratta di equiparare due forze opposte: quella centripeta della gravità, e quella centrifuga del moto rotatorio costante dell’accennato orbitare, e in ultima analisi per ricondurre quest’ultimo ad una velocità di rotazione costante, alla quale siano applicabili gli effetti della relatività speciale. Questa operazione è insensata, perché si tratta di due forze opposte: un uomo in sella ad una bicicletta e coi piedi sui pedali cade se non pedala, in quanto il pedalare si oppone alla forza di gravità e al cadere. Dire che la gravità che fa cadere e il pedalare che non fa cadere si equivalgono significa tener conto del concetto astratto di forza (o di energia) sena considerare la realtà: l’energia gravitazionale proviene della Terra, l’energia del pedalare proviene dall’essere umano. Dire che sono equivalenti per il fatto che hanno in comune l’energia è un errore simile a quello di dire che il bianco equivale al nero perché sono colori, o che una mela equivale a una pera perché sono frutti.

Perciò il principio di equivalenza di Einstein non può essere dimostrato con la logica di Euclide, o di Pitagora, o della normale geometria terrestre.

Ecco perché in tale contesto Einstein utilizza una geometria non euclidea derivata dalle idee di Gauss, Riemann e Minkowsky.

Così, per formalizzare matematicamente la curvatura dello spazio-tempo instaurata da un campo gravitazionale, si serve di enti matematici chiamati “tensori”, in grado di definire deformazioni di una realtà multidimensionale.

Poiché però nessuno nota che la geometria non euclidea comporta l’alienazione della logica euclidea, avviene che l’antilogica entri sempre più “scientificamente” nella coscienza dello scienziato postmoderno.

La scienza cosmologica di oggi si basa infatti su due pilastri demenziali, la Teoria della relatività Generale di Einstein e la Legge di Hubble. Quest’ultima, ricavata in base a osservazioni fatte con telescopi, stabilisce che quanto più distante una galassia si trova da noi, tanto più grande sarebbe la sua velocità di allontanamento. Secondo tale scienza cosmologica lo spazio dell’Universo potrebbe essere tanto infinito quanto finito. In questo secondo caso, sarebbe illimitato: nel senso che lo si potrebbe percorrere in tutte le direzioni senza incontrare barriere.

E qui la demenza straborda nel linguaggio, dato che secondo la scienza (che io chiamo “scienziaggine”) non vi sarebbe più l’universo ma il MULTIVERSO, la cui esigenza ideologica nasce da multi-teorie bis-logiche, cioè bislacche, che prevedono la nascita di nuovi Universi nel processo di formazione dei buchi neri multi-massicci o super-massicci al centro delle galassie.

Per spiegare l’origine dell’espansione del mondo, la scienziaggine “contempla” altresì l’urto tra due o più universi! In tal caso, anziché di “Big Bang” arriva a parlare della teoria del “Big Splat”, il grande scontro! Manca la teoria del “Ciumpa, ciumpa” o quella del “Bunga bunga”, ma presto, con i “dovuti” Nobel si arriverà anche a quelle…

Sono comunque non pochi gli scienziati che sapevano con certezza (Ettore Majorana compreso) e sanno che la correttezza della relatività speciale poggiava e poggia su convinzioni e non su fatti provati, e che la relatività Generale non poteva e non può reggere a un’analisi critica.

Bibliografia essenziale:
- Richard Moody Jr. in “Nexus new time”, Ed. It. n° 52; Daniele Russo in “Nexus new time”, Ed. It. n° 68 (http://cosmosdream.it/cosmos/archives/3448).

- Lucio Russo, “Amor che ne la mente mi ragiona. Uno studio de la filosofia della libertà di Rudolf Steiner” (2013).
- Rudolf Steiner, “Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe”, Ed. Antroposofica, Milano 2008, p. 246.
- Massimo Scaligero, “Il pensiero come antimateria”, Ed. Perseo, Roma 1978.
. Massimo Scaligero, “Segreti dello spazio e del tempo”, Ed. Tilopa, Roma 1985.