Nereo Villa
LE SCOMODE VERITÀ DELLA RELATIVITÀ
La
relatività di Albert Einstein (1879-1955) non è una scoperta ma un’invenzione
parassitaria per parassiti, falsamente dichiarata poggiante su
risultati sperimentali. Questo parassitismo “culturale” è una specie di moda
che, un poco alla volta, è stata IMPOSTA agli ambienti “scientifici” della
scuola dell’obbligo, usando tecniche di pressione e di ricatto profondamente
disoneste. Vi sono state, infatti, minacce di esclusione dal posto
di lavoro e del blocco della carriera accademica per coloro che non vollero
sottomettersi. Ancora oggi chi non accetta Einstein come indiscutibile
paradigma di intelligenza è destinato a fare la fine di Louis Essen (1905-1997)
che negli anni Settanta del secolo passato criticò la relatività speciale, cioè
i fondamenti della teoria einsteiniana della relatività (vedi più avanti a proposito del sistema GPS
o Global Positioning
System).
La figura e l’opera di Einstein costituiscono di fatto la maggiore
mistificazione di tutti i tempi, dato che Einstein non fu uno scienziato ma un
attivista politico, issato come scienziato ad altezze inusitate mediante
l’argano della propaganda, e lì mantenuto per ragioni che di “scientifico” hanno
ben poco.
Con Einstein nasce in effetti un gioco di specchi demenziale in cui la
luciferina vanità umana inciampa, cade, e non si solleva, dato che perfino oggi
il web è pieno di einsteiniani, capaci di “dimostrare” tutto e il contrario di
tutto, massimamente tronfi di avere compreso, e quindi di possedere, la
genialità di Einstein.
In realtà non c’è al mondo nessuno che possa seriamente accettare ciò che
comporterebbe l’accettazione della teoria einsteiniana (per esempio che NON
esistano: i colori, il cielo stellato, il profumo di un fiore, ecc.).
Perfino l’ordigno termonucleare, tragicamente reale, spesso citato da costoro
come prova empirica della validità dell’einsteinismo, è spiegato al contrario di
come stanno invece le cose, dato che l’assoluta - e quindi non relativa -
esplosione della bomba atomica, ben difficilmente avrebbe potuto attuarsi in
base ai “fatti” fantasmagorici quali sono i coacervi algebrici einsteiniani
“relativistici”.
Una volta elevato sul piedistallo della gloria con l’argano della pubblicità,
Einstein divenne uno strumento efficientissimo di coloro che, dotati di ingenti
mezzi, tale pubblicità manovrarono.
Da allora in poi la sua opera fu esclusivamente politica.
Fin dall’inizio egli fu
vicino a organizzazioni di estrema sinistra. Nel 1923 fu uno dei membri
fondatori della Società degli amici della Russia bolscevica. Non cambiò
neanche dopo aver abbandonato nel 1933 la Germania per sbarcare (era d’obbligo) negli
Stati Uniti. Ma da pacifista che era, divenne un militarista ugualmente zelante.
Forse l’unico epiteto rispondente a verità che gli sia stato associato è quello
di “padre della bomba atomica”: in senso non tecnico o scientifico ma militare,
essendo stato Einstein uno degli animatori principali del “progetto Manhattan”
per lo sviluppo di quell’ordigno che avrebbe dovuto essere utilizzato non solo
contro il Giappone ma anche contro l’Europa se l’occasione si fosse presentata.
Dopo il 1945 ridivenne pacifista e fu alla testa di una “crociata” per la
creazione di un governo mondiale guidato da Stati Uniti, Inghilterra e Unione
Sovietica. Frutto delle sue ultime attività fu la stesura del manifesto Russell-Einstein, la
cosiddetta “Bibbia della società Pugwash”
(sui misfatti di Bertrand Russell e sul genocidio vedi: “Genocidio ONU”;
http://digilander.libero.it/VNereo/onu_&_anacronismo-02-genocidio-onu.pdf). Questa società
di “scienziati per la pace” fu lanciata nel 1954 da certi Rabinowicz e Rotblat
con l’appoggio del miliardario (premio Lenin) Cyrus Eaton: essa esiste ancora ed
è una delle tante associazioni che larvatamente danno ‘buoni consigli’ ai
governi.
In merito alla carriera politica o extrascientifica di Einstein, che comprende
quasi tutta la sua attività soprattutto dopo il 1933, si veda Yann Moncomble,
“La Trilatérale e les secrets du mondialisme” (Ed. Faits et Documents, Paris,
1980).
Ma veniamo al tempo presente.
Oggi esistono acceleratori di particelle in grado di frantumare la materia nei suoi costituenti più elementari e rilevarne i “rottami”, cioè altre particelle sempre più piccole o elusive. Ed esistono orologi atomici che misurano il tempo con la tolleranza di pochi nanosecondi. È quindi innegabile che le più recenti tecnologie dovrebbero rendere i cosiddetti effetti relativistici, sempre più osservabili e misurabili. È quindi proprio da tali tecnologie che ci si aspetterebbe una definitiva conferma della teoria di Einstein.
Ebbene avviene proprio il contrario.
Sono proprio esse a mettere sempre più in crisi il postulato base della
teoria, e cioè quello che stabilisce la costanza della velocità della luce per
ogni osservatore inerziale. È il caso ad esempio degli orologi atomici a bordo
dei satelliti del sistema GPS.
Oggi il più acefalo relativista accenna al GPS (Global Positioning System), come
alla prova per eccellenza a favore della relatività. Questo perché gli orologi
atomici a bordo dei satelliti sono programmati in modo da tener conto degli
effetti relativistici. Addirittura, al tempo del lancio dei primi satelliti, fu
nominata un’apposita commissione che si occupò di verificare che gli effetti
relativistici fossero opportunamente tenuti in conto dai progettisti del
sistema, e persino dai costruttori di ricevitori satellitari.
Ma le cose non sono esattamente come sembrano.
Gli orologi atomici a bordo dei satelliti sono CONTINUAMENTE
RESETTATI dalle stazioni di controllo sulla Terra, proprio perché questo è
l’unico modo per mantenerli precisi.
A rilevare che gli orologi atomici manifestano deviazioni così rilevanti da
mettere in dubbio qualsiasi effetto dell’ordine temporale atteso fu nientemeno
che il fisico inglese Louis Essen (1905-1997), considerato il “padre”
dell’orologio atomico, per aver progettato e costruito nei primi anni ’50 il
primo orologio atomico al cesio funzionante, nonché per aver compiuto con esso
la prima misurazione estremamente accurata della velocità della luce. Essen mise
seriamente in discussione tale esperimento sulla base della scarsa affidabilità
degli orologi atomici nel lungo periodo (in verità è impossibile misurare la
luce, perché la luce è immateriale, vedi più avanti). Quello che non si sa o che non si vuole
ricordare è che la serie di articoli fortemente critici nei confronti della
relatività speciale scritta da Essen negli anni ’70 del secolo scorso pose fine
alla sua brillante carriera, e decretò il suo isolamento a vita dal mondo
accademico. È possibile trovare in rete un toccante sito del figlio di Louis
Essen, che ricorda la figura del celebre fisico, cercando un editore per l’ultimo
libro scritto dal padre e mai pubblicato! Segno dunque che ancora oggi chi non da’ ragione
ad Einstein non mangia...
Va altresì evidenziato che le alterazioni temporali della relatività speciale
sono considerate reali invece che apparenti, interpretazione in contraddizione
con i principi stessi della teoria della relatività. Inoltre, anche qui i
calcoli sono effettuati sulla base di un riferimento polare, cioè di un’ideale
Terra non rotante, in contraddizione col principio di relatività.
Lungi dal “salvare” la logica della relatività speciale, il GPS la rende dunque una
TEORIA INUTILE. Se così non fosse gli orologi atomici a bordo dei satelliti non
avrebbero bisogno di essere CONTINUAMENTE RESETTATI dalle stazioni di controllo.
E COME SI SA, IN FISICA CIÒ CHE RISULTA INUTILE È ANCHE DANNOSO.
I relativisti odierni si comportano come i sostenitori di Einstein del suo
tempo, vale a dire in modo simile a quello dei falsificatori del suo tempo (alla
Eddigton per intenderci, vedi più avanti la questione dell’eclissi del 1919.
Albert Einstein (1879-1955), “Uomo del secolo” secondo la rivista Time, scrisse
un lungo trattato su una teoria della relatività speciale (in effetti recava il
titolo “Saggio sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, 1905), senza
riportare testi di riferimento di sorta. Ma prima che Einstein stilasse il
documento del 1905, molti dei concetti chiave che egli presentò come sue idee
erano noti a Lorentz e a Poincaré.
Come mai nessuno ne parla e se qualcuno lo dice finisce come Louis Essen nel
“ghetto” dei senza lavoro o degli isolati dal mondo accademico?
Come era sua tipica caratteristica, Einstein non elaborò le teorie; si limitò a
requisirle appropriandosene. Un ladro dunque! Oltretutto un ladro di idiozie,
come sarà qui mostrato.
Einstein è dunque un ignorante e un manipolatore, dato che si impadronì di un
corpus di “sapere” già esistente, selezionando e raccogliendo i concetti che
preferiva (quindi del tutto sballati), ed intrecciandoli poi in un resoconto
come suo proprio contributo alla relatività speciale.
Tutto ciò avvenne con la totale consapevolezza e approvazione da parte di molti
dei suoi pari, come nel caso degli editori degli “Annalen der Physik” (la
rivista specializzata di fisica dove Einstein pubblicò il saggio).
Perfino l’equazione più celebre di tutti i tempi E=mc², convenzionalmente
attribuita alla sola sua competenza, non era dunque sua, dato che prima ancora
che a lui può essere attribuita a S. Tolver Preston (1875), a Jules Henri
Poincaré (1900) e ad Olindo De Pretto (1904). E perfino il senso che tale
formula vorrebbe esprimere (la conversione della materia in energia, e
dell’energia in materia) era già noto a Sir Isaac Newton (“corpi ordinari e luce
sono reciprocamente convertibili…”, 1704).
Dal momento che EINSTEIN NON RICAVÒ MAI CORRETTAMENTE E=mc² (Ives, 1952), sembra
non esservi alcun elemento che colleghi l’equazione a qualcosa di originale
dello stesso Einstein.
La presentazione selettiva dei dati dell’eclissi del 1919, ad opera di Arthur
Eddington, in modo che apparentemente corroborassero la teoria generale della
relatività “di Einstein”, è una delle massime truffe della scienza del XX
secolo; il prodigo sostegno di Eddington ad Einstein modificò il corso della
storia; ma è oramai notorio che Eddington era più interessato ad incoronare
Einstein principe della scienza che a verificare la teoria.
La comunità dei fisici, consapevolmente o inconsapevolmente, ha intrapreso una
sorte di frode e cospirazione silenziosa; questo è il risultato dell’essersi
limitati a stare a guardare mentre si verificava l’iperinflazione dei documenti
e della reputazione di Einstein.
La scienza attuale dunque, per la propria natura intrinseca, si dimostra pertanto di
corte vedute.
In linea generale, i chimici, leggono e scrivono di chimica, i
biologi di biologia, i fisici di fisica. Avviene però sempre più regolarmente
- come del resto tutti sanno - che costoro si trovino in competizione per accaparrarsi lo stesso provento in
denaro destinato alla ricerca (nel suo senso più lato); quindi nel caso in cui i
sedicenti scienziati desiderino più denaro per se stessi, possono anche decidere
di competere in senso sleale, ed il modo per farlo è quello di convincere gli
enti che erogano i finanziamenti, di rappresentare una branca della scienza come
più importante di qualsiasi altra. Ovviamente se gli enti di finanziamento
riconoscono tale importanza, ciò comporta difficoltà per le restanti scienze. Ed
uno dei metodi per ottenere più denaro è, appunto, quello di creare un supereroe
- un supereroe come Einstein.
La reputazione di Einstein è il prodotto della comunità dei fisici, dei suoi
seguaci e dei media. Ciascuno di questi gruppi trasse, e trae ancora, enormi
vantaggi elevando Einstein ad icona; la comunità dei fisici riceve miliardi di
dollari in sovvenzioni per la ricerca, i sostenitori di Einstein sono
generosamente gratificati. Inoltre, le corporazioni dei media, come la rivista
Time, riescono a vendere ancora oggi milioni di copie, piazzando sulla propria copertina
Einstein come “l’uomo del secolo”.
Quando questo scandalo scoppierà, la comunità dei fisici, i sostenitori di
Einstein ed i media cercheranno di minimizzare le notizie negative, conferendo
loro una interpretazione positiva. I loro sforzi comunque, saranno smascherati
quando il documento di Einstein dal titolo “Saggio sull’elettrodinamica dei
corpi in movimento”, sarà considerato per quello che è in realtà: il più
perfetto atto di plagio del XX secolo.
In merito alla relatività speciale occorre pertanto informare circa il lavoro di Poincaré
(anche se costui non è davvero una cima).
Jules Henri Poincaré (1854-1912) apportò a detta teoria un rilevante contributo. Il
sito Internet della Encyclopedia of Philosophy riporta che Poincaré: “delineò
una versione preliminare della teoria speciale della relatività”, ricavando la
trasformazione di Lorentz.
Anche Keswani (1968) fu indotto ad affermare che: “già nel 1895 Poincaré,
l’innovatore, aveva ipotizzato che è impossibile individuare il “moto assoluto”
e che nel 1900 introdusse “il principio di moto relativo”, che in seguito nel
suo libro “Science and Hypothesis”, pubblicato nel 1902, definì con i termini
equivalenti di “legge della relatività” e “principio di relatività”. Einstein
quando redasse il suo documento nel 1905 privo di testi di riferimento, non
riconobbe nessuno dei precedenti lavori teorici di Poincaré.
Oltre ad avere delineato la versione preliminare della relatività, Poincaré
fornì una parte cruciale dell’intera teoria, vale a dire la sua trattazione del
tempo locale; egli inoltre, ideò il concetto di sincronizzazione degli orologi,
fondamentale nella relatività speciale.
Charles Nordman, fu indotto a scrivere: “Si dimostrerà che il credito della
maggior parte delle cose che vengono attualmente attribuite ad Einstein è, in
realtà, dovuto a Poincaré [...]. Tutto questo era già noto a Poincaré e ad altri
ben prima dell’epoca di Einstein, e ascrivendo a quest’ultimo la scoperta, si fa
torto alla verità”.
Altri scienziati, a differenza del pubblico, non furono per nulla colpiti dalla
teoria della relatività generale “di Einstein”. In “Physics in my generation”
(1956), Max Born scriveva: “Un’altra curiosa caratteristica del lavoro di
Einstein del 1905, ormai famoso, è l’assenza di qualsiasi riferimento a Poincaré
o a chiunque altro. Da’ l’impressione di un’impresa del tutto nuova. Tuttavia,
come ho cercato di spiegare, ciò ovviamente non corrisponde a verità”. Undici
anni dopo G. Burniston Brown (1967), noterà che “contrariamente all’opinione
comune, risulterà chiaro che nella derivazione delle utili formule della teoria
della relatività speciale o ristretta, Einstein ha svolto un ruolo di minore
importanza, mentre Whittaker ha chiamato in causa la teoria della relatività di
Poincaré e di Lorentz [...]”.
In virtù del fatto che in alcuni ambienti la teoria della relatività speciale di
Einstein era conosciuta come la teoria della relatività di Poincaré e Lorentz,
si sarebbe indotti a pensare che questi ultimi potrebbero aver avuto qualcosa a
che fare con la sua formulazione. Nel documento di Einstein ciò che stride è il
fatto che anche se Poincaré era il massimo esperto mondiale di relatività,
APPARENTEMENTE Einstein non ne aveva mai sentito parlare, né pensato che avesse
fatto nulla che valesse la pena di citare come riferimento!
Chi era dunque Einstein se non un ladro di opere altrui? È oramai notorio che egli si
fece ben pochi scrupoli nel rubare il lavoro di altri e a proporlo come proprio.
Che ciò fosse intenzionale appare alquanto ovvio. Si prendano in considerazione
le seguenti parole di R. W. Clark a proposito del saggio del 1905 di Einstein,
che pur essendo “uno dei più considerevoli documenti scientifici che sia mai
stato scritto” “anche la forma e lo stile erano insoliti” (Roland W. Clark,
“Einstein - the life and time”, pag. 101). Perché Einstein, con la sua
formazione da impiegato dell’ufficio brevetti, non avvertì la necessità di
citare testi di riferimento nel suo articolo sulla relatività speciale? Ci si
aspetterebbe che egli, in quanto neofita, riporti tali testi in abbondanza,
piuttosto che il contrario. Come mai un editore scientifico, di fronte ad un
lungo manoscritto non accreditato, si attenne agli standard più
elevati?Apparentemente quando lo scritto fu pubblicato sugli “Annalen der Physik”
non vi fu alcuna iniziativa di controllo qualitativo; gli editori più competenti
lo avrebbero respinto senza nemmeno prendersi la briga di leggerlo e, come
minimo, sarebbe stato lecito aspettarsi che un editore svolgesse delle ricerche
nella letteratura relativa, per accertarsi che la rivendicazione di
primogenitura di Einstein fosse corretta.
Max Born nel 1956 affermava: “Il punto sorprendente è che esso non contiene un
singolo riferimento ad opere precedenti”, indicando così l’evidente anomalia
dell’assenza di riferimenti, e che ciò, per gli standard di inizio secolo, è
assai peculiare, persino dilettantesco.
Einstein dunque imbrogliò le cose per evitare gli addebiti di plagio, che
tuttavia erano chiare.
Ecco un appunto di Bjerknes (2002) circa il seguente brano di James MacKaye: “La
spiegazione di Einstein è un mascheramento dimensionale di quella di Lorentz
[...]. Quindi la teoria di Einstein non è la negazione o un’alternativa a quella
di Lorentz; si tratta solamente di un suo duplicato di un suo mascheramento
[...]. Einstein sostiene costantemente che la teoria di Lorentz è corretta, solo
che si trova in disaccordo con la sua “interpretazione”. Non è chiaro, quindi,
che in questo, come in altri casi, la teoria di Einstein è semplicemente un
mascheramento di quella di Lorentz e che l’apparente disaccordo relativo
all’“interpretazione”, si riduce soltanto ad una questione di termini?”.
Poincaré ha scritto 30 libri ed oltre 500 saggi di argomento filosofico,
matematico e fisico; Einstein a sua volta scrisse sugli stessi argomenti, ma
negò di aver mai letto i contributi di Poincaré alla fisica.
Tuttavia molti concetti di Poincaré - ad esempio che la velocità della luce è un
limite e che la massa aumenta con la velocità - finirono nel saggio di Einstein
del 1905, senza essere accreditati. Si tratta di concetti sballati in quanto la
velocità della luce è una assurdità (vedi più avanti). Eppure sono finiti nel
saggio di Einstein.
L’azione di Einstein di saccheggiare quasi interamente l’opera di Lorentz e
Poincaré per stilare il proprio scritto diede l’inizio al plagio; nell’era
dell’informatica, questo genere di plagio non potrebbe mai essere protratto
indefinitamente, tuttavia la comunità dei fisici non ha ancora voluto
ristabilire la verità.
Ma - UDITE, UDITE - : in un suo documento
del 1907 Einstein espone la seguente sua idea sul plagio: “Mi sembra che sia
nella natura delle cose che quanto segue sia già stato parzialmente risolto da
altri autori. Ciononostante, dato che in questa sede i temi in questione vengono
affrontati secondo una prospettiva inedita, ho la facoltà di omettere una
rassegna del tutto pedantesca della letteratura relativa [...]”. Dunque per
Einstein rubare “secondo una prospettiva inedita” ciò che appartiene ad altri è
lecito in quanto è “nella natura delle cose”. Sì: è nella natura di Gamba di
legno o della Banda Bassotti! Dunque con questa affermazione, Einstein
dichiarava che il plagio debitamente confezionato, costituisce un accettabile
strumento di ricerca.
Plagiare significa: “rubare o sottrarre e quindi far passare per proprie idee,
parole, produzioni artistiche, ecc., di altri” (cfr. il “Webster’s New
International Dictionary of the English Language”, seconda edizione integrale,
1947, pag. 1878). Appunto ciò che ha esattamente fatto Einstein.
Riconoscere i dovuti crediti comprende due aspetti: tempismo e adeguatezza. Dire
al mondo 30 anni dopo, che Lorentz fornì le basi della relatività speciale, non
è tempestivo, né adeguato, né conferisce i crediti dovuti. Niente di ciò che
Einstein scrisse “ex post facto”, cioè in modo retroattivo rispetto ai
contributi di Lorentz, altera la fondamentale azione di plagio. Ed Einstein
esponeva la reale natura del plagio nel suo saggio del 1935 intitolato
“Derivazione elementare dell’equivalenza tra massa ed energia” nel quale
scrisse: “Il quesito riguardante l’indipendenza di quelle relazioni è naturale
in virtù della trasformazione di Lorentz, la reale base della relatività
speciale”! Così Einstein giunse persino a riconoscere che la trasformazione di
Lorentz, costituiva la vera base del suo saggio del 1905. Chiunque nutra dei
dubbi sul fatto che egli fosse un ladro, dovrebbe porsi una semplice domanda:
cosa conosceva Einstein e quando ne venne a conoscenza? Einstein l’ha passata
liscia col plagio premeditato e non col plagio fortuito, che è onnipresente (Moody,
2001).
La storia di E=mc² è taciuta ma bisognerebbe conoscerla. Chi infatti si è accorto della
materia che si trasforma in energia e viceversa? Tale idea risale come
minimo a Sir Isaac Newton (1704). Brown (1967) ha dichiarato quanto segue:
gradualmente si fece strada la formula E=mc², avanzata senza dimostrazione
generale nel 1900 da Poincaré; una cosa che siamo in grado di affermare con
certezza, è che non fu Einstein a ricavare l’equazione E=mc².
Chi dunque ricavò quell’equazione?
Bjerkness (2002) ha proposto come possibile candidato S. Tolver Preston il quale
“basandosi sulla formula E=mc², negli anni ’70 dell’Ottocento formulò l’energia
atomica, la bomba atomica, e la superconduttività”.
Oltre a Preston, nella storia di E=mc² un altro dei personaggi principali che
merita parte del credito è Olindo De Pretto (1904). Quello che rende il tempismo
così sospetto, è il fatto che Einstein parlava correntemente l’italiano,
riesaminava documenti redatti da fisici italiani ed il suo miglior amico,
Michele Besso, era della Svizzera italiana; chiaramente Einstein, avrebbe avuto
accesso alla letteratura, nonché la competenza per leggerla. In “Einstein’s E=mc²
was Italian’s idea” (Carroll 1999), vi sono evidenti riscontri del fatto che,
nei termini della formula attribuita ad Einstein, De Pretto si trovava più
avanti di lui.
Nei termini della comprensione dell’ingente quantità di energia, che poteva
essere rilasciata da un piccolo quantitativo di massa, a Preston (1875) si può
riconoscere una conoscenza, anteriore alla nascita di Einstein; chiaramente
Preston impiegava E=mc² nel proprio lavoro, in quanto il valore che determinò -
cioè che un granello era in grado di sollevare un oggetto di 100.000 tonnellate
sino ad un’altezza di tre chilometri - da’ l’equazione E=mc².
Secondo Ives (1952), la derivazione della formula E=mc² tentata da Einstein era
fatalmente viziata, in quanto egli si propose di spiegare quello che aveva
presunto; ciò assomiglia alla spensierata manipolazione delle equazioni derivate
da Einstein per il decadimento radioattivo; risulta che egli miscelò meccanica e
cinematica, e saltò fuori il neutrino. Il neutrino potrebbe essere una
particella mitica creata accidentalmente da Einstein (Carezani 1999). Riguardo
ai neutrini abbiamo una duplice scelta: o ce ne sono almeno 40 tipi diversi,
oppure ce ne sono zero tipi. In questo ambito domina il rasoio di Occam.
L’eclisse del 1919 usato per la formula attribuita ad Einstein è la storia di
un’altra bufala. Quanto accadde ai tropici il 29 Maggio 1919, rappresenta la
definizione più chiara di frode scientifica; particolarmente evidente è che
Eddington truccò i dati dell’eclisse solare, affinché i risultati si
conformassero al lavoro di Einstein sulla relatività generale. Poor (1930),
Brown (1967), Clark (1974) e McCausland (2001), si occupano tutti delle
questioni inerenti a questa eclisse. Quello che rende sospette le spedizioni a
Sobral e a Principe, è l’entusiastico appoggio di Eddington ad Einstein, come si
evince dalla sua dichiarazione: “Sostenendo come prima cosa i test e verificando
infine la teoria ‘avversa’, il nostro osservatorio nazionale ha mantenuto vive
le migliori tradizioni scientifiche”. In questo caso appare evidente che
Eddington non rispettò i fondamentali canoni scientifici, dato che il suo lavoro
era quello di raccogliere dati, non di verificare le teorie di Einstein.
Ulteriori riscontri della frode si possono evincere dalle dichiarazioni dello
stesso Eddington e dalla loro presentazione ad opera di Clark: “La giornata del
29 Maggio iniziò con una forte pioggia, che cessò soltanto intorno a
mezzogiorno. Il gruppo riuscì a scorgere per la prima volta il sole soltanto
dopo le 13,30, quando l’eclisse aveva già avuto inizio. Fummo costretti ad
effettuare la programmata serie di fotografie sulla fiducia”. Eddington
manifesta il suo reale preconcetto: era deciso a fare qualsiasi cosa affinché si
dimostrasse che Einstein aveva ragione. Eddington, comunque, non era tipo da
farsi scoraggiare: “Sembrava che nonostante gli sforzi, almeno per quanto
riguardava Principe, la spedizione non sarebbe andata a buon fine [...]
sviluppammo le fotografie, due ogni notte per le sei notti successive
all’eclisse [...] La nuvolosità mandò all’aria i miei piani ed io fui costretto
a trattare le misurazioni secondo modalità diverse da quelle che avevo previsto;
di conseguenza non mi è stato possibile fare alcuna dichiarazione preliminare
inerente ai risultati”.
In realtà le dichiarazioni di Eddington sono assai eloquenti sugli esiti; non
appena scovò un brandello di prova, che fosse coerente con la teoria della
relatività generale, immediatamente proclamò che dimostrava la teoria stessa.
Questa è scienza?
Dove si trovavano gli astronomi quando Eddington presentò le sue scoperte? Vi fu
qualcun altro che, oltre a lui, esaminò di fatto le lastre fotografiche? Poor lo
fece, e respinse in toto le conclusioni di Eddington. QUESTO FATTO AVREBBE
DOVUTO FAR ESITARE QUALSIASI SCIENZIATO DOTATO DI QUALCHE DEONTOLOGIA
PROFESSIONALE.
Ecco alcune citazioni del resoconto di Poor: “La formula matematica, in base
alla quale Einstein ha calcolato la sua deviazione di 1,75 secondi perché i
raggi di luce oltrepassino il margine del sole, è una nota e semplice formula di
ottica fisica [...].
Non uno solo dei concetti fondamentali relativi alla variabilità del tempo, o
alla curvatura o torsione dello spazio, alla simultaneità, o alla relatività del
moto, è in alcun modo implicato nella previsione o nelle formule di Einstein,
inerenti alla deviazione della luce [...]. Alle molte ed elaborate spedizioni in
occasione dell’eclisse, di conseguenza, è stata attribuita un’importanza
fittizia; i risultati di tali iniziative non possono dimostrare né confutare la
teoria della relatività (Poor, 1930).
Da Brown (1967) apprendiamo che Eddington, non vedeva l’ora di annunciare al
mondo che la teoria della relatività era confermata e, in tale contesto, quello
su cui Eddington si basava, era una prematura valutazione delle lastre
fotografiche. Inizialmente le stelle “sembravano” curvarsi come avrebbero
dovuto, come stabilito da Einstein, ma in seguito, secondo Brown, accadde
l’inatteso: si osservarono molte stelle che si curvavano in una direzione
trasversale rispetto a quella attesa ed altre ancora in direzione opposta a
quella prevista dalla relatività.
L’assurdità dei dati raccolti durante l’eclisse del 1919, fu dimostrata da Poor
(1930), il quale fece notare che l’85% dei dati dell’eclisse sudamericana fu
scartato a causa di un “errore accidentale”, vale a dire che i dati
contrastavano con la costante di scala di Einstein; per una strana coincidenza,
il 15% dei dati “validi” era coerente con quest’ultima. In qualche modo le
stelle che non si conformavano alle teorie di Einstein, furono convenientemente
accantonate, ed il mito ebbe inizio.
Così SULLA BASE DI UNA MANCIATA DI AMBIGUI DATI, FURONO MESSI DA PARTE 200 ANNI
DI TEORIE, SPERIMENTAZIONE ED OSSERVAZIONI, PER FARE SPAZIO AD EINSTEIN.
Non di meno lo screditato esperimento di Eddington, è ancora citato come vangelo
da Stephen Hawking (1999); è difficile capire come quest’ultimo possa commentare
che: “La nuova teoria dello spazio-tempo curvo fu denominata relatività
generale… Fu confermata in modo spettacolare nel 1919, quando una spedizione
britannica in Africa Occidentale, durante un’eclisse, osservò un lieve
spostamento della posizione delle stelle prossime al sole. La loro luce, mentre
oltrepassava il sole, era piegata, come previsto da Einstein. Qui vi era il
riscontro diretto della curvatura di spazio-tempo”. Hawking è onestamente
convinto che una manciata di dati, per giunta manipolati, costituisca la base
per rovesciare un paradigma che era sopravvissuto ad oltre due secoli di
minuziosi ed accurati esami? Se la risposta è affermativa significa che Hawking
è un cretino.
La vera domanda, comunque, è: CHE PARTE EBBE EINSTEIN IN TUTTO QUESTO? All’epoca
in cui scrisse il suo documento del 1935, egli doveva sicuramente essere venuto
a conoscenza del lavoro di Poor, che tra l’altro scrisse: “Lo spostamento
stellare di per sé, ammesso che sia reale, non mostra la minima attinenza con le
deviazioni previste da Einstein: non concordano, né nella direzione, né nelle
dimensioni o nel tasso di diminuzione della distanza dal sole”. Perché Einstein
non espresse pubblicamente le proprie opinioni su un documento che contraddiceva
direttamente il suo lavoro? Perché i suoi seguaci non hanno tentato di
ristabilire la verità sui dati contraffatti del 1919?
Quello che rende tutto ciò così sospetto, è che entrambi gli strumenti e le
condizioni fisiche non favorivano l’esecuzione di misurazioni di grande
precisione. Come sottolineato in un articolo del “British Institute of Precise
Physics”, pubblicato nel 2002 su Internet, le macchine fotografiche a calotta,
utilizzate nelle spedizioni erano accurate solo per 1/25° di grado; ciò stava a
significare che proprio in virtù della sola imprecisione dell’apparecchio
fotografico, Eddington rilevava valori oltre 200 volte troppo precisi!
Nonostante nel 1919 le prove sperimentali sulla relatività fossero assai
inconsistenti, l’enorme fama di Einstein si è preservata intatta, e da allora,
la sua teoria è considerata una delle massime conquiste del pensiero umano.
È chiaro che Eddington, sin dall’inizio, non aveva alcun interesse a mettere
alla prova la teoria della relatività, ma gli premeva unicamente confermarla.
La falsificazione dei dati operata da Eddington ed altri è un palese
sovvertimento del procedimento scientifico, che ha fuorviato la ricerca
scientifica per tutto il XX secolo. Probabilmente supera il caso dell’uomo di
Piltdown come massima mistificazione della scienza degli ultimi 100 anni. Il
“British Institute of Precise Physics” si è posto la seguente domanda: “Fu
questa la mistificazione del secolo?” E non ha potuto rispondere che: “Il
rapporto della Royal Society sulla relatività nell’eclisse del 1919 ha ingannato
il mondo per 80 anni!”.
Non si sottolineerà mai a sufficienza che l’eclisse del 1919, rese Einstein
quello che conosciamo; il fenomeno lo catapultò verso la fama internazionale,
nonostante il fatto che i dati fossero falsificati e che non esistesse nessun
tipo di supporto alla relatività generale. Questo travisamento della storia è
noto da più di 80 anni ed è tuttora suffragato da individui come Stephen Hawking
e David Levy.
Il pubblico tendenzialmente è convinto che gli scienziati siano fondamentalmente
i paladini dell’etica, che il rigore scientifico costituisca il metro di
giudizio della verità; in realtà le persone capiscono ben poco di come la
scienza sia gestita al cospetto dei personaggi importanti.
Einstein era convinto di essere al di sopra del protocollo scientifico, spiegava
le regole a suo piacimento; la sua flagrante e reiterata passione per il plagio
è quasi dimenticata.
Quando queste cose verranno alla luce si parlerà davvero della luce, non di
materia oscura...
Oggi la relatività è divenuta un’intoccabile pietra di paragone, utilizzata per
mettere sotto processo qualsiasi altra teoria alternativa. Ma quali sono le
ragioni che hanno determinato la supremazia quasi assoluta della teoria di
Einstein nel mondo della fisica odierna? E fino a che punto tale supremazia è
giustificata
La storia umana è spesso segnata da teorie dogmatiche e omnicomprensive che
vogliono controllare vaste aree del sapere, e che finiscono solo col frenare il
progresso e mettere in ombra l’universalità del pensare.
Il sistema aristotelico tolemaico fu una di queste teorie. Nonostante fosse
fondata sul falso postulato che poneva la Terra al centro dell’universo, divenne
nei secoli un’inattaccabile cattedrale ideologica. Questo perché il tortuoso
apparato matematico della teoria, modellato a forza sui dati sperimentali,
riusciva a prevedere, e addirittura con ottima approssimazione, tutti i moti
celesti allora conosciuti.
Giudicando col senno di poi, è chiaro che si trattava di una teoria sbagliata,
in quanto basata su di un principio sbagliato. Ma nonostante ciò, funzionava. E
dal momento che qualsiasi tipo di osservazione astronomica accurata, quindi in
grado di mettere in crisi il postulato geocentrico, rimase per lungo tempo al di
là della portata dei mezzi d’indagine disponibili, l’idea di un pianeta Terra
felicemente posto al centro dell’universo dominò incontrastata per parecchi
secoli.
Il dubbio che le cose non stessero proprio così si manifestò tuttavia in isolati
pensatori. La prima ipotesi eliocentrica risale addirittura a tre secoli prima
di Cristo, frutto del filosofo e matematico greco Aristarco di Samo. Costui
riuscì ad arrivare al modello eliocentrico per pura intuizione, data la
pressoché inesistente risorsa tecnologica del suo tempo.
Ciò non deve stupire più di tanto, dato che Aristarco di Samo fu anche il primo
a misurare le distanze della Luna e del Sole dalla Terra, nonché ad attribuire
correttamente la causa dell’alternanza delle stagioni all’inclinazione dell’asse
terrestre.
Purtroppo proprio la sua idea più geniale, il modello eliocentrico appunto, non
riscosse il favore che avrebbe meritato. Tutto ciò che Aristarco ricavò da essa
fu una condanna per empietà e corruzione della gioventù, per averla concepita ed
insegnata. È probabile che alcuni in seguito abbiano nuovamente accarezzato la
sua idea eliocentrica. Ma per lungo tempo nessuno ebbe più il coraggio di
professarla pubblicamente. Pertanto essa rimase per quasi duemila anni una
verità nascosta, un’idea giudicata dalla scienza ufficiale come troppo blasfema
e rivoluzionaria per essere presa in considerazione: l’idea di abitare in un
pianeta al centro dell’universo e di costituirne l’unica specie intelligente era
troppo perfetta per essere accantonata in nome di un punto di vista più
razionale, ma decisamente meno appagante.
Ci vollero secoli di battaglie scientifiche, combattute da uomini
intellettualmente isolati e guardati con sospetto dalle autorità ecclesiastiche
e dalla comunità, per dimostrare che la “folle” intuizione di un uomo
dell’antica Grecia era vera, e che il Sole non girava affatto attorno alla
Terra. A dimostrazione del fatto che a volte le apparenze ingannano. Ma il
cambiamento non fu né facile, né indolore. Copernico e Keplero, i principali
fautori del modello eliocentrico, furono inizialmente isolati e derisi.
Galileo, il più autorevole sostenitore della teoria in Italia, proprio per aver
fortemente appoggiato l’ipotesi copernicana basandosi sulle sue osservazioni al
telescopio del moto dei satelliti maggiori di Giove e delle fasi di Venere, fu
notoriamente accusato dalla Chiesa Cattolica di eresia e costretto a sconfessare
le proprie idee con una celebre “abiura”, cui seguirono gli arresti domiciliari
a vita - condanna per la quale la Chiesa ha chiesto pubblica ammenda solo pochi
anni fa.
Anche i nostri tempi, proiettati ormai nel terzo millennio e tanto intrisi di
scienza e tecnologia, sono dominati da una possente ed omnicomprensiva
cattedrale di demenza: la teoria della relatività di Einstein.
Nel 2005, la teoria della relatività di Einstein ha compiuto il suo primo secolo
di vita. Nata per risolvere i problemi posti dall’elettrodinamica di Maxwell, la
relatività conquistò molto presto un ruolo predominante nel mondo della fisica,
paragonabile solo a quello occupato in precedenza dalla dinamica newtoniana. Ciò
avveniva nonostante il fatto che per lungo tempo il credito conferito alla
teoria sia basato essenzialmente sulla fiducia, dato che la verifica dei
singolari effetti previsti da Einstein era del tutto al di là della portata dei
mezzi d’indagine disponibili.
Non va altresì dimenticato che agli inizi del ‘900, non esisteva né la radio né
l’aviazione, e si discuteva ancora sull’esistenza degli atomi.
Oggi lo scenario scientifico è decisamente cambiato. E recenti esperimenti in
cui la luce è stata rallentata sino ad essere addirittura fermata - risultato
conseguito contemporaneamente dallo Harward-Smithsonian Center for Astrophysics
e dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Harward - o di quelli in cui al
contrario la luce è stata fatta viaggiare più veloce del limite imposto da
Einstein - Istituto di ricerca sulle onde elettromagnetiche del CNR di Firenze e
Istituto di ricerca NEC di Princeton.
E allora come la mettiamo? La posta in gioco è alta. Nel caso la falsità del
postulato della luce venisse definitivamente confermata, si tratterebbe
dell’abbandono della relatività “in toto”, dal momento che, come dichiarò
Einstein stesso, l’intera teoria della
relatività poggia sul postulato della COSTANZA della luce, venendo meno
il quale, essa crolla come un castello di carte.
Forse proprio per questo motivo, una delle principali occupazioni dei fisici
teorici di oggi, sembra essere quella di trovare continui escamotages teorici
che giustifichino le sempre più frequenti trasgressioni sperimentali al
postulato della luce, rendendo inevitabile il parallelo con l’affannoso
tentativo degli uomini di scienza del passato di tamponare le incongruità tra i
moti dei pianeti ed il modello Aristotelico-Tolemaico.
Ovviamente non è facile analizzare in un articolo divulgativo una teoria che in
passato si diceva compresa da tre persone soltanto al mondo, Einstein incluso,
ovviamente, e che a tutt’oggi è digerita a fatica da buona parte degli studenti
dei corsi di fisica, e spesso inconfessabilmente incompresa persino dai loro
docenti.
I sostenitori della relatività affermano che, proprio a causa delle complesse
implicazioni del MODELLO fisico-matematico alla base della teoria, sia
praticamente impossibile per un profano riuscire a farsene un’idea seppur
approssimativa e men che meno un’opinione critica corrente.
A me invece pare che proprio nessuno possa davvero sostenere che la teoria della
relatività di Einstein possa stare in piedi. COME PUÒ UN ASSOLUTO FARE DA BASE A
UN RELATIVO O VICEVERSA?
CIÒ CHE PIÙ CONTA IN UNA TEORIA, NON DOVREBBERO ESSERE I MODELLI MATEMATICI (che
sono mere rappresentazioni, cioè concetti individualizzati), MA I CONCETTI CHE
STANNO ALLA BASE DI TALI RAPPRESENTAZIONI dette MODELLI”.
Il linguaggio matematico, dal più semplice algoritmo al più complesso sistema di
equazioni, è indubbiamente un buon strumento per qualificare concetti che
comportino relazioni precise e complesse. Ma proprio in quanto linguaggio, esso
è criticabile solo formalmente. Cioè eleganza e correttezza formale di un
modello matematico non garantiscono che esso corrisponda necessariamente alla
realtà, esattamente come una frase grammaticalmente ineccepibile, non esprime
necessariamente un vero contenuto concettuale.
Solamente un’idea può essere compresa, e di conseguenza accettata o rifiutata.
La relatività speciale comporta problemi, nonché i fatti sperimentali che oggi
sembrano falsificarla.
La seguente analisi della bufala della relatività speciale, cioè di quella parte
storicamente più antica della teoria attribuita ad Einstein che, sulla base del
dogma einsteiniano sulla costanza della luce, si traduce poi nella bufala della
relatività generale. In altre parole, la relatività speciale costituisce a tutti
gli effetti il fondamento dell’intero edificio teorico di Einstein, senza il
quale, anche la Generale non ha più ragione di esistere, almeno nella forma oggi
conosciuta.
Si osservi il suono e anche da questo punto di vista, risulterà che quella di
Einstein si rivela una teoria fallace tanto nelle premesse quanto nelle
verifiche sperimentali.
Come tutti sanno, il suono è una perturbazione ondulatoria che si trasmette per
mezzo di onde longitudinali attraverso un mezzo elastico, per compressione e
rarefazione del mezzo. Nell’aria il suono si trasmette alla velocità di circa
340 m/s (nell’acqua a circa 1500 m/s e nei metalli a velocità fino a 17 volte
maggiori). Già nella prima metà del XVII secolo, von Guerick, aveva dimostrato
che il suono necessita di un mezzo per propagarsi, e quindi nel vuoto non si
propaga, e Marsenne ne aveva misurato per primo la velocità di propagazione
nell’aria (ottenendo un dato ancora approssimativo). Invece i fisici di fine
Ottocento, appurata la natura elettromagnetica della luce erano pronti a
scommettere che anch’essa, come il suono, si propagasse attraverso un mezzo, da
essi battezzato “etere”, in onore al pensiero di Aristotele. Oltre ai quattro
elementi fondamentali teorizzati da Empedocle, la terra, l’aria, l’acqua e il
fuoco, Aristotele postulò l’esistenza di un quinto elemento, da lui chiamato
“etere”, incomposto, ingenerato, eterno e inalterabile, invisibile e privo di
peso, che avrebbe permeato l’intero universo, oltre a costituire il principale
ingrediente dei corpi celesti.
L’etere dovrebbe quindi permeare l’intero universo, dal momento che persino la
luce delle stelle più lontane, è in grado di giungere fino a noi.
Altra analogia tra suono e luce, sempre secondo la scienza di fine Ottocento,
riguardava il cosiddetto effetto Doppler, consistente nel fenomeno di cui tutti
abbiamo esperienza: il suono emesso da una sorgente in movimento, ad esempio la
sirena di un’ambulanza o il rombo di un’automobile da corsa, è percepito con
un’intonazione più alta quando si avvicina, e più bassa quando si allontana. Il
primo a dimostrare e spiegare tale effetto, fu Christian Doppler nel 1842, con
un celebre esperimento che utilizzava musicisti a bordo di un treno in moto, la
cui intonazione era valutata da osservatori in quiete. La spiegazione di tale
effetto contenuta nei testi di fisica, è apparentemente semplice: quando una
sorgente sonora si avvicina a noi, la sua velocità si sottrae a quella del
suono, dando luogo ad una compressione delle onde sonore (innalzamento della
frequenza e quindi del tono del messaggio sonoro); quando invece si allontana da
noi, la sua velocità si somma a quella del suono, dando luogo ad una dilatazione
delle onde sonore (abbassamento della frequenza d’ascolto e quindi del tono del
messaggio sonoro).
I fisici pre-relativisti, pensavano che anche la luce si comportasse in modo
analogo al suono, e quindi utilizzarono la medesima equazione per descrivere
entrambi gli effetti.
Però sbagliarono, perché un simile pensare presuppone che la luce sia quello che non è, cioè qualcosa di materiale o di meccanico come il suono… Se le cose fossero davvero così, perché mai non dovremmo pretendere di udire le onde della luce con le orecchie come quando udiamo un rock? Così non è. La luce fa aprire gli occhi ma gli occhi non vedono la luce. Perché la luce NON è materia. Io posso solo vedere cose illuminate dalla luce, non la luce. Se entro in una stanza buia per cercare qualcosa, per trovarla devo per forza accendere la luce. Se dopo avere visto la cosa che cercavo, mi salta in mente di vedere anche la luce, cosa faccio? Accendo un’altra luce? No, perché la luce, mentre illumina le cose, illumina anche se stessa. Ma non si muove. Non viene verso il mio occhio. Il mio occhio è in essa e io vedo le cose. Non c’è alcuno scorrere della luce dalla lampada a me. Se ci fosse non direi “accendo la luce” o “accendo l’interruttore della luce” ma “apro la luce” o “apro il rubinetto della luce”, come quando faccio SCORRERE l’acqua.
Il relativista dirà che queste considerazioni linguistiche non sono scientifiche o che provengono da un pazzo. Ebbene io preferisco questa pazzia che mi fa percepire la realtà del cielo stellato a quella che me la nega, in nome della congettura - questa, sì, mancante di positività scientifica - della presunta morte di tale cielo stellato a causa dell’ingente quantità numerica di “anni luce” che esso impiegherebbe per arrivare fino al mio occhio come immagine luminosa. A proposito di positività scientifica, faccio notare che il metodo della scienza naturale è identico a quello della scienza dello spirito a carattere antroposofico. Per esempio il libro di Steiner che ne costituisce la base, intitolato “La filosofia della libertà”, recava come sottotitolo: “Risultati di osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali”. Dunque in senso scientifico “pazzia” dovrebbe invece essere ritenuta una fede o il credere ingiustificati che la luce sia fatta di materia, ed oltretutto di materia in movimento.
Cosa è la luce?
La luce è un’entità sovrasensibile, IMMATERIALE, che entra nel sensibile, nella materia, dove diventa percepibile.
La scienza della cosiddetta velocità della
luce è NESCIENZA, perché manca, appunto, di indagine positiva. Infatti le forme di quel movimento
attribuite alla luce NON sono luce: ciò che con esse è trasmesso non è altro che
il VEICOLO di quanto è creduto luce. Ma la luce
- occorre sperimentarlo in sé - è immateriale.
Ripeto: anche se si
manifesta tramite la materia, la luce è IMMATERIALE. LA MATERIA (nel caso della
luce: la materia più sottile, cioè l’atmosfera) È INFATTI SEMPRE PRIVA DI LUCE.
LA MATERIA È, ANZI, SOLAMENTE REALE PORTATRICE DELL’OSCURITÀ. Modificandosi, grazie alla
luce, si può solo dire che la materia è mossa. Questo è scientifico. Ma la luce
è onnipresente in quanto immateriale. Ed è colta come luce sotto forma di
movimento dal soggetto che l’accoglie da una determinata fonte. Ma è parvenza:
mera parvenza. Sembra che luce si propaghi. Ma non è così.
La luce è un’entità
onnipresente ed extrasensibile, posta al di là del sensibile, appunto, al di là
della materia, e che solo l’elemento interiore del percepire può cogliere. Si
immagini un’astronave: risplende e viaggia nell’oscurità dello spazio. Posso
forse dire che la luce si muove con l’astronave? No. Posso solo dire che la luce
è presente in ogni punto dello spazio e perciò è RIFLESSA dall’astronave in
movimento. In verità la luce non ha bisogno di muoversi, PERCHÉ È. La luce è.
Punto e basta (si veda in proposito M. Scaligero, “Il pensiero come
antimateria”).
Al sedicente scienziato della velocità della luce occorre una coscienza più
rigorosa circa la funzione del pensare nel percepire. Senza questa coscienza la
materia (compresa la materia che egli attribuisce alla luce che poi crede di
misurare
come velocità) diventa per lui un mito, una fede, che è il segno della sua
incapacità di penetrarla.
Ma facciamo pur finta di credere al relativista. La relatività speciale o
ristretta, nasce come risposta ai problemi posti dalle “scoperte” nel campo
dell’elettrodinamica, avvenute verso la fine dell’Ottocento. Dopo che Maxwell
aveva “chiarito” (si fa per dire) la natura ondulatoria della luce, assimilandola alla famiglia
delle onde elettromagnetiche, l’idea che l’intero universo fosse permeato da una
sostanza impalpabile, l’ETERE, attraverso la quale le onde luminose si
propagavano, pose il problema di definire la caratteristiche fisiche di tale
mezzo. Ma prima ancora, comportò la necessità di dimostrarne l’esistenza.
Proprio per rilevare la presenza dell’ETERE, nel 1887 il fisico Albert Abraham
Michelson, in collaborazione con Edward Williams Morley, condusse un ingegnoso
esperimento.
L’idea era semplice: il fatto che la Terra orbiti intorno al Sole alla velocità
di circa 30 Km/s, supponendo l’etere come stazionario rispetto al Sole, avrebbe
dovuto comportare una differenza tra la velocità della luce nella direzione del
“vento d’etere” e la sua velocità con “vento d’etere” contrario. Tale supposta
differenza nella propagazione della luce sulla Terra è detta anisotropia, ma è
chiaro che già qui si presuppone una materialità dell’etere che non esiste. Per
accorgersi della forza eterica occorre il pensare non il misurare. Se ho di
fronte a me un uomo vivo e un uomo morto vedo la differenza delle due “cose”
percepibili ma non vedo la materia di tale differenza. Solo nella “cosa” morta
ho a che fare con un reale corpo fisico, nel quale è già iniziato il
disfacimento che porta poi alla putrefazione. Invece nel vivente non vi è solo
un corpo fisico ma anche una vitalità che lotta continuamente contro tale
disgregazione. Chiamo eterica quella forza coesiva che plasma sostanzialmente la
forma della “cosa” viva, cioè dell’uomo vivo. Però non posso dire che quella
forza si veda. Posso vederla sovrasensibilmente in quanto eterea, o eterica
appunto. Alcuni scienziati come Maria Goeppert Mayer, Jensen, e Wigner, volendo
misurarla come forza coesiva del nucleo atomico, l’hanno chiamata “magica”
individuando “numeri magici” (cfr.: “Sulla fisica magica e oscura”;
http://digilander.libero.it/VNereo/sulla-fisica-magica-e-oscura.htm). Altri
scienziati come il russo Vadim Nikolaevich Tsytovich hanno chiamato questa
vitalità “corpo bioplasmatico”. Un secolo fu chiamata “corpo vitale” o “corpo
eterico” da Rudolf Steiner.
Ebbene per misurare l’etere cosmico Michelson (altro genio!) si inventò il cosiddetto
interferometro, cioè un gioco di specchi in cui, tramite specchi
semiriflettenti, un raggio di luce monocromatica viene sdoppiato, costretto a
percorrere identiche lunghezze lungo due bracci perpendicolari, e infine
nuovamente ricomposto, dopo aver quindi compiuto identici percorsi di “andata e
ritorno”, ma perpendicolari tra loro.
In base ai principi dell’elettrodinamica di Maxwell, in presenza di “vento
d’etere” (?!) la luce non avrebbe viaggiato (?!) alla stessa velocità nei due bracci
dell’interferometro (con il braccio principale opportunamente orientato nella
direzione del supposto moto attraverso l’etere), dando perciò luogo a frange
d’interferenza osservabili (?!) nel raggio risultante finale (A. A. Michelson e E. W.
Morley, “On the Relative Motion of the Earth and the Luminiferous Ether”, Am.
Journal of Science (3rd series) 34 333-345, 1887).
L’esperimento ovviamente fallì portando ad un risultato nullo con evidente
distorsione dei fatti. Tuttavia contribuì nel 1907 a conferire allo statunitense
Michelson il suo bel Nobel (sic!) facendolo diventare uno dei fisici più celebri
del mondo, dato che, proprio grazie al fatto che tale distorsione contribuì in
modo determinante all’affermazione della relatività (oggi l’erronea versione del
“risultato nullo” del suo esperimento è citata in quasi tutti i testi che si
occupano di relatività speciale).
Ad ogni modo, per la cronaca, Michelson continuò per il resto della sua vita a
credere fermamente nell’etere, e a condurre nuovi esperimenti per tentare di
dimostrarne l’esistenza in modo inconfutabile.
Ciò che sfugge a questi caproni del materialismo dialettico è che l’etere non è
qualcosa da credere bensì da percepire sovrasensibilmente mediante intuizione
veggente. E ciò è possibile a tutti coloro che incominciano a rendersi conto che
la parola “io” non è vuota di contenuto in quanto sovrastruttura della materia,
bensì è piena di contenuto immateriale e ciò nonostante massimamente
percepibile...
In ogni caso da questo momento in poi la scienza diventa alienazione e/o cecità
volontaria.
Negli anni seguenti all’esperimento del 1887, il fisico irlandese George
Fitzgerald, e indipendentemente il fisico dei Paesi Bassi, Hendrik Lorentz,
avanzarono l’ipotesi di una contrazione della materia dovuta al moto attraverso
l’etere, in grado di accorciare il braccio dell’interferometro nella direzione
del moto ed equalizzare così i due percorsi perpendicolari della luce, spiegando
il risultato nullo - in sostanza, secondo tale interpretazione il braccio in cui
la luce viaggia più veloce, risulterebbe accorciato, rendendo il tempo allungato
(per via della velocità più bassa della luce) di tale viaggio identico a quello
avente luogo nell’altro braccio, in cui la luce viaggia più veloce. Scemenze su
scemenze: tempo allungato, percorso perpendicolare della luce, viaggio della
luce (sic!)…
Lorentz elaborò poi una completa teoria sull’elettrodinamica dei corpi in
movimento basata ovviamente sull’esistenza dell’etere e del suo effetto di
contrazione delle lunghezze, dette poi “contrazione di Lorentz”. Pubblicò tale
teoria nel 1904, in un articolo intitolato “Fenomeni elettromagnetici in un
sistema in moto a qualsiasi velocità inferiore a quella della luce”, che
conteneva un gruppo di trasformazioni di coordinate riviste in base ai suoi
principi e in grado di lasciare invariata l’equazione di propagazione della
luce, dette poi “trasformazioni di Lorentz”.
Da queste idiozie nasce poi la mega idiozia di Einstein, il quale da
anonimo impiegato all’ufficio brevetti di Berna, con tre articoli
del 1905 pubblicati sugli “Annelen der Phisyk” sarebbe diventato il genio dei
geni della storia della fisica. Uno
di questi articoli, intitolato, appunto: “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, proponeva
una teoria straordinariamente simile a quella di Lorentz, giungendo ad equazioni
identiche, nonostante fossero anch’esse idee idiote come quella della velocità
della luce e della contrazione delle lunghezze (effetto doppler del suono
proiettato patologicamente sulla luce).
In Einstein, ovviamente, l’ipotesi dell’etere era abbandonata, in favore di due
semplici postulati. Il primo del tutto scontato in quanto già sostenuto da
Galileo, secondo il quale ogni moto inerziale (non accelerato) è relativo. Il
secondo imponeva che la velocità della luce nel vuoto fosse costante per
qualsiasi osservatore inerziale. DAVA però PER SCONTATA UNA VELOCITÀ DELLA LUCE
CHE NON PUÒ ESISTERE, DATO CHE LA LUCE, ripeto, NON È MOVIMENTO (cfr. R. Steiner,
“Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe. Per una fondazione della
scienza dello spirito - Antroposofia”, Ed. Antroposofica, Milano 2008, p. 246).
Al tempo di Einstein e di Steiner era molto dibattuta la questione se alla base
dei fenomeni della luce, del calore, dell’elettricità, ecc. vi fosse o non vi
fosse solo movimento nell’etere. Ed Hertz aveva appunto mostrato come la
propagazione delle azioni elettriche nello spazio soggiacesse alle stesse leggi
della propagazione delle azioni luminose. Da ciò si poteva arguire che anche
alla base dell’elettricità vi fossero onde simili a quelle portatrici della
luce: “Finora si è pure presunto che nello spettro solare sia attiva solo una
specie di movimento oscillatorio, il quale, a seconda che cade su reagenti
sensibili al calore, alla luce, o, ad azioni chimiche fa sì che si producano
effetti di calore, luce, sensibilità chimica ecc.” (ibid., p. 247). Questa era
però un’ovvietà senza alcun valore per Steiner: “se si investiga che cosa
avviene nell’estensione spaziale mentre sono trasmesse le entità in questione,
si deve arrivare a un movimento unitario. Poiché in un mezzo, in cui è possibile
SOLTANTO il movimento, tutto deve reagire col movimento; e compirà mediante
movimenti anche tutte le trasmissioni a cui è chiamato. Se poi io investigo però
le forme di quel movimento, non apprendo CHE COSA sia la cosa trasmessa, bensì
in che modo essa mi sia trasmessa. Ma È SEMPLICEMENTE ASSURDO DIRE CHE IL CALORE
O LA LUCE SIANO MOVIMENTO. Movimento è soltanto la reazione alla luce della
materia suscettibile di movimento” (ibid.).
Ebbene il punto di vista assurdo dei credenti nella velocità della luce fu pian
piano accettato dal mondo: la velocità della luce era trattata come una costante
assoluta anche se la scienza aveva combattuto secoli per liberarsi dall’idea di
una quiete assoluta della Terra, insita nel dogma Aristotelico-Tolemaico.
Ora si ritrovava a dover fronteggiare un nuovo dogma altrettanto imbarazzante,
quello della costanza universale della velocità della luce.
Molti fisici videro nella teoria di Einstein un rifacimento della teoria di
Lorentz, con l’aggiunta di un postulato folle, quello della luce.
Einstein, da parte sua, sostenne sempre di non essere stato a conoscenza del
lavoro di Lorentz e di Michelson al momento della stesura della sua teoria. E in
effetti la relatività speciale è l’unico articolo nella storia della letteratura
scientifica moderna a non contenere alcuna citazione di lavori o ricerche
altrui, per quanto non sembri affatto il lavoro di una mente isolata, ma
piuttosto di una mente alterata o sognante.
Ebbene la relatività acquistò grande fama e consensi in un tempo relativamente
breve, specialmente negli Stati Uniti. Tanto che, a pochi anni soltanto dalla
pubblicazione della teoria, tutti gli scienziati le cui idee erano state copiate
da Einstein venivano già considerati tutt’al più suoi precursori, e molti di
questi furono premiati (o sarebbe il caso di dire messi a tacere) proprio per
aver contribuito all’affermazione della relatività speciale. Emblematico fu il
caso di Lorentz, del quale si scrisse, e si scrive tuttora, che aveva già
formulato le equazioni della relatività speciale prima di Einstein, senza però
riuscire a capirne appieno il significato! In tal modo dunque fu lastricata la
strada maestra poi percorsa da Einstein, rendendo il percorso più agevole a
quest’ultimo.
Intorno al 1916, ormai celebre ed affermato in tutto il mondo, Einstein pubblicò
la relatività Generale, ovvero quella parte della Teoria che estende gli effetti
della relatività Ristretta ai campi gravitazionali. La follia einsteiniana
dilaga, e la generalizzazione è ottenuta per mezzo di una nuova idea, questa
volta basata sull’esperienza, il cosiddetto principio di equivalenza, che
stabilisce l’indistinguibilità tra accelerazione inerziale ed accelerazione
gravitazionale, e da cui consegue l’equivalenza tra massa inerziale e massa
gravitazionale. Tale principio sancisce in sostanza l’impossibilità per un
osservatore di poter distinguere tra gli effetti di un’accelerazione costante
causata dalla spinta di un motore (o da un moto rotatorio uniforme), e gli
effetti causati dall’accelerazione costante data da una forza gravitazionale: in
entrambi i casi egli è spinto in una direzione da una forza costante.
La confusione della follia aumenta progressivamente: il “principio di
equivalenza” stabilisce, allo stesso modo, l’indistinguibilità tra uno stato di
imponderabilità - assenza apparente di gravità - dovuto ad una caduta libera in
un campo gravitazionale, quale quella eccezionalmente sperimentata dagli
astronauti in orbita intorno alla Terra, e uno stato di reale assenza di forze
gravitazionali, di fatto inesistente. L’uomo orbitante attorno a un pianeta è
infatti un’eccezione rispetto alla vita reale dell’uomo, dato che nel suo
quotidiano (vita reale) sperimenta la normale direzione centripeta di sé secondo
la direzione gravitazionale terrestre, non la combinazione di questa con
un’altra direzione il cui moto è rettilineo ma simultaneamente anche curvilineo,
data la forma sferica del pianeta.
Questo però non significa che lo spazio sia curvo ma semplicemente che
nell’infinitamente grande come nell’infinitamente piccolo gli opposti
coincidono. Lo spazio non è né curvo né non curvo. Curvo o non curvo sono
qualità di oggetti che sono nello spazio, non qualità dello spazio in sé. Lo
spazio è immateriale. Perciò si può parlare dello spazio interno di un sasso. La
realtà di tale spazio interno non è il suo vuoto riempito di una determinata
materia, bensì il suo rispondere a una percezione ideale, che la fisica non sa
di avere come percezione ideale. Perciò con la stessa stravaganza con cui si può
dire che lo spazio è curvo si potrebbe dire che il cerchio è un poligono di 360
lati. Però in tal modo si confonderebbero i “gradi” coi “lati”, rispettivamente
“angolari” e “rettilinei”. Ciò che è angolo non può però essere anche retta.
Oppure può esserlo solo con un’immaginazione non conforme a dati percepibili ma
a dati congetturati o favoleggiati. Dunque occorre una diversa logica per
affermare il principio di equivalenza fra imponderabilità e ponderabilità.
Il principio di equivalenza di Einstein è quindi la sua necessità dogmatica per
mascherare di logica ciò che logico non è, dato che si tratta di equiparare due
forze opposte: quella centripeta della gravità, e quella centrifuga del moto
rotatorio costante dell’accennato orbitare, e in ultima analisi per ricondurre
quest’ultimo ad una velocità di rotazione costante, alla quale siano applicabili
gli effetti della relatività speciale. Questa operazione è insensata, perché si
tratta di due forze opposte: un uomo in sella ad una bicicletta e coi piedi sui
pedali cade se non pedala, in quanto il pedalare si oppone alla forza di gravità
e al cadere. Dire che la gravità che fa cadere e il pedalare che non fa cadere
si equivalgono significa tener conto del concetto astratto di forza (o di
energia) sena considerare la realtà: l’energia gravitazionale proviene della
Terra, l’energia del pedalare proviene dall’essere umano. Dire che sono
equivalenti per il fatto che hanno in comune l’energia è un errore simile a
quello di dire che il bianco equivale al nero perché sono colori, o che una mela
equivale a una pera perché sono frutti.
Perciò il principio di equivalenza di Einstein non può essere dimostrato con la
logica di Euclide, o di Pitagora, o della normale geometria terrestre.
Ecco perché in tale contesto Einstein utilizza una geometria non euclidea
derivata dalle idee di Gauss, Riemann e Minkowsky.
Così, per formalizzare matematicamente la curvatura dello spazio-tempo
instaurata da un campo gravitazionale, si serve di enti matematici chiamati
“tensori”, in grado di definire deformazioni di una realtà multidimensionale.
Poiché però nessuno nota che la geometria non euclidea comporta l’alienazione
della logica euclidea, avviene che l’antilogica entri sempre più
“scientificamente” nella coscienza dello scienziato postmoderno.
La scienza cosmologica di oggi si basa infatti su due pilastri demenziali, la
Teoria della relatività Generale di Einstein e la Legge di Hubble. Quest’ultima,
ricavata in base a osservazioni fatte con telescopi, stabilisce che quanto più
distante una galassia si trova da noi, tanto più grande sarebbe la sua velocità
di allontanamento. Secondo tale scienza cosmologica lo spazio dell’Universo
potrebbe essere tanto infinito quanto finito. In questo secondo caso, sarebbe
illimitato: nel senso che lo si potrebbe percorrere in tutte le direzioni senza
incontrare barriere.
E qui la demenza straborda nel linguaggio, dato che secondo la scienza (che io
chiamo “scienziaggine”) non vi sarebbe più l’universo ma il MULTIVERSO, la cui
esigenza ideologica nasce da multi-teorie bis-logiche, cioè bislacche, che
prevedono la nascita di nuovi Universi nel processo di formazione dei buchi neri
multi-massicci o super-massicci al centro delle galassie.
Per spiegare l’origine dell’espansione del mondo, la scienziaggine “contempla”
altresì l’urto tra due o più universi! In tal caso, anziché di “Big Bang” arriva
a parlare della teoria del “Big Splat”, il grande scontro! Manca la teoria del
“Ciumpa, ciumpa” o quella del “Bunga bunga”, ma presto, con i “dovuti” Nobel si
arriverà anche a quelle…
Sono comunque non pochi gli scienziati che sapevano con certezza (Ettore
Majorana compreso) e sanno che la correttezza della relatività speciale poggiava
e poggia su convinzioni e non su fatti provati, e che la relatività Generale non
poteva e non può reggere a un’analisi critica.
Bibliografia essenziale:
- Richard Moody Jr. in “Nexus new time”, Ed. It. n° 52; Daniele Russo in “Nexus
new time”, Ed. It. n° 68 (http://cosmosdream.it/cosmos/archives/3448).
- Lucio Russo, “Amor che ne la mente mi
ragiona. Uno studio de la filosofia
della libertà di Rudolf Steiner” (2013).
- Rudolf Steiner, “Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe”, Ed.
Antroposofica, Milano 2008, p. 246.
- Massimo Scaligero, “Il pensiero come antimateria”, Ed. Perseo, Roma 1978.
. Massimo Scaligero, “Segreti dello spazio e del tempo”, Ed. Tilopa, Roma 1985.