Rudolf Steiner

 

 I PUNTI ESSENZIALI DELLA QUESTIONE SOCIALE

 RISPETTO ALLE NECESSITÀ DELLA VITA NEL PRESENTE E NELL’AVVENIRE

 IN MARGINE ALLA TRIARTICOLAZIONE DELL’ORGANISMO SOCIALE

 

con in appendice

 

SCIENZA DELLO SPIRITO E PROBLEMA SOCIALE

 

 Traduzione Schwarz-Bavastro

a cura di Nereo Villa

 

Ho fatto precedere ogni capitolo da una mia presentazione. Anche le note [note del curatore = ndc] evidenziate in rosso, i caratteri in grassetto e quelli maiuscoli sono miei. Ho inoltre numerato ogni capoverso (capoverso = §) in base alla 4ª ed. italiana del 1980 da me curata per facilitare futuri studi o lavori di gruppo 

Nereo Villa

 

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INDICE

 

I PUNTI ESSENZIALI DELLA QUESTIONE SOCIALE

Osservazioni preliminari in merito alle intenzioni di questo scritto - Prefazione e introduzione alla quarta edizione tedesca - I - Il vero aspetto della questione sociale desunto dalla vita dell’umanità moderna - II - Tentativi per risolvere secondo realtà le questioni e necessità sociali imposte dalla vita - III - Capitalismo e idee sociali (Capitale, lavoro umano) - IV - Relazioni internazionali degli organismi sociali - V - Appello al popolo tedesco e al mondo civile

 

IN MARGINE ALLA TRIARTICOLAZIONE DELL’ORGANISMO SOCIALE

1 - La triarticolazione dell’organismo sociale: una necessità del nostro tempo - 2 - Le necessità della vita internazionale e la triarticolazione - 3 - Marxismo e triarticolazione - 4 - Libera scuola e triarticolazione - 5 - Quel che occorre per un nuovo assetto sociale - 6 - Capacità di lavoro, volontà di lavoro e l’organismo sociale triarticolato - 7 - Daltonismo psicologico - 8 - Inciampi sulla via della triarticolazione - 9 - Che cosa esige lo “spirito nuovo” - 10 - Profitto economico e spirito del tempo - 11 - Vita spirituale e vita economica - 12 - Diritto ed economia - 13 - Spirito sociale e superstizione socialista - 14 - La base pedagogica della Scuola Waldorf - 15 - L’errore fondamentale nel pensare sociale - 16 - Le radici della vita sociale - 17 - Il terreno della triarticolazione - 18 - Una vera illuminazione come base del pensare sociale - 19 - La via della salvezza per il popolo tedesco - 20 - La sete di pensiero della nostra epoca - 21 - Necessità di comprensione  

 

Appendice:

SCIENZA DELLO SPIRITO E PROBLEMA SOCIALE

 

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Presentazione dell’opera

Se durante la lettura di questo libro sarai riuscito ad avvertire il benché minimo scioglimento di qualcosa che come un nodo imprigionava o bloccava un tuo talento, sappi che ciò sarà in te come la caduta del proverbiale sassolino da cui nasce la valanga… triarticolata dell’organismo sociale, perché riguarderà tre interessi essenziali della tua vita: 1) l’intuizione di una vita culturale nella libertà, 2) l’ispirazione di una vita giuridica nell’uguaglianza e 3) l’immaginazione di una vita economica nella fraternità.

Nessuno può creare dal nulla le cose. Possiamo però trasformare quelle già esistenti, conferendo loro un nuovo aspetto. Per riuscirvi nel modo migliore, cioè eticamente, occorre comprendere la loro legge, intrinseca al loro momento attuale, cioè il loro attuale modo di agire che vogliamo trasformare o a cui vogliamo imprimere una nuova direzione. Occorre dunque trovare il metodo secondo cui quella data legge si lascia trasformare in un’altra. Questa parte dell’attività morale che così ci fa agire poggia sulla conoscenza del mondo fenomenico con cui abbiamo a che fare; va perciò scientificamente ricercata in quel ramo specifico. Ogni giusta azione presuppone perciò, accanto alla facoltà immaginativa di idee morali, quella di trasformare il mondo delle cose percepibili senza spezzare la connessione con le leggi naturali su cui poggiano in quel dato momento. Questa facoltà è tecnica morale e la impariamo così come impariamo una scienza o un’arte, anche se spesso siamo più adatti a trovare i concetti corrispondenti al mondo quale esso già è, che a determinare col lavoro produttivo della nostra facoltà immaginativa azioni future non ancora esistenti. “Perciò è possibilissimo che uomini privi di fantasia morale ricevano le rappresentazioni morali da altri e imprimano queste abilmente nella realtà. Viceversa può anche verificarsi che uomini dotati di fantasia morale manchino di abilità tecnica e debbano servirsi di altri uomini per realizzare le loro rappresentazioni” (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 12°, Ed. Antroposofica, Milano 2013, pp.163-164). Sul piano politico, ad esempio, i sedicenti riformatori hanno, sì, voglia di trasformare il reale, senza avere però anche la cura e la pazienza necessarie a conoscere il reale che vogliono trasformare. Così diventano dei mestieranti o dei… truffatori.

Tutti i continui tentativi di saccheggio delle idee mal comprese di Rudolf Steiner, sono e saranno sempre perciò destinate a fallire. La schiera di accademici, economisti, tecnici, ed esperti nell’insegnare la moneta steineriana epurata o astratta dal suo contesto di triarticolazione sociale, non è altro che il ripresentarsi ogni volta dei neo-proci, che si calano nelle nostre tasche come imperterriti saccheggiatori dell’economia, della cultura e del diritto, mentre noi aspettiamo un Ulisse a liberarci, del tutto ignari che Ulisse è ognuno di noi. La proposta di Steiner d’istituire una periodica scadenza del denaro al fine di renderlo deperibile come i beni che, in una sana economia, dovrebbe limitarsi a rappresentare, magari con una banda magnetica incorporata in ogni banconota, al fine di farne diminuire il valore via via che il proprietario la conserva, così che valga 100 all’inizio, 99,9 dopo una settimana, 99,8 dopo due, ecc. (cfr. “Il dollaro con data di scadenza”, la Repubblica, art. dell’8/9/2002, che così si apre: “Dalla crisi ci salverà una banconota deperibile, il dollaro con data di scadenza?”) è, sì, un’idea della triarticolazione, ma la triarticolazione “è appunto un’idea che va servita nella sua integrità, se si vuol servirla davvero” (R. Steiner, “Necessità di comprensione” in “I punti essenziali della questione sociale”, §9). Fuori da questo contesto, il denaro triarticolato di Steiner non sarebbe altro che un potente incentivo consumistico, cioè atto a far spendere e consumare la gente per rilanciare l’economia. La banconota deperibile non esiste ancora. Ma la sua introduzione è periodicamente evocata dagli economisti alle prese con le varie “bolle” di aria fritta in cui sparisce il denaro della crisi da loro stessi provocata. L’idea di Steiner, paragonata a quella di Silvio Gesell e di Ezra Pound, ottiene periodicamente l’avallo di economisti di tutto il mondo senza però essere mai realizzata. Il fallimento, cioè la mancata sua attuazione è dovuta a due ragioni. In primo luogo, perché un conto è l’idea, altro la sua prospezione dialettica. E se lo spirito cristiano che spinge Steiner verso quell’idea è tri-unitario, quindi già diverso dallo spirito che muoveva Gesell e Pound, non è difficile immaginare quanto più lo sia da quello cui s’ispirano di volta in volta gli economisti della varie banche centrali del mondo. In secondo luogo, perché solo quando quell’idea riceve l’imprimatur dei monopolisti delle varie economie di Stato, essa cessa improvvisamente di essere rigettata, se non addirittura irrisa o sbertucciata, da quanti avevano avuto già modo di conoscerla. Cioè si ricorre a Steiner manipolandolo per continuare a sostenere la stessa economia di Stato che causa la crisi. E questa è oltretutto la triste prova di quanto il giudizio critico degli uomini odierni dipenda ancora da quelli dell’autorità (del “conscio collettivo”, direbbe Jung), e di quanto poco il loro pensiero sia perciò libero, critico e spregiudicato (individuale).

L’idea della scadenza del denaro rientra dunque - nella comprensione di Steiner - in quella dell’organismo sociale triarticolato. E come dimostrano i vari economisti della banche centrali del pianeta, che vorrebbero servirsi di tale scadenza per incentivare le spese e i consumi, espiantarla da tale organismo, in cui sono triarticolate le “funzioni” dello Stato, per impiantarla nell’organismo attuale, in cui sono triarticolati i “poteri” nello Stato, comporta inevitabilmente un’alterazione della sua funzione e del suo scopo.

L’idea della scadenza del denaro, astratta dall’idea dell’organismo sociale triarticolato è dunque come una testa tagliata dall’insieme di organi costituito dall’organismo umano completo.

“Per la vita sociale il problema del pane è un problema di pensiero” (Rudolf Steiner “La sete di pensiero della nostra epoca” in “I punti essenziali della questione sociale”, op. cit., cap. 20° de “In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale”, §8). Tale necessità di pensiero è naturalmente tanto maggiore quanto più vasti e ambiziosi sono gli obiettivi sociali perseguiti, e dovrebbe essere pertanto massima per coloro che si dicono impegnati a creare un “mondo migliore”. Com’è possibile, infatti, creare un “mondo migliore” se non si sa pensare il mondo in “modo migliore”? E sanno forse pensarlo in modo migliore quanti si ispirano alle infinite varianti di un marxismo riveduto e corretto, al cattolicesimo o a qualunque altra “dottrina” occidentale od orientale? In altre parole: quanti non hanno ancora capito che urge non tanto pensare cose nuove, quanto pensare in modo nuovo le cose?

“Ampie cerchie dell’umanità sono incapaci di pensare all’organismo sociale vivente [...] Oggi è difficilissimo chiarire alla gente che occorre un pensiero nuovo, nuovissimo, aderente alla realtà [...]. Il punto non è solo conoscere qualcosa grazie alla scienza dello spirito, ma trasformare, cambiare il nostro pensiero grazie ad essa” (Rudolf Steiner, “La questione sociale: un problema di consapevolezza”, Ed. Antroposofica, Milano 1992, pp. 124, 134 e 138). Oltretutto questo punto non si apprende studiando a memoria le nozioni della scienza dello spirito antroposofica: “Chi considera la scienza dello spirito come una somma di nozioni, potrà naturalmente conoscere moltissime cose, ma se penserà allo stesso modo di prima non avrà accolto la scienza dello spirito. Avrà accolto la scienza dello spirito soltanto se in certo senso avrà modificato il modo, la formazione, la struttura del pensiero; se, rispetto a prima, sarà diventato per così dire un altro” (Rudolf Steiner, “Esigenze sociali dei tempi nuovi”, Ed. Antroposofica, Milano 1971, pp. 203-204). Sarebbe opportuno tenere presenti queste parole, in quanto ho l’impressione che anche quei pochi (almeno in Italia), il cui impegno sociale si richiama esplicitamente alla scienza dello spirito, non sempre abbiano chiara consapevolezza - essendo abituati a ragionare, come tutti, in chiave di “programmi” - che l’organismo sociale triarticolato non è una cosa materiale o un processo materiale, ma un evento tri-unitario importante come quello del Golgota.

Il punto non è quindi “fare programmi” (Rudolf Steiner, “Risposte della scienza dello spirito a problemi sociali e pedagogici”, Ed. Antroposofica, Milano 1974, p. 29) o “pensare a come debba strutturarsi l’organismo sociale” (Rudolf Steiner, “La questione sociale: un problema di consapevolezza”, op. cit., p. 88), perché l’organismo sociale triarticolato non può essere attuato con le dettagliatissime formule degli economisti o dell’economia politica o dell’economia di Stato. Tale organismo, “per chi lo consideri a fondo, rappresenta qualcosa che può scaturire dalle strutture statali odierne, senza alcun dubbio o timore, nel pieno riconoscimento e rispetto di tutti i diritti storici e delle condizioni di fatto. È dunque naturale che su quanto va così realizzato ci si astenga dai particolari. Negli impulsi che vengono pensati in modo realmente pratico, i particolari emergono nel corso dell’attuazione. Solo l’utopista può escogitare fino al dettaglio, e perciò le sue costruzioni, scaturite da un pensiero astratto, sono anche irrealizzabili” (Rudolf Steiner, “I memorandum del 1917”, Ed. Tilopa, Roma 1991, p. 28). Il problema non è quindi quello d’inventarsi, ad esempio, “il sistema fiscale migliore, ma lavorare alla triarticolazione. Quando poi essa si realizzerà sempre più, dalla sua stessa attività si verrà a creare il miglior sistema fiscale. Occorre realizzare le condizioni sotto cui si sviluppano le migliori direttive sociali. Il punto non è infatti di pensare che uno qualsiasi, almanaccando, trovi l’idea migliore, perché non è assolutamente realistico” (Rudolf Steiner, “La questione sociale: un problema di consapevolezza, op. cit., p.27).

L’organismo sociale triarticolato non è dunque un “sistema” (magari “complesso”) del quale possano essere forniti in anticipo i “dati” o i “dettagli” tecnici, né un problema che si presti a essere affrontato e risolto in termini di “ingegneria sociale”, e neppure un “modello” o “progetto” che abbia qualcosa a che vedere con quelli de “La repubblica” di Platone, dell’“Utopia” di Tommaso Moro o de “La città del sole” di Campanella. Tale organismo, insomma, non è un “fatto” (da pensare in modo lineare, o statico, o morto o “rappresentativo”), bensì un “farsi” (da pensare in modo circolare o dinamico, o vivente o “immaginativo”).

Cosa si dovrebbe fare, dunque, per favorirlo, e per creare le condizioni sotto cui si sviluppino le migliori direttive sociali? Si dovrebbe innanzitutto pensare che l’organismo sociale triarticolato debba essere non tanto “creato”, quanto piuttosto aiutato a nascere o a venire alla luce. Infatti, l’attività immateriale o spirituale o culturale, l’attività politica o giuridica e quella economica già operano nell’odierna struttura sociale, ma vi operano in modo caotico, come fili di una matassa “imbrogliata” (e generante, perciò, costanti “conflitti d’interesse”). Dove si pensasse davvero questo, non si faticherebbe allora a capire che ciò che più serve, per rimediare alla “decadenza triarticolata” (Rudolf Steiner, “Esigenze sociali dei tempi nuovi”, in F. Giorgi, “Pensare la triarticolazione”, ospi.it), in cui siamo ancora tutti immersi, è un sagace e paziente impegno a “sbrogliare” tale matassa, individuando di volta in volta (e in virtù delle diverse competenze) i principali nodi da sciogliere, per rendere le tre attività sempre più libere, autonome e indipendenti (facendo innanzitutto attenzione a tutto ciò che può servire a emancipare la vita culturale, che abbraccia non solo la scuola, la scienza, l’arte e la religione, ma anche tutta la cultura giurisprudenziale (soprattutto quando si erge a tutela forzosa della politica e dell’economia). Nella “nota esplicativa” che segue il primo dei suoi due memorandum, Steiner scrive infatti: “Questa esposizione non chiede affatto che si compia qualcosa, ma si limita a mostrare quanto già preme per compiersi, e che vi riuscirebbe nell’istante stesso in cui gli si desse via libera” (Rudolf Steiner, “I memorandum del 1917”, op. cit., p. 31). Più che impegnarsi a “fare” delle cose, dovremmo dunque impegnarci a rimuovere gli ostacoli che impediscono alle cose di “farsi” da sé. Occorre “produrre le condizioni che consentano (all’organismo sociale vivente) di formarsi da sé” (Rudolf Steiner, “La questione sociale: un problema di consapevolezza”, op. cit., p. 87). Perciò bisogna guardarsi, nel servire tale idea, “dallo spogliarla di ciò che ha di radicale” (R. Steiner, “Necessità di comprensione” in “I punti essenziali della questione sociale”, op. cit., cap. 21° de “In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale”, §9). Solo così è possibile superare la “gattopardiana” stasi secondo la quale “tutto deve cambiare affinché nulla cambi”. Una riforma ha senso non come “fine” ma come “mezzo”. Ecco perché la riforma reale esige di essere costantemente orientata, illuminata e ispirata dall’idea dell’organismo sociale triarticolato (e non “tripartito”, come Steiner stesso sottolinea) (Rudolf Steiner, “Come si opera per la triarticolazione dell’organismo sociale”, Ed. Antroposofica, Milano 1988, p. 134).

Per migliorare la vita sociale è inutile cominciare, come fanno i sedicenti rivoluzionari, col distruggere quanto già esiste. Per poter trasformare la società esistente con la giusta cura etica si può attuare una valida “terapia” soltanto se si è operata una corretta “diagnosi”. Ed è proprio questo il cuore del problema. Nel corso del Novecento il comunismo, il fascismo e il nazismo si riproposero, sì, seppure in modo diverso, di rinnovare il mondo. Non tennero in alcun conto però (così come gli odierni “rivoluzionari”) che la società “capitalistico-borghese” può essere trasformata in una migliore, così come anche in una peggiore. Non videro che l’approdare al primo o al secondo di questi due esiti, dipendeva e dipende innanzitutto dall’avere o no la capacità di scoprire le vere cause della “malattia” che affligge il mondo attuale. La storia dovrebbe averci insegnato che gli orrori “terapeutici” del comunismo, del fascismo e del nazismo non sono stati appunto che l’inevitabile conseguenza dei loro errori “diagnostici”.

Certo, non è facile distinguere chi vuole cambiare il mondo perché lo ama, dal Giuda che vuole cambiarlo (ma in realtà distruggerlo) perché lo odia e perciò vuole partire solo dalle proprie rapine di Borsa (Gv 12, 3-6). E non è facile perché ciò che li rende diversi non sta in superficie, ma nel profondo, cioè non in quanto apertamente sostengono, ma in quanto segretamente li anima: lo spirito. E, piaccia o no, se si vogliono risparmiare all’umanità ulteriori tragedie, occorre imparare proprio a discernere gli spiriti. Si può comunque osservare che è assai improbabile che ami davvero il mondo chi non ama pensarlo e conoscerlo, e non è per questo disposto a intraprendere il paziente e amorevole lavoro di trasformazione indicato da Steiner.

Bibliografia: F. Giorgi., “Pensare la triarticolazione” (ospi.it).

Nereo Villa

 

OSSERVAZIONI PRELIMINARI IN MERITO ALLE INTENZIONI DI QUESTO SCRITTO

Presentazione del curatore - La spiritualità che non diventa contenuto di vita dell’uomo ma che si limita alla recitazione di mantra o di orazioni è tale e quale a quella del cattolicesimo di chi nasce cattolico senza diventare mai cristiano. È pertanto esattamente il contrario di quanto qui si intende col questo concetto. «In questo scritto il “problema sociale” è trattato come problema economico, giuridico e spirituale. L’autore crede di vedere come risulti il “vero aspetto” del problema sociale dalle esigenze della vita economica, giuridica e spirituale. Solo da questa conoscenza possono derivare gli impulsi per una sana strutturazione di quei tre campi della vita entro l’organismo sociale» (§5).

«Agli “spirituali” le considerazioni di questo scritto appariranno dunque non spirituali, ed ai “pratici” estranee alla vita. L’autore è del parere di poter servire a suo modo la vita del presente proprio perché non inclina verso l’estraneità alla vita di molte persone che oggi si considerano “pratiche”, e perché non può giustificare neppure i discorsi sullo “spirito” che creano illusioni con le parole» (§4).

 

OSSERVAZIONI PRELIMINARI IN MERITO ALLE INTENZIONI DI QUESTO SCRITTO

 

1. La vita sociale del nostro tempo pone seri problemi che abbracciano tutto. Compaiono richieste di nuove strutture e mostrano che, per far fronte ai nuovi compiti, devono ricercarsi vie a cui finora non si era pensato. A seguito degli avvenimenti attuali, forse oggi trova ascolto chi, partendo dalle esperienze della vita, si deve riconoscere nell’opinione che il non aver pensato a vie ora diventate necessarie ha spinto alla confusione sociale. Alla base di una tale opinione vi sono le considerazioni svolte in questo scritto. Esse intendono parlare di quel che dovrebbe avvenire per portare verso un volere sociale conscio dei propri fini le esigenze che oggi vengono poste da una gran parte dell’umanità. Nella formazione di tale volere poco dovrebbe poi influire se a qualcuno piacciano o no tali esigenze. Esse esistono, e bisogna tenerne conto come di fatti della vita sociale. A questo devono riflettere soprattutto coloro che, in base alla personale condizione nella vita, trovano che l’autore di questo scritto, nella sua esposizione delle richieste proletarie, parla in un modo che essi non gradiscono, perché per le loro vedute in merito a tali richieste mette in rilievo troppo unilateralmente qualcosa con cui dovrebbe tener conto il volere sociale. L’autore desidera però parlare partendo dalla piena realtà della vita attuale, per quanto gli è possibile sulla base delle sue conoscenze appunto della vita attuale. Gli stanno davanti agli occhi le conseguenze tragiche che devono sorgere dal non volere vedere i fatti che si sono verificati nella vita dell’umanità moderna; anche se non si vuol sapere nulla di quel volere, bisogna comunque tener conto dei fatti.

 

2. Poco soddisfatte delle esposizioni dell’autore saranno in un primo tempo anche coloro che si considerano pratici della vita, almeno nel senso in cui oggi si assume il concetto di “pratica della vita”, sotto l’influenza di alcune abitudini divenute predilette. Costoro diranno che in questo scritto non parla una persona pratica della vita. L’autore crede che proprio quelle persone dovranno rivedere a fondo le loro idee, perché la loro “pratica di vita” appare loro come qualcosa che, a seguito dei fatti che l’umanità del presente ha dovuto sperimentare, si è dimostrato senz’altro un errore: proprio l’errore che ha portato in misura illimitata al destino attuale. Tali persone dovranno necessariamente rendersi conto che quanto appare loro come stravagante idealismo va riconosciuto come pratico. Anche se stimano che il punto di partenza di questo scritto è sbagliato perché nelle sue prime parti si parla poco della vita economica e molto di quella spirituale dell’umanità moderna pure l’autore, partendo dalla sua conoscenza della vita è dell’opinione che agli errori fatti se ne aggiungeranno innumerevoli altri se non ci si deciderà a dedicare un’oggettiva attenzione alla vita spirituale dell’umanità moderna.

 

3. Anche a coloro che nelle forme più diverse ripetono sempre la frase che l’umanità dovrebbe smettere di dedicarsi a interessi solo materiali e rivolgersi invece allo “spirito”, all’“idealismo”, non piacerà molto quel che dice l’autore di questo scritto. Egli infatti non fa molto ricorso a semplici indicazioni verso lo “spirito”, a discorsi su un nebuloso mondo spirituale. Egli riconosce solo la spiritualità che diventa contenuto di vita dell’uomo. Nel dominio dei compiti pratici della vita tale contenuto si mostra altrettanto efficace quanto lo è la costruzione di una concezione del mondo e della vita che soddisfi le necessità dell’anima. Il problema non è conoscere o credere di conoscere una spiritualità, ma che la spiritualità sia tale da mostrarsi anche nell’afferrare le realtà pratiche della vita. Essa allora appare non solo come una corrente collaterale riservata all’essenza interiore dell’anima.

 

4. Agli “spirituali” le considerazioni di questo scritto appariranno dunque non spirituali, ed ai “pratici” estranee alla vita. L’autore è del parere di poter servire a suo modo la vita del presente proprio perché non inclina verso l’estraneità alla vita di molte persone che oggi si considerano “pratiche”, e perché non può giustificare neppure i discorsi sullo “spirito” che creano illusioni con le parole.

 

5. In questo scritto il “problema sociale” è trattato come problema economico, giuridico e spirituale. L’autore crede di vedere come risulti il “vero aspetto” del problema sociale dalle esigenze della vita economica, giuridica e spirituale. Solo da questa conoscenza possono derivare gli impulsi per una sana strutturazione di quei tre campi della vita entro l’organismo sociale. In tempi più antichi dell’evoluzione dell’umanità gli istinti sociali avevano cura che quei tre campi si articolassero nella complessiva vita sociale in un modo adeguato alla natura umana. Oggi l’evoluzione è di fronte alla necessità di dover conquistare quell’articolazione mediante una volontà sociale conscia dei propri fini. Per i Paesi da considerare per tale volontà, fra il tempo antico e il presente vi è innanzitutto un’azione reciproca di antichi istinti e di coscienza moderna non ancora adeguatasi alle esigenze dell’umanità attuale. Gli istinti antichi continuano però ancora a vivere in molto di ciò che oggi si considera pensare sociale cosciente dei propri fini. Ciò rende il pensare debole di fronte ai fatti divenuti esigenze. L’uomo del presente deve svincolarsi da ciò che non è vitale, in modo più radicale di quanto molti non pensino. L’autore stima che il modo in cui la vita economica, quella giuridica e quella spirituale debbano strutturarsi nel senso di una sana vita sociale richiesta dai nuovi tempi, può risultare solo a chi sviluppi la buona volontà di far valere quanto si è appena detto. Quel che l’autore pensa di dover dire in merito ad una simile necessaria strutturazione, desidera venga sottoposto con questo libro al giudizio del presente. Egli desidera dare impulso a fini sociali adatti alle attuali realtà e necessità della vita. Stima infatti che solo un impulso del genere possa condurre nel campo della volontà sociale, al di là delle esaltazioni e dell’utopismo.

 

6. L’autore desidera pregare chi ancora volesse trovare in questo scritto qualcosa di utopistico, di riflettere come oggi, con certe idee che ci facciamo sui possibili sviluppi delle condizioni sociali, siamo lontanissimi dalla vita reale e come cadiamo in esaltazioni. Pertanto si vede come utopia ciò che è tratto dalla vera realtà e dall’esperienza di vita e che si è cercato di esporre in questo scritto. Qualcuno vedrà perciò in questa esposizione qualcosa di “astratto”, perché per lui è “concreto” solo ciò che è abituato a pensare, e quindi pensa che sia astratto anche il concreto che non è abituato a considerare (1).

 

7. L’autore sa che teste rigidamente inserite in programmi di partito saranno insoddisfatte delle sue esposizioni. Pure egli stima che molti uomini di partito arriveranno presto alla convinzione che i fatti dell’evoluzione sono già ben al di là dei programmi di partito, e che è soprattutto necessario un giudizio indipendente da quel programmi, relativo agli scopi immediati della volontà sociale.

 

Inizio di aprile 1919

Rudolf Steiner

 

(1) L’autore ha coscientemente evitato di attenersi nella sua esposizione esclusivamente alle espressioni in uso nei testi di economia. Conosce bene i punti dei quali un giudizio di “esperti” dirà che è dilettantesco. Si è deciso però al suo modo di esprimersi non solo perché desiderava parlare a persone per le quali le espressioni della scienza economica non sono familiari, ma soprattutto per la convinzione che l’avvenire farà apparire unilaterale e insufficiente, già nella forma espressiva, la maggior parte delle espressioni tecniche dei testi economici. A chi pensasse che l’autore avrebbe potuto anche indicare le idee sociali di altri che in qualche modo potessero avvicinarsi a quanto è qui esposto, egli fa rilevare che il punto di partenza e la via della concezione qui caratterizzati, per i quali l’autore crede di dover ringraziare un’esperienza di decenni, ha la sua parte essenziale nella realizzazione pratica degli impulsi dati, e non solo in pensieri formulati in un modo o in un altro. D’altra parte l’autore come si può vedere nel capitolo quarto, ha cercato eli impegnarsi per la realizzazione pratica, quando pensieri in apparenza simili non erano ancora stati notati in merito ai diversi argomenti.

 

PREFAZIONE E INTRODUZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE TEDESCA

Presentazione del curatore - Già il fatto che a partire dall’infanzia gli esseri umani siano inseriti nelle scuole di Stato, basta allo Stato per disporre poi di un consenso, costruito nel tempo e finalizzato all’accettazione della propria degenerazione totalitaria, consistente nell’eccesso di attribuzioni di poteri pubblici. È però sempre più evidente come lo Stato si palesi sempre più come un apparato avente il monopolio della violenza.

 

PREFAZIONE E INTRODUZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE TEDESCA

(da 41° all’80° migliaio)

 

1. Sfuggiranno i compiti posti dalla vita sociale del pre­sente a chi vi si avvicini con pensieri utopistici. In base a determinate concezioni e a determinati sentimenti si potrà avere la fede che qualche particolare ordinamento, che ci si è immaginato, possa rendere felici gli uomini; una simile fede può assumere una potente forza di convinzione, ma si parlerà del tutto inutilmente sul significato attuale del “problema sociale”, se si vorrà conservare una fede del ge­nere.

 

2. Oggi si può portare questa affermazione fino alle sue ultime e impossibili conseguenze, e si sarà pur sempre nel giusto. Si può presumere che qualcuno sia in possesso di una “soluzione” teoricamente perfetta del problema sociale, ma egli crederebbe ugualmente qualcosa del tutto non pra­tico se volesse offrire all’umanità la “soluzione” da lui escogitata. Non viviamo infatti più in un tempo nel quale si poteva credere di agire in questo modo nella vita pubblica. L’atteggiamento dell’anima della gente non è più tale da poter dire nella vita pubblica: “Ecco qui qualcuno che ha capito quali siano i necessari ordinamenti sociali, e noi dobbiamo fare quel che egli suggerisce”.

 

3. La gente non vuole più accettare in quel modo idee sulla vita sociale. Questo scritto, che ha già avuto una discreta diffusione, tiene conto di questo fatto. Chi ha scorto in esso un carattere utopistico ha del tutto travisato gli intendi­menti che vi erano stati posti. Lo hanno fatto soprattutto coloro che vogliono pensare soltanto in modo utopistico. Es­si vedono negli altri il carattere essenziale delle loro abitu­dini di pensiero.

 

4. Per chi pensa praticamente fa oggi parte delle espe­rienze della vita pubblica che non si può fare proprio niente con delle idee utopistiche che in apparenza siano anche molto convincenti. Pure molti credono di sentire che sia per esempio possibile proporre simili idee ai propri contempo­ranei nel campo dell’economia. Essi devono però convincersi di parlare inutilmente. I loro contemporanei non sanno che farsene delle loro proposte.

 

5. Questa va considerata un’esperienza, perché indica un fatto importante dell’attuale vita pubblica. È il fatto della estraneità alla vita di quel che si pensa in confronto per esempio a quel che esige la realtà economica. Si può infatti sperare di padroneggiare le condizioni confuse della vita pubblica, avvicinandosi ad esse con un pensare estraneo al­la vita?

 

6. Un problema del genere non può essere gradevole, per­ché presuppone l’ammissione che si pensa in modo estraneo alla vita. Pure, senza questa ammissione si rimarrà lontano dal “problema sociale”, poiché si raggiungerà chiarezza su che cosa è necessario per la vita sociale soltanto esaminan­do questo problema come una delle più serie questioni di tutta la civiltà del presente.

 

7. Questo problema rinvia alla strutturazione della vita spirituale del presente. L’umanità moderna ha sviluppato una vita spirituale che è dipendente in grande misura dagli ordinamenti statali e dalle forze economiche. Già da bambini si viene inseriti nelle strutture statali dell’educazione e dell’insegnamento, e si può essere educati solo nel modo permesso dalle condizioni economiche dell’ambiente in cui si cresce.

 

8. Si potrebbe quindi facilmente credere che l’uomo dovrebbe adattarsi bene alle condizioni di vita del presente, perché lo Stato dovrebbe avere la possibilità di organizzare le strutture della scuola, e quindi della parte più essenziale della vita spirituale pubblica, in modo che la comunità umana venga servita per il meglio. Si potrebbe anche facilmente credere che in questo modo l’uomo diventi il mi­glior possibile componente della comunità umana, se viene educato in accordo con le possibilità economiche dalle quali egli deriva, e se grazie a tale educazione egli viene inserito nel posto indicatogli dalle possibilità economiche.

 

9. Questo scritto deve assumere il compito, oggi poco gra­dito, di mostrare che la confusione della nostra vita pubbli­ca deriva dalla dipendenza della vita spirituale dallo Stato e dall’economia. Deve anche mostrare che la liberazione della vita spirituale da tale dipendenza costituisce uno degli aspetti più brucianti del problema sociale.

 

10. Questo scritto mette quindi in evidenza errori molto diffusi. Da molto tempo si vede qualcosa di salutare per il progresso dell’umanità nell’assunzione dell’educazione da parte dello Stato, e pensatori socialisti non possono immaginare nulla di diverso dal fatto che la società educhi il singolo per il proprio servizio e secondo proprie disposizioni.

 

11. Non ci si vuole adattare a un’opinione che oggi è asso­lutamente necessaria in questo campo. È l’idea che nell’evoluzione storica dell’umanità, in un tempo successivo può di­ventare un errore quel che era giusto in un tempo prece­dente. Per il formarsi delle condizioni dell’umanità moder­na era necessario che l’educazione, e con essa tutta la vita spirituale pubblica, venisse tolta alle forze che la domina­vano nel medioevo, e data alla responsabilità dello Stato. L’ulteriore conservazione di questo stato è però un grave errore sociale.

 

12. È quel che vuol mostrare questo scritto nella sua prima parte. Nell’ambito degli ordinamenti statali la vita spirituale è matura per la libertà, ma non può vivere giustamente nella libertà se non le viene data la completa autogestione. A seguito della sua essenza, la vita spirituale richiede di essere un membro autonomo dell’organismo sociale [Steiner chiama la società “organismo sociale” perché intende la società non in modo astratto, lineare ed immobile, ma circolare e in movimento, cioè concreto - ndc]. La struttura dell’educazione e dell’insegnamento, dalla quale in sostanza deriva tutta la vita spirituale, deve essere affidata all’amministrazione di coloro che educano e insegnano. Nulla di ciò che è attivo nello Stato o nell’economia deve immischiarsi o essere determinante in tale amministrazione. Chi è impegnato nell’insegnamento deve impie­gare per l’insegnamento tanto tempo in modo che gliene resti abbastanza per amministrare il suo settore. Egli curerà l’amministrazione così come si occupa dell’educazione e dell’insegnamento. Nessuno darà disposizioni se non sarà contemporaneamente attivo nell’insegnamento e nell’educazione. Nessun parlamento, nessuna personalità - che magari un tempo abbia insegnato ma che ora non lo faccia più - dovrà interloquire. Quel che si sperimenta immediatamente nell’insegnamento dovrà fluire anche nell’amministrazione. È nella natura delle cose che con simili disposizioni l’oggettività e la capacità agiscano nella massima misura possibile.

 

13. Naturalmente si potrà obiettare che anche con l’auto­gestione della vita spirituale non tutto diverrà perfetto. Nella vita reale la perfezione non è assolutamente da ri­chiedere. Si può solo tendere a che si realizzi il meglio. Le capacità che si formano nel bambino verranno trasmesse veramente alla collettività se alla loro formazione si dedicherà soltanto chi potrà esprimere il suo giudizio determi­nante in base a ragioni radicate nello spirito. Solo in una libera comunità spirituale si potrà stabilite fino a che pun­to un ragazzo potrà venir portato in una direzione qualsiasi. ­E solo da una simile comunità potrà venir stabilito che cosa si dovrà fare per favorire giustamente la decisione presa. Da una libera comunità spirituale lo Stato e l’economia potranno ricevere le forze che essi non possono darsi se or­ganizzano la vita spirituale nelle loro prospettive.

 

14. È nell’intendimento di quanto esposto in questo scritto che anche le strutture e le materie di insegnamento degli istituti che servono allo Stato ed alla vita economica siano affidate agli amministratori della libera vita spirituale. Scuole giuridiche e commerciali, istituti agrari e industriali dovranno ricevere la loro struttura dalla libera vita spirituale. Di necessità questo scritto deve suscitare contro di sé molti pregiudizi, quando si tragga questa giusta deduzione da quel che si è esposto. Da che cosa derivano tali pregiudi­zi? Si riconoscerà il loro spirito antisociale vedendo che in sostanza essi provengono dall’opinione incosciente che gli edu­catori debbano essere persone estranee alla vita, non prati­che, e che non ci si possa attendere che essi possano pren­dere delle decisioni che servano, in modo giusto, nei diversi settori pratici della vita. Tali decisioni dovrebbero quindi venir prese da coloro che sono inseriti nella vita pratica [praxis astratta - ndc], mentre gli educatori dovrebbero agire secondo le direttive che vengono loro date [teoria astratta; nella vita reale non esiste la teoria da una parte e la prassi dall’altra; questo modo di ragionare è meccanicistico e materialistico - ndc].

 

15. Chi pensa così non vede che gli educatori, usi a non po­tersi dare da soli alcuna direttiva, dalla più piccola alla più grande, proprio per questo diventano estranei alla vita e non pratici. Possono quindi venir date loro direttive che in apparenza derivano da gente tanto più pratica, mentre gli educatori non riescono ad educare gente che diventi pratica della vita. Le condizioni antisociali deriverebbero dal fatto che nella vita sociale non vengono inserite persone che in base alla loro educazione sentano in modo sociale. Persone che sentano in modo sociale possono però soltanto provenire da un sistema educativo che sia guidato e amministrato da chi senta in modo sociale. Non ci si avvicinerà mai al pro­blema sociale se non si tratterà il problema della scuola e della vita spirituale come una delle sue parti essenziali. Si creano elementi antisociali non soltanto mediante provve­dimenti economici, ma anche per il fatto che la gente si comporta in modo antisociale nell’ambito di quei provvedi­menti. È poi in sostanza antisociale che si faccia educare ed istruire la gioventù da persone che si fanno diventare estranee alla vita per il fatto di prescriver loro dal di fuori le direttive e il contenuto del loro agire.

 

16. Lo Stato organizza facoltà di diritto, e pretende che vi venga insegnato un diritto che, dal suo punto di vista, è stato emanato secondo la sua costituzione e la sua amministrazione. Invece scuole che deriveranno interamente da una libera vita spirituale creeranno il contenuto della giuri­sprudenza dalla vita spirituale stessa. Lo Stato dovrà solo attendere ciò che gli verrà affidato dalla libera vita spiri­tuale. Verrà fecondato dalle idee viventi che possono nasce­re solo da una simile vita spirituale.

 

17. Entro la vita spirituale stessa vi saranno uomini che cresceranno nella pratica della vita movendo dal loro ango­lo visuale. Non diventerà però pratica di vita quel che pro­viene da strutture educative disposte solo da cosiddetti “pratici”, nelle quali insegnano persone estranee alla vita, ma solo da educatori che comprendono la vita e la pratica sulla base delle loro visuali. Come dovrà essere strutturata nei particolari l’amministrazione di una libera vita spiri­tuale verrà indicato, almeno per accenni, in questo scritto.

 

18. Gente che tende all’utopia porrà molte domande a que­sto scritto. Artisti preoccupati e altre persone attive in campo culturale diranno: “Forse che in una libera vita spi­rituale i talenti prospereranno meglio che non nella vita at­tualmente guidata dallo Stato e dalle potenze economiche?” Chi così domanda deve riflettere che questo scritto non è assolutamente pensato in senso utopistico. Di conseguenza in esso non viene stabilito teoricamente che qualcosa venga fatta in un modo preciso. Vengono piuttosto sollecitate co­munità umane che, in base alla loro collaborazione, possano iniziare ciò che ha un valore sociale. Chi infatti giudica la vita non secondo pregiudizi teorici, ma in base all’esperienza, dirà a se stesso che chi lavora movendo dal suo libero talento avrà possibilità di un giusto riconoscimento per il suo lavo­ro quando vi sia una libera comunità spirituale che possa agire nella vita sulla base delle proprie vedute.

 

19. Il “problema sociale” non è qualcosa che sia sorto ora nella vita degli uomini, che adesso possa essere e venga an­che risolto da un paio di persone o dai parlamenti. È invece una parte costitutiva di tutta la moderna vita civile, e tale rimarrà, dato che è sorto. In ogni istante dell’evoluzione storica dovrà venir risolto a nuovo, poiché la vita umana è entrata con l’evo moderno in una condizione che fa sempre sorgere l’elemento antisociale da ciò che viene strutturato socialmente. Ed esso deve venir continuamente dominato. Come un organismo dopo qualche tempo che si è satollato ritorna sempre nella condizione di aver fame, così l’organi­smo sociale da una condizione di ordine ricade sempre nel disordine. Una medicina universale per l’ordine delle condi­zioni sociali esiste tanto poco quanto un prodotto alimenta­re che sfami per tutto l’avvenire. Gli uomini possono però inserirsi in comunità tali che, attraverso la loro collabora­zione vivente, venga sempre ridata all’esistenza la direzione verso l’elemento sociale. Una simile comunità è la parte spirituale dell’organismo sociale che si autoamministra.

 

20. In base all’esperienza del presente, come per la vita spirituale la libera autogestione risulta un’esigenza sociale, così per la vita economica è il lavoro associativo. Nella vita umana moderna l’economia si estrinseca in produzione, circolazione e consumo di merci. Attraverso questi processi vengono soddisfatti i bisogni umani; gli uomini si muovono in essi con la loro attività. Ognuno ha in essi i suoi parziali interessi; ognuno deve agire in essi con la partecipazione che gli è possibile. Soltanto ogni singolo può sapere e senti­re di che cosa egli abbia veramente bisogno; in base alle sue vedute sulle condizioni di vita generali egli vorrà giudi­care quel che deve fare. Non sempre fu così, e ancora oggi non è così dappertutto sulla Terra; è però in sostanza così entro la parte attualmente civile della popolazione del pia­neta.

 

21. Nel corso dell’evoluzione umana gli individui occupati nell’economia sono aumentati. Dalla chiusa economia cur­tense si è sviluppata l’economia comunale, e da questa l’e­conomia nazionale. Oggi viviamo in un’economia mondiale. Nel nuovo rimane però ancora una parte rilevante dell’an­tico; e nell’antico era già accennato molto del nuovo. I de­stini dell’umanità dipendono anche dal fatto che la riporta­ta sequenza evolutiva è divenuta attiva in modo predominante nell’ambito di determinate condizioni di vita.

 

22. È un pensiero impossibile, irreale, voler organizzare le forze economiche in un’astratta comunità mondiale. Le sin­gole zone economiche sono in gran parte confluite nelle di­verse economie nazionali nel corso dell’evoluzione. Però le comunità nazionali o statali sono sorte in base a forze di­verse da quelle solo economiche. Averle volute trasformare in comunità economiche ha determinato il caos sociale dei tempi moderni. La vita economica, in base alle proprie for­ze, tende a strutturarsi in modo indipendente dalle istitu­zioni statali, e anche dal modo di pensare legato allo Stato. Ciò sarà possibile soltanto se, seguendo esclusivamente pro­spettive economiche, si costituiranno delle associazioni nel­le quali confluiscano consumatori, commercianti e produtto­ri. A seconda delle condizioni della vita si regolerà da sé l’ampiezza di tali associazioni. Associazioni troppo piccole diverrebbero care, troppo grandi lavorerebbero in modo economicamente incontrollabile. Ogni associazione troverà il modo per trattare ordinatamente con le altre in base alle condizioni reali. Non bisogna preoccuparsi che chi debba passare la sua vita in continui cambiamenti di posto venga costretto, limitato, dalle associazioni. Troverà facilmente il passaggio da una all’altra se il passaggio stesso sarà de­terminato non dall’organizzazione statale, ma da interessi economici. Nell’ambito del sistema associativo sono pensabili disposizioni che agiscano con la facilità della circolazio­ne monetaria.

 

23. Entro le associazioni, in base alla competenza e all’og­gettività, può dominare un’ampia armonia di interessi. Non leggi regoleranno la produzione, la circolazione e il consu­mo dei beni, ma uomini a seconda delle loro immediate ve­dute e dei loro interessi. Grazie al loro inserimento nella vita delle associazioni gli uomini potranno sviluppare le opportune vedute; per il fatto che i singoli interessi do­vranno contemperarsi contrattualmente, i beni circoleranno con i loro corrispondenti valori. L’ipotizzato riunirsi secondo prospettive economiche è qualcosa di diverso per esempio dai moderni sindacati. Essi agiscono nella vita economica, ma non si costituiscono in base a prospettive economiche. Si sono costituiti in base ai principi che nell’evo moderno si sono formati nel trattare questioni statali e politiche. In es­si si agisce come in un parlamento; non ci si accorda secon­do punti di vista economici per stabilire che cosa ognuno debba fare. Nelle associazioni non vi saranno “salariati” che grazie alla loro forza chiederanno il massimo salario possibile a un datore di lavoro, ma vi agiranno congiunta­mente lavoratori manuali, responsabili spirituali della produzione, e consumatori interessati alla produ­zione, per determinare attraverso il regolamento prezzi delle prestazioni adeguate alle controprestazioni. Questo non può realizzarsi in assemblee che funzionino come par­lamenti. Bisognerà anzi guardarsene! Infatti chi potrebbe mai la­vorare se innumerevoli persone dovessero impiegare il loro tempo per discutere di lavoro? In trattative fra uomo e uomo, fra associazione e associazione tutto si svolge accanto al lavoro. È solo necessario che la decisione corrisponda alle vedute dei lavoratori e agli interessi dei consumatori.

 

24. In questo modo non si mostra un’utopia, perché non si dice che qualcosa va regolato in una maniera determinata. Viene solo indicato come gli uomini potranno organizzare le cose se vorranno agire in comunità che corrispondono alle loro vedute e ai loro interessi.

 

25. Che gli uomini si riuniscano in comunità del genere provvede da una lato la natura umana, quando non venga impedita da intromissioni statali, perché la natura crea i bisogni. Dall’altro può provvedervi la vita spirituale, poiché essa forma le vedute che devono agire nella comunità. Chi pensa secondo l’esperienza deve ammettere che le previste comunità associative possono formarsi in ogni momento, e che non racchiudono in sé nulla di utopistico. Al loro nasce­re null’altro si oppone se non il fatto che l’uomo d’oggi vuo­le “organizzare” la vita economica dal dì fuori, ‘nel senso che per lui il concetto di “organizzazione” è diventato una specie di suggestione. A un tale organizzare, che vuole determinare la gente alla produzione dal di fuori, si contrap­pone l’organizzazione economica che si basa sul libero associarsi. Mediante le associazioni il singolo si unisce col suo prossimo, e la pianificazione complessiva nasce dalla com­prensione dei, singoli. Si può chiedere che scopo abbia che il povero si associ con il ricco. Si può obiettare che sia meglio se la produzione e il consumo siano “giustamente” regolati da fuori. Una simile regolamentazione organizzativa li­mita la libera forza creativa del singolo e impedisce l’in­gresso nella vita economica di ciò che può nascere soltanto dalla libera forza creativa. Si provi a immaginare, malgra­do tutti i pregiudizi, anche solo un’associazione fra chi oggi non ha nulla e chi ha. Se altre forze diverse da quelle eco­nomiche non interferiscono, chi ha dovrà di necessità pa­reggiare con chi non ha le prestazioni e le controprestazio­ni. Oggi non si parla di questi problemi movendo da istinti di vita derivati dall’esperienza, ma da posizioni che si sono sviluppate non da interessi economici bensì di classe o di altro genere. Essi poterono svilupparsi perché nell’epoca moderna, nella quale proprio la vita economica è divenuta sempre più complicata, quest’ultima non poté venir seguita con idee puramente economiche. La vita spirituale, non li­bera, lo ha impedito. Le persone attive economicamente so­no inserite nella ROUTINE QUOTIDIANA e non rilevano le forze attive nell’economia. Esse lavorano senza direttiva nel complesso della vita umana. Nelle associazioni ognuno sa­prebbe dall’altro ciò che è necessario egli sappia. Si formerebbe un’esperienza economica in merito a ciò che è possibi­le, perché le persone, delle quali ognuna ha opinioni ed esperienze nel proprio campo particolare, giudicherebbero concordemente fra loro.

 

26. Come nella libera vita dello spirito sono attive solo le forze che in essa esistono, così nel sistema economico strut­turato in associazioni sono attivi solo i valori economici che si formano attraverso le associazioni. Quello che nella vita economica il singolo abbia da fare gli risulta dal ritrovarsi assieme a coloro con i quali è associato. Egli avrà così esat­tamente un’influenza sul complesso dell’economia, corri­spondente alle sue prestazioni. IN QUESTO SCRITTO SI ESAMINA COME VENGA INSERITO NELLA VITA ECONOMICA CHI NON È IN GRA­DO DI OFFRIRE PRESTAZIONI. Solo una vita economica che sia strutturata in base alle proprie forze può difendere il debole di fronte al forte.

 

27. L’organismo sociale si dividerebbe così in due parti au­tonome che appunto si sosterrebbero a vicenda per il fatto di avere ognuna una propria amministrazione peculiare, deri­vata dalle proprie forze caratteristiche. Fra le due deve pe­rò viverne una terza. È la sostanziale parte statale dell’or­ganismo sociale. In essa si fa valere tutto ciò che dipende dal giudizio e dal sentimento di ogni singolo mag­giorenne. Nella libera vita spirituale ognuno è attivo a se­conda delle sue particolari capacità; nella vita economica ognuno occupa il posto che risulta dalla sua posizione nelle associazioni. Nella vita politico-giuridica dello Stato, ognuno perviene al suo valore umano in quanto esso è indipendente dalle capacità che si possono manifestare nella libera vita spirituale, ed è indipendente dal valore che nella vita eco­nomica associativa assumono i beni da lui prodotti.

 

28. In questo libro viene mostrato come la durata e il modo del lavoro sia di competenza della vita statale politico-giuridica. In essa ognuno è di fronte agli altri da pari a pa­ri, perché vi si tratta e vi si agisce nei campi in cui ogni singolo è capace di giudicare come gli altri. I diritti e i doveri degli uomini trovano il loro regolamento in questa par­te dell’organismo sociale.

 

29. L’unità di tutto l’organismo sociale nascerà dall’auto­nomo sviluppo delle sue tre parti. Il libro mostra come pos­sa strutturarsi l’efficacia del capitale mobile, dei mezzi di produzione, l’uso dei fondi e dei terreni attraverso la collaborazione delle tre parti. Chi vuole “risolvere” il problema sociale mediante una soluzione derivata dall’economia, escogitata o altrimenti sorta, non troverà pratico, questo scritto; chi invece, sulla base di esperienze di vita, vuole stimolare gli uomini verso decisioni nelle quali essi possano meglio riconoscere i compiti sociali e dedicarvisi, forse rico­noscerà all’autore del libro l’aspirazione verso una vera pratica di vita.

 

30. Il libro fu pubblicato per la prima volta nell’aprile del 1919. A quel che allora fu scritto ho aggiunto degli articoli che vennero pubblicati nella rivista “Dreigliederung des sozialen Organismus” (Triarticolazione dell’organismo so­ciale) e che sono appena apparsi in forma di libro con il ti­tolo “In Ausführung der Dreigliederung des sozialen Organismus” (In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale).

 

31. Si potrà trovare che nei due libri si parla poco degli “scopi” del movimento sociale e invece parecchio delle vie che devono venir seguite nella vita sociale. Chi pensa movendo dalla pratica di vita sa che possono presentarsi singole me­te in forma diversa. Solo a chi vive in pensieri astratti tutto appare con contorni precisi. Costui censura spesso la vita pratica perché non la determina lui e non la trova abbastanza “chiara”. Molti che si considerano pratici sono invece teorici del tipo accennato. Essi non pensano che la vita può assumere le forme più diverse. È un elemento mo­bile. Chi vuole dunque avanzare con la vita, anche nei suoi pensieri e sentimenti deve adattarsi a questa caratteristica di mobilità. I compiti sociali possono venir afferrati solo con un simile pensare.

 

32. Le idee di questo scritto sono ricavate dall’osservazio­ne della vita, e vanno anche comprese allo stesso modo.

 

Stoccarda e Dornach, 1920

Rudolf Steiner

  

1. IL VERO ASPETTO DELLA QUESTIONE SOCIALE

Presentazione del curatore - La rimozione del giudizio critico genera un organismo sociale malato. Il vero aspetto delle odierne problematiche sociali desunte dalla vita proviene principalmente da un pregiudizio che ne impedisce la risoluzione in quanto ritiene il pensiero scientifico avulso dalla natura spirituale (i.e. immateriale) che invece lo caratterizza. “Quel che il pensiero scientifico non ha ereditato dal vecchio ordinamento della vita è l’aver coscienza del fatto che, essendo di natura spirituale, ha radice in un mondo spirituale” (R. Steiner, “I punti essenziali della questione sociale”, Ed. Antroposofica, Milano 1980, cap. I, §12). Coloro che oggi “credono di conoscere ‘praticamente’ la vita” (§13) e che siedono nei parlamenti per risolvere tali problematiche non si accorgono che “il linguaggio dei fatti che si fa sentire attraverso le attuali condizioni del mondo andrà sempre più palesando l’illusorietà di quella credenza” (ibid.). Continuando a pensare “praticamente” che “dal campo del pensiero, dalla vita solo spirituale, non si potrà mai ricavare un contributo efficace per risolvere le scottanti questioni sociali del nostro tempo” (§19), i sedicenti pratici partono però ancor sempre “dal punto di vista di supposizioni teoriche” (ibid.), “su una base puramente ideativa” (§21) costruendo la loro vita “da proletari e da non proletari” (§6) “su dei pensieri” (§22), pur tuttavia sentendo schizofrenicamente “i pensieri come un’ideologia astratta” (ibid.). “Se non s’intende questo fatto in tutta la sua importanza nell’evoluzione dell’umanità moderna” (ibid.), diventa facile cadere nell’errore ideologico di vedere la risoluzione di ogni problema sociale unilateralmente nella sfera economica: l’uomo è indotto a credere che da quest’ultima “debba derivare tutto ciò che alla fine, gli conferirà i suoi pieni diritti umani. Per questi egli combatte” (ibid. §29). Ma inutilmente. Perché, così facendo, non può che cadere nell’antica schiavitù in cui “l’uomo intero veniva venduto al pari di una merce” (§31). Infatti “il capitalismo è divenuto il potere che imprime ancora il carattere di merce a una parte dell’essere umano: all’energia di lavoro” (ibid.) o forza-lavoro. Oggi nell’osservare tale forza-lavoro “si dirige lo sguardo unicamente alla vita economica” (ibid.) e ci si sforza di “trasformare il processo economico in modo che in esso l’energia del lavoro umano venga difesa” (ibid.). Ma proprio qui sta l’errore in quanto “non si vede che è una caratteristica della vita economica stessa quella di dare, a tutto ciò che vi si incorpora, il carattere di merce” (ibid.). Perciò non si risolverà mai il problema finché non si riuscirà a svincolare la forza-lavoro dal processo economico “affinché essa venga regolata da altre forze sociali che le tolgano il carattere di merce” (ibid.). Non è lecito infatti estendere il dominio delle leggi economiche alla forza-lavoro come se questa fosse una merce, perché questo significa vendere l’uomo come una merce e ancora una volta come schiavo. Coloro che oggi parlano ancora di costo del lavoro parlano fatalmente di schiavitù credendo di risolverne il problema. Ciò avviene nella misura in cui non sanno “scindere tra loro i modi completamente diversi in cui, da un lato, s’inserisce nella vita economica quel che come energia di lavoro è legato all’uomo, e, dall’altro, quel che, secondo la sua origine, indipendentemente dall’uomo, segue le vie che la merce deve prendere dalla produzione al consumo” (§32). Se lo imparassero, comprenderebbero “come la ‘questione sociale’ si articoli in tre questioni speciali: dalla prima dovrà essere indicata la forma sana della vita spirituale entro l’organismo sociale; dalla seconda dovrà essere indicata la posizione del lavoro giustamente incorporato nella vita collettiva; e come terza questione potrà risultare il modo come in questa vita sociale dovrà operare l’economia” (§33).

 

I

 

IL VERO ASPETTO DELLA QUESTIONE SOCIALE

DESUNTO DALLA VITA DELL’UMANITÀ MODERNA

 

1. Dalla catastrofe della guerra mondiale non è forse venuto manifestandosi il movimento sociale moderno attraverso fatti che dimostrano tutta l’insufficienza dei pensieri coi quali, per decenni, si era creduto di comprendere il volere del proletariato?

 

2. A porre questa domanda ci costringe quel che, dalle esigenze prima represse del proletariato, e da tutto quanto vi si connette, viene ora sospinto alla superficie della vita. I poteri che reprimevano quelle esigenze sono ormai in parte annientati; e solo chi ignora come siano indistruttibili certi impulsi della natura umana può voler conservare la posizione, presa da quei poteri, di fronte agli impulsi sociali d’una gran parte dell’umanità.

 

3. Molte personalità, alle quali, per la loro posizione sociale, era consentito d’influire con la parola e col consiglio, favorendone o inceppandone l’azione, sulle forze della vita europea che nel 1914 avevano spinto alla catastrofe della guerra, si erano abbandonate, riguardo a quegli impulsi, alle più grandi illusioni. Potevano credere che una vittoria del loro paese avrebbe placato l’impeto delle rivendicazioni sociali. Ma dovettero accorgersi che proprio le conseguenze del loro contegno portarono gli impulsi sociali a manifestarsi integralmente. Si può anzi dire che la presente catastrofe dell’umanità si sia palesata come quell’avvenimento storico che diede agli impulsi in questione tutta la loro forza propulsiva. Negli ultimi anni, gravi di destini, le personalità e le classi dirigenti dovettero sempre subordinare il loro modo di agire alle esigenze degli ambienti socialisti. Spesso avrebbero volentieri agito diversamente, se avessero potuto non tener conto di quelle aspirazioni, i cui effetti si protraggono nella piega presa dagli avvenimenti contemporanei.

 

4. Ed ora che quanto per decenni era venuto preparandosi nell’evoluzione della vita dell’umanità è entrato in una fase decisiva, diventa tragicamente fatale che i pensieri sviluppati durante i fatti in divenire siano inadeguati ai fatti stessi una volta divenuti. Molte persone che s’erano formate i loro pensieri durante quel divenire, per promuovere i fini sociali che in esso vivono, oggi poco o nulla possono di fronte ai fatali problemi posti dai fatti stessi.

 

5. Eppure molte di quelle persone persistono a credere che possa realizzarsi, e poi dimostrarsi abbastanza forte per dare una direttiva possibile agli avvenimenti incalzanti, ciò che per tanto tempo esse hanno ritenuto necessario alla nuova conformazione della vita umana. Si può prescindere dalla opinione di chi tuttora s’illude che il vecchio ordinamento possa reggere di fronte alle esigenze nuove d’una gran parte dell’umanità, e si può prendere in considerazione quel che vogliono coloro i quali sono persuasi della necessità di riorganizzare la vita. Ma non si potrà fare a meno di riconoscere che, quali giudizi mummificati, corrano in mezzo a noi opinioni di partito che lo svolgimento dei fatti dimostra superate. Questi fatti esigono soluzioni alle quali i vecchi partiti sono impreparati. I partiti si sono, è vero, sviluppati insieme coi fatti, ma senza riuscire a tener dietro ai fatti con le proprie abitudini mentali. Non occorre essere immodesti per credere, di fronte a opinioni oggi ancora ritenute valide, di poter ricavare quanto or ora s’è detto dal decorso degli avvenimenti mondiali contemporanei. È lecito trarne la conseguenza che, appunto il nostro tempo, debba essere sensibile al tentativo di segnalare nella vita sociale dell’umanità moderna quel che nella sua peculiarità sfugge anche agli studiosi di questioni sociali e alle tendenze dei partiti. Poiché potrebbe pur essere che la tragedia che si manifesta nei tentativi di soluzione della questione sociale abbia le sue radici proprio in un malinteso delle vere tendenze proletarie; in un malinteso anche da parte di coloro che da queste tendenze hanno fatto scaturire le loro concezioni. Poiché non è affatto detto che l’uomo si formi sempre il giusto giudizio intorno a quel ch’egli stesso vuole.

 

6. Possono perciò sembrare giustificate le seguenti domande: - Cosa vuole veramente il movimento proletario moderno? - Corrisponde questo suo volere a ciò che comunemente si pensa in proposito da proletari e da non proletari? - Si manifesta il vero aspetto della questione sociale in quel che molti pensano intorno ad essa, oppure è necessario seguire una direttiva di pensiero del tutto diversa? Ad una simile questione non ci si potrà accostare con imparzialità se, dalle proprie vicende, non si è stati posti in grado d’immedesimarci con la vita animica del proletariato moderno, e precisamente di quella sua parte che maggiormente ha concorso a dare al movimento sociale la forma ch’esso ha presa attualmente.

 

7. Si è parlato molto, dello sviluppo della tecnica moderna e del moderno capitalismo. Ci si è chiesti come, da questo sviluppo, sia sorto il proletariato contemporaneo e come, con lo svolgersi della nuova vita economica, esso sia pervenuto alle sue rivendicazioni presenti. In tutto quanto è stato detto in proposito c’è molto di esatto. Ma che con questo non si sia ancora toccato un punto decisivo, lo può intendere solo chi non si lascia ipnotizzare dal giudizio che «le circostanze esteriori danno all’uomo l’impronta della sua vita». Il punto decisivo si rivela a chi serba libera la visione degli impulsi che operano dalle intime profondità dell’attività interiore. È, sì, vero che le rivendicazioni proletarie sono venute sviluppandosi contemporaneamente alla tecnica moderna e al moderno capitalismo; ma il riconoscerlo non getta ancora nessuna luce su ciò che veramente vive in quelle esigenze, sotto forma di impulsi puramente umani. E finché non si penetri nella vita di questi impulsi, non ci si potrà nemmeno accostare al vero aspetto della “questione sociale”.

 

8. Un’espressione, che ricorre spesso nel mondo proletario, può fare una notevole impressione su chi è capace di penetrare nelle più profonde forze motrici della volontà umana. Ed è questa: “Il proletariato moderno ha acquistato una coscienza di classe”. Esso non segue più, per così dire, istintivamente, incoscientemente, gli impulsi delle classi a lui estranee. Sa di appartenere a una classe speciale e vuol far valere il rapporto di questa sua classe con le altre, nella vita pubblica, in un modo corrispondente ai suoi interessi. Per chi ha la capacità d’intendere le correnti nascoste dell’attività interiore, l’espressione “coscienza di classe”, come la usa il proletariato moderno, sarà rivelatrice di fatti essenziali della concezione sociale della vita, propria a quelle classi lavoratrici che si trovano nel giro della tecnica moderna e del moderno capitalismo. Egli ha da porre mente, innanzi tutto, al modo in cui le dottrine scientifiche relative alla vita economica e ai suoi rapporti col destino umano abbiano colpito come un fulmine e infiammato l’animo proletario. Si troverà di fronte a un fatto su cui molti di coloro che si limitano a pensare sul proletariato, ma non con esso, avventano giudizi del tutto confusi, e per conseguenza dannosi, data la gravita degli avvenimenti attuali. Con l’opinione che il marxismo, e lo svolgimento datogli dagli scrittori socialisti, abbiano fatto dar di volta al cervello del proletario “incolto”, e con tutte le altre cose che spesso si sentono dire in proposito, non si arriva alla comprensione, oggi tanto necessaria, in questo campo della situazione storica del mondo. Poiché, esprimendo una tale opinione, si dimostra soltanto di non voler prendere in considerazione un punto essenziale del movimento sociale contemporaneo. E questo punto essenziale è che la proletaria “coscienza di classe” è tutta satura di concetti che hanno preso il loro carattere dallo sviluppo della scienza moderna. In tale coscienza continua tuttora ad agire come disposizione interiore ciò che animava il discorso di Lassalle su La scienza e gli operai (Ferdiand Lasalle, 1825-1864, scrittore a capo del movimento tedesco dei lavoratori. Gesammelte Reden und Schriften Berlino 1919-20). Cose simili possono sembrare prive d’importanza a qualcuno che si ritenga un “uomo pratico”. Ma chi vuol conquistarsi vedute veramente feconde sul movimento operaio moderno deve rivolgere a queste cose tutta la sua attenzione. Poiché in ciò che oggi esigono i proletari socialisti, moderati ed estremisti, non vive la vita economica trasformata in impulsi umani, come molti s’immaginano, ma la scienza dell’economia, dalla quale la coscienza proletaria è stata afferrata. Ciò risulta sia dalla letteratura scientifica del movimento proletario, sia da quella divulgata dal giornalismo, in un modo così chiaro che il negarlo significa chiudere gli occhi davanti alla realtà dei fatti. Ed è un fatto fondamentale, decisivo per lo stato attuale della società, questo, che il proletario moderno si fa fissare il contenuto della sua coscienza di classe in concetti d’indole scientifica. Per quanto lontano dalla “scienza” possa ancora essere l’uomo che lavora alla macchina, egli ascolta tuttavia le spiegazioni che, delle sue condizioni, gli danno le persone che dalla scienza hanno derivato i mezzi per fornirgliele.

 

9. Tutte le discussioni sulla vita economica moderna, sul secolo delle macchine, sul capitalismo, possono dare qualche lume intorno ai fatti che costituiscono la base del movimento proletario moderno, ma ciò che chiarisce in modo decisivo il presente stato sociale non deriva immediatamente dall’applicazione dell’operaio alle macchine, e perciò dal suo aggiogamento al carro della vita capitalistica, bensì dalla circostanza che, mentre egli lavorava alle macchine e in dipendenza dell’ordine economico capitalistico, nella sua coscienza di classe si formavano pensieri ben determinati. Può darsi che le abitudini mentali dei nostri giorni inducano qualcuno a disconoscere tutta la portata di questi fatti e a ritenere che il volerli mettere in rilievo sia semplicemente un gioco dialettico di concetti. Ma sarà tanto peggio per chi spera in una felice sistemazione della vita sociale; poiché non potranno certo portarvi un contributo coloro che non siano in grado di discernerne gli elementi essenziali. Chi vuole comprendere il movimento proletario deve prima di tutto, sapere come il proletario pensi. Poiché tale movimento - dalle moderate tendenze riformistiche alle sue degenerazioni più deleterie - non è opera di forze “extra-umane” di “impulsi economici”, ma è fatto da uomini; dalle loro rappresentazioni e dai loro impulsi volitivi.

 

10. Le idee determinanti e le forze volitive del movimento sociale presente non risiedono in quel che la macchina e il capitalismo hanno impresso nella coscienza proletaria. Il movimento sociale ha cercato la fonte delle proprie idee nelle nuove tendenze scientifiche, perché macchina e capitalismo non erano in grado di offrire al proletario alcunché di adatto a riempirgli l’attività interiore di un contenuto degno d’un essere umano. All’artigiano medioevale un tale contenuto era dato dalla sua stessa professione. C’era, nella maniera stessa in cui quell’artigiano si sentiva umanamente legato al suo lavoro, qualcosa che, di fronte alla sua coscienza, gli faceva apparire la sua propria vita, nell’ambito dell’intera società umana, come degna d’essere vissuta. Gli era dato di considerare il suo lavoro come quello che poteva fargli realizzare ciò che ambiva di essere come “uomo”. Messo a lavorare alla macchina e impigliato nell’ordinamento della vita capitalistica, non gli restò altro che poggiare su se stesso, sulla propria interiorità, quando cercava una base su cui poter fondare un’opinione su ciò che si è come “uomo”. Per formarsi una tale opinione nessun aiuto gli veniva dalla tecnica e dal capitalismo. Ne derivò la conseguenza che la coscienza proletaria prese la strada verso il pensiero orientato scientificamente perché aveva perduto la connessione umana con la vita immediata. Ora ciò avvenne in un periodo in cui le classi tendevano a una forma di pensiero scientifico che non aveva più neppure esso la forza spirituale propulsiva capace di condurre la coscienza a un contenuto in grado di appagarne del tutto i bisogni. Le antiche concezioni del mondo avevano inserito l’uomo, come attività interiore, in una connessione spirituale; invece di fronte alla scienza moderna egli appare come un essere naturale nel semplice ordine della natura. Questa scienza non è sentita come una corrente che fluisca nell’attività interiore da un mondo spirituale dandole un sostegno. Comunque si voglia giudicare, del rapporto tra gli impulsi religiosi (e quanto vi si connette) e il pensiero scientifico moderno, considerando senza preconcetti l’evoluzione storica, si dovrà convenire che l’ideazione scientifica si è sviluppata da quella religiosa. Ma le vecchie concezioni del mondo, che si fondavano su sostrati religiosi, non hanno potuto comunicare il loro impulso sostenitore dell’anima alla nuova forma scientifica del pensiero. Esse si collocarono fuori di questa e continuarono a vivere con un contenuto di coscienza a cui non poterono rivolgersi le anime del proletariato. Per le classi dirigenti quel contenuto di coscienza poteva ancora avere un certo valore, che, in un modo o nell’altro, si connetteva con quanto le legava umanamente alla loro posizione sociale. Esse non cercarono, dunque, un nuovo contenuto di coscienza perché la tradizione della vita stessa permetteva loro di conservare il vecchio. Invece il proletario moderno fu avulso da tutte le antecedenti connessioni. La sua vita fu posta su di una base del tutto nuova. Con la perdita delle basi precedenti, gli venne meno anche la possibilità di attingere alle antiche fonti spirituali, poiché queste sorgevano nel campo da cui egli era stato avulso. Con la tecnica moderna e col moderno capitalismo si sviluppò simultaneamente - per quanto si possa parlare di simultaneità riguardo alle grandi correnti storiche dei mondo - la scientificità moderna. A questa si rivolse con fiducia, con fede, il proletariato moderno e vi cercò il nuovo contenuto di coscienza di cui sentiva il bisogno. Ma di fronte a tale scientificità il proletariato moderno si trovò in un rapporto del tutto diverso da quello delle classi dirigenti. Queste non sentivano il bisogno di fare delle loro concezioni scientifiche il sostegno della loro anima. Per quanto si compenetrassero di “mentalità scientifica” che nell’ordine naturale vedeva una connessione causale diretta dagli animali più bassi fino all’uomo, questa concezione rimaneva tuttavia per esse una convinzione teoretica. Non generava l’impulso a prendere la vita, anche riguardo al sentimento, in maniera perfettamente conforme a quella convinzione. Il naturalista Vogt, il volgarizzatore della scienza naturale Büchner, erano certamente compenetrati di pensiero scientifico; ma, accanto a questo, agiva nelle loro anime qualcosa che li attaccava saldamente a connessioni di vita che hanno un senso e una giustificazione solo là, dove regni la fede in un ordine spirituale del mondo. Ora si pensi, senza preconcetti, a come diversamente operi il pensiero scientifico su chi ha la propria esistenza ancorata in quelle connessioni di vita, in confronto a come può operare nel proletario moderno dinanzi al quale, nelle poche ore serali che gli rimangono libere dal lavoro, l’agitatore socialista parli press’a poco cosi: “La scienza moderna ha levato dalla testa degli uomini la credenza ch’essi abbiano origine da mondi spirituali, ed ha insegnato loro che in tempi primordiali essi hanno vissuto come animali, sconciamente arrampicati sugli alberi, avendo tutti la medesima origine puramente naturale”. Il proletario moderno si vide posto dinanzi ad una concezione scientifica orientata secondo pensieri siffatti, quando egli cercava un contenuto interiore che potesse fargli sentire i suoi rapporti di uomo con la vita universale; egli prese radicalmente sul serio tale scientificità e ne trasse le sue conseguenze per la vita. L’epoca della tecnica e del capitalismo lo colpì ben diversamente che non l’uomo appartenente alle classi dirigenti. Questi stava in un ordine di vita ancora configurato da impulsi che offrivano un sostegno per l’anima; e aveva tutto l’interesse ad inserire le conquiste dei tempi nuovi nell’ordine già invalso. Il proletario invece era stato psicologicamente strappato da quell’ordine, e questo non poteva più conferirgli alcun sentimento che gli illuminasse la vita in un modo degno d’un essere umano. Un’unica cosa poteva ormai far sentire al proletario che cosa uno sia come essere umano; e cioè il pensiero scientifico che, sorto dal vecchio ordinamento della vita, gli appariva dotato di una forza suscitatrice di fede.

 

11. Sentir parlare così di carattere scientifico a proposito del pensiero proletario potrà forse far sorridere chi per esso intenda quel che si acquista sedendo per molti anni sui banchi di scuola e lo opponga alla coscienza del proletario “ignorante”. Ma sarebbe un sorridere di fatti decisivi per i destini della vita contemporanea. Fatti che dimostrano come molti uomini dotti vivano in maniera non conforme alla scienza, mentre il proletario ignorante orienta il suo modo di vivere e di sentire la vita secondo la scienza, che forse neanche possiede. L’uomo istruito ha accolto la scienza; essa è come racchiusa in una casella della sua attività interiore. Egli però continua a vivere in contingenze che non sono governate da tale scienza, e lascia che esse orientino i suoi sentimenti. Il proletario è condotto dalle sue condizioni di vita ad intendere l’esistenza nel modo conformemente allo stato d’animo che deriva dalla scienza moderna. Quel che le altre classi chiamano “scienza” potrà anche essergli abbastanza estraneo; tuttavia le direttive scientifiche del pensiero orientano la sua vita. Per le altre classi sarà determinante un fondamento religioso, estetico, spirituale in genere; per lui il “credo” per la vita diventa la scienza, sebbene spesso nelle sue estreme conseguenze di pensiero. Molti tra gli appartenenti alle classi dirigenti si sentono “emancipati”, “svincolati dalla religione”. Certo, nelle loro rappresentazioni vive la convinzione scientifica; ma nei loro pensieri pulsano i residui inosservati di una fede tradizionale.

 

12. Quel che il pensiero scientifico non ha ereditato dal vecchio ordinamento della vita è l’aver coscienza del fatto che, essendo di natura spirituale, esso ha radice in un mondo spirituale. Di tale carattere del moderno orientamento scientifico poteva anche importare poco all’uomo appartenente alle classi dirigenti, poiché la sua vita era tutta pervasa dalle antiche tradizioni. Non così il proletariato, al quale la nuova condizione di vita le scacciava tutte via da sé. Egli ereditò dalle classi dominanti il pensiero scientifico e tale eredità divenne la base della coscienza che aveva della natura dell’uomo. Ma questo “contenuto spirituale” che portava nell’anima nulla sapeva della sua origine da una vera vita spirituale. L’unico elemento, spirituale che il proletario poteva assumere dalle classi dominanti rinnegava il fatto di derivare dalla spirito.

 

13. Non mi è ignota l’impressione che queste idee faranno su proletari e non-proletari che credono di conoscere “praticamente” la vita: partendo da tale credenza ritengono estranea alla vita la concezione da me esposta. Ma il linguaggio dei fatti che si fa sentire attraverso le attuali condizioni del mondo andrà sempre più palesando l’illusorietà di quella credenza. Chi è capace di vedere spassionatamente quei fatti deve riconoscere come a una concezione della vita che si attenga unicamente al loro lato esteriore non siano più accessibili, alla fine, se non rappresentazioni che coi fatti stessi non hanno più nulla a che fare. I pensieri dominanti si sono attenuti “praticamente” ai fatti per tanto tempo che, in ultimo, non hanno avuto più la minima somiglianza con essi. A questo riguardo, la presente catastrofe mondiale potrebbe essere per molti una severa educatrice. Infatti: che cosa pensavano che sarebbe potuto avvenire? E che cosa è avvenuto in realtà? Dovrebbe accadere lo stesso anche per il pensiero sociale?

 

14. Mi sembra già di sentire anche l’obiezione che il seguace della concezione socialista farà, partendo dalla sua disposizione d’animo: “Ecco un altro che vorrebbe far deviare il vero nocciolo della questione sociale sopra un binario sul quale il borghese crede di poter viaggiare comodamente!”. Ma quel socialista non vede che, se il destino lo ha condotto alla vita proletaria, egli cerca però di destreggiarsi in essa mediante un modo di pensare che gli è stato trasmesso in eredità proprio dalle classi “dirigenti”. Egli vive da proletario, ma pensa da borghese. Ora i nuovi tempi esigono non solo che ci si orienti in una vita nuova, ma anche in un ordine di pensieri nuovi. Il modo di pensare scientifico potrà diventare un sostegno per la vita soltanto sé, per la formazione di un contenuto interiore veramente umano, saprà sviluppare alla sua maniera un’energia propulsiva altrettanto forte di quella che, alla loro maniera, hanno sviluppato le concezioni antiche.

 

15. Con ciò è indicata la via che conduce a scoprire il vero aspetto di uno degli elementi del movimento proletario moderno. In fin dei conti si sente sorgere dall’anima proletaria la convinzione: io aspiro alla vita spirituale. Ma questa vita spirituale è ideologia, è soltanto quel che nell’uomo si rispecchia dei processi esteriori del mondo; non deriva da un mondo spirituale speciale. Quel che l’antica vita spirituale è divenuta nel trapasso ai tempi nuovi è sentito, dalla concezione proletaria, come un’ideologia. E chi vuol comprendere lo stato d’animo del proletario, che poi si estrinseca nelle attuali rivendicazioni sociali, deve essere in grado di comprendere quali effetti possa produrre l’opinione che la vita spirituale sia un’ideologia. Si potrà obiettare: “Ma che cosa sa il proletario di media levatura di questa opinione perturbatrice che si agita nelle teste più o meno istruite dei suoi capi?”. Chi dice così parla, e anche agisce, senza tener conto delle vere realtà della vita. Non sa che cosa si sia svolto nella vita proletaria degli ultimi decenni; non sa quali fili corrano dalla credenza che la vita spirituale sia un’ideologia alle esigenze e alle azioni del socialista radicale, che ritiene “ignorante”, e anche alle azioni di coloro che per oscuri impulsi “fanno la rivoluzione”.

 

16. Il tragico errore dell’incomprensione delle rivendicazioni sociali contemporanee sta nel fatto che in molti ambienti non si ha il minimo senso di quel che affiora ora alla superficie della vita negli animi di larghe masse umane, e che si è incapaci di vedere quanto avviene veramente nell’intimo degli uomini. Pieno di paura, il non-proletario tende l’orecchio alle rivendicazioni che salgono dal proletariato, e sente proclamare che “solo con la socializzazione dei mezzi di produzione esso potrà conseguire un’esistenza degna di un essere umano”. Ma non sa formarsi una rappresentazione del fatto che, nel trapasso dal vecchio al nuovo tempo, la sua classe non solo ha chiamato il proletario a lavorare con mezzi di produzione non suoi, ma non ha nemmeno saputo aggiungere al suo lavoro qualcosa che potesse dargli un sostegno per l’attività interiore. Chi, nel modo che abbiamo accennato più sopra, trascura, sia nella conoscenza, sia nell’azione, di tener conto delle vere realtà della vita, potrà obiettare: “Ma, infine, il proletario, non vuol altro, che pervenire a una posizione sociale pari a quella delle classi dirigenti! Che c’entra qui la questione dell’attività interiore?” Persino al proletario stesso verrà fatto di dire: “Dalle altre classi io non voglio nulla per la mia attività interiore; chiedo solo che sia loro impedito di sfruttarmi più oltre; voglio che le attuali differenze di classe scompaiano!” Tali discorsi non toccano però l’essenza della questione sociale; nulla rivelano del suo vero aspetto. Infatti, nell’attività interiore della popolazione lavoratrice, una coscienza che dalle classi dirigenti avesse ereditato un vero contenuto spirituale, proclamerebbe le rivendicazioni sociali in tutt’altro modo da come lo fa il proletariato moderno che nella vita spirituale ereditata non può veder altro, che un’ideologia. Questo proletariato è convinto del carattere ideologico della vita spirituale, ma appunto a causa di questa sua convinzione diventa sempre più infelice. E gli effetti di questa infelicità della sua attività interiore, di cui egli non è cosciente, pur soffrendone intensamente, hanno per la situazione sociale del nostro tempo un peso infinitamente più importante di tutte le rivendicazioni, pur giustificate nel loro genere, che riguardano il miglioramento delle condizioni materiali della vita.

 

17. Le classi dirigenti non riconoscono se stesse come autrici di quella concezione di lotta continua che ora nel proletariato si trovano di fronte. Eppure proprio in loro è la causa di quell’atteggiamento, perché della loro vita spirituale hanno saputo trasmettere al proletariato solo qualcosa che esso deve sentire come semplice ideologia.

 

18. Quel che da’ al movimento sociale contemporaneo la sua impronta essenziale non è la richiesta di un mutamento nelle condizioni di vita d’una classe, sebbene ciò ne sia l’elemento più ovvio, bensì il modo in cui, dagli impulsi di pensiero di questa classe, la richiesta del cambiamento è tradotta in realtà. Si osservino pregiudicatamente i fatti da questo punto di vista, e si vedrà come certe personalità, che pure vogliono tenere il loro pensiero nella stessa direzione degli impulsi proletari, sorridano quando si accenna a voler contribuire alla soluzione della questione sociale per mezzo di questo o quel provvedimento d’ordine spirituale. Esse ne sorridono come di un’ideologia, d’una teoria astratta. Pensano che dal campo del pensiero, dalla vita solo spirituale, non si potrà mai ricavare un contributo efficace per risolvere le scottanti questioni sociali del nostro tempo. Eppure, se si guarda meglio, s’impone il fatto che il nerbo, il vero impulso causale dell’attuale agitazione proletaria non sta in quel che il proletario d’oggi dice, ma nei suoi pensieri.

 

19. Il movimento proletario moderno, come forse mai nessun altro movimento del genere, si palesa, a chi l’osservi fino in fondo, scaturito da pensieri. Io non lo asserisco come una opinione maturata solo dalla riflessione sul movimento sociale, ma dall’esperienza. Se mi è lecito inserire qui una osservazione personale, voglio ricordare che per anni ho insegnato materie varie in una scuola di coltura operaia, a operai proletari; e durante questo insegnamento credo d’aver imparato a conoscere quel che urge e si fa sentire nell’attività interiore del proletario moderno. Ho avuto anche occasione di seguire da vicino quel che fermenta tra le maestranze delle varie categorie di operai e negli artigiani. Perciò non parlo dal punto di vista di supposizioni teoriche, ma esprimo quanto credo di essermi conquistato nella vita attraverso una vera esperienza.

 

20. Chi ha imparato a conoscere il movimento operaio moderno (cosa purtroppo alquanto rara fra i dirigenti intellettuali) là, dove questo è promosso da operai, sa di che grave portata sia appunto il fatto che una certa tendenza di pensiero abbia afferrato con la massima intensità gli animi di un gran numero di persone. Se oggi è tanto difficile prendere posizione di fronte ai problemi sociali, ciò è dovuto alla troppo scarsa possibilità di comprensione reciproca delle diverse classi. Quelle borghesi hanno molta difficoltà a penetrare nell’attività interiore del proletario, a comprendere come nella sua ancora nuova intelligenza sia riuscita a penetrare un’ideazione che, come quella di Karl Marx - comunque si voglia valutare il suo contenuto - pone al pensiero esigenze sommamente ardue.

 

21. Certo, il sistema di pensiero di Karl Marx può essere accettato o respinto, con ragioni che possono sembrare altrettanto buone in un caso come nell’altro, e ha potuto essere sottoposto ad una revisione da parte di coloro che, dopo la morte di Marx e del suo amico Engels, considerarono la vita sociale da un punto di vista diverso. Non voglio affatto entrare nel merito di questo sistema che non mi pare l’essenziale nel movimento proletario moderno. Più importante mi pare il fatto che nel mondo dei lavoratori agisca un sistema di pensiero come impulso di suprema potenza. Si può dire: Mai prima d’ora un movimento con intenti pratici come questo movimento proletario moderno, un movimento per la rivendicazione delle più comuni esigenze della vita umana, poggiò così, quasi esclusivamente, su una base puramente ideativa. Si può persino affermare che, tra le agitazioni del genere, questa è la prima che si sia collocata sopra una base puramente scientifica. Ma un tal fatto deve essere giustamente considerato. Se si guarda a tutto quello che il proletario moderno può formulare coscientemente, come programma, sulle sue intenzioni, sulla sua volontà, e sul suo sentimento, ad un’indagine approfondita ciò non appare assolutamente come l’elemento di maggiore importanza.

 

22. Veramente importante deve invece apparire il fatto che nel sentire del proletario è divenuto decisivo per la totalità dell’uomo ciò che nelle altre classi è radice solo di una singola parte della vita dell’attività interiore: la base di pensiero della concezione della vita. Ciò che nel proletario è in tal modo una realtà interiore egli non può confessarlo coscientemente. Né lo trattiene il fatto che la vita del pensiero gli è stata trasmessa come semplice ideologia. Egli, dunque, costruisce la sua vita su dei pensieri; eppure sente i pensieri come un’ideologia astratta. Non si può comprendere la concezione proletaria della vita e la sua realizzazione attraverso le azioni dei suoi rappresentanti, se non s’intende questo fatto in tutta la sua importanza nell’evoluzione dell’umanità moderna.

 

23. Dalla descrizione qui abbozzata della vita spirituale del proletario moderno, si può riconoscere che nella rappresentazione del vero aspetto del movimento sociale essa deve occupare il primo posto. Poiché nel modo in cui il proletario sente le cause della situazione sociale che lo scontenta e agisce per eliminarle, è essenziale il fatto che il suo sentire e il suo agire ricevono le direttive dalla vita spirituale. Eppure, presentemente, egli non può far altro che respingere con derisione o collera l’idea che in queste basi spirituali del movimento sociale risieda una forza propulsiva di grande importanza. Come potrebbe infatti riconoscere che la vita spirituale ha un potere propulsivo, dal momento che deve sentirla come un’ideologia? Da una vita spirituale sentita in tal modo non ci si può aspettare l’indicazione d’una via d’uscita da una posizione sociale che non si vuole sopportare più oltre. Per i1 proletario moderno che ha un modo di pensare orientato dalla scienza, non solo la scienza stessa, ma l’arte, la religione, la morale, il diritto sono diventati elementi dell’ideologia umana. In quel che vive in questi rami della vita spirituale egli non vede nessuna realtà che prorompa nella sua esistenza, e abbia il potere di aggiungervi qualche elemento nuovo; per lui non contengono altro che riflessi e immagini della vita materiale. Anche se una volta generati reagiscano indirettamente sulla vita umana, improntandola, sia attraverso le rappresentazioni, sia attraverso gli impulsi volitivi, nondimeno originariamente sorgono però da questa vita come strutture ideologiche. Quindi non essi, di per sé, possono offrire qualcosa che conduca a superare le difficoltà sociali; solo nell’ambito dei fatti materiali stessi può sorgere quel che conduce alla meta.

 

24. La vita spirituale moderna è stata trasmessa dalle classi dirigenti dell’umanità al proletariato in una forma che, per la coscienza di questo, ne distrugge la forza. Questo si deve comprendere anzi tutto quando si pensa alle forze capaci di risolvere la questione sociale. Se questo fatto perdurasse e agisse più oltre, la vita spirituale dell’umanità dovrebbe vedersi condannata all’impotenza di fronte alle esigenze sociali presenti e future. Di tale impotenza è in realtà persuasa una gran parte del proletariato moderno; e ciò si sente espresso nelle fedi marxiste e simili. Si dice: “La vita economica moderna si è sviluppata dalle sue forme antecedenti quella attuale del capitalismo. Tale sviluppo ha posto il proletariato in una posizione insostenibile di fronte al capitale. Lo sviluppo proseguirà ancora; ucciderà il capitale con le forze stesse che in esso operano, e dalla morte del capitalismo verrà la liberazione del proletariato”. Dai pensatori socialisti più recenti questa convinzione è stata spogliata del carattere fatalistico, che aveva assunto per una certa cerchia di marxisti; ma l’essenziale è rimasto anche qui; e ne risulta che a nessuno che voglia pensare da autentico socialista verrà in mente di dire, ad esempio: “se in qualche luogo, ricavata dagli impulsi del tempo e radicata in una realtà spirituale, si manifesterà una vita interiore che sia per gli uomini un sostegno, da essa potrà irradiare la forza adatta a dare il giusto impulso anche al movimento sociale”.

 

25. Il fatto che oggi l’uomo costretto a condurre vita proletaria non possa attendersi questo dalla vita spirituale contemporanea, è quello che da’ alla sua attività interiore l’intonazione fondamentale. Egli ha bisogno di una vita spirituale che generi una forza capace di conferire alla sua interiore attività il senso della sua propria dignità di essere umano, perché impigliandosi nell’economia capitalistica moderna, i suoi bisogni interiori più profondi s’indirizzarono verso la vita spirituale ma la vita spirituale che gli fu trasmessa come ideologia dalle classi dirigenti gli vuotò l’anima. E questo è ciò che imprime all’attuale movimento sociale la forza direttiva: che nelle esigenze del proletariato moderno agisce l’aspirazione a una connessione con la vita dello spirito del tutto diversa da quella che gli può dare l’ordinamento sociale presente. Questo fatto però non è giustamente compreso, né dalla parte proletaria dell’umanità, né da quella non-proletaria, dato che quest’ultima non soffre dell’impronta ideologica della moderna vita dello spirito che essa stessa ha causato. La parte proletaria invece ne soffre; e questa impronta ideologica della vita spirituale che ha ricevuto in eredità, le ruba ogni fede nella forza sostenitrice dei valori spirituali come tali. Dipenderà dalla giusta comprensione di questo fatto se si saprà o no trovare una via d’uscita dall’attuale confusione sociale dell’umanità. L’ordinamento sociale stabilitosi col sorgere della nuova forma economica sotto l’influsso delle classi dirigenti ha chiuso l’accesso a questa via. SI DOVRÀ CONQUISTARE LA FORZA PER RIAPRIRLO.

 

26. In questo campo si arriverà a trasformare ciò che si pensa attualmente se si imparerà a sentire nel modo giusto tutta l’importanza del fatto che a una convivenza sociale in cui la vita dello spirito agisca come ideologia manca una delle forze che rendono vitale l’organismo sociale. Il nostro è reso malato dall’impotenza della vita spirituale; e la malattia è peggiorata dalla repulsione che si ha a riconoscerne l’esistenza. Se invece la si riconoscerà, si acquisterà una base sulla quale poter sviluppare un modo di pensare adeguato al movimento sociale.

 

27. Oggi, quando il proletario parla della sua coscienza di classe, crede di toccare una forza fondamentale della sua attività interiore. Ma la verità è che, da quando è stato impigliato nell’ordinamento economico capitalistico, cerca una vita spirituale che possa sostenergli l’attività interiore, e dargli la coscienza della sua dignità umana, mentre la vita spirituale, sentita come ideologia, non è in grado di conferirgliela. Di questa coscienza andava in cerca, e con la coscienza di classe nata dalla vita economica ha surrogato quel che non poteva trovare.

 

28. Il suo sguardo è stato avvinto esclusivamente dalla vita economica, come da una potente forza suggestiva. Ed ora non crede più che possa esservi, all’infuori di quella, l’impulso di qualcosa di animico o di spirituale capace di produrre quel che necessariamente dovrebbe accadere nel campo sociale. Crede che possa prodursi tale condizione dignitosa esclusivamente dallo sviluppo della vita economica, avulsa da ogni elemento animico o spirituale. In tal modo fu spinto a cercare la salvezza solamente in una trasformazione della vita economica. Fu spinto a pensare che con la semplice trasformazione della vita economica sarebbero scomparsi tutti i danni derivanti dall’impresa privata, dall’egoismo del singolo datore di lavoro, e dall’impossibilità in cui questo singolo datore di lavoro si trova, di rendere giustizia alle aspirazioni di dignità umana che vivono nel lavoratore. Così il proletario moderno è arrivato a vedere l’unica salvezza possibile per l’organismo sociale nel passaggio di ogni possesso privato dei mezzi di produzione all’azienda socializzata, o addirittura alla proprietà comune. Una tale opinione è il risultato dell’avere in certo modo distolto lo sguardo da tutto ciò che è attività interiore e spirito per rivolgerlo esclusivamente al mero processo economico.

 

29. Da ciò derivarono tutti i contrasti insiti nel movimento proletario moderno. Il proletario d’oggi crede che dall’economia, dalla vita economica stessa, debba derivare tutto ciò che alla fine, gli conferirà i suoi pieni diritti umani. Per questi egli combatte. Se non che, in seno al suo sforzo, si palesa qualcosa che mai potrebbe derivare come conseguenza della sola vita economica. È il fatto eloquente, importantissimo, che proprio in mezzo ai vari aspetti della questione sociale, dalle necessità della vita dell’umanità presente, sorge qualcosa che si crede derivato dalla vita economica stessa, ma che mai potrebbe, in realtà, derivare solamente da essa, mentre giace invece sul diretto binario che dall’antica schiavitù conduce, attraverso alla servitù della gleba dell’epoca feudale, su su fino al proletariato moderno. Comunque si siano oggi configurati la circolazione delle merci e del denaro, il capitale, la proprietà, i problemi dei fondi terrieri ecc., in seno a questa vita moderna è venuto formandosi qualcosa che non viene chiaramente espresso in parole, né coscientemente sentito dal proletario moderno, ma che è il vero e proprio impulso fondamentale del suo volere sociale. Si tratta di questo: che, in ultima analisi il moderno ordinamento economico capitalistico, non conosce, nel suo campo, null’altro che merci, e la formazione dei valori di queste merci; e che, nell’organismo capitalistico, dei nostri tempi, è diventato merce anche un fattore del quale il proletario d’oggi ha il sentimento che merce non può e non deve essere.

 

30. Quando una volta si comprenderà tutto l’orrore che, come uno degli impulsi fondamentali del movimento sociale proletario moderno, vive negli istinti, nei sentimenti subcoscienti dell’operaio d’oggi, per dover vendere la sua energia di lavoro all’imprenditore come si vendono le merci sul mercato, e perché, sul mercato della mano d’opera, la sua energia di lavoro si contratti, secondo la domanda e l’offerta, come le merci del mercato; quando si scoprirà quale importanza abbia nel movimento sociale questa esecrazione per il lavoro ridotto a merce; e, senza preconcetti, si riconosca che quanto è qui in gioco non viene espresso abbastanza energicamente e radicalmente nemmeno dalle teorie socialiste, allora, in aggiunta al primo impulso, cioè alla vita spirituale sentita come ideologia, si sarà trovato il secondo, del quale si può dire che rende oggi la questione sociale imperiosa, anzi addirittura scottante.

 

31. Nell’antichità c’erano gli schiavi. L’uomo intero veniva venduto al pari di una merce. Qualcosa di meno, ma pur sempre una parte dell’essere umano stesso, s’incorporava nel processo economico mediante la servitù della gleba. Il capitalismo è divenuto il potere che imprime ancora il carattere di merce a una parte dell’essere umano: all’energia di lavoro. Non voglio dire che ciò non sia stato, osservato. Al contrario: nella vita sociale contemporanea lo si è sentito come un fatto di fondamentale importanza, di somma portata per il movimento sociale moderno; solo che nel considerarlo si dirige lo sguardo unicamente alla vita economica. Del carattere di merce dato al lavoro umano, si fa una semplice questione economica, e si crede che dalla stessa vita economica debbano scaturire le forze che valgano a creare una condizione per la quale il proletario non possa più sentire, come indegna di sé, l’incorporazione della sua energia di lavoro entro l’organismo sociale. Si vede come la moderna forma dell’economia sia sorta nella vita storica dell’umanità; si vede anche come questa forma dell’economia abbia impresso al lavoro umano il carattere di merce; ma non si vede che è una caratteristica della vita economica stessa quella di dare, a tutto ciò che vi si incorpora, il carattere di merce. La vita economica consiste infatti nella produzione e nell’adeguato consumo di merci. Perciò non è possibile togliere al lavoro umano il carattere di merce, se non si trova la possibilità di svincolarlo dal processo economico. Gli sforzi non devono esser diretti a trasformare il processo economico in modo che in esso l’energia del lavoro umano venga difesa, bensì a risolvere il problema: come riuscire a svincolare dal processo economico questa energia di lavoro, affinché essa venga regolata da altre forze sociali che le tolgano il carattere di merce? Il proletario anela a una vita economica in cui il suo lavoro assuma il posto che gli compete. Vi anela perché non vede che il carattere di merce della sua energia di lavoro deriva appunto dall’esser egli interamente impigliato nel processo economico. Pel fatto di dover dare al processo economico, la sua forza-lavoro, egli vi resta aggiogato con tutta la sua persona. Il processo economico tende, proprio in ragione delle sue essenziali caratteristiche, a consumare la forza-lavoro nel modo più utilitario, come fa appunto con le merci; e questa tendenza continuerà sempre finché la regolazione del lavoro verrà lasciata all’economia. Quasi ipnotizzati dalla potenza della vita economica moderna, si fissa lo sguardo soltanto su ciò che agisce in essa. In questa direzione non si riuscirà mai a fare in modo che la forza-lavoro non abbia più bisogno di essere una merce, dato che un’altra forma di economia non farà che renderla merce in un’altra maniera. La questione del lavoro, nel suo vero aspetto, non si potrà mai giustamente inserire nella questione sociale finché non si vedrà come, nella vita economica, la produzione, lo scambio e il consumo di merci si svolgano secondo leggi che vengono determinate da interessi, ai quali non è lecito estendere il proprio dominio alla forza-lavoro.

 

32. Il pensiero moderno non ha imparato a scindere tra loro i modi completamente diversi in cui, da un lato, s’inserisce nella vita economica quel che come energia di lavoro è legato all’uomo, e, dall’altro, quel che, secondo la sua origine, indipendentemente dall’uomo, segue le vie che la merce deve prendere dalla produzione al consumo. Se a un sano modo di pensare, orientato in questa direzione, si mostrerà da un lato il vero aspetto del problema del lavoro, gli si paleserà pure, dall’altro, quale posizione debba assumere la vita economica in un sano organismo sociale.

 

33. Già da quanto precede emerge come la “questione sociale” si articoli in tre questioni speciali: dalla prima dovrà essere indicata la forma sana della vita spirituale entro l’organismo sociale; dalla seconda dovrà essere indicata la posizione del lavoro giustamente incorporato nella vita collettiva; e come terza questione potrà risultare il modo come in questa vita sociale dovrà operare l’economia.

 

2. TENTATIVI PER RISOLVERE SECONDO REALTÀ LE QUESTIONI E NECESSITÀ SOCIALI IMPOSTE DALLA VITA

Presentazione del curatore - In “Tentativi per risolvere secondo realtà le questioni e necessità sociali imposte dalla vita”, secondo capitolo de “I punti essenziali della questione sociale”, sono mostrate le possibilità dinamiche del sano sviluppo dell’organismo sociale, in base alla similitudine con quelle della triplice organizzazione dell’organismo umano, studiate secondo i criteri usati nelle scienze naturali, come risulta nel libro “Enigmi dell’anima”, scritto da Steiner dopo trent’anni di osservazioni fisiologiche, psicologiche e sociologiche. Se per esempio ci si chiede come si mantiene lo Stato di diritto, cioè lo Stato politico, entro la triarticolazione sociale nella quale coesistono gli altri due “Stati”, lo stato economico e lo stato culturale (o spirituale, o immateriale, che dir si voglia), la risposta è la seguente. Così come nell’organismo umano sano il mantenimento della funzionalità cardiaca risulta dall’armonia fra sistema respiratorio, sistema nervoso e sistema metabolico, in modo che non vi siano interferenze di un sistema sull’altro, allo stesso modo nell’organismo sociale triarticolato, il mantenimento dello Stato politico è fornito da un “diritto d’imposta” risultante dall’armonizzazione delle esigenze della vita giuridica con quelle della vita economica. Questa armonia è possibile, così come è contemplabile nella libera vita culturale la vita umana nei suoi tre sistemi vitali nonostante siano essenzialmente diversi fra loro. Fuori da questa armonia, perfino il trinomio “liberté, égalité, fraternité” della rivoluzione francese, risulta impossibile perché in contraddizione tale da non potersi mai attuare.

Il fatto che tale triade non si sia mai realizzata e che ci troviamo continuamente in crisi mondiali irrisolvibili dimostra in modo inequivocabile che ogni rivoluzione cruenta è incapace di attuare ciò che si propone, e che ogni tentativo per risolvere questioni e necessità sociali imposte dalla vita non può che risultare fallimentare se non si riesce a farlo poggiare sulla realtà di ciò che è vivente.

Lo stesso può essere detto del cattolicesimo, generatore di cattolici che mai diventano cristiani. Se esistesse oggi un cristianesimo reale o se vi fosse nella storia un minimo aspetto di esso, non vi sarebbero stati nella storia massacri di infedeli da parte della chiesa cattolica (cfr. la pag.: “Il primato dello sterminio appartiene alla chiesa cattolica“), né tanto meno gli attuali massacri di “cristiani”. Anzi, se vi fosse un po’ di cristianesimo non vi sarebbero “Santi Padri” (“non chiamate nessuno Padre”, Mt 23,9), né la chiesa cattolica stessa materialisticamente ingessata nel suo “tempio” materiale, dato che il vero “tempio” dovrebbe essere il corpo di ognuno (Gv 2,21), e che del tempio materiale non sarebbe dovuto restare in piedi una pietra (Mt 24,2; Mc 13,2; Lc 19,44; 21,6). Ecco perché anche l’odierna “crisi delle vocazioni religiose” non è segno di mancanza di spirito ma di sua presenza. E lo spirito è santo nella misura in cui, essendo sano, libera scientificamente dall’ipocrisia tutta la vita religiosa degli esseri umani. Ed ecco perché: “la vita religiosa dell’umanità moderna, in unione con tutta la vita spirituale liberata, svilupperà la sua forza sostenitrice per l’anima umana” (vedi più avanti al §38).

Se osserviamo il secolo che precede la nostra era ci accorgiamo di essere rimasti indietro di duemila anni, intorpiditi e instupiditi dal “religionismo” o da ideologie politiche o scientistico-materialiste, che sono altre forme di creduloneria. Già Marco Tullio Cicerone (106 - 43 a.C.) aveva denunciato nelle sue “Orazioni” gli eccessi del sistema romano di esazione fiscale. L’esazione era affidata come oggi a personaggi privi di scrupoli. E come si protestava duemila anni fa, così si fa anche oggi con pseudo rivolte contenute stavolta nel televisore in giornaliere trasmissioni serali e spettacolari del tutto improduttive, dato che siamo ancora fermi a problemi irrisolti di tassazione, esattamente come allora. Quando, ad es., l’imperatore Vespasiano (9 - 79), alle prese coi soliti problemi di bilancio, decide di applicare la tassa anche sulla raccolta delle urine (utilizzata per tingere le stoffe, dato il suo contenuto di ammoniaca) c’è in Roma una mezza rivolta e i romani bollano l’imperatore chiamando col suo nome gli orinatoi pubblici. La rivolta ha portato a questa ripicca, anche se oggi sono in pochi a sapere del “vespasiano”. Altro esempio risalente ad un secolo prima: grazie a Gaio Licinio Verre (ca. 120 - 43 a.C.) il diritto romano, il cosiddetto “civis romanus”, è ancora oggi considerato una specie di brodo di maiale - come dall’antico gioco di parole “giustizia di Verre” in cui Verre è appunto il verro o il porco, andato a male. Anche questo fatto sembra sconosciuto per la scuola dell’obbligo o per la “cultura di Stato”: nel 70 a.C. si celebrò uno dei processi più clamorosi dell’intera storia della giurisprudenza. Il politico Verre, governatore propretore della Sicilia dal 73 al 71, fu accusato dai siciliani di aver manovrato a suo piacimento il sistema degli appalti e la giustizia, di aver razziato opere d’arte, e di avere imposto tributi esorbitanti fino a ridurli in miseria. Dalla parte di Verre si schierarono Ortensio Ortalo Quinto, elegante e incontrastato principe del foro, e l’intero ordine senatorio; i siciliani assunsero Cicerone che era allora un giovane e ancora poco conosciuto avvocato. Le seguenti sue parole sembrano quelle di un telegiornale di oggi: “Scopro, giudici, un sistema di far bottino di questo genere: il governatore, che dovrebbe acquistare il frumento, invece di acquistarlo, lo vende (165), e storna e incamera tutte le somme di denaro che dovrebbe versare alle varie città. Tutto ciò non mi sembrava più un semplice furto, ma una assurdità incredibile: rifiutare come cattivo il frumento delle città e giudicare buono il proprio; dopo aver giudicato buono il proprio, fissare un prezzo per questo frumento; dopo averlo fissato pretendere una somma dalle città, e tenersi la somma ricevuta dal popolo romano” (Cicerone, “Il processo a Verre”, Vol. 2°, traduzione e note di Laura Fiocchi e Dionigi Vottero, Testo latino a fronte, Ed. BUR, Milano 2004, pagg. 748-749). La nota 165 relativa alla parola “vende” è inequivocabile: «“Vendat” non va inteso nel senso che Verre effettivamente vendesse il suo grano alle città, dalle quali invece avrebbe dovuto comprarne. La contrapposizione “non emat sed vendat” è soltanto un’efficace descrizione della situazione paradossale per cui i coltivatori, a causa della prepotenza e della disonestà di Verre, da creditori dello Stato romano divenivano debitori. Bocciando sistematicamente come cattivo il grano che avrebbe dovuto acquistare, e anche approfittando del fatto che molti coltivatori, spogliati dagli esattori delle decime, non avevano più grano da vendere, Verre ne pretendeva il valore in denaro, in virtù del suo diritto di acquisto. Con questo denaro avrebbe dovuto acquistare al mercato libero il quantitativo di grano di buona qualità che era tenuto a inviare a Roma. Invece, disponendo di tutto il sovrappiù di grano estorto nell’esazione della decima, si limitava a prelevarne il quantitativo da inviare a Roma come “frumentum emptum”, e teneva per sé sia le somme pretese dalle città, sia il denaro stanziato dallo Stato» (ibid.). Ecco perché Cicerone in quel processo dice pure: “L’enormità dei suoi oltraggi è tale che la gente preferisce subire qualsiasi ritorsione piuttosto che protestare e lamentarsi per la sua scelleratezza”. Esattamente come oggi, tempo in cui l’unica alternativa all’ingiustizia del tartassato è il suicidio. Cosa c’è infatti di diverso dai tempi odierni, con Equitalia per esempio? Verre è diventato il prototipo del tangentocrate incallito e del rapinatore legalizzato. “Si è calcolato che rubò all’erario romano oltre quaranta milioni di sesterzi e depredò la provincia in modo scientifico” (C.A. Brioschi, “Breve storia della corruzione dall’età antica ai giorni nostri”. Ed. Tea, Milano, 2004). Faccio notare che un sesterzio di allora equivaleva al valore odierno di circa 6 euro! E non si può nemmeno dire che questa fosse un’eccezione o un caso unico, dato che “lo stesso Cicerone, che aveva un palese interesse nel presentarlo come un caso esemplare di avidità al potere, affermò al contrario che la sua condotta rappresentava la norma in buona parte dell’impero romano”. Oltretutto, Plutarco narra che «Verre riuscì a corrompere lo stesso Cicerone, ottenendo di limitare l’ammenda punitiva a “soli” tre milioni di sesterzi» (ibid.). Più o meno come oggi, era quindi “normale” che i magistrati si arricchissero grazie alla propria carica. Anche se nel caso di Verre si racconta che “le tangenti offerte ai giudicanti non furono comunque sufficienti ad assolvere l’imputato” (ibid.).

Oggi la situazione è peggiorata di molto rispetto a quei tempi, anche perché si è riusciti a persuadere la gente che è giusto così, e cioè che “democrazia è bello” e che è il massimo bene possibile. Certamente la democrazia è un bene, ma questo non significa che la nostra democrazia sia benefica se continua a produrre povertà, suicidi, e schiavitù. “L’attuale tendenza all’astrazione, operante soprattutto nella vita giuridica dello Stato, porta infatti la gente ad agire in modo totalmente separato dall’interesse concreto per i vari campi della vita e, soprattutto nel settore della circolazione dei capitali, in modo addirittura antieconomico” (Cfr. Rudolf Steiner, “Polarità fra Oriente e Occidente”, 10ª conferenza, Vienna 11/06/1922). Ciò avviene perché nella cosiddetta economia politica tutto ciò che riguarda la circolazione del capitale (moneta, stampa tipografica della moneta, emissione della moneta, monopolio e monopsonio dell’emissione monetaria, ecc.) non è studiato “in modo corrispondente alla realtà” (cfr. ibid.). Oggi come ieri i professori di economia politica, quelli che fanno conoscere agli uomini i concetti economici, sono persone massimamente sprovvedute: “del tutto senza risorse nei confronti della realtà” (Rudolf Steiner, “Esigenze sociali dei tempi nuovi”, 11ª conferenza, Dornach 14/12/1918).

Nulla di strano dunque se la logica catallattica (o degli scambi) degli odierni asura del “do ut des” domina il reticolo mondiale della “normale” corruzione. La storia del sistema in cui viviamo, testimonia che il sistema di amministrazione romana nelle province e il funzionamento della giustizia di duemila anni fa sono purtroppo ancora quelli vigenti oggi. Ecco perché l’esigenza sociale della triarticolazione dei poteri si pone come idea prospettica di risoluzione della questione sociale finora mai risolta.

 

II

 

TENTATIVI PER RISOLVERE SECONDO REALTÀ

LE QUESTIONI E NECESSITÀ SOCIALI IMPOSTE DALLA VITA

 

1. Quel che di caratteristico ha condotto, nei tempi moderni, appunto alla forma particolare della questione sociale, può essere espresso cosi: la vita economica sostenuta dalla tecnica, il capitalismo moderno, hanno agito con una certa necessità naturale e portato la società contemporanea a un certo ordinamento interiore. Mentre l’attenzione umana andava concentrandosi sulle conquiste della tecnica e del capitalismo, essa era distolta da altri campi ed da altri rami dell’organismo sociale. Ma la coscienza umana deve assegnare anche a questi la loro giusta azione, se si vuole che l’organismo sociale possa svilupparsi in modo sano.

 

2. Per esporre chiaramente quel che vuol essere caratterizzato qui come impulso motore verso un’osservazione esauriente, complessiva della questione sociale, mi sia lecito prendere le mosse da una similitudine. Ma si tenga presente che questa va intesa appunto solo come una similitudine, la quale tuttavia può aiutare la nostra comprensione a mettersi nella direzione necessaria per poterci formare delle rappresentazioni sul risanamento dell’organismo sociale.

 

3. Chi da questo punto di vista contempla il più complicato organismo naturale, l’organismo umano, deve rilevare che esso palesa la sussistenza di tre sistemi, operanti l’uno accanto all’altro, ciascuno però con una certa autonomia rispetto agli altri. Questi tre sistemi operanti l’uno accanto all’altro si possono qualificare a un dipresso come segue. Nell’organismo naturale dell’uomo uno dei tre campi è costituito da quel sistema che comprende in se la vita dei nervi e degli organi sensori. Si potrebbe anche chiamarlo organismo della testa, dato che in questa importantissima parte dell’organismo la vita dei nervi e dei sensi ha, in certo modo, il suo centro.

 

4. Come secondo sistema dell’organismo umano va considerato, se si vuole acquistare una vera comprensione di esso, quello che vorrei chiamare il sistema ritmico, consistente nella respirazione, nella circolazione del sangue, e in tutto quanto si esprime in processi ritmici dell’organismo umano.

 

5. Come terzo sistema, va considerato tutto il complesso di organi e di attività connessi col vero e proprio ricambio della materia.

 

6. In questi tre sistemi si contiene tutto quanto e necessario, se organizzato con reciprocità d’azione, al sano funzionamento complessivo dell’organismo umano (l’articolazione qui intesa non riguarda le parti del corpo spazialmente delimitate, ma le attività - funzioni - dell’organismo. Il termine “organismo del capo” si può usare in questo senso solo tenendo presente che nel capo ha il suo centro in prima linea la vita dei nervi e dei sensi. Naturalmente però esistono nel capo anche le attività del ritmo e del ricambio, come nelle altre parti esiste l’attività nervo-sensoriale. E nondimeno i tre generi di attività sono nettamente distinti tra loro nella loro natura essenziale).

 

7. In pieno accordo con quanto già oggi può dire l’indagine scientifica naturale, ho tentato di descrivere questa triplice organizzazione dell’essere naturale umano nel mio libro “Enigmi dell’anima” (l’argomento è trattato nella sesta appendice del libro citato, intitolata “Le connessioni fisiche e spirituali dell’entità umana”) , [Ed. elettronica integrale PDF: “Enigmi dell’anima” - ndc], per ora molto sommariamente. Sono certo che la biologia, la fisiologia e tutta la scienza naturale concernente l’uomo, saranno portate a riconoscere, in un futuro molto prossimo, come questi tre sistemi: della testa, della circolazione (o del petto) e del ricambio, mantengano il funzionamento generale dell’organismo umano perché operano con una certa autonomia, senza che vi sia un assoluto accentramento nell’organismo umano; e perché ciascuno di questi tre sistemi abbia un rapporto speciale, per se stante, col mondo esterno; il sistema della testa, per mezzo degli organi di senso; il sistema della circolazione o ritmico, per mezzo della respirazione; e, il sistema del ricambio mediante gli organi della nutrizione e del movimento.

 

8. I metodi delle scienze naturali non sono ancora abbastanza avanzati da portare a un riconoscimento generale, anche negli ambienti scientifici, nella misura che sarebbe desiderabile per il progresso della conoscenza, quanto ho qui accennato e che, partendo dai fondamenti scientifico spirituali, ho cercato di applicare alle scienze naturali. Ciò significa, però, che le nostre abitudini di pensiero, tutto il nostro modo di rappresentarci il mondo, non sono ancora interamente adeguati a quanto, ad esempio, nell’organismo umano si presenta come l’intima essenza, dell’opera, di natura. Si potrebbe rispondere: “Ebbene, la scienza naturale può attendere! Essa si avvicinerà a poco a poco ai suoi ideali e arriverà anche a riconoscere e ad appropriarsi una tale maniera d’indagine”. Ma riguardo alla considerazione, e specialmente all’azione, dell’organismo sociale non si può aspettare.

In questo campo occorre che non soltanto in qualche specialista, ma in ogni attività interiore umana (poiché ogni attività interiore umana partecipa all’attività pro-organismo sociale), esista almeno una conoscenza istintiva di ciò che ad esso è necessario. Un sano pensare e sentire, un sano desiderare e volere rispetto all’assetto dell’organismo sociale, può svolgersi soltanto se ci si renda chiaramente conto, sia pure in modo più o meno istintivo, che questo organismo, affinché possa essere sano, va articolato in tre sistemi al pari dell’organismo umano naturale.

 

9. Orbene, da quando Schäffle ha scritto il suo libro sulla struttura dell’organismo sociale si è tentato di ricercare delle analogie fra l’organizzazione di un essere naturale, diciamo, dell’uomo, e la società umana come tale. Si è voluto stabilire che cosa sia, nell’organismo sociale, la cellula, che cosa l’aggregato di cellule, i tessuti ecc. È comparso anzi di recente un libro di Merey, “Weltmutation”, nel quale certe leggi e certi fenomeni naturali sono semplicemente applicati all’organismo della società umana. Quanto qui si vuole esporre non ha assolutamente nulla a che fare con un simile giocherellare con le analogie. E chi credesse che anche in questa trattazione ci si voglia baloccare in tal modo con delle analogie tra l’organismo naturale e quello sociale, mostrerebbe soltanto di non essere penetrato nello spirito di quel che si è inteso dire. Poiché qui, lungi dal voler trapiantare nell’organismo sociale qualche verità inerente a fatti scientifici, si vuole una cosa del tutto diversa, e cioè che dallo studio dell’organismo naturale il pensare ed il sentire umani imparino ad avvertire ciò che ha possibilità di vita, per poi essere in grado di applicare questo modo di sentire all’organismo sociale. Se, come spesso accade, si trasporta semplicemente nell’organismo sociale quanto si crede di aver imparato nei riguardi dell’organismo naturale, si dimostra soltanto di non volersi conquistare da sé e indipendentemente la capacità di considerare l’organismo sociale investigando le sue proprie leggi, come si sa di dover fare per comprendere l’organismo naturale. Dal momento in cui, come lo scienziato della natura studia l’organismo naturale, ci si ponga obiettivamente e autonomamente di fronte all’organismo per scoprire le sue proprie leggi particolari, ogni gioco di analogie cessa di fronte alla serietà dell’osservazione.

 

10. Si potrebbe anche pensare che a base di questa nostra concezione stia la credenza che l’organismo sociale debba essere “costruito” secondo un’astratta teoria copiata dalla scienza naturale. Ma ciò è quanto mai lontano dalla verità. A tutt’altro s’intende accennare. La crisi storica attuale dell’umanità esige che in ogni singolo individuo umano nascano certi sentimenti, e che lo stimolo a questi sentimenti sia dato dall’educazione e dalla scuola allo stesso modo in cui si insegnano le quattro operazioni aritmetiche. In avvenire ciò che produsse inconsapevolmente le vecchie forme di organismo sociale, non sarà più valido. Fra gli impulsi evolutivi che d’ora in avanti vogliono entrare come elementi nuovi nella vita umana vi è questo: che i detti sentimenti siano richiesti da ogni singolo individuo allo stesso modo in cui da tempo si richiede un certo grado d’istruzione. Ciò che d’ora in poi si esigerà dagli uomini è che imparino a sentire sanamente come devono operare le forze dell’organismo sociale, affinché questo si dimostri vitale. Si dovrà acquisire il sentimento che il voler prender posto in questo organismo senza tali sentimenti è insano, è antisociale.

 

11. Si sente dire oggi che la “socializzazione” è una necessità dei tempi. Ma la socializzazione non sarà un processo di risanamento, bensì una cura ciarlatanesca e magari anche un processo distruttivo per l’organismo sociale, se non si richiama nel cuore e nell’anima degli uomini la conoscenza, almeno istintiva, della necessità della triarticolazione dell’organismo sociale. Questo, se deve operare sanamente, deve sviluppare in sé tre strutture diverse, secondo le leggi che sono proprie a ciascuna.

 

12. Una di queste è la vita economica, Cominciamo da questa perché è evidente che con la tecnica e il capitalismo essa si è fatta predominante in tutta la moderna società umana. La vita economica deve essere nell’organismo sociale una struttura relativamente autonoma, come lo è il sistema neurosensoriale nell’organismo umano. La vita economica comprende tutto quel che riguarda la produzione, la circolazione e il consumo delle merci.

 

13. Come seconda struttura dell’organismo sociale va considerata la vita del diritto pubblico, la vita politica, quella che nel senso dell’antico Stato politico, poteva essere designata come la vera e propria vita statale.Mentre la vita economica comprende tutto quanto l’uomo ricava dalla natura e dalla propria produzione, cioè le merci, la loro circolazione ed il loro consumo, questa seconda struttura dell’organismo sociale può abbracciare soltanto quel che sorge da substrati puramente umani e riguarda i rapporti tra uomo e uomo. Per la conoscenza delle tre strutture dell’organismo sociale è essenziale approfondire la differenza tra il sistema del diritto pubblico, che può contemplare solo relazioni tra uomo e uomo poggianti su profondi sostrati umani, ed il sistema economico che ha solo a che fare con la produzione, la circolazione e il consumo di merci. Nella vita occorre fare questa distinzione col sentimento affinché, come conseguenza, la vita economica si scinda da quella politica, così come nell’organismo naturale dell’uomo l’attività polmonare d’inspirazione ed espirazione dell’aria esterna si scinde dai processi della vita neurosensoriale.

 

14. Come terza struttura che, altrettanto autonoma, va posta accanto alle altre due, occorre comprendere nell’organismo sociale quel che riguarda la vita spirituale; o meglio, dato che forse l’espressione “vita spirituale” o tutto quanto vi si riferisce non è mai molto preciso: tutto quanto poggia sulle doti naturali del singolo individuo umano, e che deve entrare nell’organismo sociale sulle basi di tali sue facoltà naturali, sia spirituali, che fisiche. La prima struttura, il sistema economico, ha a che fare con tutto quel che deve esistere affinché l’uomo possa regolare il rapporto della sua vita materiale col mondo esterno. La seconda struttura ha a che fare con quel che deve esistere nell’organismo sociale per regolare i rapporti tra uomo e uomo. La terza struttura ha a che fare con quel che deve germogliare da ogni singola individualità umana per poi inserirsi nell’organismo sociale.

 

15. Come è vero che la tecnica moderna e il moderno capitalismo hanno dato l’impronta alla nostra vita sociale, così è necessario che le ferite ad essa inferte da quella parte siano risanate col mettere l’uomo e la vita collettiva umana in un giusto rapporto con le tre strutture dell’organismo sociale. Ai nostri tempi la vita economica ha, semplicemente per forza propria, preso forme ben determinate. Per la sua attività unilaterale si è inserita nella vita umana con una potenza tutta speciale. Le altre due strutture della vita sociale non sono state finora in grado di farsi valere giustamente nell’organismo sociale, secondo le leggi loro proprie, in modo altrettanto ovvio. Per esse occorre che gli uomini, mossi dai sentimenti sopra accennati, intraprendano l’articolazione della struttura sociale, ciascuno al suo posto, cioè al posto nel quale si trova. Riguardo ai tentativi che qui si propongono per la soluzione delle questioni sociali, ogni singolo individuo ha, nel presente e nell’avvenire, il suo proprio compito sociale.

 

16. Quel che costituisce la prima parte dell’organismo sociale - la vita economica - si basa innanzitutto sul fondamento della natura, così come il singolo individuo, in rapporto a ciò che da sé può divenire mediante l’istruzione, l’educazione, la vita, dipende dall’attitudine del suo organismo spirituale e corporeo. Questo fondamento di natura è quello che da’ la sua impronta alla vita economica e con ciò a tutto l’organismo sociale. Ma questo fondamento naturale esiste e non può essere creato nelle sue radici da alcuna organizzazione sociale né da alcuna socializzazione. Esso va posto a base dell’organismo sociale così come all’educazione dell’uomo va posta a base l’attitudine che lui ha nei diversi campi, la sua capacità naturale del corpo e della mente. Ogni socializzazione, ogni tentativo di dare una configurazione economica alla vita collettiva umana deve tener conto del fondamento naturale, dato che a base di ogni commercio e di ogni genere di lavoro umano, come anche di ogni vita spirituale, c’è, come primo elemento originario, ciò che lega l’uomo a una parte determinata della natura. La connessione dell’organismo sociale col fondamento che la natura pone, dovrebbe essere considerata così come, rispetto all’apprendimento, si dovrebbero considerare le condizioni delle attitudini naturali di ogni singolo individuo. Per chiarire questo concetto si può ricorrere all’esempio di un caso estremo. Si pensi, ad esempio, a certe parti della terra in cui le banane offrono un facile mezzo di nutrizione; lì, per la vita collettiva umana, si considera quel genere di lavoro necessario per portare le banane dal loro luogo d’origine ad un altro luogo determinato, e farne un genere di consumo. Se si confronta il lavoro che si richiede per rendere le banane un genere di consumo per la società umana, col lavoro indispensabile nei paesi d’Europa per fare del frumento un genere di consumo, si trova che il lavoro richiesto dalle banane è per lo meno trecento volte minore di quello che si richiede per il frumento.

 

17. Certamente questo è un caso estremo per le sue proporzioni; ma simili differenze, rispetto alla quantità necessaria di lavoro in rapporto al fondamento naturale, si riscontrano anche nei generi di produzione di qualsiasi organismo sociale d’Europa. Non con la differenza radicale che si è vista fra le banane ed il frumento, ma la differenza c’è. È dunque insito nell’organismo economico che, dal rapporto dell’uomo col fondamento naturale della sua economia, sia condizionata la misura di lavoro ch’egli deve portare nel processo economico. Valga, ad esempio, il rapporto seguente. In Germania, in paesi di media produttività, la produzione di frumento è tale da dare in raccolta circa da sette ad otto volte la semina; nel Cile la stessa media raggiunge le dodici volte, nel Messico del Nord le diciassette volte, nel Perù le venti, ecc. (Cfr. Jentsch: “Volkswirtschaftslehre”, pag, 64).

 

18. Tutto questo complesso di processi, che cominciano col rapporto dell’uomo con la natura e proseguono in tutto ciò che l’uomo può fare per trasformare i prodotti della natura e per portarli fino allo stadio di generi di consumo, tutto questo lavorio, e soltanto esso, costituisce la parte economica di un sano organismo sociale. Questa parte economica sta all’organismo sociale così come il sistema della testa sta all’organismo umano nel suo insieme (da cui dipendono le attitudini individuali). Così come questo sistema della testa dipende da quello del cuore e da quello dei polmoni, allo stesso modo il sistema economico dipende dal lavoro dell’uomo. Come però la testa non può di per sé regolare la respirazione, così il sistema del lavoro umano non dovrebbe essere regolato dalle stesse forze operanti nella vita economica.

 

19. L’uomo si inserisce nella vita economica per soddisfare i propri interessi. Questi hanno il loro fondamento nei bisogni della sua attività interiore e del suo spirito. Come agli interessi possa essere corrisposto nel modo più soddisfacente in seno all’organismo sociale, affinché tramite esso il singolo individuo pervenga alla migliore soddisfazione del proprio interesse e possa anche collocarsi nel modo più vantaggioso entro l’economia, è una questione che va risolta praticamente con provvedimenti dell’organismo economico. Il che può verificarsi solo se gli interessi possano farsi liberamente valere e se sorga pure la volontà e la possibilità di fare ciò che è necessario alla loro soddisfazione. L’origine degli interessi sta al di fuori dei limiti della vita economica. Si formano con lo svolgersi dell’essere umano, animico e naturale. È compito della vita economica prendere i provvedimenti atti a soddisfarli. Questi provvedimenti non possono riguardare altro che la produzione e lo scambio delle merci, cioè la produzione di beni che ricevono il loro valore dal bisogno dell’uomo. La merce infatti riceve il suo valore da chi la consuma. Dal fatto che la merce riceve il suo valore dal consumatore, deriva che essa è collocata nell’organismo sociale in modo del tutto diverso da altre cose che hanno valore per l’uomo quale appartenente a questo organismo. Chi consideri senza preconcetti la vita economica, di cui fanno parte la produzione, lo scambio e il consumo delle merci, riconosce - non per via di mera speculazione - l’essenziale differenza fra il rapporto da uomo a uomo, nella misura in cui l’uno produce merci per l’altro, e quello che si fonda sui diritti degli esseri umani come tali. Da tale considerazione si arriverà alla pratica esigenza che nell’organismo sociale tutto ciò che è diritto sia del tutto separato dalla vita economica. Dalle attività che gli uomini devono svolgere nell’ambito degli ordinamenti riguardanti la produzione e lo scambio di merci, non possono derivare in modo immediato gli impulsi migliori per i rapporti di giustizia che devono esistere fra loro. Negli ordinamenti economici l’uomo si rivolge all’uomo, perché l’uno serve agli interessi dell’altro; negli ordinamenti della giustizia il rapporto che passa fra un uomo e l’altro è fondamentalmente diverso.

 

20. Si potrebbe credere che per realizzare questa distinzione richiesta dalla vita sia già sufficiente che negli ordinamenti della vita economica stessa si provveda anche ai diritti che devono esistere nei reciproci rapporti degli uomini che vi partecipano. Ma una tale credenza non ha le sue radici nella realtà della vita. L’uomo può sentire vitalmente il vero rapporto di giustizia che deve sussistere fra lui e gli altri uomini solo se lo sperimenta, non sul terreno economico, ma su un terreno del tutto separato da quello. Nel sano organismo sociale si deve perciò svolgere, accanto alla vita economica e indipendentemente da essa, una vita in cui siano stabiliti e regolati i diritti tra uomo e uomo. La vita giuridica è però quella propriamente politica, statale. Se sono gli uomini a portare gli interessi a cui devono servire nella loro vita economica, dentro la legislazione e l’amministrazione statale della giustizia, allora i diritti che ne nascono rispecchiano tali interessi economici. Se è invece lo Stato a provvedere alla vita economica, perde l’attitudine a regolare i diritti degli uomini; perché in tal caso le sue norme e le sue istituzioni dovranno servire al bisogno umano di merci, e con ciò saranno distolte dagli impulsi diretti verso la giustizia.

 

21. Il sano organismo sociale esige, come sua seconda struttura, uno Stato politico autonomo, accanto all’organizzazione economica. Nell’organizzazione economica, pure essa autonoma, gli uomini, con le forze della vita economica, provvederanno a quegli ordinamenti che rispondono, nel migliore modo possibile, alla produzione e allo scambio di merci. Invece nell’organizzazione statale politica saranno stabilite disposizioni che valgano a orientare i rapporti vicendevoli tra uomini e gruppi di uomini in modo corrispondente alla coscienza umana della giustizia.

 

22. Il punto di vista qui prospettato sulla necessità di una totale separazione dello Stato politico dal campo economico risiede nella vita reale dell’uomo; non così il punto di vista di chi vuole riunire l’una funzione all’altra. Gli uomini che si trovano in mezzo alla vita economica, hanno naturalmente anch’essi il senso della giustizia, ma cureranno la legislazione e l’amministrazione della giustizia ispirandosi soltanto a tale coscienza e non agli interessi economici, dovendo giudicare in uno Stato di diritto che, in quanto tale, non abbia alcuna ingerenza nella vita economica. Questo Stato di diritto avrà un suo proprio corpo legislativo ed un suo proprio corpo amministrativo, ambedue organizzati secondo i principi fondamentali dettati dalla coscienza dei diritti umani del nuovo tempo. Il sistema economico genererà i suoi organi legislativi ed amministrativi dagli impulsi della vita economica. Il necessario rapporto tra le direzioni dei corpi giuridico ed economico si svolgerà press’a poco come al presente si svolgono i rapporti fra i governi di Stati sovrani. Con questa articolazione, ciò che si svolge in uno di tali corpi, potrà esercitare la dovuta azione su ciò che si forma nell’altro. Tale azione è invece impedita se l’uno vuole svolgere in se stesso, ciò che gli deve provenire dall’altro.

 

23. Come la vita economica è soggetta da un lato alle condizioni naturali (clima, natura del suolo, ricchezza del sottosuolo ecc.), cosi, dall’altro, dipende dai rapporti di diritto che lo Stato crea fra persone e gruppi di persone dediti all’economia. Tramite lo Stato sono designati i limiti di ciò che l’attività della vita economica può e deve abbracciare. Così come la natura crea condizioni prime poste fuori dalla sfera economica e che l’uomo accetta come qualcosa di dato sulle cui basi soltanto egli può costruire la sua vita economica, allo stesso modo, tutto ciò che nel dominio economico stabilisce un rapporto di diritto da uomo a uomo, nel sano organismo sociale va regolato dallo Stato politico che, al pari del fondamento naturale, si svolge come qualcosa di autonomo, di fronte alla vita economica.

 

24. Nell’organismo sociale che si è formato nel divenire storico dell’umanità e che, col dominio delle macchine e con la moderna forma economica del capitalismo, ha dato la sua impronta al movimento sociale, la vita economica abbraccia più di quello che in un organismo sociale sano dovrebbe abbracciare. Oggi nel giro economico, in cui dovrebbero circolare solamente merci, circolano pure diritti ed energia umana di lavoro [la cosiddetta forza-lavoro - ndc]. Cosi accade che nell’organizzazione economica, che si basa sulla divisione del lavoro, presentemente si possano scambiare non solo merci contro merci, ma, per lo stesso processo economico, anche merci contro lavoro e merci contro diritti (chiamo merce qualsiasi cosa che mediante l’attività umana sia divenuta tale che, dovunque sia avviata dagli uomini, va verso il suo consumo. Questa definizione può sembrare disadatta o insufficiente a qualche economista, ma può servire benissimo a far capire ciò che deve far parte della vita economica; in un’esposizione fatta per servire la vita, non importa dare definizioni derivate da una teoria, bensì idee che raffigurino quel che nella realtà ha una parte vitale. La parola “merce”, usata nel senso detto sopra, accenna a qualcosa che l’uomo sperimenta. Qualsiasi altro concetto di “merce”, o tralascia o aggiunge qualcosa, così che il concetto non copre totalmente i processi della vita nella loro vera realtà). Se qualcuno compera un fondo, l’acquisto va visto come uno scambio del fondo contro merce (rappresentata da denaro d’acquisto). Il fondo stesso però nella vita economica non fa la parte di una merce. Tale fondo sta nell’organismo sociale grazie al diritto che l’uomo ha di usufruirne ma è qualcosa di essenzialmente diverso dal rapporto che un produttore di merce ha con la merce stessa. La natura del rapporto che il produttore di merci ha con le merci è tale che non invade il campo delle relazioni - di tutt’altra specie - che si stabiliscono tra uomo e uomo per il fatto che a un individuo spetta l’uso esclusivo di un fondo. Il proprietario del fondo sottopone alla sua dipendenza altre persone che per il proprio sostentamento si impiegano su quel fondo, o che vi devono abitare. Invece in un effettivo scambio di merce, che si produce o che si consuma, non si stabilisce nessuna analoga dipendenza da uomo a uomo.

 

25. A chi esamini questa circostanza senza preconcetti appare chiaro che essa deve pur trovare la sua espressione istituzionale in un sano organismo sociale. Finché nella vita economica si scambiano merci contro merci, la loro valutazione resta indipendente dal rapporto giuridico fra persone e gruppi di persone. Appena però si scambiano merci contro diritti, si tocca il rapporto stesso di giustizia, non lo scambio come tale, che è l’elemento necessario alla vita dell’organismo sociale che si fonda sulla divisione del lavoro; ma si tratta di questo: che nello scambio di diritto contro merce, il diritto stesso, sorgendo nella vita economica, diventa merce. Ciò si potrà evitare solo se nell’organismo sociale vi siano da un lato disposizioni aventi per scopo solo di effettuare nel migliore dei modi il giro delle merci e, dall’altro, ve ne siano altre che regolino i diritti vigenti nello scambio mercatorio tra le persone che producono, commerciano e consumano. Questi diritti non si differenziano per la loro natura da altri che devono sussistere tra persona e persona nei rapporti del tutto indipendenti dallo scambio di merci. Se nella vendita di una merce io danneggio o reco vantaggio ai miei simili, quel danno o quel vantaggio appartiene allo stesso campo della vita sociale a cui appartiene un danno e un utile (per negligenza o per attività) che non abbia la sua espressione immediata in uno scambio di merci.

 

26. Nella condotta di vita del singolo individuo confluiscono assieme gli effetti provenienti dalle istituzioni che difendono i diritti, e gli effetti provenienti dall’attività puramente economica; nel sano organismo sociale tali effetti devono derivare da due diverse direzioni. Nell’organizzazione economica quel che deve suggerire alle personalità dirigenti i dovuti punti di vista è la competenza acquistata con l’educazione ad un dato ramo dell’economia, e quella dell’esperienza fatta in questo ramo. Nell’organizzazione della giustizia è realizzato, dalla legge e dall’amministrazione, ciò che il senso della giustizia esige, come rapporto vicendevole di singoli uomini, o di gruppi di persone. L’organizzazione economica farà raggruppare persone che hanno interessi comuni di professione o di consumo, o bisogni comuni sotto altri riguardi, in associazioni che, nel reciproco movimento

di scambio, attivino tutto il complesso economico. Questa organizzazione si costruirà su basi associative e sul rapporto reciproco delle associazioni, che svolgeranno un’attività puramente economica. La base giuridica su cui esse operano verrà a loro dall’organizzazione giuridica. Quando simili associazioni economiche potranno far valere i loro interessi economici nei corpi rappresentativi ed amministrativi dell’organizzazione economica, esse non svilupperanno più l’impulso a inframmettersi nella direzione legislativa o amministrativa dello Stato politico (per esempio, come lega degli agricoltori, come partito industriale, come democrazia sociale economica) [fazioni o partiti del 1920 - ndc] per cercarvi ciò che non è loro possibile ottenere in seno alla vita economica. E quando lo Stato politico non s’immischierà in nessuno dei rami economici, creerà soltanto provvedimenti sorgenti dal senso di giustizia degli uomini che ne fanno parte. Anche se, come è naturale, nella rappresentanza dello Stato politico si trovano le stesse persone impegnate nella vita economica, data la radicale separazione della vita economica da quella politica, non si potrà verificare un’influenza della prima sulla seconda, che danneggi la salute dell’organismo sociale, come può accadere se l’organizzazione politica stessa dello Stato si occupa dei diversi rami della vita economica e se i rappresentanti della vita economica votano le leggi ispirandosi ai propri interessi economici.

 

27 Un esempio tipico di mescolanza della vita economica con quella politica offriva il governo dell’Austria con la costituzione che si era data tra il ‘6o e il ‘70 del secolo XIX. I rappresentanti del Consiglio Imperiale (“Reichsrat”) erano scelti dai quattro rami della vita economica e cioè: dai grandi proprietari terrieri, dalle Camere di commercio, dalle città (mercati e centri industriali) e dai comuni rurali. Si vede che, in tale composizione della rappresentanza dello Stato, non si pensava in prima linea ad altro se non che la vita politica dovesse risultare dalla valorizzazione dei rapporti economici. Certo è che al recente crollo dell’Austria hanno contribuito in modo notevole le forze, tra loro in lotta, delle sue nazionalità. Ma è altrettanto certo che un’organizzazione politica, che avesse potuto svolgere la sua attività accanto a quella economica, avrebbe potuto sviluppare, dalla coscienza della giustizia, una conformazione dell’organismo sociale, in cui la convivenza dei popoli sarebbe stata possibile.

 

28. L’uomo odierno interessato alla vita pubblica rivolge ordinariamente lo sguardo a cose che andrebbero considerate solo in seconda linea. Ciò avviene perché la sua abitudine di pensiero lo porta a vedere l’organismo sociale come una istituzione unitaria. Per una istituzione così strutturata non si può però trovare un sistema di elezione conveniente, dato in ogni sistema di elezione gli interessi economici e gli impulsi della giustizia non possono che disturbarsi nei corpi rappresentativi. E ciò che proviene per la vita sociale da questo perturbamento non può che portare a sconvolgimenti della compagine sociale. È necessario che oggi la vita pubblica si sforzi in prima linea di raggiungere la meta di una decisa separazione della vita economica dall’organizzazione politica. Nell’adattarsi a questa separazione le organizzazioni che devono separarsi troveranno nelle loro proprie basi le modalità più adeguate per le elezioni dei loro legislatori e amministratori. In ciò che al presente urge verso una soluzione vengono perciò in secondo piano le questioni delle modalità elettive, nonostante la loro capitale importanza. Dove persistono ancora le vecchie condizioni si dovrebbe operare partendo da lì. Dove invece l’ordine antico è già scomparso o è in procinto di dissolversi, i singoli individui ed i corpi esistenti dovrebbero tentare l’iniziativa di un rinnovamento che s’incammini nella direzione designata. Volere effettuare dall’oggi al domani un cambiamento della vita pubblica è considerato chimerico anche dai socialisti ragionevoli. Essi aspettano il risanamento, come essi lo intendono, da un cambiamento graduale, in accordo con la realtà dei fatti. Che però adesso le forze dell’evoluzione storica dell’umanità rendano necessaria una ragionevole volontà verso un rinnovamento sociale, possono insegnarlo luminosamente i fatti ad ogni mente spregiudicata.

 

29. Chi ritiene “praticamente fattibile” solo ciò a cui si è abituato a pensare in un ristretto orizzonte di vita, vedrà come “non pratico” quanto si prospetta qui. Se costui non è capace di convertirsi e nonostante ciò abbia un’influenza su qualsiasi ramo della vita, non coopererà al risanamento, ma a un ulteriore peggioramento dell’organismo sociale, come hanno fatto le persone del suo modo di vedere e sentire nel prodursi delle presenti condizioni.

 

30. Alla tendenza presa dalle classi dirigenti dell’umanità, che aveva portato a trasferire certi rami della vita economica (poste, ferrovie, ecc.) nell’orbita dello Stato, deve sostituirsi il distacco sempre più completo di ogni azienda economica dalla sfera dello Stato politico. Pensatori che credono di trovarsi con la loro volontà nella direttiva di un sano organismo sociale traggono l’estrema conseguenza degli sforzi di statizzazione effettuati dalle sfere finora dominanti. Essi chiedono la socializzazione di tutti i mezzi della vita economica in quanto sono mezzi di produzione. Un sano sviluppo darà alla vita economica la sua indipendenza, ed allo Stato politico la capacità di agire, mediante l’ordinamento legale, sui corpi economici in modo che l’individuo non senta la sua incorporazione nell’organismo sociale in opposizione alla sua coscienza di giustizia.

 

31. Si può riconoscere come i pensieri qui svolti abbiano il loro fondamento nella vita reale dell’umanità, quando si rivolga lo sguardo al lavoro che l’uomo compie con la sua forza fisica a favore dell’organismo sociale. Nella forma economica capitalistica questo lavoro si è incorporato nell’organismo sociale in modo che il padrone lo compera dall’operaio come una merce. Si effettua così uno scambio tra il denaro (come rappresentativo di merci) e il lavoro. Ma un tale scambio non può proprio effettuarsi in realtà, anche se in apparenza sembra che si effettui (è senz’altro possibile che nella vita certi processi siano non solo spiegati in senso falso, ma anche compiuti in senso falso. Denaro e lavoro non sono valori che si possano tra loro scambiare; solo denaro e prodotto del lavoro possono lo sono. Quindi se io do’ del denaro per del lavoro, “faccio” qualcosa che è falso; creo un processo apparente, illusorio. Perché in verità posso solo dare denaro per un prodotto di lavoro). In realtà il datore di lavoro riceve dall’operaio merci, che possono essere prodotte solo se l’operaio per la loro produzione fornisce la sua mano d’opera. Dell’equivalente di queste merci l’operaio riceve una parte, il padrone l’altra. La produzione si effettua grazie alla collaborazione dell’operaio e del padrone. Soltanto il prodotto del lavoro comune entra nel giro della vita economica. Per la produzione della merce occorre un rapporto di diritto fra lavoratore e datore di lavoro. Questo però può essere trasformato dall’economia capitalistica in un rapporto determinato dalla superiorità economica del datore di lavoro rispetto all’operaio. Nel sano organismo sociale deve riuscire palese che il lavoro non può essere pagato, perché al lavoro non può essere attribuito un valore economico rispetto ad una merce. Un valore può averlo soltanto la merce prodotta dal lavoro rispetto ad altre merci. La maniera e la misura in cui un uomo deve lavorare per la sussistenza dell’organismo sociale, vanno regolate secondo la sua capacità e secondo ciò che è condizione di un’esistenza degna dell’uomo. Il che può avvenire soltanto, se questo regolamento è emanato dallo Stato politico indipendentemente dalle amministrazioni della vita economica.

 

32. Mediante una simile norma è creata per le merci una base di valutazione confrontabile con l’altra, dovuta alle condizioni naturali. Come il valore di una merce aumenta di fronte a quello di un’altra perché l’acquisto delle materie prime è per quella più difficile che per questa, così il valore delle merci deve dipendere dalla qualità e dalla quantità di lavoro da dedicarsi, secondo l’ordinamento dei diritti, alla produzione delle merci stesse (un tale rapporto del lavoro con l’ordinamento giuridico obbligherà le associazioni attive nella vita economica a tener conto di “ciò che è giusto” come di un necessario “presupposto”. In tal modo però si consegue che l’organismo economico sia dipendente dall’uomo e non l’uomo dall’ordinamento economico).

 

33. In tal modo la vita economica è sottoposta da due parti alle sue necessarie condizioni: da parte del fondamento di natura, che l’umanità può prendere com’è dato, e da parte del fondamento del diritto, che, sorgendo dal senso di giustizia, va creato sul terreno dello Stato di diritto, indipendente dalla vita economica.

 

34. È facile scorgere come in tale indirizzo dell’organismo sociale il benessere economico scemerà o aumenterà a seconda della quantità di lavoro che la coscienza sociale consentirà di applicare. Una tale dipendenza del benessere economico è necessaria nel sano organismo sociale. Essa sola può impedire che dalla vita economica l’uomo sia logorato così da non sentire più la sua esistenza come degna dell’uomo, sentimento che, veramente, è la causa di tutte le perturbazioni dell’organismo sociale.

 

35. Vi è una possibilità di non diminuire in misura troppo forte la prosperità dell’economia nazionale da parte del diritto, analoga alla possibilità di miglioramento del fondamento naturale. Un terreno poco produttivo si può rendere più fertile con espedienti tecnici; cosi, per ovviare a una troppo accentuata diminuzione della prosperità, si può modificare la qualità e la quantità del lavoro. Ma tale modificazione non deve derivare direttamente dalla vita economica, bensì dalla comprensione che si sviluppa sul terreno della vita giuridica, indipendente dalla vita economica.

 

36. In tutto ciò che è prodotto nell’organizzazione della vita sociale mediante la vita economica e la coscienza del diritto, opera inoltre ciò che deriva da una terza sorgente, e cioè dalle attitudini individuali di ogni singolo uomo. Questo campo abbraccia tutto, dalle più elevate prestazioni spirituali a quello che, nell’opera dell’uomo, proviene dalla migliore o peggiore sua capacità fisica per prestazioni utili all’organismo sociale. Ciò che sgorga da questa sorgente deve penetrare nel sano organismo sociale in tutt’altra maniera da come vi penetra quanto avviene nello scambio delle merci, e quanto può provenire dalla vita statale. Non vi è altra possibilità di far sì che questo contributo vi affluisca in maniera sana, se non facendolo dipendere dalla libera ricettività degli uomini e dagli impulsi che derivano dalle attitudini individuali stesse. Se le prestazioni umane derivanti da tali attitudini sono influenzate artificialmente dalla vita economica o all’organizzazione

statale, si toglie ad esse, in massima parte, il fondamento della loro propria vita, che può consistere soltanto nella forza che devono sviluppare da se stesse. Se l’accoglimento di simili prestazioni è direttamente condizionato dalla vita economica, o organizzato da parte statale, ne resta paralizzata la libera ricettività degli uomini, che è la sola condizione per cui esse affluiscono in forma sana nell’organismo sociale. La vita spirituale, con la quale nella vita umana si collega per innumerevoli

fili anche lo sviluppo delle altre attitudini individuali, avrà una sana possibilità di sviluppo soltanto se ogni produzione poggi sui suoi propri impulsi e sia in un rapporto di piena comprensione con gli uomini che ne ricevono le prestazioni.

 

37. Quella che è indicata qui come sana condizione di sviluppo della vita spirituale non è attualmente riconosciuta perché la giusta visione è offuscata a causa della fusione di una gran parte di questa vita con quella dello Stato politico, fusione che si è prodotta nel corso degli ultimi secoli e alla quale ci siamo assuefatti. Si parla, è vero, di “libertà della scienza e dell’insegnamento”, ma si considera naturale che lo Stato politico amministri la “libera scienza” e il “libero insegnamento”. Non si avverte come questo Stato metta così la vita spirituale in dipendenza dei suoi bisogni statali. Si pensa: lo Stato crea i posti nei quali si impartisce l’insegnamento, ma poi coloro che coprono questi posti possono svolgere “liberamente” la vita spirituale. Abituati a un tale modo di pensare, non si tiene conto di quanto il contenuto della vita spirituale sia strettamente legato con l’intima natura umana in cui si svolge; e di come questo svolgimento possa essere libero solo se non sia inserito nell’organismo sociale da altri impulsi che non siano quelli derivanti dalla vita stessa dello spirito. Il fatto è che, per la fusione con la vita dello Stato, non solo l’amministrazione della scienza e della parte della vita spirituale che vi è connessa, hanno ricevuto l’impronta dello Stato, ma l’ha ricevuta altresì la sostanza medesima. Certamente ciò che si produce in matematica o in fisica non può subire un’influenza immediata da parte dello Stato. Ma si pensi alla storia e alle scienze umane. Non sono state forse un riflesso di ciò che, per i bisogni della vita politica, è risultato dalla connessione dei loro rappresentanti con la vita dello Stato? Appunto per questo loro carattere, gli attuali concetti di colorito scientifico, dominanti la vita spirituale, hanno agito sul proletariato come un’ideologia. Il proletariato ha osservato come ai pensieri umani sia impresso, dai bisogni della vita dello Stato, un dato carattere che corrisponde agli interessi delle classi dirigenti. Il pensiero proletario ravvisò un riflesso degli interessi materiali e della lotta d’interessi, e ciò generò in esso la convinzione che tutta la vita spirituale non sia altro che ideologia, non sia altro che un riflesso dell’organizzazione economica.

 

38. Una tale opinione inaridente la vita spirituale dell’uomo scompare se si può far sorgere il sentimento che nel campo spirituale domina una realtà che va al di là della vita materiale esteriore, e porta in se stessa il suo contenuto. Ma è impossibile che si formi questo sentimento se la vita spirituale non è liberamente svolta e regolata nell’organismo sociale dai suoi propri impulsi. Solo nell’ambito di una tale direzione, gli uomini fattivi della vita spirituale possono avere la forza di dare alla vita spirituale la dovuta importanza nell’organismo sociale. Arte, scienza, filosofia, e tutto ciò che a queste si connette, abbisognano di tale posizione indipendente nella società umana. La libertà dell’una non può prosperare senza la libertà dell’altra, dato che nella vita spirituale tutto è collegato. Anche se la matematica e la fisica, nel loro contenuto, non sono direttamente influenzabili dai bisogni dello Stato, ciò che si ricava da queste, il modo in cui gli uomini pensano il loro valore, l’effetto che l’occuparsene può avere su tutto il resto della vita spirituale, e molto altro ancora, è assoggettato ai bisogni dello Stato, se esso regola i diversi rami della vita spirituale. Altro è se il maestro che svolge la sua azione nei primi gradi della scuola segue gli impulsi della vita politica, o se li riceve da una vita spirituale che poggi su se stessa. Anche in questo campo il socialismo ha solo ricevuto in eredità, dalle sfere dirigenti, abitudini di pensiero e consuetudini. Esso considera come suo ideale il ripetere la vita spirituale dalle istituzioni sociali fondate sulla vita economica. Seguendo questo ideale potrebbe soltanto continuare sulla via che ha portato al deprezzamento della vita spirituale. Ha sviluppato unilateralmente un sentimento giusto chiedendo di far della religione un affare privato, perché nel sano organismo sociale tutta la vita spirituale dev’essere, nel senso qui indicato, un “affare privato” di fronte allo Stato e all’economia. Ma il socialismo, nell’assegnare alla religione un campo privato d’azione, non parte dal concetto che nell’organismo sociale sia data così al patrimonio spirituale una posizione in cui possa svilupparsi in maniera più desiderabile e più elevata di quella che può conseguire sotto l’influenza dello Stato. Crede che l’organismo sociale debba, coi suoi mezzi, coltivare soltanto quanto è per sé bisogno di vita, e che non lo sia il bene spirituale religioso. Estromesso così unilateralmente dalla vita pubblica un ramo della vita spirituale, non può prosperare se il resto dei beni spirituali è inceppato. La vita religiosa dell’umanità moderna, in unione con tutta la vita spirituale liberata, svilupperà la sua forza sostenitrice per l’anima umana.

 

39. Non solo la produzione deve avere la propria base nel libero bisogno dell’anima, ma anche l’accoglienza di vita spirituale da parte dell’umanità. Insegnanti, artisti e simili, che nella loro posizione sociale siano solo in diretta connessione con una legislazione e con un’amministrazione sorgenti dalla stessa vita spirituale, e che siano sostenuti solo da impulsi derivanti dalla medesima, potranno, per la qualità della loro attività, sviluppare ricettività per le loro prestazioni in persone che saranno preservate dal dover soggiacere alla mera costrizione del lavoro, ed avranno dal diritto - dallo Stato politico reso autonomo - anche quei riposi che svegliano la comprensione dei beni spirituali. A tal proposito, coloro che si credono “pratici della vita” potranno pensare che se lo Stato provvede a quei riposi, e se la frequenza scolastica è rimessa alla libera comprensione dei singoli, gli uomini passeranno il tempo del loro riposo all’osteria, e che si ricadrà nell’analfabetismo. Aspettino tali “pessimisti”, e vedranno cosa avverrà quando il mondo non sia più sotto la loro influenza, che troppo spesso è determinata da quel tal sentimento che sommessamente ricorda loro come essi impiegano gli ozi e di che cosa essi ebbero bisogno per acquisire un po’ di “istruzione”. Sulla forza infiammatrice che una vita spirituale realmente indipendente ha nell’organismo sociale, costoro non possono contare, perché, cosi inceppata, quella vita spirituale non ha mai potuto esercitare su di loro una simile forza d’accensione.

 

40. Come lo Stato politico, così la vita economica, riceveranno l’afflusso di vita spirituale di cui abbisognano, dall’organismo spirituale che da se stesso si governa. Anche la preparazione pratica per la vita economica potrà sviluppare tutta la sua efficienza solo mediante la libera cooperazione della vita economica con l’organismo spirituale. Uomini adeguatamente preparati vivificheranno le esperienze che possono fare nel campo economico, con la forza che viene loro da beni dello spirito

non più inceppati. Altri che hanno già avuto esperienza dalla vita economica, troveranno il passaggio all’organizzazione spirituale e vi agiranno fruttuosamente su ciò che in tal modo va fecondato.

 

41. Nel campo dello Stato politico si formeranno, grazie a questa libera azione di valori spirituali, le sane concezioni che sono necessarie. Per influsso di queste, chi lavora manualmente potrà avere un senso di soddisfazione circa la funzione del suo lavoro nell’organismo sociale. Comprenderà che, senza una direzione che organizzi il lavoro manuale in corrispondenza del suo fine, l’organismo sociale non lo può sostenere. Potrà allora sentire la connessione del suo lavoro con le forze organizzatrici derivanti dallo sviluppo delle capacità umane individuali. Sul terreno dello Stato politico acquisterà i diritti che gli assicurano la partecipazione al provento delle merci che produce, e, d’altro canto, liberamente concederà ai valori spirituali che gli si offrono, tutto l’interesse che ne renderà possibile l’esistenza. Nel campo della vita spirituale sorgerà la possibilità che i suoi produttori possano anche vivere dei frutti del loro lavoro. Quanto ciascuno fa per sé nel campo della vita spirituale sarà suo intimo affare privato; mentre quanto uno è in grado di fare per l’organismo sociale potrà contare sul libero compenso da parte di coloro per i quali il bene spirituale è un bisogno. Chi non troverà nell’organizzazione spirituale un compenso sufficiente dovrà passare nel campo dello Stato politico o in quello della vita economica.

 

42. Nella vita economica fluiscono le idee tecniche derivanti dalla vita spirituale. Esse nascono dalla vita spirituale, anche quando provengono direttamente da persone appartenenti al campo politico o economico. Dalla vita spirituale derivano tutte le idee e le energie organizzatrici che fecondano la vita economica e la vita politica. Il compenso per questo contributo ad ambedue i campi della vita sociale sarà dato dalla libera comprensione di quelli che di questo contributo hanno bisogno, o sarà stabilito secondo norme di diritto, che saranno elaborate nel campo dello Stato politico. Quanto occorre poi allo Stato politico stesso per il suo mantenimento, sarà fornito mediante un diritto d’imposta. Questo dovrà risultare dall’armonizzazione delle esigenze del diritto con quelle della vita economica.

 

43. Accanto al campo politico e a quello economico deve, nel sano organismo sociale, agire in modo autonomo quello spirituale. Verso questa triarticolazione dell’organismo sociale si volgono le forze evolutive della nuova umanità. Finché la vita sociale si è lasciata guidare sostanzialmente da forze istintive di una grande parte dell’umanità, non ha potuto sorgere l’impulso verso questa ben determinata articolazione. Ciò che in fondo scaturì sempre da tre sorgenti distinte cooperava

confusamente in una certa ottusità della vita sociale. Il nuovo tempo esige che l’uomo prenda posizione in modo consapevole entro l’organismo sociale. Questa consapevolezza può dare una sana conformazione alla condotta e a tutta la vita dell’uomo soltanto se è orientata da tre parti. A questo orientamento tende l’umanità moderna nelle profondità incoscienti dell’anima, e ciò che si manifesta come movimento sociale non è se non il confuso riflesso di questa tendenza.

 

44. Al termine del secolo diciottesimo, da condizioni fondamentali diverse da quelle in cui oggi viviamo, sorse, da substrati profondi della natura umana, l’aspirazione verso una nuova costituzione dell’organismo sociale. Si proclamarono allora, come segnacolo di questa nuova organizzazione, le tre parole: FRATELLANZA, UGUAGLIANZA, LIBERTÀ. Orbene: chi si interessa della reale evoluzione umana con animo spregiudicato e con sano sentimento umano, non può naturalmente fare a meno di provare simpatia per tutto ciò a cui alludono queste parole. Vi furono tuttavia acuti pensatori che, nel corso del secolo diciannovesimo, si diedero la pena di dimostrare come sia impossibile realizzare in un organismo sociale unitario queste idee di fratellanza, uguaglianza e libertà. Essi credettero di riconoscere che, se questi tre impulsi si realizzassero, dovrebbero necessariamente trovarsi in reciproca contraddizione nell’organismo sociale. È stato dimostrato con acume, per esempio, come sia impossibile che, realizzandosi l’impulso dell’eguaglianza, possa realizzarsi anche quello della libertà che pure ha le sue basi in ogni essere umano. Si deve convenire con quelli che rilevano tale contraddizione, e pur tuttavia, per un generale sentimento umano, non si può fare a meno di provare simpatia verso ciascuno dei tre predetti ideali.

 

43. Questa contraddizione sorge per il fatto che il vero significato sociale di questi tre ideali emerge esclusivamente dal riconoscimento della necessaria triarticolazione dell’organismo sociale. Queste tre parti non si devono riunire e accentrare in un astratto e teorico parlamento o in altra unità consimile. Devono essere una realtà vivente. Ciascuna di esse deve essere accentrata in sé. Soltanto dalla loro azione parallela e comune potrà poi risultare l’unità dell’organismo sociale complessivo. Nella vita reale concorre a formare l’unità appunto ciò che apparentemente si contraddice. Perciò si arriverà ad una comprensione della vita dell’organismo sociale, quando si sarà in grado di vedere quale debba essere, conformemente alla realtà, la struttura di questo organismo sociale, in rapporto a fratellanza, uguaglianza e libertà. Si riconoscerà allora che la cooperazione degli uomini nella vita economica deve fondarsi su quella fratellanza che sorge dalle associazioni; nella seconda parte, il sistema del diritto pubblico, che concerne i rapporti puramente umani da persona a persona, si tratterà di mirare alla realizzazione dell’idea di eguaglianza. E nel campo spirituale, che sta nell’organismo sociale in una relativa indipendenza si mirerà a realizzare l’impulso della libertà. Considerati sotto questo punto di vista, questi tre ideali manifestano il loro effettivo valore. Non si possono però realizzare in una vita sociale caotica, ma soltanto in un organismo sociale sano, triarticolato nel modo che si è detto. Non già una forma sociale astrattamente accentrata può realizzare tutti insieme gli ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità; bensì ciascuna delle tre parti dell’organismo sociale può attingere la sua forza da uno di questi impulsi. E allora potrà cooperare con le altre parti in maniera feconda.

 

46. Coloro che sullo scorcio del secolo diciottesimo sollevarono l’esigenza della realizzazione delle tre idee di libertà, di eguaglianza e di fraternità, come pure quelli che più tardi la rinnovarono, sentirono oscuramente dove tendano le forze evolutive dell’umanità moderna; ma nello stesso tempo non seppero superare la loro fede nello Stato unitario. Per lo Stato unitario le loro idee sono una contraddizione. Essi accettavano ciò che era contraddittorio, perché nel fondo subcosciente della loro anima agiva l’impulso verso la triarticolazione dell’organismo sociale, per la quale soltanto la trinità delle loro idee può assurgere ad una più elevata unità. Con chiara eloquenza gli attuali fatti sociali esigono che le forze evolutive, che nel divenire della nuova umanità urgono verso questa triarticolazione, siano trasformate in volontà sociale cosciente.

 

3. CAPITALISMO E IDEE SOCIALI (CAPITALE, LAVORO UMANO)

Presentazione del curatore - In “Capitalismo e idee sociali (Capitale, lavoro umano)”, terzo capitolo de “I punti essenziali della questione sociale”, è sostanzialmente mostrata l’estensione dell’errore dello Stato di diritto che volendosi occupare di economia e/o di cultura, anziché dell’amministrazione del diritto, si trasforma in diritto di Stato, cioè in mafia, “cosa nostra”, distruzione dei beni economici, anatocismo, saccheggio… Accenno qui solo alla “svista” secondo cui sembra buono e giusto parlare del cosiddetto “mercato del lavoro” e del cosiddetto “costo della forza-lavoro”. Già l’idea di “economia politica” è un’idea spuria, che nemmeno dovrebbe esistere, dato che l’economia e la politica rispondono a due logiche essenzialmente diverse. Pretendere di inserire il lavoro umano nella vita economica è un’insensatezza. Oggi si sente continuamente parlare di “mercato del lavoro”, di “mercato della forza-lavoro”, di “costo della forza-lavoro”, ecc., come se la forza-lavoro umana fosse una merce da comprare o da vendere al mercato. Così facendo non ci si accorge che si compra e si vende l’uomo a fette come se fosse mortadella. NON la forza-lavoro ma solo i prodotti della forza-lavoro possono essere immessi nell’economia. Rudolf Steiner ha spiegato spesso questa “svista”: “Non è possibile che il lavoro umano possa essere inserito nella vita economica; si possono infatti sommare mele con mele, e anche mele con pere, in quanto frutta, e se ne potrà ricavare una somma. Ma non vedo come ad esempio si possano sommare mele con occhiali. Ora, il contenuto di un bene, di una merce, è del tutto differente dal lavoro umano che pure, secondo un’espressione marxista, è “condensato nella merce” (cfr. K. Marx, “Il capitale”: «Come valore, tutte le merci sono soltanto una massa determinata di tempo, di lavoro condensato»). Accomunare il lavoro umano con quanto vi è in un bene, in una merce, è un nonsenso, così come accomunare mele con occhiali; eppure l’economia politica moderna lo ha fatto, è riuscita a compiere il capolavoro della scienza economica: per così dire mangiare gli occhiali e adoperare le mele come occhiali” (R. Steiner, “Come si opera per la triarticolazione sociale”, Ed. Antroposofica, Milano 1988, p. 48). In genere non si nota questo miscuglio subumano, così che quando il politico parla in TV del costo della forza-lavoro, si accetta questa dialettica come cosa buona, giusta, ovvia e logica. E perfino quando si sottolinea l’errore facendone apparire l’insensatezza, si continua poi immediatamente a perpetrarla: “Appare paradossale quando lo si dice, ma si continua a farlo. Quando, sempre in campo economico, si considera il salario e si osserva che porta in sé di dover essere pagato, e finisce per essere contenuto nel prezzo della merce, come ciò che proviene dalla natura, si addizionano di nuovo mele con occhiali, si è cioè compiuto l’impossibile, l’impensabile” (ibid. p. 49).

Steiner spiega che se non si vuole generare schiavitù o nullificazione della dignità, nulla della forza di lavoro umano dovrebbe fluire nel prodotto, dato che il lavoro, qualunque esso sia - da quello compiuto dallo scaricatore di porto a quello dell’ingegnere nucleare - è sempre qualcosa di spirituale, di non materialistico, cioè qualcosa la cui attuazione sarebbe inimmaginabile senza l’elemento immateriale del pensare. Se uno ci riflette un po’ si accorge della cosa (però il guaio è che l’uomo, oramai schiavo della sua routine priva del pensare, non trova più il tempo per riflettere): il muratore che vuole erigere un muro non può farlo senza che il filo a piombo gli indichi, attraverso il pensare, la giusta direzione imposta dalla forza di gravità. Non esiste insomma un lavoro umano possibile senza applicazione dello spirito.

Il lavoro umano è essenzialmente spirituale, immateriale, e va distinto dal suo prodotto o dalle merci, perché la loro sostanza è completamente altra dall’io che la produce. Il lavoro umano si articola come segue dalla sfera spirituale a quella giuridica: “Nel processo economico, al quale prende parte il lavoro, attraverso il lavoro stesso si introduce un rapporto giuridico-statale. Se vogliamo parlare dell’elemento economico puro che risiede nella vita economica, dobbiamo parlare di beni e di merci; se vogliamo invece parlare dello sviluppo della vita economica, cioè di quella che riposa nella divisione del lavoro, dobbiamo aggiungervi un elemento giuridico-statale” (ibid. p. 50). Il contratto ne è una forma, e “così la regolamentazione del lavoro è un elemento giuridico-statale che ricade nell’altro settore dell’organismo sociale” (ibid.), quello giuridico, appunto.

Tre sono i settori della vita dell’organismo sociale: il settore economico, quello giuridico in cui ricade il lavoro umano, e quello spirituale, nel quale il lavoro si trova come attività dell’io o dello spirito e/o come metabolismo in atto. “Il capitale si trova nella vita economica in funzione di suo reggitore spirituale: il capitale crea le aziende, i centri economici, è l’elemento spirituale nella vita economica. La vita spirituale della vita economica col materialismo moderno ha però assunto un carattere materialistico, sebbene l’elemento capitalistico sia l’elemento spirituale nella vita economica: è il lato spirituale della vita economica” (ibid.).

Anche se oggi è difficile comprenderlo, dato il materialismo imperante, il lavoro umano ed il capitale sono dunque elementi spirituali, immateriali e, in quanto tali, appartengono a ciò che immediatamente non si vede ma che va riscoperto se si vuole essere umani e non schiavi incoscientemente ottusi.

“Questo ci riconduce a cercare di nuovo la triarticolazione entro la vita economica: partendo cioè dalla vita economica propriamente detta, nella quale si svolgono produzione, circolazione e consumo di merci, dobbiamo mettere in relazione con la vita legislativa-statale l’elemento che vi fluisce come lavoro, e mettere in relazione con la vita spirituale il capitale che ne è l’elemento propriamente spirituale. Questo aspetto è in concreto trattato nei “Punti essenziali” nei quali si può vedere che il trasferimento dei capitali, la circolazione dei capitali, devono essere in una certa relazione con la vita spirituale. Come a dire che intendiamo distinguere questi tre settori anche entro la vita economica stessa” (ibid.).

Quanto segue è la trattazione dettagliata di tale “aspetto concreto”.

 

III

 

CAPITALISMO E IDEE SOCIALI (CAPITALE, LAVORO UMANO)

 

1. Oggi non si può giudicare che tipo d’azione sia richiesto in campo sociale dall’eloquenza dei fatti, se non si ha la volontà di fondare questo giudizio sulla comprensione delle forze fondamentali dell’organismo sociale. Il tentativo di acquisire una simile comprensione sta alla base di quanto è stato esposto fin qui. Misure che si appoggino solo ad un giudizio acquisito in una troppo stretta cerchia di osservazione non possono oggi servire ad effettuare alcunché di proficuo. I fatti generati dal movimento sociale sono segno di evidenti perturbazioni nelle basi dell’organismo sociale stesso; perturbazioni che non sono davvero solo di superficie. Di fronte ad esse è necessario giungere ad una comprensione che pure si addentri fino alle fondamenta.

 

2. Se si parla oggi di capitale e di capitalismo, si accenna alle cose nelle quali l’umanità proletaria cerca le ragioni della sua oppressione. Si potrà però giungere a un giudizio proficuo sul modo in cui opera il capitale promovendo o inceppando il movimento dell’organismo sociale, solo se si intende come producono e consumano il capitale le individuali attitudini umane, la costituzione dei diritti, e le forze della vita economica. Parlando di lavoro umano si accenna a ciò che, assieme al fondamento naturale dell’economia e al capitale, crea valori economici, ed al cui contatto l’operaio acquista la coscienza della sua posizione sociale. Un giudizio su come il lavoro umano vada inserito nell’organismo sociale per non perturbare nel lavoratore il sentimento della sua dignità di essere umano si arriva a concretizzare solo se si voglia considerare il rapporto che da un lato il lavoro umano ha con l’esplicazione delle attitudini individuali e, dall’altro, con la consapevolezza del diritto.

 

3. Si domanda oggi, con, ragione, che cosa sia da farsi “innanzitutto” per soddisfare le esigenze che sorgono dal movimento sociale. Neppure ciò che va fatto “innanzitutto” si potrà compiere in maniera proficua se non si sa quale relazione abbia con le basi del sano organismo sociale ciò che si vuol fare. E quando si sappia questo, allora, nel posto stesso in cui uno si trova o sa collocarsi, vedrà quali sono i compiti che gli vengono assegnati dai fatti. Al raggiungimento di una comprensione quale qui s’intende, si oppone, scombussolando il giudizio spassionato, ciò che nel corso di molto tempo è passato dal volere umano negli ordinamenti sociali. Ci si è tanto familiarizzati con tali ordinamenti che da questi abbiamo ricavato le nostre opinioni su ciò che ne va conservato o cambiato. Ci si lascia regolare nel pensiero da ciò che invece dovrebbe essere dominato dal pensiero. Oggi è però necessario riconoscere come non possiamo formarci un giudizio che sia all’altezza dei fatti, se non col ritornare ai pensieri originari che stanno alla base di tutti gli ordinamenti sociali.

 

4. Quando non ci sono le giuste sorgenti, dalle quali perennemente fluiscono nell’organismo sociale le forze insite in quei pensieri originari, gli ordinamenti sociali prendono forme che non promuovono la vita, ma la ostacolano. I pensieri originari continuano a vivere più o meno inconsciamente negli impulsi umani, anche quando i pensieri pienamente coscienti cadono nell’errore e creano, o hanno già creato, fattori avversi alla vita. E sono appunto pensieri originari che si esplicano caoticamente di fronte a un mondo di fatti che ostacolano la vita, quelli che, palesemente o velatamente, si manifestano nelle convulsioni rivoluzionarie dell’organismo sociale. Tali convulsioni cesseranno solo quando l’organismo sociale sarà costituito in modo da avere continuamente in sé la tendenza a osservare dove si formi una deviazione dalle istituzioni predisposte dai pensieri originari, e dove esista allo stesso tempo la possibilità di agire contro questa deviazione, prima che questa abbia raggiunto una forza funesta.

 

5. Ai nostri giorni, in una vasta sfera della vita umana, si sono accentuate le deviazioni dalle condizioni volute dai pensieri originari. E l’esistenza nelle anime umane degli impulsi prodotti da questi pensieri sta come una critica eloquente, da parte dei fatti, di ciò che si è formato nell’organismo sociale dei secoli passati. Occorre perciò la buona volontà di tornare risolutamente ai pensieri originari e di non disconoscere quanto sia dannoso, proprio oggi, bandire dalla vita questi pensieri originari come generalità “non pratiche”. Nella vita e nelle esigenze del proletariato i fatti stessi muovono la critica a ciò che i nuovi tempi hanno fatto dell’organismo sociale. È compito del nostro tempo reagire contro tale critica unilaterale partendo dai pensieri originari per trovare le direzioni in cui i fatti vanno consapevolmente avviati. Poiché è passato il tempo in cui poteva bastare all’umanità ciò che una direzione istintiva ha potuto produrre sin qui.

 

6. Una delle questioni fondamentali che da tale critica emerge è questa: in che modo può cessare l’oppressione che l’umanità proletaria ha sofferto per opera del capitalismo privato? Il proprietario, o l’amministratore del capitale, si trova in condizione di porre il lavoro fisico di altri uomini a servizio di ciò che intende produrre. Ora, nel rapporto sociale risultante dalla cooperazione del capitale e del lavoro umano vanno distinti tre fattori: 1°) l’attività dell’imprenditore, che deve fondarsi sulle facoltà individuali di una persona o di un gruppo di persone; 2°) il rapporto fra il datore di lavoro e l’operaio, che dev’essere un rapporto di diritto; e 3°) la produzione di cose che nel giro della vita economica assumono valore di merce. L’attività dell’imprenditore può intervenire sanamente nell’organismo sociale solo se nella vita di questo organismo operano forze che portino le facoltà individuali umane ad esplicarsi nel migliore modo possibile. Il che può avvenire solo se c’è nell’organismo sociale un campo che conceda a chi abbia delle attitudini la libera iniziativa di farne uso, e dia ad altri la possibilità di giudicare del valore di tali attitudini mediante libera comprensione. Si vede quindi che la partecipazione sociale dell’individuo per mezzo del capitale appartiene a quella parte dell’organismo sociale in cui è la vita spirituale a legiferare e ad amministrare. Se su questa partecipazione influisce lo Stato politico, allora, necessariamente, di fronte alle attitudini individuali e alle loro attività, deve regnare, almeno in parte, l’incomprensione. Poiché lo Stato politico deve avere per base, e mettere in atto, ciò che si trova in tutti gli uomini come esigenza comune di vita. Lo Stato politico, nella sua sfera, deve permettere a tutti di far valere il proprio giudizio. Per quello che deve da compiere, la comprensione o l’incomprensione delle attitudini individuali non entra in gioco. Perciò, quanto si effettua nello Stato politico non può nemmeno avere un’influenza sull’esplicazione delle capacità umane individuali. Ed anche la prospettiva di un vantaggio economico dovrebbe essere altrettanto poco determinante per l’esplicazione delle attitudini individuali resa possibile dal capitale. A tale vantaggio economico taluni giudici del capitalismo attribuiscono un’importanza esagerata, ritenendo che solo lo stimolo del lucro possa mettere in azione le attitudini individuali. E, come “uomini pratici”, citano l’“imperfetta” natura umana, che pretendono di conoscere. È vero che in quell’ordinamento sociale che ha prodotto le presenti condizioni la considerazione del vantaggio economico ha assunto una profonda importanza, ma questo fatto è per non piccola parte appunto la causa delle presenti condizioni. E queste richiedono ora urgentemente che si sviluppi un altro stimolo all’attività delle attitudini individuali. Questo stimolo dovrà trovarsi nella comprensione sociale proveniente da una sana vita spirituale. L’educazione, la scuola, attingendo all’energia della libera vita spirituale, forniranno l’uomo degli impulsi che lo porteranno a realizzare, in virtù della sua intima capacità di comprendere, ciò a cui lo spingono le sue attitudini individuali.

 

7. Questa opinione non deve necessariamente essere frutto di esaltazione. L’esaltazione ha certo causato mali incommensurabili nel campo della volontà sociale come in altri. Ma, come si può desumere da ciò che è stato detto fin qui, la concezione qui esposta non poggia sulla falsa credenza che “lo spirito” faccia miracoli se coloro che credono di possederlo ne parlano il più possibile, ma deriva direttamente dall’osservazione di come si svolge la libera cooperazione degli uomini nel campo spirituale. Questa cooperazione acquista per sua propria natura un’impronta sociale purché possa svilupparsi davvero in modo del tutto libero.

 

8. Proprio l’inceppamento della vita spirituale ha finora impedito che questa sana impronta si determinasse. Fra le classi dirigenti le forze spirituali si sono organizzate in modo da relegare in modo antisociale le produzioni di queste forze in certi ambienti dell’umanità. Ciò che si è prodotto in questi ambienti si poteva portare nel mondo proletario solo in modo artificiale. Cosi l’umanità proletaria non poté attingere da questa vita spirituale alcuna forza a sostegno dell’attività interiore, perché non partecipò realmente alla vita di questo patrimonio spirituale. Istituzioni per l’“istruzione popolare”, per l’“educazione del popolo al godimento artistico” e simili, non sono, in verità, mezzi per far partecipare il popolo ai beni della cultura, finché questa conserva il carattere che ha assunto nei tempi odierni. Infatti il “popolo” non penetra nella vita di questo bene spirituale con l’intima partecipazione del suo essere umano. Gli viene solo data la possibilità di guardarvi in qualche modo ma come da un punto di vista che ne sta al di fuori. E ciò che vale per la vita spirituale ha pure, in senso più stretto, la sua importanza per quelle ramificazioni dell’attività spirituale, che fluiscono nella vita economica sulla base del capitale. Nel sano organismo sociale l’operaio proletario non deve stare alla sua macchina in contatto soltanto coi suoi congegni, mentre solo il capitalista conosce il destino riservato alle merci prodotte nel giro della vita economica; in quanto lavora alla produzione della merce, l’operaio deve poter sviluppare con piena partecipazione i concetti relativi al modo in cui partecipa alla vita sociale. Conversazioni, da calcolarsi inerenti all’esercizio di un’azienda al pari del lavoro stesso, devono essere regolarmente istituite dall’imprenditore dell’azienda allo scopo di sviluppare una sfera di rappresentazioni, comune tanto a chi da’ il lavoro quanto a chi lo esegue. Una sana azione in tal senso farà comprendere all’operaio come un’adeguata attività del capitalista sia utile all’organismo sociale e con ciò anche all’operaio che ne è parte. Da tale pubblicità della sua gestione finalizzata alla libera comprensione da parte dei suoi operai, l’imprenditore sarà indotto a procedere in modo irreprensibile.

 

9. Solo chi non abbia alcun senso dell’effetto sociale che ha il partecipare in intima concordia a un lavoro comune, riterrà insignificante ciò che ho detto. Ma chi abbia un tale senso, riconoscerà come la produttività economica sia promossa quando la direzione della vita economica basata sul capitale ha le sue radici nel campo della libera vita spirituale. Solo se si soddisferà questa premessa l’interesse al capitale ed al suo aumento, dovuto semplicemente all’amore del profitto, potrà dar luogo all’interesse oggettivo della produzione di merci e del venire a capo di prestazioni.

 

10. Oggi i pensatori socialisti aspirano all’amministrazione sociale dei mezzi di produzione. Ciò che di questa loro aspirazione è giusto può essere conseguito solo se tale amministrazione sia curata da parte del libero campo spirituale. Con ciò sarà resa impossibile la coercizione economica che parte dal capitalista, quando egli svolge la sua attività mossa dalle forze della vita economica. Né avverrà la paralisi delle attitudini individuali, che non può che risultare come necessaria conseguenza, se queste attitudini sono governate dallo Stato politico.

 

11. Nel sano organismo sociale, il provento di un lavoro, al quale concorrono il capitale e le attitudini individuali, deve - come ogni prestazione spirituale - risultare da un lato, dalla libera iniziativa di chi opera e, dall’altro, dalla libera comprensione di altri uomini che richiedono la prestazione. Alla libera iniziativa di chi opera deve essere lasciata in questo campo la misura di ciò che egli vuole riguardare come provento delle sue prestazioni, secondo la preparazione che gli occorre per eseguirle, le spese che deve fare per renderle possibili, e così via. Egli potrà trovare soddisfazione alle sue richieste soltanto se vi sia negli altri un adeguato apprezzamento della sua opera.

 

12. Per mezzo di provvedimenti sociali che seguano le direttive qui indicate, si crea il terreno per un accordo realmente libero fra dirigenti ed esecutori del lavoro. E questo accordo non si riferirà ad uno scambio di merce (denaro) contro energia di lavoro, ma alla determinazione della parte spettante a ciascuno dei due contraenti che concorrono in comune alla produzione della merce.

 

13. Quanto è prodotto per l’organismo sociale in base al capitale, si fonda, per sua natura, sul modo con cui si esercitano in tale organismo le attitudini individuali dell’uomo. Lo sviluppo di queste attitudini non può ricevere l’impulso adeguato se non dalla libera vita spirituale. Anche in un organismo sociale, che sottometta questo sviluppo all’amministrazione dello Stato politico, o alle forze della vita economica, l’effettiva produttività di tutto quello che rende necessario l’impiego del capitale poggerà su quel tanto di libere forze individuali che riuscirà a farsi valere nonostante le istituzioni paralizzanti. Solo che in tali condizioni l’evoluzione sarà malsana. Non è la libera esplicazione delle attitudini individuali operanti sulla base del capitale, quella che ha prodotto le condizioni per cui la forza umana di lavoro dev’essere merce, ma è la sottomissione di tali forze alla vita dello Stato politico e al giro della vita economica. Il riconoscimento spassionato di questo fatto è oggi la premessa per tutto ciò che deve avvenire nel campo dell’organizzazione sociale; perché il nuovo tempo ha dato origine alla superstizione che le norme adatte al risanamento dell’organismo sociale debbano provenire dallo Stato politico o dalla vita economica. Ma se si continuerà a procedere sulla via di questa superstizione, si creeranno istituzioni che non porteranno l’umanità allo scopo verso cui tende, bensì a un aumento illimitato di quell’oppressione che si vorrebbe veder cessata.

 

14. Si è imparato a pensare che il capitalismo ha prodotto nell’organismo sociale un processo patologico. Sperimentando questo stato patologico si vede che è necessario combatterlo. Ma occorre vedere di più. Occorre accorgersi che la malattia ha la sua origine nella sparizione delle forze del capitale dal giro della vita economica. Solo chi non si lasci illudere dal modo di pensare che vede un “teorico idealismo” nell’idea che l’attività capitalistica sia governata dalla libera vita spirituale, potrà operare nel senso che le energie evolutive dell’umanità cominciano oggi a reclamare energicamente. Presentemente si è certo ben poco preparati a mettere in diretta connessione la vita spirituale con l’idea sociale che deve avviare il capitalismo per una strada sana. Si prendono le mosse da ciò che appartiene alla sfera economica. Si vede come nel nuovo tempo la produzione delle merci abbia condotto alle grandi industrie, e queste, alla forma presente del capitalismo. A questa forma economica dovrebbe sostituirsi quella socialista, che lavora per i bisogni degli stessi produttori. Ma siccome, naturalmente, si vuol conservare l’uso dei mezzi moderni di produzione, si reclama la riunione delle aziende in una sola grande società. In tal modo - così si pensa - ognuno produce per incarico della comunità, la quale non potrebbe essere sfruttatrice perché sfrutterebbe se stessa. E poiché ci si vuole e ci si deve ricollegare a ciò che già esiste, si mira allo Stato moderno che si vuol trasformare in una società che tutto abbracci.

 

15. Non ci si accorge che da una tale società ci si ripromettono effetti che si possono tanto meno ottenere quanto più larga è la società. Se in questa non si organizza la partecipazione delle attitudini individuali dell’uomo nel modo esposto più sopra, la socializzazione del lavoro non può condurre al risanamento dell’organismo sociale.

 

16. Che ci sia oggi poca disposizione a giudicare spassionatamente in merito all’intervento della vita spirituale nell’organismo sociale, dipende dell’abitudine che si è presa di rappresentarsi lo spirituale lontanissimo dal materiale e dal pratico. Non saranno in pochi a trovare grottesca l’idea qui esposta secondo la quale nell’attività capitalistica della vita economica debba manifestarsi l’azione di una parte della vita spirituale. Può darsi che nel qualificare come grottesca quest’idea si trovino d’accordo i rappresentanti delle classi finora dirigenti e i pensatori socialisti. Per giudicare dell’importanza, per il risanamento dell’organismo sociale, di quanto costoro trovano grottesco, occorre osservare certe correnti di pensiero contemporanee derivanti da impulsi dell’attività interiore, onesti nel loro genere, ma che là, dove trovano accesso, ostacolano il formarsi di un modo di pensare realmente sociale.

 

17. Queste correnti di pensiero tendono più o meno inconsciamente ad allontanarsi da ciò che da’ all’esperienza interiore la giusta forza di propulsione. Tendono ad una concezione, a una vita del pensiero, a una conoscenza scientifica, e ad una vita animica, che formano una specie di isola nel complesso della vita umana. In tal modo non sono in grado di costruire un ponte tra questa specie di isola spirituale e le cose che aggiogano gli uomini alla vita quotidiana. Si può vedere come oggi molti sentano una speciale “nobiltà interiore” nel salire nel mondo delle nuvole, a fantasticare, sia pure scolasticamente, su ogni genere di problemi etico-religiosi, nel cercare la maniera in cui l’uomo può acquistare le virtù, e il giusto comportamento amorevole verso i suoi simili, nonché il modo per ricevere la grazia di una “vita interiore”. Ma poi si vede anche la loro impotenza a trovare il passaggio da ciò che la gente chiama buono, amorevole, benevolo, giusto e morale, a ciò che circonda quotidianamente l’uomo nella realtà esteriore, vale a dire l’azione del capitale, i salari, il consumo, la produzione e la circolazione delle merci, il credito e le operazioni di banca e di borsa. Si può osservare come due grandi correnti parallele siano poste l’una accanto all’altra anche nelle consuetudini del pensiero umano. Una delle due è quella che vuol rimanere, in certo modo, nelle altezze divine dello spirito, senza gettare un ponte fra ciò che è un impulso spirituale e ciò che è un fatto della vita ordinaria. L’altra corrente vive spensieratamente nelle cose d’ogni giorno. La vita però è un’unità; e può prosperare solo se le energie che la muovono discendono da tutta la vita etico-religiosa in quella più profana e più comune; cioè in quella che a qualcuno sembra appunto meno nobile. Se si trascura di gettare un ponte fra questi due campi della vita, si ricade, rispetto alla vita religiosa e morale e al pensiero sociale, nella pura e semplice fantasticheria, estranea alla vera realtà quotidiana; e allora questa realtà quotidiana in certo modo si vendica. Allora l’uomo, per un certo impulso “spirituale”, aspira verso ogni possibile ideale, verso tutto ciò ch’egli chiama “buono”; mentre agli istinti, che a quegli “ideali” sono di fronte come base degli ordinari bisogni della vita quotidiana, e la cui soddisfazione deve affluire dall’economia, l’uomo si abbandona senza “lo spirito”. Non conosce alcuna via pratica reale che dal concetto di spiritualità conduca a ciò che si svolge nella vita quotidiana. Perciò questa vita quotidiana prende una piega che non può aver nulla a che fare con gli impulsi morali che si vogliono conservare nelle altezze più nobili dell’attività interiore e dello spirito. Allora però la vita quotidiana si vendica, e diviene tale che la vita etico-religiosa, appunto perché vuole estraniarsi dalla realtà quotidiana, da ciò che è pratica diretta, si trasforma inavvertitamente in una menzogna interiore.

 

18. E, nondimeno, quanti sono oggi coloro che, per una certa nobiltà etico-religiosa, dimostrano la migliore volontà di una giusta comunanza di vita coi loro simili, ai quali vorrebbero fare il maggior bene possibile! Trascurano però di acquisire quei sentimenti che renderebbero questo veramente possibile, dato che non sanno appropriarsi di un pensare sociale capace di esplicarsi nelle abitudini pratiche della vita.

 

19. Dalla cerchia di tali persone provengono gli esaltati che in questo momento storico in cui le questioni sociali sono divenute così assillanti, ritenendosi “pratici” della vita, si oppongono, ostacolandola, alla pratica vera. Da costoro si possono sentire discorsi come questo: “Occorre che gli uomini si sottraggano al materialismo, alla vita materiale esteriore che ci ha spinti alla catastrofe della guerra mondiale e alla rovina; e che si rivolgano invece verso una concezione spirituale della vita”. Chi vuole indicare in questo modo le vie verso la spiritualità, non si stanca di citare le personalità che in passato sono state venerate per la loro maniera spirituale di pensare. E a chi prova ad indicare ciò che proprio oggi lo spirito dovrebbe fornire alla vera vita pratica, e che sarebbe necessario come il pane quotidiano, può avere come risposta che in primo luogo occorre riportare gli uomini al riconoscimento dello spirito. Invece ciò che più conta oggi è che dalla forza della vita spirituale si trovino le giuste direttive per il risanamento dell’organismo sociale. A tale scopo non basta che gli uomini, in una corrente laterale della vita, si occupino dello spirito. È quindi necessario che l’esistenza quotidiana stessa sia conforme allo spirito. La tendenza a ricercare simili correnti laterali per la “vita spirituale” condusse le classi sinora dirigenti a trovare gusto a condizioni sociali, che sfociarono poi negli avvenimenti d’oggi.

 

20. Nella vita sociale del presente sono strettamente uniti l’uso del capitale nella produzione delle merci e il possesso dei mezzi di produzione, quindi anche il possesso del capitale. Eppure questi due rapporti dell’uomo col capitale sono completamente differenti circa la loro azione nell’organismo sociale. L’uso dei capitale, regolato dalle attitudini individuali in modo conforme ad uno scopo, apporta all’organismo sociale dei beni, all’esistenza dei quali hanno interesse tutti gli uomini facenti parte di tale organismo. In qualsiasi posizione uno si trovi nella vita, ha tutto l’interesse a che nulla non si disperda delle attitudini individuali sorgenti dall’umano, e per il cui tramite si producono beni utili per la vita. Lo sviluppo di quelle attitudini può però effettuarsi solo se chi le ha le può attivare per propria libera iniziativa. Quanto da queste sorgenti non può liberamente fluire è sottratto, almeno fino ad un certo grado, al benessere degli uomini. Ora, il mezzo per attivare queste attitudini individuali in vasti campi della vita sociale, è il capitale. In un organismo sociale tutti devono avere vero interesse a che il possesso complessivo del capitale sia amministrato in modo tale che l’individuo capace in quel dato ambito, o che gruppi di persone specializzate in qualche altro, possano disporre di quel capitale in un modo che scaturisca solo dalla loro iniziativa originale. Ognuno, dal lavoratore della mente al lavoratore manuale, se vuol servire senza pregiudizi il proprio interesse, dovrebbe dirsi: vorrei che un numero sufficiente di persone, o di gruppi di persone capaci, possa non solo disporre liberissimamente del capitale, ma anche, di iniziativa propria per pervenire al capitale; perché soltanto tali persone possono giudicare su come, mediante il capitale, le loro attitudini individuali producano corrispondenti vantaggi all’organismo sociale.

 

21. Nei limiti imposti a questo libro non è necessario esporre come nel corso dell’evoluzione umana sia risultata nell’organismo sociale la proprietà privata in rapporto all’attività delle facoltà individuali, a partire da altre forme di possesso. Fino ad oggi tale proprietà si è sviluppata nell’organismo sociale sotto l’influenza della divisione del lavoro. E qui voglio appunto parlare delle condizioni presenti e del loro necessario sviluppo ulteriore.

 

22. Comunque si sia formata la proprietà privata attraverso sviluppi di potenza, conquiste e simili, essa è pur sempre il risultato di un’azione sociale legata ad attitudini umane individuali. Eppure i pensatori socialisti ritengono che l’oppressione derivante dalla proprietà privata si possa eliminare soltanto mediante la sua trasformazione in proprietà collettiva. La questione è posta così: come può essere impedita nel suo sorgere la proprietà privata dei mezzi di produzione affinché cessi l’oppressione che questa esercita sui non abbienti? Chi pone la questione in questi termini non tiene conto del fatto che l’organismo sociale è in continuo divenire, in continuo crescere. Di fronte a questo divenire non si può domandare come si possa regolarlo per il meglio affinché per questo mezzo permanga poi nella condizione che si è riconosciuta giusta. Così si potrebbe pensare soltanto rispetto a qualcosa che, da un dato punto di partenza in poi, operasse sostanzialmente in modo invariabile; ma non rispetto all’organismo sociale che, vivendo, trasforma continuamente ciò che in esso si produce. Se ad esso si vuol dare una presunta forma ideale, in cui debba poi permanere, si distruggono le sue stesse condizioni di vita.

 

23. Una condizione vitale per l’organismo sociale è che, a chi può rendersi utile con le sue attitudini individuali alla collettività, non si tolga la possibilità di rendere tali servigi per propria libera iniziativa. Dove a ciò sia necessaria la libera disponibilità dei mezzi di produzione, il porre ostacolo alla libera iniziativa nuocerebbe agli interessi sociali generali. Ciò che comunemente si sostiene al riguardo, e cioè che l’imprenditore abbia bisogno, come stimolo all’azione, della prospettiva del guadagno inerente al possesso dei mezzi di produzione, non può valere qui come valida obiezione, perché il modo di pensare da cui proviene l’idea del progresso delle condizioni sociali esposta in questo libro, prevede nella liberazione della vita spirituale dalla comunità politica ed economica la possibilità che quel genere di stimolo possa cessare. La vita spirituale, così liberata, svilupperà necessariamente da sé la comprensione sociale, dalla quale deriveranno stimoli di tutt’altra natura di quello consistente nella mera speranza di un vantaggio economico. Non dovrebbe comunque interessare tanto conoscere per quali impulsi sia cara all’uomo la proprietà privata dei mezzi di produzione, quanto se alle condizioni di vita dell’organismo sociale corrisponda meglio la libera disponibilità di tali mezzi, o quella regolata dalla comunità. E a questo riguardo si deve sempre tener presente che per l’odierno organismo sociale non dovrebbero valere considerazioni di condizioni vitali che si crede di osservare nelle società umane primitive, bensì solo quelle che corrispondono all’attuale livello evolutivo dell’umanità.

 

24. Appunto a questo livello, la feconda attività delle attitudini individuali mediante capitale non può avvenire nella sfera economica senza la libera disposizione del capitale. Dove si vuol produrre in modo fecondo si deve poter avere questa libera disponibilità, non perché essa rechi vantaggio a singoli individui, o a gruppi di persone, ma perché può servire nel miglior modo alla collettività, quando sia convenientemente sostenuta dalla comprensione sociale.

 

25. Così come l’uomo è in certo modo legato alla destrezza delle proprie membra, allo stesso modo lo è anche a ciò che produce da sé, o in comune con altri; per cui ostacolare la libera disponibilità dei mezzi di produzione equivale a paralizzarlo nel libero uso della destrezza delle sue membra.

 

26. Ora, la proprietà privata non è altro che il mezzo per usare tale libera disponibilità. Per l’organismo sociale non va preso in considerazione null’altro della proprietà privata, se non che il proprietario ha il diritto di disporre del suo per la sua libera iniziativa. Come si vede, nella vita sociale ci sono due cose, reciprocamente collegate che per l’organismo sociale sono d’importanza del tutto diversa: la libera disposizione del fondo capitalistico per la produzione sociale, e il rapporto di diritto che si stabilisce fra chi ne dispone e gli altri, per il fatto che, da tale diritto di disporne liberamente, conferito all’uno, gli altri sono esclusi dalla libera partecipazione al capitale.

 

27. Non l’originaria libertà di disporre di capitole è la causa degli inconvenienti sociali, ma solo la persistenza del diritto a quella libera disponibilità quando cessano le condizioni che in modo conforme allo scopo legano a tale libera disponibilità le attitudini umane individuali. Chi veda nell’organismo sociale qualcosa che è in continuo divenire e crescere non può fraintendere quanto si accenna qui. Domanderà piuttosto come si può fare affinché quanto da un lato serve alla vita sia regolato in modo che, dall’altro, non le sia nocivo. Ciò che vive non può essere regolato fruttuosamente senza che, sviluppandosi, porti anche dei danni. Se si vuol collaborare al diveniente come a quanto deve fare l’uomo per l’organismo sociale, il compito non può consistere addirittura nell’impedire il sorgere di un ordinamento necessario per evitare gli inconvenienti. Perché in tal modo si minerebbe la stessa possibilità di vita dell’organismo sociale. Può trattarsi soltanto di intervenire nel momento giusto, quando ciò che si conformava a quel fine si trasforma e diventa nocivo.

 

28. La possibilità che le attitudini individuali dispongano liberamente del capitale deve sussistere, ma il diritto di proprietà che vi si collega deve potersi trasformare nel momento in cui si converte in un mezzo di ingiustificato svolgimento di potenza. Oggi abbiamo un provvedimento che tiene conto dell’esigenza sociale qui indicato, ma che è realizzato solo in parte, e solo per la cosiddetta proprietà spirituale [Steiner accenna qui al cosiddetto diritto d’autore - ndc]. Questa, qualche tempo dopo la morte dell’autore passa nel libero dominio pubblico, ed a base di questo provvedimento sta davvero una concezione conforme alla vera natura della convivenza umana. Per quanto strettamente legata alla capacità individuale di un singolo individuo sia la produzione di un bene puramente spirituale, pure questo è, al tempo stesso, un risultato della vita sociale, e a questa deve nel giusto momento passare. La cosa non sta però diversamente riguardo alla proprietà di altri generi. Ciò che aiuta l’individuo a produrre a vantaggio del tutto, risulta soltanto dalla cooperazione di questo tutto. Quindi il diritto di disporre di una proprietà non può essere amministrato in disgiunzione dagli interessi della comunità. Non è dunque da cercare il mezzo di distruggere la proprietà del capitale, ma il mezzo di amministrare questa proprietà nel modo che meglio risponda al vantaggio della collettività.

 

29. Questo giusto mezzo può trovarsi nella triarticolazione dell’organismo sociale. Gli uomini riuniti nell’organismo sociale operano come collettività mediante lo Stato di diritto. L’attività delle attitudini individuali appartiene all’organizzazione spirituale.

 

30. Siccome nell’organismo sociale, per un modo di vedere che si fondi sulla realtà e non si lasci sopraffare da opinioni soggettive, teorie, desideri, ecc., tutto proclama la necessità della triarticolazione di questo organismo, così in modo particolare la richiede la questione del rapporto delle attitudini umane individuali col fondamento capitalistico della vita economica e la proprietà di tale base capitalistica. Finché le attitudini individuali sono collegate col capitale in modo che l’adoperarlo sia un servizio reso alla totalità dell’organismo sociale, lo Stato di diritto non dovrà ostacolare l’origine e l’amministrazione della proprietà privata del capitale. Di fronte alla proprietà privata lo Stato di diritto rimarrà Stato di diritto senza impossessarsene mai, ma provvedendo a che, nel giusto momento, il diritto di disporne passi a una persona, o a un gruppo di persone, che a loro volta possano sviluppare con la proprietà un rapporto determinato da attitudini individuali. Così da due punti di partenza del tutto diversi potrà esser reso un buon servigio all’organismo sociale. Dal substrato democratico dello Stato di diritto, concernente ciò che interessa in ugual modo tutti gli uomini, potrà essere vigilato a che nel corso del tempo il diritto di proprietà non divenga un diritto ingiusto. Per il fatto che lo Stato di diritto non usa esso stesso la proprietà, ma ne cura il trapasso alle attitudini individuali, queste potranno svolgere la loro feconda energia a favore di tutto l’organismo sociale. Con questa organizzazione il diritto di proprietà e la disponibilità della proprietà potranno restare affidate all’elemento personale finché ciò sembri corrispondente allo scopo. Si può immaginare che i rappresentanti dello Stato di diritto daranno, in tempi diversi, leggi del tutto differenti sul trapasso della proprietà da una persona o gruppo di persone ad altre. Nel momento attuale in cui si è largamente sviluppata una grande sfiducia verso ogni proprietà privata, si pensa a un radicale trapasso di questa a proprietà comune. Se si andasse molto avanti su questa via, si riconoscerebbe che così facendo si arresta la possibilità di vita dell’organismo sociale. Ammaestrati dall’esperienza, si batterebbe più tardi un’altra via. Ma sarebbe meglio, senza dubbio, prendere fin d’ora le direttive che, nel senso qui esposto, risanerebbero l’organismo sociale. Finché una persona, da sé, o in unione con altre, continua l’attività produttiva che l’ha portata a disporre di un fondo di capitale, le dovrà rimanere il diritto di disporre di quella quantità di capitale che risulterà come profitto del capitale di base, quando tale profitto sia impiegato ad allargare l’azienda di produzione. Dal momento in cui la persona in questione cessa di amministrare la produzione, quel capitale dovrà passare nelle mani di un’altra, o di un altro gruppo, per l’esercizio di una produzione dello stesso o di un altro genere che serva all’organismo sociale. Anche il capitale che viene guadagnato nell’esercizio di un’azienda e che non è usato per la sua espansione, dovrebbe prendere fin dalla sua origine la stessa via. Come proprietà individuale della persona che dirige un’azienda va considerata solo la somma che questo dirigente preleva in base alle richieste che, nell’assumere l’azienda, ha creduto di fare per le sue attitudini individuali, e che appaiono giustificate dal fatto che egli ricevette dalla fiducia di altri il capitale per la valorizzazione delle proprie capacità. Se grazie all’opera di questo dirigente il capitale ha ottenuto un aumento, allora, alla somma da lui originariamente percepita, si aggiungerà, come sua proprietà privata, quel tanto che corrisponde, a mo’ d’interesse, all’aumento del capitale. Il capitale con cui è stato iniziato un esercizio di produzione, passerà, secondo la volontà dei proprietari originari, a un nuovo amministratore, con tutti gli obblighi prima assunti, oppure tornerà a loro, se il primo amministratore non può, o non vuole continuare ad occuparsi dell’esercizio.

 

31. In tale ordinamento si ha a che fare con trapassi di diritto. Escogitare le disposizioni legislative per regolare questi trapassi compete allo Stato di diritto. Lo Stato di diritto dovrà vigilarne anche l’esecuzione e regolarne l’amministrazione. Si può ben pensare che, nei particolari, le disposizioni che regolano tale trapasso di diritto possano essere ritenute giuste dalla coscienza giuridica, ora in un modo, ora in un altro. Un modo di pensare come quello qui esposto, cioè corrispondente alla realtà, non potrà mai fare altro che indicare la via in cui il riordinamento si potrà svolgere. Quando si segua con piena coscienza questa direttiva, si troverà sempre, nei singoli casi concreti, ciò che è necessario al caso. Ma dallo spirito della cosa si dovrà trarre ciò che è giusto nella pratica della vita, a seconda delle condizioni particolari. Quanto più un modo di pensare corrisponde alla realtà, tanto meno pretenderà di fissare, per ogni singolo caso, legge e regolamento secondo esigenze preconcette. D’altra parte, proprio dallo spirito di un tale modo di pensare, necessariamente, e in modo deciso, risulterà l’una o l’altra soluzione. Da ciò risulterà che lo Stato giuridico stesso, dovendo curare i trapassi dei diritti, non dovrà mai impadronirsi esso stesso della facoltà di disporre di capitali. Dovrà solo curare che i trapassi avvengano in favore di persone, o di gruppi di persone, che con le loro attitudini individuali li giustifichino. Su tale premessa si dovrà stabilire, sia pure in modo del tutto generico, il dispositivo che chi, per le ragioni dette, debba procedere ad una cessione di capitale, possa decidere con libertà di scelta del suo successore nell’utilizzazione di questo. Potrà scegliere una persona, o un gruppo di persone, o anche cedere il diritto di disponibilità a una corporazione dell’organismo spirituale, dato che chi ha reso un buon servizio all’organismo sociale con l’amministrazione di un capitale sarà pure in grado, per le sue attitudini individuali, di giudicare con sociale intendimento dell’uso ulteriore di questo capitale. E sarà più giovevole all’organismo sociale fondarsi su questo giudizio, anziché rinunciarvi, lasciando il provvedimento relativo in mano a persone non direttamente connesse con la cosa.

 

32. Una norma del genere sarà presa in considerazione per capitali da un certo livello in su, che siano stati accumulati da una persona o da un gruppo di persone, con mezzi di produzione (ai quali appartengono anche i fondi e i terreni), e che non diventino proprietà personale in base a compensi originariamente richiesti per prestazioni da parte delle attitudini individuali.

 

33. Gli acquisti fatti in quest’ultimo modo e tutti i risparmi provenienti da prestazioni del proprio lavoro restano, fino alla morte della persona che li ha accumulati, o per un certo tempo dopo, di proprietà personale sua o dei suoi successori. Per quel tempo si dovrà esigere da colui, al quale tali risparmi sono affidati per l’acquisto di mezzi di produzione, un interesse da stabilirsi dallo Stato giuridico e risultante dalla coscienza dei diritti. In un organismo sociale posto sulle basi qui indicate, può farsi una netta separazione tra i proventi derivanti da un lavoro fatto con mezzi di produzione e il patrimonio acquistato sulla base del lavoro personale fisico e spirituale. Questa separazione corrisponde alla coscienza dei diritti e agli interessi della collettività sociale. Ciò che uno risparmia e come risparmio mette a disposizione di un’azienda di produzione, serve agli interessi generali; rendendo possibile (ciò che altrimenti non accadrebbe) alle attitudini umane individuali di dirigere la produzione. L’aumento di capitale mediante i mezzi di produzione - dedotto l’interesse corrispondente - essendo dovuto all’azione di tutto l’organismo sociale, è giusto che ritorni all’organismo sociale, nel modo più sopra indicato. Lo Stato politico avrà soltanto da stabilire che il trapasso dei capitali in questione sia fatto nel modo accennato, ma non spetterà allo Stato decidere a disposizione di qual genere di produzione (materiale o spirituale) dovrà mettersi un capitale passato da uno ad un altro, o formatosi col risparmio. Ciò condurrebbe a una tirannia dello Stato sulla produzione spirituale e materiale, che è invece diretta nel modo migliore per l’organismo sociale dalle attitudini individuali umane. Solo chi non voglia scegliere da sé la persona a cui trasmettere il capitale da lui ammassato avrà la libera facoltà di cedere ad una corporazione dell’organizzazione spirituale il diritto di disporne.

 

34. Anche un patrimonio accumulato col risparmio, insieme alla somma degli interessi, passa per designazione testamentaria del proprietario, alla sua morte o qualche tempo dopo, a una persona, o gruppo di persone, che sia capace di produrre materialmente o spiritualmente. Ma soltanto a tali persone, non mai a persone improduttive, per le quali quella ricchezza costituirebbe una rendita pura e semplice. Anche in questo caso, se una persona, o un gruppo di persone, non può designarsi direttamente, il diritto di disporre della somma in questione passerà ad una corporazione dell’organismo spirituale. Solo se qualcuno non dia da sé alcuna deliberazione, interverrà lo Stato politico per far sì che la deliberazione sia presa dall’organizzazione spirituale.

 

35. In un ordinamento sociale regolato così si tiene conto tanto della libera iniziativa dei singoli individui, quanto degli interessi della collettività sociale; anzi, a questi ultimi sarà pienamente corrisposto proprio col mettere al loro servizio la libera iniziativa individuale. In questo ordinamento, chi deve affidare alla direzione altrui il proprio lavoro, potrà essere sicuro che il lavoro fatto in comune con chi lo dirige sarà, nel miglior modo possibile, utile all’organismo sociale, quindi anche al lavoratore stesso. L’ordinamento sociale qui inteso stabilirà un rapporto corrispondente al sano sentimento umano tra i diritti di deliberazione circa il capitale incorporato nei mezzi di produzione, regolati dalla coscienza di ciò che è giusto, e sia l’energia umana lavorativa, da un lato, sia i prezzi dei prodotti ottenuti da ambedue, dall’altro. Forse qualcuno troverà delle imperfezioni nelle cose qui esposte. E si trovino pure! Per una concezione corrispondente alla realtà, quel che importa non è dare una volta per sempre un “programma perfetto”, ma la direzione nella quale praticamente si deve lavorare. Le indicazioni particolari qui esposte non vogliono se non spiegare, a mo’ di esempio, la direzione indicata. Gli esempi possono essere migliorati; purché ciò si faccia nel senso indicato, si potrà raggiungere utilmente lo scopo.

 

36. Per mezzo di queste disposizioni potranno essere messi d’accordo i giustificati impulsi personali o familiari con le esigenze della collettività umana. Certo si potrà sostenere come, già durante la vita, sia assai grande la tentazione di trasmettere la proprietà ad uno o a più discendenti, facendoli passare come persone apparentemente produttive, mentre di fronte ad altre, sarebbero inette e meglio sostituibili. Questa tentazione potrebbe essere però limitata di molto in un’organizzazione regolata da disposizioni come quelle sopra accennate: basterebbe che lo Stato politico richiedesse in ogni caso che la proprietà trasmessa da un membro di una famiglia a un altro, dopo un dato tempo dalla morte del primo, passasse ad una corporazione dell’organizzazione spirituale [per esempio già oggi “dopo” un dato periodo dalla morte dell’autore di opere letterarie, musicali, o dell’ingegno, i proventi relativi ad esse passano alla proprietà comune - ndc]. Oppure, anche in altro modo il diritto potrà impedire l’elusione dell’applicazione della norma. Lo Stato politico provvederà solo a che il trapasso della proprietà avvenga; la persona prescelta a possedere l’eredità dovrebbe invece essere designata dall’organizzazione spirituale. Con queste premesse si imparerà ad intendere come i discendenti debbano essere preparati per la vita sociale mediante educazione ed istruzione, e come non si debba danneggiare la società col trasmettere capitali a persone improduttive. Chiunque abbia un vero intendimento sociale non ha interesse a che il suo rapporto con un fondo di capitale si trasmetta a persone, o gruppi di persone, le cui attitudini individuali non giustifichino quel rapporto.

 

37. Nessuno che abbia senso per ciò che nella pratica è realmente attuabile riterrà mera utopia quanto è qui proposto, dato che si accenna proprio a disposizioni che possono completamente scaturire direttamente dalle condizioni attuali, in qualunque situazione della vita. Solo si dovrà rinunziare, pian piano, nell’ambito dello Stato politico, ad amministrare la vita spirituale, ad ingerirsi di economia, ed a non fare resistenza quando accada realmente ciò che dovrebbe accadere, cioè che sorgano privati istituti di istruzione [sempre di più invece avviene che proprio le scuole private pedagogiche steineriane si avvalgano, ovviamente per scopo di lucro, della cosiddetta parificazione con le scuole di Stato, e questo è aberrante - ndc], e che la vita economica si basi sulle proprie fondamenta. Non occorre abolire dall’oggi al domani le scuole di Stato e le istituzioni economiche di Stato, ma da un inizio forse limitato si vedrà sorgere la possibilità che gradualmente si effettui la DEMOLIZIONE della cultura di Stato e dell’economia di Stato. Prima di tutto però è necessario che quelle persone, le quali riescono a convincersi della giustezza delle idee sociali qui esposte, o di altre congeneri, si occupino della loro diffusione. Se queste idee saranno comprese si creerà la fiducia in una possibile salutare trasformazione delle condizioni presenti in altre, che non presentino gli stessi inconvenienti. Questa fiducia è l’unica cosa da cui potrà scaturire un’evoluzione veramente sana. Infatti per acquistare una tale fiducia, occorre poter vedere come nel mondo le nuove disposizioni possano riconnettersi a quanto praticamente già esiste. L’essenziale delle idee qui esposte è appunto il fatto che esse vogliono promuovere un avvenire migliore non attraverso distruzione dell’attuale stato di cose, ancor più vasta di quella già avvenuta, ma vogliono che la loro attuazione si effettui attraverso il costruire su ciò che già esiste e, mentre si costruisce, compiere via via la DEMOLIZIONE di ciò che è malsano. Da un rinnovamento che non si sforzi di stabilire la fiducia in tal senso, non risulterà ciò che si deve incondizionatamente conseguire, cioè un’ulteriore evoluzione in cui il valore delle capacità acquisite e dei beni finora conquistati per opera umana non sia gettato al vento, ma tutelato. Anche il pensatore più radicale può avere fiducia in un rinnovamento sociale che tuteli i valori acquisiti, se vede proporsi delle idee capaci di iniziare un’evoluzione veramente sana. Anch’egli dovrà riconoscere che, qualunque classe pervenga al potere, non potrà togliere di mezzo i mali esistenti se i suoi impulsi non sono sostenuti da idee che rendano vitale e sano l’organismo sociale. Disperare perché non si può credere che in un numero sufficientemente grande di persone, anche nella confusione presente, si possa trovare comprensione per queste idee, quando si spenda l’energia necessaria per diffonderle, vorrebbe dire disperare della capacità della natura umana di ricevere impulsi per ciò che è sano e rispondente al fine. La questione, se si debba o no disperare di ciò, non dovrebbe nemmeno porsi, ma solo quest’altra: “Cosa occorre fare per diffondere il più energicamente possibile la conoscenza di idee capaci di suscitare fiducia?”.

 

38. Una diffusione efficace delle idee qui esposte sarà contrastata, inizialmente, dal fatto che le attuali abitudini di pensiero non vi si accordano per due fondamentali pregiudizi. O si obietta, in una forma qualsiasi, che non si può comprendere come sia possibile lo smembramento della vita sociale unitaria, dato che le tre parti di essa sono in realtà ovunque collegate; oppure si ritiene che anche nello Stato unitario possa conseguirsi la necessaria indipendenza di ciascuna delle tre parti, e che, veramente, in ciò che qui si propone, si da’ un’elucubrazione di idee che non tocca la realtà. Il primo pregiudizio dipende dal prendere le mosse da un modo di pensare irreale: si crede che gli uomini possano conseguire l’unità di vita in una comunità solo quando quest’unità le sia imposta mediante regolamento. La realtà della vita esige invece l’opposto. L’unità deve nascere come un risultato. Le attività concorrenti da diverse direzioni devono da ultimo formare l’unità. L’evoluzione degli ultimi tempi è andata però nel senso inverso di quest’idea realistica. Perciò quel che viveva negli uomini si opponeva all’“ordine” portato nella vita da fuori ed ha condotto alla situazione sociale presente. Il secondo pregiudizio deriva dall’incapacità di scorgere la radicale differenza d’azione dei tre organismi della vita sociale: non si vede che l’uomo ha, con ciascuno di questi tre organismi, uno speciale rapporto che può stabilirsi secondo la sua particolare natura solo se nella vita reale esista un terreno a sé, su cui questo rapporto possa svilupparsi, separatamente dalle altre due parti, per cooperare con esse. Una concezione antica, detta fisiocratica, riteneva che: o gli uomini stabiliscono regole di governo per la vita economica contrastanti col libero sviluppo autonomo di essa, e allora queste regole sono dannose; oppure le leggi seguono lo stesso indirizzo che la vita economica segue spontaneamente quando è abbandonata liberamente a se stessa, e allora esse sono superflue. Come opinione scolastica questa concezione è superata, ma come consuetudine di pensiero rumoreggia disastrosamente ancora dappertutto nelle teste umane. Si crede che, quando un ramo della vita segue le sue proprie leggi, da esso dovrebbe risultare addirittura tutto ciò che è necessario alla vita. Se, per esempio, la vita economica sia regolata in un modo che appaia agli uomini soddisfacente, si pensa che su tale riordinato ambito economico dovrebbero sorgere corrette anche la vita giuridica e quella spirituale. Ma ciò non è possibile. E può apparire possibile soltanto a un pensiero estraneo alla realtà. [Che le cose siano proprio così lo dimostra, ad es., il fatto che in questi tempi di crisi conclamata da oltre mezzo secolo “la Comunità europea concede un indennizzo per la distruzione degli agrumi in eccesso” (cfr. G. Falcone, "Cose di Cosa Nostra", Ed. Rizzoli, Milano 1992, p. 144, nella mia presentazione di questo 3° cap. de “I punti essenziali”). Se per la logica economica ciò è giustificabile, in quanto rendendo rara una merce la si rende più cara, ciò non dovrebbe essere giustificato per il diritto. La logica economica non dovrebbe coincidere con quella giuridica, dato che quest’ultima dovrebbe implicare il concetto di uguaglianza fra gli uomini. Se i bambini muoiono di fame, se i genitori si suicidano, e se i politicanti dell’economia di Stato in combutta coi legislatori fanno in modo di incentivare la distruzione degli agrumi (questo è solo un esempio), significa che il concetto di uguaglianza fra cittadini che non appartengono a questa comunella e quelli che vi appartengono non è uguale, dato che evidentemente questi ultimi si sentono superiori, cioè diversi e non uguali - ndc] Nel giro della vita economica non esiste nulla che abbia in sé l’impulso a regolare ciò che emana dalla coscienza della giustizia circa i rapporti tra uomo e uomo. Se si vogliono regolare questi rapporti per mezzo di impulsi economici, si aggiogherà l’uomo, col suo lavoro e con la sua disponibilità dei mezzi di lavoro, alla vita economica. L’uomo diverrà una ruota di questa vita economica operante come un meccanismo. La vita economica tende costantemente a muoversi in una direzione, in cui occorre che un’altra azione intervenga da un’altra parte. Non si può dire che le norme giuridiche siano buone quando seguono la direzione data dalla vita economica, e che siano dannose quando le sono contrarie; ma bisognerebbe dire: quando la direzione in cui scorre la vita economica sia costantemente influenzata dai diritti che riguardano solo l’uomo come tale, questi potrà trovare nella vita economica un’esistenza veramente degna di chiamarsi umana. E solo quando le attitudini individuali, del tutto separate dalla vita economica, cresceranno sul loro terreno e apporteranno all’economia energie nuove, energie che da essa da sola non potrebbe mai produrre, anche l’economia potrà svilupparsi in modo utile agli uomini.

 

39. È strano! Nel campo della vita puramente esteriore si scorge facilmente il vantaggio della divisione del lavoro: nessuno pensa che un sarto debba allevare da sé la mucca che gli da’ il latte. Invece, per la struttura generale della vita umana si crede che l’ordinamento unitario sia il solo da cui possano nascere buoni frutti.

 

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40. È ben comprensibile che ad una direttiva di idee sociali corrispondente alla vita reale debbano da ogni parte sollevarsi obiezioni, perché appunto la vita reale genera contraddizioni. Chi pensa conformemente a questa vita reale dovrebbe voler attuare provvedimenti le cui contraddizioni possano nella vita essere compensate da altri provvedimenti. Non dovrebbe credere che un’istituzione, a suo avviso “idealmente buona”, possa attuarsi pur restando immune da contraddizioni. È un’assai giustificata esigenza del socialismo contemporaneo che le istituzioni attuali finalizzate a produrre per il profitto del singolo siano sostituite da altre finalizzate a produrre per il consumo collettivo. Ma appunto chi riconosca pienamente quest’esigenza non dovrebbe concludere col socialismo odierno che, pertanto, i mezzi di produzione debbano passare dalla proprietà privata alla proprietà comune. Dovrebbe invece pronunciarsi per una conclusione completamente diversa, che cioè tutto quanto si produce privatamente grazie ad attitudini individuali, sia messo a disposizione della collettività per le dovute vie. L’odierno impulso economico tende a creare entrate mediante la quantità della produzione: mediante associazioni e prendendo le mosse dal necessario consumo, l’avvenire dovrà cercare di arrivare al miglior modo di produrre, e trovare la via diretta dal produttore al consumatore. Le norme giuridiche provvederanno a che un’azienda produttiva sia legata a una persona, o a un gruppo di persone, solo finché ciò sia giustificato dalle loro capacità. In luogo della proprietà comune dei mezzi di produzione, subentrerà nell’organismo sociale la circolazione di detti mezzi, che li porterà sempre di nuovo nelle mani di coloro le cui attitudini individuali possano renderli utili alla collettività nel miglior modo possibile. In tal modo sarà temporaneamente stabilito quel collegamento tra persone e mezzi di produzione, che finora fu esercitato dalla proprietà privata, perché il direttore di un’azienda e i suoi dipendenti dovranno ai mezzi di produzione se le loro capacità procureranno loro un reddito corrispondente alle loro esigenze. Costoro non mancheranno di rendere quanto più possibile perfetta la produzione, perché il suo aumento darà loro un vantaggio, anche se non l’intero profitto; secondo quanto esposto, il profitto andrà alla comunità solo nella misura risultante dopo la deduzione dell’interesse spettante al produttore come compenso dell’aumento di produzione. Secondo lo stesso concetto, quando la produzione diminuisca, anche il profitto del produttore dovrà ovviamente diminuire, così come aumenta con l’aumento della produzione. Il provento dipenderà sempre dalla prestazione spirituale del dirigente, però non da entrate risultanti da condizioni poste nel lavoro spirituale dell’imprenditore, bensì nella cooperazione delle forze della vita sociale.

 

41. Si potrà vedere che, con l’attuazione di tali idee sociali, le istituzioni odierne prenderanno un significato del tutto nuovo. La proprietà cessa di essere ciò che è stata finora; e non per essere ricondotta a una forma già superata, come sarebbe la proprietà comune, ma per procedere verso forme completamente nuove. Gli oggetti della proprietà vanno portati nella corrente della vita sociale. Il singolo individuo non potrà amministrarli per proprio interesse privato a danno della collettività; ma neppure questa potrà amministrarli burocraticamente a danno del singolo. L’individuo che abbia le dovute attitudini potrà accedere agli oggetti della proprietà e usarli a vantaggio della società.

 

42. Un senso per l’interesse comune può essere sviluppato attuando impulsi capaci di porre la produzione su una base sana e preservando l’organismo sociale da pericoli di crisi. Un’amministrazione che si occupi solo della vita economica può anche condurre a compensi necessari alla vita economica stessa. Se, per esempio, un’azienda non è in grado di pagare interessi a chi vi impiega i suoi risparmi di lavoro, e se nonostante ciò l’azienda è riconosciuta corrispondente ad un bisogno, allora potrà essere aggiunto il mancante da parte di altre aziende, previa libera intesa con tutte le persone che vi partecipano. Un giro economico chiuso in sé, che riceva dal di fuori la sua base giuridica e la continua affluenza di individuali capacità umane che vanno man mano sorgendo, avrà in sé a che fare solo con l’economia. Perciò potrà essere fattore di una divisione dei beni che procura a ciascuno quel che giustamente gli spetta secondo il benessere economico della collettività. Se uno avrà apparentemente un reddito maggiore di un altro, ciò avverrà solo perché, in virtù delle sue capacità individuali, il “di più” torna utile alla generalità.

 

43. Un organismo sociale, che si costituisca alla luce delle idee qui esposte, può regolare, mediante accordi tra i dirigenti della vita politica e quelli della vita economica, le imposte occorrenti all’organizzazione politica. E tutto quanto è necessario al mantenimento dell’organizzazione spirituale affluirà a questa dai compensi che, per effetto di libera comprensione, saranno offerti dai singoli partecipanti all’organismo sociale. Questa organizzazione spirituale avrà la sua sana base nelle iniziative individuali che si faranno valere nella libera concorrenza delle singole persone capaci di lavoro spirituale.

 

44. Ma soltanto nell’organismo sociale qui inteso l’amministrazione del diritto troverà la necessaria comprensione per una giusta ripartizione dei beni. Un organismo economico che non richieda il lavoro degli uomini partendo dai bisogni dei singoli rami di produzione, ma che svolga la propria economia nei limiti che gli sono segnati dal diritto, determinerà il valore delle merci secondo le prestazioni umane. Esso non esigerà dagli uomini prestazioni determinate da valutazioni di merci calcolate indipendentemente dal benessere e dalla dignità umani. Un simile organismo vedrà diritti derivanti da rapporti puramente umani. I bambini avranno diritto all’educazione; l’operaio padre di famiglia potrà avere un reddito maggiore che non il celibe. Il “di più” gli verrà assegnato per disposizioni fissate da accordi fra tutte e tre le organizzazioni sociali. Tali disposizioni potranno corrispondere al diritto dell’educazione se, basandosi sulle condizioni economiche generali, l’amministrazione dell’organizzazione economica calcolerà il possibile ammontare delle entrate destinate all’educazione, e lo Stato politico, dopo udito il parere dell’organizzazione spirituale, fisserà i diritti del singolo individuo. Anche qui, sta nella natura di un pensiero corrispondente alla realtà che con tali accenni si voglia solamente indicare, a mo’ di esempio, la direzione in cui tali disposizioni possono essere attuate. Potrebbe darsi che, nei singoli casi, risultassero giuste disposizioni del tutto diverse. Ma il “giusto” si potrà trovare soltanto tramite un’adeguata cooperazione delle tre sfere, per se stesse indipendenti, dell’organismo sociale. Qui, contrariamente a molte idee che al presente si ritengono pratiche mentre non lo sono, il pensiero che sta a base di questa esposizione vorrebbe trovare ciò che è veramente pratico, vale a dire, una struttura dell’organismo sociale che dia agli uomini il modo di produrvi ciò che è socialmente utile e buono.

 

45. Come i fanciulli hanno diritto all’educazione, così i vecchi, gli invalidi, le vedove, gli infermi, hanno diritto al sostentamento; il capitale che occorre a questo scopo dovrà fluire nell’ambito dell’organismo sociale, come fluisce il contributo occorrente per l’educazione di coloro che sono ancora incapaci di produrre. L’essenziale in tutto questo è che il fissare le entrate spettanti a chi non guadagna da sé non debba dipendere dalla vita economica, ma che, viceversa, la vita economica diventi dipendente da ciò che a tal riguardo risulta dalla coscienza della giustizia. Coloro che lavorano in un organismo economico avranno, in meno di ciò che hanno prodotto col loro lavoro, quel tanto che deve essere devoluto a chi non è in condizione di lavorare. Ma questo “meno” sarà diviso, in egual misura fra tutti i componenti dell’organismo sociale, quando saranno messi in opera gli impulsi sociali qui indicati. Dallo Stato di diritto, separato dalla vita economica, ciò che è interesse generale dell’umanità, cioè l’educazione e il mantenimento degli inabili al lavoro, sarà veramente trattato come tale, perché nel campo dell’organizzazione politica tutti gli uomini divenuti maggiorenni devono poter interloquire.

 

46. Un organismo sociale, che corrisponda al modo di pensare qui esposto, farà affluire alla comunità il sovrappiù di lavoro che un uomo compie in virtù delle sue attitudini individuali, come per la minor produzione dei meno dotati attingerà dalla stessa comunità quanto è giustificato per il loro mantenimento. Il cosiddetto plus-valore non sarà prodotto per il godimento ingiustificato di singoli, ma per l’aumento di beni, materiali o spirituali, che devono essere forniti all’organismo sociale e per l’assistenza a quanto nasce dal grembo stesso di questo organismo, senza potergli servire in modo diretto.

 

47. Chi è incline a credere che l’articolazione fra le tre strutture dell’organismo sociale abbia solo un valore ideale, e che questa risulti “da sé” anche nell’organismo statale unitario, o in un’associazione economica comprendente il dominio statale, e basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, dovrebbe rivolgere lo sguardo alla natura speciale delle disposizioni sociali che devono risultare dall’attuazione della detta triarticolazione. Ad esempio, non sarà più l’amministrazione statale a dover riconoscere il denaro come mezzo legale di pagamento, ma questo riconoscimento dovrà fondarsi su misure emanate dai corpi amministrativi dell’organizzazione economica, perché in un sano organismo sociale IL DENARO NON PUÒ ESSERE ALTRO CHE UN ASSEGNO SU MERCI PRODOTTE DA ALTRI, che noi possiamo ritirare dal campo generale della vita economica, dato che a questo campo abbiamo ceduto altra merce prodotta da noi.

 

48. Con la circolazione del denaro un campo economico diventa unitario. Nel giro della vita economica ciascuno produce per tutti. Entro il campo economico si ha a che fare unicamente con valori di merci; in esso prendono carattere di merci anche le prestazioni che si svolgono nelle organizzazioni spirituali e statali. Ciò che un maestro fa per i suoi scolari, è merce per l’ambito economico. Al maestro le sue attitudini individuali NON sono pagate, così come all’operaio NON è pagata la sua forza di lavoro. All’uno come all’altro può essere pagato solo quanto, partendo da loro, può essere merce o merci nel giro economico. Il modo in cui la libera iniziativa e il diritto possono funzionare, affinché si produca merce, permane fuori dal giro economico, così come resta fuori dal giro economico l’azione delle forze naturali sul prodotto del frumento in un anno di abbondante o di scarso raccolto. Per il giro economico, sia l’organizzazione spirituale in merito a quanto questa richiede come provento economico, sia anche lo Stato, sono singoli produttori di merce. Tutto quanto questi producono nella loro sfera d’azione non è però merce, ma diventa merce quando tutto ciò è accolto nel giro economico. Essi non svolgono interessi economici nei loro rispettivi campi, ma li svolge l’amministrazione dell’organismo economico col FRUTTO delle loro prestazioni.

 

49. Il valore puramente economico, di una merce (o di una prestazione) in quanto si esprime nel denaro che rappresenta il suo equivalente deriverà dalle capacità che saprà sviluppare l’amministrazione economica entro l’organismo economico. Dalle misure che questa saprà prendere, dipenderà fino a qual punto, sulla base spirituale e giuridica, creata dalle altre parti dell’organismo sociale, potrà svilupparsi la produttività economica. Il valore monetario di una merce sarà allora l’espressione del fatto che questa merce è prodotta in quantità corrispondente al bisogno, grazie alle disposizioni dell’organismo economico. Se le premesse esposte in questo libro saranno realizzate, non sarà più determinante nell’organismo economico l’impulso ad ammassare ricchezze mediante la quantità della produzione, ma si coordinerà la produzione secondo i bisogni, per opera di associazioni fra loro collegate nelle più svariate maniere. Con ciò sarà stabilito il rapporto conforme a tali bisogni, fra il valore del denaro e l’organizzazione della produzione (solo da un’amministrazione dell’organismo sociale che risulti da una tale libera collaborazione dei tre sistemi dell’organismo sociale risulterà per la vita economica un sano rapporto dei prezzi dei beni prodotti. Il prezzo dev’essere tale che ogni uomo che lavora, ottenga, come equivalente di un prodotto, quanto occorre per l’appagamento di tutti i bisogni suoi e di coloro che gli appartengono, fino a quando egli abbia di nuovo prodotto un altro lavoro del genere. Tale rapporto tra i prezzi non può essere fissato d’ufficio, ma deve emergere, come risultato, dalla cooperazione vivente delle associazioni attive nell’organismo sociale. Ed indubbiamente emergerà quando la collaborazione poggerà sulla sana opera comune dei tre sistemi. Risulterà con la stessa sicurezza con cui risulta un ponte solido quando lo si costruisce secondo giuste leggi matematiche e meccaniche. È facile obiettare che la vita sociale non segue le sue leggi allo stesso modo di un ponte. Ma nessuno la solleverà se sarà in grado di riconoscere come nell’esposizione fatta in questo libro siano pensate, alla base della vita sociale, leggi viventi e non matematiche). Nell’organismo sociale sano il denaro sarà in realtà solo il misuratore del valore, perché dietro ogni moneta o banconota vi sarà produzione di merce, solo in virtù della quale il possessore del denaro potrà averlo avuto. Dalla natura delle condizioni risulteranno necessari provvedimenti per cui il denaro perda il suo valore per chi lo possiede, quando abbia perso il significato qui caratterizzato. Di tali provvedimenti ho già fatto cenno. Il possesso del denaro passa, dopo un tempo determinato e nella forma dovuta, alla collettività. Ed affinché il denaro non impiegato nella produzione non sia trattenuto da chi lo possiede, eludendo le disposizioni dell’organizzazione economica, si potrà farne, di tempo in tempo, la ri-coniazione o la ristampa. Da tali condizioni risulterà anche certamente che l’ammontare degli interessi di un capitale si restringa sempre più col passare degli anni. Il denaro si logorerà, come si logorano le merci; ma questa misura, che dovrà esser presa dallo Stato, sarà giusta. Non potranno più esservi “interessi” su interessi [anatocismo - ndc]. Chi fa risparmi ha certamente fatto prestazioni che possono conferirgli il diritto a ricevere più tardi delle contro-prestazioni in merci; come le prestazioni attuali danno diritto, in cambio, ad attuali contro- prestazioni. Ma tali pretese possono procedere solo fino a un certo limite, perché le pretese provenienti dal passato possono essere soddisfatte solo mediante lavoro attuale. Simili pretese non devono divenire un mezzo di violenza economica. Con la realizzazione di queste premesse il problema del denaro sarà posto su di una sana base perché, comunque la forma del denaro si stabilisca in base ad altre circostanze, il denaro sarà la ragionevole base di tutto l’organismo economico ad opera della propria amministrazione. La questione del denaro non sarà mai risolta in modo soddisfacente da uno Stato per mezzo di leggi; gli Stati attuali la potranno risolvere soltanto se rinunzino da parte loro alla sua risoluzione, e lascino al mero organismo economico le misure necessarie per risolverla.

 

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50. Si parla molto della moderna divisione del lavoro, e dei suoi effetti quanto ad economia di tempo, perfezionamento dei prodotti, scambio di merci, ecc., ma poco si guarda a come questa divisione del lavoro influisca sul rapporto tra l’individuo e la sua prestazione di lavoro. Chi lavora in un organismo sociale ordinato in base alla divisione del lavoro non guadagna mai le sue entrate propriamente da sé, ma mediante il lavoro di tutti coloro che fanno parte dell’organismo sociale. Un sarto, che si faccia un abito per suo proprio uso, non pone quell’abito nel medesimo rapporto verso se stesso come chi, nelle condizioni primitive, si procurava da se tutto il necessario per il sostentamento della sua vita. Egli si fa quell’abito per mettersi in condizione di poter fare altri abiti ad altre persone, e il valore del suo abito per lui dipende interamente dalle prestazioni degli altri. L’abito è veramente un mezzo di produzione. Qualcuno dirà che queste sono sottigliezze. Ma non potrà più pensare così se guarderà alla formazione del valore delle merci nel giro economico. Vedrà allora che in un organismo economico, basato sulla divisione del lavoro, non è per nulla possibile lavorare per sé. Si può lavorare solo per gli altri e far lavorare gli altri per se. Si può altrettanto poco lavorare per sé, quanto poco si può mangiare se stressi. Ma si possono avere istituzioni che contrastano con l’essenza della divisione del lavoro. Questo accade quando la produzione delle merci è meramente indirizzata a dare in proprietà all’individuo quanto egli può produrre solo in grazia della sua posizione nell’organismo sociale. La divisione del lavoro spinge l’organismo sociale a far sì che l’individuo viva in esso secondo le condizioni di tutto quanto l’organismo; dal punto di vista economico la divisione del lavoro elimina l’egoismo. Se poi questo egoismo sussiste ugualmente sotto la forma di privilegio di classi o simili, si determina una condizione sociale insostenibile che porta a scosse violente dell’organismo sociale. È in queste condizioni che viviamo oggi. Vi sarà chi non terrà in alcun conto l’esigenza che le relazioni giuridiche ed altre debbano regolarsi secondo la non-egoistica divisione del lavoro. Costui, dalle sue premesse, può trarre solo questa conseguenza, e cioè che in generale non c’è addirittura proprio nulla da fare, e che il movimento sociale non può condurre a nulla. Certamente è vero che non si può fare nulla di buono, se non si vuol concedere ai fatti reali il loro diritto. Il modo di pensare che sta a base di questo libro vuol conformare ciò che l’uomo ha da compiere in seno all’organismo sociale, a quello che consegue dalle necessità vitali di questo organismo.

 

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51. Chi è capace di formarsi i suoi concetti solo secondo le istituzioni consuete, si spaventa sentendo dire che il rapporto tra il lavoratore e chi lo dirige dovrebbe essere svincolato dall’organismo economico, perché crede che un tale svincolo debba portare al deprezzamento del denaro e al regresso verso rapporti economici primitivi (Rathenau, nel suo scritto “Nach der Flut” [pubblicato a Berlino nel 1919], esprime simili opinioni, che, dal suo punto di vista, sembrano giustificate). Ma questo pericolo non può sussistere entro la triarticolazione dell’organismo sociale: l’organismo economico posto sulle sue proprie basi, così come quello giuridico, separa del tutto le questioni di denaro da quelle del lavoro regolate dal diritto. I rapporti di diritto non potranno avere un’influenza diretta su quelli di danaro, perché questi ultimi sono il risultato dell’amministrazione dell’organismo economico. Il rapporto di diritto fra chi dirige il lavoro e chi lo esegue non potrà per nulla manifestarsi unilateralmente nel valore del denaro, perché il valore del denaro, dopo che si sarà tolto di mezzo il salario, che rappresenta un rapporto di scambio tra merci e forza di lavoro, sarà esclusivamente la misura del reciproco valore di merci (e prestazioni). Dalla considerazione degli effetti che la triarticolazione ha per l’organismo sociale, si può conquistare la convinzione che essa comporta istituzioni che nelle attuali forme statali non esistono.

 

52. Nell’ambito di queste istituzioni potrà essere eliminato ciò che oggi è sentito come lotta di classe, dato che questa lotta dipende dall’aver aggiogato la mercede del lavoro [il "costo del lavoro" - ndc] al giro economico. Qui si propone invece una forma di organismo sociale in cui il concetto di salarlo subisce una trasformazione al pari dell’antico concetto di proprietà. Da tale trasformazione sarà però creata una convivenza sociale tra gli uomini che sarà vitale. Soltanto una critica superficiale troverà che con l’attuazione di quanto è qui proposto null’altro si raggiunga infine che il mutamento del salario a ore in salario a cottimo. Può darsi che una veduta unilaterale della cosa conduca a questo giudizio. Ma qui una tale veduta unilaterale è riguardata come non giusta. Qui si mira a sostituire per il salariato, condizioni contrattuali di spartizione dei FRUTTI delle comuni prestazioni di chi dirige e di chi esegue il lavoro, in connessione con tutto l’ordinamento dell’organismo sociale. E chi vede come salario di cottimo la parte del provento della prestazione spettante al lavoratore, non si accorge che questo “salario di cottimo” (che però non è propriamente un “salario”) si esprime nel valore della prestazione in modo da porre la posizione sociale del lavoratore in tutt’altro rapporto con gli altri membri dell’organismo sociale, rispetto a quello risultante dal dominio di classe, determinato unilateralmente da motivi economici. In tal modo si soddisfa l’esigenza di abolire la lotta di classe. A chi poi è formato nell’opinione, frequentemente espressa specialmente nelle sfere socialiste, che l’evoluzione stessa debba portare la soluzione della questione sociale, e che non si possano fissare piani da realizzarsi, ecc., si può rispondere: “Certo, l’evoluzione dovrà portare ciò che è necessario; ma nell’organismo sociale gli impulsi delle idee dell’uomo sono realtà”. E quando il tempo sia alquanto progredito e si sia oramai realizzato ciò che oggi può solo idearsi, allora quanto si sarà così realizzato farà appunto parte dell’evoluzione. Coloro che confidano “solo nell’evoluzione”, e non nella produzione di idee feconde, dovranno aspettare a giudicare fino a quando ciò che oggi è pensato sarà diventato evoluzione. Solo che allora sarà troppo tardi per il raggiungimento di certi fini già oggi reclamati dai fatti. Nell’organismo sociale non è possibile considerare l’evoluzione oggettivamente come nella natura. L’evoluzione si deve produrre. Perciò è nefasto per lo svolgersi di un sano pensiero sociale che vi si oppongano oggi opinioni che vogliono “dimostrare” ciò che è socialmente necessario, come “si dimostra” nel campo delle scienze naturali. Nella concezione della vita sociale una “prova” può risultare solo a chi è in grado di accogliere nel proprio campo visivo NON SOLO gli elementi del già esistente, ma anche quelli che - spesso inavvertiti - vivono in germe negli impulsi umani, e vogliono essere realizzati.

 

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53. Uno degli effetti, per cui la triarticolazione dell’organismo sociale dovrà dimostrare di aver radice nell’essenza della vita sociale umana, sarà la liberazione dell’attività giudiziaria dalle istituzioni statali. A queste spetterà di fissare i diritti che hanno da valere fra gli uomini, o fra gruppi di uomini. L’escogitazione dei giudizi però dipenderà da istituzioni emanate dall’organizzazione spirituale. [Steiner sottolinea qui la differenza esistente fra amministrazione del diritto, che compete allo Stato di diritto basato su uguaglianza, e la giurisprudenza, che compete alla cultura, basata su libertà di ricerca - ndc]. Il giudicare, infatti, dipende in massima parte dalla possibilità che il giudice abbia senso e comprensione per la condizione individuale del giudicando. Tale senso e comprensione possono esistere soltanto se gli stessi vincoli di fiducia per i quali gli uomini si sentono attratti dalle istituzioni dell’organizzazione spirituale valgano pure riguardo all’istituzione dei tribunali. È possibile che l’amministrazione dell’organizzazione spirituale scelga i giudici che potranno essere presi dalle classi più disparate di professionisti spirituali, e che, decorso un certo tempo, ritorneranno alla propria professione. Allora, entro certi limiti, ognuno avrà la possibilità di scegliersi, fra gli incaricati dell’ufficio di giudici per cinque o dieci anni, quella persona in cui abbia tanta fiducia da voler sottostare alla sua decisione, durante quel periodo, in qualsiasi caso di diritto privato o penale. Nel circondario di residenza di ciascuno vi saranno sempre tanti giudici che tale scelta abbia un valore. Un querelante dovrà allora rivolgersi sempre al giudice pertinente all’eventuale accusato. Si pensi quale decisiva importanza avrebbe avuto un tale ordinamento, per esempio, nell’Austria-Ungheria! Nei paesi di varie lingue gli appartenenti a ciascuna nazionalità

avrebbero potuto scegliersi un giudice del proprio popolo. Chi conosce le passate condizioni dell’Austria può anche intendere quanto un tale ordinamento avrebbe potuto contribuire all’equità della vita delle varie nazionalità. Ma, oltre alla nazionalità, ci sono vasti campi della vita, al cui sano svolgimento può favorevolmente concorrere un tale ordinamento. Per la conoscenza più stretta delle leggi, si potrà, alle corti giudiziarie e ai giudici scelti nella maniera descritta, porre a lato funzionari, la cui scelta spetterà pure all’organizzazione spirituale, ma che non dovranno giudicare essi stessi. Dalla stessa organizzazione spirituale si formeranno anche delle Corti di Appello. Nella vita che consegue all’attuazione di queste premesse, sarà essenziale che un giudice abbia familiarità con le consuetudini di vita e col modo di sentire di coloro che deve giudicare, e che, oltre al suo ufficio che terrà soltanto temporaneamente, conosca bene gli ambienti di vita di coloro che devono essere giudicati. Così come il sano organismo sociale educherà in tutte le sue istituzioni la comprensione sociale delle persone che ne fanno parte, allo stesso modo farà anche per l’esercizio della giustizia. L’esecuzione dei giudizi spetterà allo Stato politico [se anche solo questo capoverso 53 fosse sottoposto a chi studia giurisprudenza, molte questioni irrisolte della giustizia, oggi malata, sarebbero risolte generando la sua guarigione - ndc].

 

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54. Non occorre, per ora, descrivere per esteso le istituzioni che si renderebbero necessarie con l’attuazione di quel che è indicato qui, per altri campi della vita, oltre a quelli già trattati. Ciò richiederebbe, come è facile intendere, uno spazio illimitato.

 

55. Le singole istituzioni qui accennate, bastano a dimostrare che il pensiero che le informa non intende un rinnovamento delle tre classi: degli insegnanti, degli agricoltori e dei soldati, come qualcuno potrebbe credere, e come difatti fu creduto quando ebbi occasione di parlarne qua e là. Il pensiero che le informa intende proprio il contrario di questa divisione in classi. Gli uomini non saranno divisi socialmente né in classi, né in ceti [né in caste - ndc]; l’organismo sociale stesso dovrà essere triarticolato. Ma appunto perciò l’uomo potrà essere veramente uomo; perché l’articolazione sarà tale che egli, con la sua vita, avrà radici in ciascuno dei tre campi. All’ambito dell’organismo sociale a cui appartiene per la sua professione, egli sarà legato da interessi pratico-oggettivi, e con gli altri due ambiti avrà relazioni piene di vita perché le loro istituzioni saranno con lui in rapporti tali da suscitare queste relazioni. L’organismo sociale, distinto dall’uomo, ma costituente il suo terreno vitale, sarà triarticolato; ogni uomo, come tale, sarà un elemento collegatore delle tre sfere.

 

4. RELAZIONI INTERNAZIONALI DEGLI ORGANISMI SOCIALI

Presentazione del curatore - Configurare il diritto partendo dai bisogni economici e ricavarlo dal sentimento di giustizia sono due cose essenzialmente diverse (1§). In base alla prima risulterebbe giusto distruggere per esempio gli agrumi per renderli scarsi in modo da innalzarne il prezzo. In base alla seconda tale distruzione risulterebbe aberrante, perché con quel cibo molte bocche potrebbero essere sfamate. Parlando di mafia, scriveva Giovanni Falcone: “È notorio che la Comunità europea concede un indennizzo per la distruzione degli agrumi in eccesso” (G. Falcone, “Cose di Cosa Nostra”, Ed. Rizzoli, Milano, p. 144) aggiungendo “Be’ dice Contorno, tutti sanno all’interno di Cosa Nostra che la mafia è implicata fino al collo nella distruzione di agrumi da cui ricava sensibili profitti” (ibid.; cfr. anche la mia presentazione del 3° capitolo de “I punti essenziali” di R. Steiner”). Allora bisognerebbe chiedersi: tutti nella mafia sanno ciò che dice Contorno, mentre nello Stato, nell’UE, e nei Paesi anglofoni le autorità politiche non lo sanno? Ebbene, sembra proprio che non lo sappiano o che fanno finta di non saperlo, visto che continuano a mischiare il diritto con l’economia, dimostrando così massima sfiducia nella comprensione delle esigenze del nuovo spirito del tempo, ed avversione a considerare gli impulsi derivanti dalla conoscenza delle concatenazioni spirituali (13§).

Occorre dunque che qualcuno spieghi loro, oggi più che mai, il senso della la liberazione del diritto dall’economia e viceversa, e di questi due settori da quello spirituale, anch’esso molto in crisi a causa del medesimo miscuglio fra economia e cultura di Stato.

Purtroppo per la degenerazione delle coscienze odierne devo sottolineare che i principali nemici della triarticolazione sociale sono gli antroposofi stessi, o almeno coloro che si dicono tali per il fatto di esercitare il lavoro di insegnante nelle scuole ad indirizzo pedagogico steineriano, nonostante queste abbiano, per motivi “pratici” (vale a dire economici), tradito l’essenza di tale indirizzo: la liberazione dalle grinfie statali. Queste scuole, anziché liberarsi dallo Stato per portarsi in modo internazionale (come vorrebbe la reale libertà di ricerca) “oltre i confini dello Stato” (cfr. 6§) hanno fatto in modo di diventare “paritarie” (cfr. la mia nota del 12§). Se si prova a chiedere a dette scuole il senso del concetto di “paritario”, si ottengono risposte evasive, che mostrano di non conoscere nemmeno quale sia il termine di confronto secondo cui si possa parlare di “parificazione”. Cosa significa infatti “paritario”? “Paritario” rispetto a che cosa? La risposta non può che essere che dette scuole sono oggi “paritarie” rispetto alle scuole di Stato. Ciò è però un abominevole tradimento del senso stesso dell’idea di triarticolazione sociale.

Eppure la triarticolazione è tanto più urgente quanto più sono inosservate le dinamiche del saccheggio che la sua mancanza comporta… Saccheggio che non potrà non sfociare in ulteriori ipocrisie fin dentro le guerre del futuro, fatte “in nome della pace”...

 

IV

 

RELAZIONI INTERNAZIONALI DEGLI ORGANISMI SOCIALI

 

1. L’interna articolazione del sano organismo sociale rende triarticolate anche le relazioni internazionali. Ciascuno dei tre ambiti avrà la propria indipendente relazione con quelli corrispondenti agli altri organismi sociali. Si stabiliranno rapporti economici tra un paese e l’altro, senza che vi abbiano diretta influenza i rapporti degli Stati politici (chi obietta che i rapporti giuridici e quelli economici costituiscono anch’essi un tutto e che non possono essere scissi gli uni dagli altri, non considera ciò su cui poggia l’articolazione in questione. Che nell’insieme del processo sociale i due generi di rapporti agiscano come un intero, è ovvio. Ma un conto è configurare il diritto partendo dai bisogni economici; e ben altro è ricavarlo dal primigenio sentire quanto è giusto, per poi farne cooperare il risultato con le relazioni economiche). E, viceversa, i rapporti degli Stati politici si stabiliranno entro certi limiti in completa indipendenza da quelli economici. Per questa indipendenza dell’origine di tali rapporti, questi potranno agire conciliativamente l’uno sull’altro nei casi di conflitto. Risulteranno, fra i singoli organismi sociali, relazioni d’interessi che, nei riguardi della convivenza umana, toglieranno importanza ai confini dei diversi Paesi. Le organizzazioni spirituali dei singoli Paesi potranno entrare tra loro in rapporti derivanti solo dalla medesima comune vita spirituale dell’umanità. La vita spirituale poggiante su se stessa, resa indipendente dagli Stati, svilupperà rapporti che sarebbero impossibili se il riconoscimento delle prestazioni spirituali dipendesse dallo Stato politico anziché dalla stessa comune amministrazione dell’organismo spirituale. In tal senso non c’è differenza tra le prestazioni scientifiche manifestamente internazionali e quelle di altri rami della vita spirituale. Di questa fa parte anche la lingua stessa di un popolo con tutto ciò che alla lingua direttamente si connette; e persino la stessa coscienza nazionale. Uomini di una data regione linguistica non cadono in conflitti innaturali con quelli d’altra regione se, per mettere in valore la cultura del proprio popolo, non vogliono servirsi dell’organizzazione dello Stato, o della potenza economica. Se la cultura di un popolo ha, di fronte ad un’altra, una maggior potenzialità di espansione e di produttività spirituale, tale espansione sarà giustificata e si effettuerà pacificamente, se regolata solamente da disposizioni dipendenti da organismi spirituali.

 

2. Oggi la più forte opposizione alla triarticolazione dell’organismo sociale sarà ancora sollevata dalle collettività umane sviluppatesi da comunanza di linguaggio e di cultura. Ma dovrà frantumarsi di fronte alle mete che, per le necessità dei nuovi tempi, l’umanità nel suo complesso dovrà porsi in modo sempre più consapevole. L’umanità sentirà che ciascuna delle sue parti potrà conseguire un’esistenza veramente degna dell’uomo solo unendosi in modo energicamente vitale con tutte le altre. Le compagini etniche, accanto ad altri impulsi naturali, sono le cause per le quali si sono storicamente formate le comunità giuridiche ed economiche. Ma le forze grazie a cui crescono le nazionalità devono svolgersi in reciproca azione non ostacolabile dai rapporti che sviluppano vicendevolmente i governi e le associazioni economiche. Ciò avviene quando le compagini etniche pervengono alla triarticolazione dei loro organismi sociali così che ciascuna delle tre sfere possa svolgere indipendentemente i propri rapporti coi relativi organismi sociali. Si formano così fra popoli, Stati, ed istituzioni economiche, multiformi rapporti che collegano fra loro le varie parti dell’umanità, in modo che l’una, nei suoi propri interessi, senta al tempo stesso la vita delle altre. Così, da impulsi fondamentali corrispondenti alla realtà, sorge spontaneamente una lega di popoli, senza che questa debba essere “costituita” sulla base d’unilaterali vedute giuridiche (chi vede in tali cose delle semplici “utopie” non riconosce come la realtà della vita tenda proprio verso istituzioni del genere di queste che egli ritiene utopistiche, e neanche come gli inconvenienti di tale realtà derivino proprio dal fatto che tali istituzioni non esistano ancora).

 

3. A un pensiero conforme alla realtà dovrebbe apparire particolarmente importante il fatto che gli scopi organico-sociali qui indicati valgono, sì, per tutta l’umanità, ma possono essere realizzati da ciascun singolo organismo sociale, indipendentemente dal modo in cui altri paesi provvisoriamente si comportano rispetto a tale realizzazione. Se un organismo sociale si articola nei suoi tre naturali campi d’azione, le relative rappresentanze possono, in quanto corpi unitari, entrare in rapporti internazionali anche con altri organismi sociali che non abbiano ancora effettuato tale articolazione. Chi sia primo a intraprendere tale articolazione lavorerà per un scopo comune a tutta l’umanità. Ciò che va attuato si raggiungerà con la forza dello scopo che si dimostrerà radicato in reali impulsi umani della vita, più che non per mezzo di convenzioni e discussioni di congressi. Lo scopo da conseguire è pensato su una base di realtà, e può nella vita reale perseguirsi a partire da qualsiasi punto delle comunità umane.

 

4. Chi ha seguito negli ultimi decenni gli avvenimenti della vita dei popoli e degli Stati da un punto di vista qual è quello di queste considerazioni, ha potuto scorgere come gli Stati formatisi nella vicenda storica tramite il loro accentramento di vita spirituale, giuridica ed economica, siano stati avviati verso rapporti internazionali tali da spingere ad una catastrofe. Si sarebbe però dovuto osservare che anche forze opposte, sorgendo da impulsi umani incoscienti, tendevano alla triarticolazione qui descritta, rimedio contro i perturbamenti cagionati dal fanatismo unitario. Ma la vita dei “dirigenti responsabili” dell’umanità non era disposta in modo da vedere ciò che da lunga mano si stava preparando. Nella primavera e nel principio dell’estate del 1914 si potevano ancora sentire “uomini di Stato” parlare “di pace europea, per quanto umanamente prevedibile, assicurata grazie agli sforzi dei governi”. Tali “uomini di Stato” non avevano il minimo presentimento che quanto dicevano e facevano non aveva più nulla a che fare con l’incalzare degli avvenimenti reali. Eppure costoro erano considerati dei “pratici”, mentre erano considerati “sognatori” quelli che, contrariamente all’opinione degli “uomini di Stato”, si erano formati negli ultimi decenni idee ben diverse, come per esempio quelle che lo scrivente ebbe a manifestare mesi prima della guerra a Vienna in un circolo ristretto (perché in adunanze più grandi sarebbe stato deriso). In merito a ciò che allora minacciava, egli si era espresso press’a poco nei termini seguenti: “Le tendenze della vita attualmente dominanti si accentueranno sempre più, fino ad annullarsi in se stesse. Chi penetra con lo sguardo spirituale la vita sociale vede spuntare dappertutto terribili disposizioni alla formazione di tumori sociali. Questa è la grande preoccupazione di chi penetra la vita della civiltà odierna; la minaccia tremenda e opprimente che, anche volendo sopprime ogni altro entusiasmo per la conoscenza dei fatti della vita fornita dalla scienza dello spirito, dovrebbe condurre a gridare il rimedio, per così dire, in faccia al mondo: se l’organismo sociale continua a svilupparsi come ha fatto finora, ne verranno alla civiltà dei mali paragonabili a ciò che sono le formazioni cancerose nell’organismo fisico dell’uomo” (si veda la sesta conferenza del ciclo “Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita”, Ed. Antroposofica, Milano 1975). Ma le concezioni delle sfere dominanti, su questo substrato della vita che non potevano e non volevano vedere, svilupparono impulsi che condussero a provvedimenti che non avrebbero dovuto essere presi, mentre ne trascurarono altri che sarebbero stati adatti a stabilire vincoli di fiducia tra le varie comunità umane.

 

5. Chi crede che tra le cause dirette della presente catastrofe mondiale non abbiano avuta parte le necessità della vita sociale dovrebbe riflettere su ciò che sarebbero divenuti gli impulsi politici degli Stati che spingevano alla guerra, se gli “uomini di Stato” avessero accolto queste necessità sociali nella sfera del loro volere. E che cosa non sarebbe accaduto se di conseguenza si avesse avuto altro da fare che accumulare materie infiammabili per l’esplosione. Se negli ultimi decenni si fosse fatta attenzione al subdolo incancrenirsi dei rapporti tra gli Stati come conseguenza della vita sociale nella parte dirigente dell’umanità, ci si sarebbe accorti di come una persona, che aveva a cuore gli interessi dello spirito in senso umano universale, avesse potuto dire, in vista dell’andamento che la volontà sociale aveva preso in tali dirigenti, già nel 1888: «Lo scopo finale è questo: formare di tutta l’umanità un regno di fratelli che, perseguendo solo i più nobili motivi, vada avanti d’accordo. Chi segua la storia solo sulla carta d’Europa potrà credere che il nostro prossimo avvenire debba portare a un generale vicendevole assassinio dei popoli; ma solo il pensiero che “una via verso i veri beni della vita umana si debba pur trovare” può conservare vivo il senso, della dignità umana. Questo pensiero non sembra accordarsi coi nostri mostruosi armamenti bellici e con quelli dei nostri vicini; ad esso però io credo; esso deve illuminarci; a meno che non si preferisca addirittura troncare la vita umana stabilendo, per risoluzione collettiva, un giorno ufficiale di suicidio». (Cosi scriveva H. Grimm nel 1888 a pag. 46 del suo libro “Aus den letzten fünf Jahren”). Cos’altro erano gli “armamenti bellici” se non le misure prese da taluni uomini, che volevano mantenere gli Stati in una forma unitaria, anche se per l’evoluzione del nuovo tempo questa forma era divenuta contraria a una sana convivenza tra i popoli? Ora una sana vita collettiva potrebbe realizzarsi appunto attraverso quell’organismo sociale che ho qui disegnato secondo le necessità del nuovo tempo.

 

6. La compagine dello Stato austro-ungarico richiedeva, ormai da oltre mezzo secolo, una nuova struttura. La sua vita spirituale, che aveva radice in una pluralità di gruppi nazionali, richiedeva una forma di governo al cui sviluppo era di ostacolo la forma statale unitaria derivante da impulsi antiquati. Il conflitto austro-serbo, che sta al punto di partenza della catastrofe mondiale, è la più valida testimonianza del fatto che, da un dato momento in poi, i confini politici di quello Stato unitario non avrebbero più dovuto essere confini di cultura per la vita dei popoli. Se vi fosse stata la possibilità che la vita spirituale, costituita a sé e resa indipendente dallo Stato politico e dai suoi confini, si fosse potuta sviluppare oltre quei confini, in modo conforme agli intenti delle popolazioni, il conflitto, radicato nella vita spirituale, non avrebbe potuto scaricarsi in una collisione politica. Ma un’evoluzione mirante a ciò appariva una cosa impossibile, anzi un vero assurdo, a tutti coloro che in Austria-Ungheria credevano di pensare da “uomini di Stato”. Le loro abitudini di pensiero non davano adito ad altra idea se non a quella che i confini dello Stato coincidano con quelli delle comunità nazionali. Era massimamente difficile per costoro comprendere che oltre i confini dello Stato possano formarsi organizzazioni spirituali abbraccianti la scuola ed altri rami della vita spirituale. Eppure questo “inconcepibile” è l’esigenza dei tempi nuovi per la vita internazionale. Chi pensi praticamente non deve arrestarsi ad apparenti impossibilità, e credere che provvedimenti che seguano tale esigenza debbano urtare contro difficoltà insuperabili; ha piuttosto da dirigere il suo sforzo proprio nel superare queste difficoltà. In Austria, il pensiero politico, invece di orientarsi secondo le direttive volute dai nuovi tempi, mirò a prendere provvedimenti che mantenessero l’unità dello Stato contro questa esigenza. Lo Stato è così diventato un’istituzione sempre più impossibile, e nel secondo decennio del secolo attuale è venuto a trovarsi in condizioni tali da non poter fare più nulla per reggersi nell’antica forma, così da restare in attesa della propria decomposizione, oppure da dover provare, mediante la violenza esteriore che si esplicò nelle misure di guerra, a conservare ciò che internamente era divenuto impossibile. Nel 1914 per gli uomini di Stato dell’Austria-Ungheria non c’era altra via d’uscita: o dirigere i loro intenti nel senso delle necessità vitali del sano organismo sociale e comunicare al mondo questa loro volontà, che avrebbe potuto svegliare una nuova fiducia, oppure scatenare di necessità una guerra per conservare l’antico. Solo giudicando l’avvenimento del 1914 su queste basi si può pensare rettamente la questione delle responsabilità. Avrebbe dovuto essere compito storico-mondiale dello Stato austro-ungarico, in ragione della partecipazione ad esso dei molti gruppi etnici, di sviluppare il sano organismo sociale; ma tale compito non fu riconosciuto. Questo peccato contro lo spirito del divenire storico del mondo spinse l’Austria-Ungheria alla guerra.

 

7. E l’Impero tedesco? Era stato fondato in un tempo in cui le esigenze moderne di un sano organismo sociale tendevano alla loro realizzazione. Questa realizzazione avrebbe potuto dare all’Impero tedesco la giustificazione storico-mondiale della sua esistenza. Gli impulsi sociali si concentrarono in questo Impero dell’Europa centrale, come nel campo che poteva sembrare storicamente predestinato al loro sviluppo. Il pensiero, sociale si manifestò in molti luoghi, ma nell’Impero tedesco aveva assunto un aspetto particolare, da cui si sarebbe dovuto scorgere a cosa tendeva. Ciò avrebbe potuto dare un contenuto all’opera di questo Impero e assegnare i compiti ai suoi governanti. Se gli si fosse dato un contenuto d’azione com’era preteso dalle forze stesse della storia, sarebbe stata comprovata nella vita collettiva dei popoli moderni la ragione di esistenza di questo nuovo Impero. Invece di pensare a questo compito in grande, ci si fermò nell’ambito delle “riforme sociali” che risultavano dalle esigenze di giornata, soddisfatti quando dall’estero ne era ammirata l’esemplarità. Con ciò si mirò sempre più a fondare la potenza mondiale esteriore dell’Impero su forme che erano derivazioni dei più antiquati concetti di potenza e di splendore di Stato. Si formò un Impero che allo stesso modo di quello austro-ungarico contraddiceva ciò che storicamente si annunciava nelle forze di vita dei popoli dei tempi nuovi. I governanti di questo Impero non vedevano nulla di tali forze. La loro immagine di Stato poteva solo poggiare sulla forza del militarismo. Quella invece che esigeva la nuova storia avrebbe dovuto fondarsi sulla realizzazione degli impulsi di un sano organismo sociale. Con questa realizzazione l’Impero si sarebbe trovato nella comunità dei popoli moderni in tutt’altra posizione da quella in cui lo sorprese il 1914. Non avendo compreso le esigenze del tempo moderno per la vita dei popoli, la politica tedesca nel 1914 era giunta allo zero delle sue possibilità d’azione. Negli ultimi decenni non aveva scorto nulla di ciò che sarebbe dovuto accadere; si occupò di ogni sorta di cose estranee alle forze evolutive del nuovo tempo, e che per la loro vacuità dovevano “crollare come un castello di carte”.

 

8. Di quanto in tal modo risultò dal corso della storia come tragico destino dell’Impero tedesco, si avrebbe un’immagine fedele se si consentisse di esaminare gli eventi che si svolsero a Berlino nelle sfere competenti fra la fine luglio ed il primo agosto 1914, e a presentarli fedelmente al mondo. Di quegli avvenimenti si sa ancora ben poco all’interno e all’estero. Chi li conosce sa che la politica tedesca di allora si comportò come quella di un castello di carte, e che quando toccò lo zero della sua attività, qualsiasi decisione sul se e come la guerra fosse da iniziarsi dovette passare al giudizio dell’autorità militare. Chi era allora al comando non poté, dal punto di vista militare, agire diversamente da come fece, poiché da questo punto di vista la situazione poteva vedersi soltanto come fu vista. All’infuori delle sfere militari si era caduti in una situazione che in nessun senso poteva più condurre ad un’azione. Tutto ciò risulterebbe come un fatto storico-mondiale se si trovasse qualcuno che insistesse per portare alla luce i fatti avvenuti a Berlino a fine luglio del 1914 e in modo particolare ciò che avvenne il 31 luglio ed il 1° agosto. Si ha ancora sempre l’illusione che dall’esame di questi avvenimenti non ci sia nulla da ricavare conoscendo i precedenti che li prepararono. Ma se si vuol parlare di quel che attualmente si chiama “la questione della responsabilità della guerra” non si può fare a meno di questo esame. Certo, si possono conoscere anche per altra via le cause da lungo tempo preesistenti, ma è dall’esame suddetto che risulta come quelle cause abbiano agito.

 

9. Le idee che spinsero allora alla guerra i governanti della Germania continuarono ad agire fatalmente. Diventarono sentimento di popolo ed impedirono che durante gli ultimi terribili anni, attraverso le amare esperienze, si sviluppasse nei dirigenti quella comprensione la cui mancanza aveva prima portato alla tragedia. Sul possibile intendimento che avrebbe potuto risultare da queste esperienze contava appunto l’autore di questo libro quando in Germania ed in Austria, nel momento di guerra che ritenne opportuno, tentò di manifestare le idee del sano organismo sociale e delle loro conseguenze sulla condotta politica a personalità che allora avrebbero ancora potuto adoperare la propria influenza per far valere questi impulsi (il testo si riferisce al “Memorandum” del 1917, allora distribuito, e poi inserito nel libro “I punti essenziali della questione sociale”, come quinto ed ultimo capitolo del presente volume). Personalità che avevano lealmente a cuore il destino del popolo tedesco si adoperarono a guadagnare consensi a queste idee. Ma si parlò invano. Le abitudini mentali si opponevano a questi impulsi, i quali al pensiero orientato solo militarmente apparvero inadatti a condurre ad una giusta soluzione. Tutt’al più si diceva: “Separazione della Chiesa dalla Scuola”. Questo, potrebbe andar bene! Su questa strada erano già da molto tempo avviati i pensieri di coloro che si dicevano “uomini di Stato”, ma non si poteva far loro prendere una direzione che avrebbe condotto a trasformazioni radicali. I benevoli mi dicevano di “pubblicare” queste mie idee; ma in quel momento era il consiglio più inutile. Infatti a che avrebbe servito se nel campo della “letteratura” si fosse parlato fra tante altre cose anche di questi impulsi e per di più da parte di un privato? Mentre, per loro natura, avrebbero allora potuto acquistare un’importanza solo per la sede da cui fossero stati annunziati. Se in opportuna sede si fosse parlato secondo quegli impulsi, i popoli dell’Europa centrale avrebbero visto possibile trovare qualcosa che fosse più o meno rispondente alle loro consapevoli aspirazioni. E le popolazioni della Russia avrebbero, in quel momento, certamente accolto con comprensione l’idea di sostituire tali impulsi allo zarismo. Potrebbe contestare ciò solo chi non abbia un’idea della sensibilità che, per le idee sociali sane, ha l’intelligenza non ancora logora dei popoli orientali d’Europa. In luogo di una manifestazione nel senso di queste idee, venne Brest-Litowsk (luogo della Russia occidentale in cui il 15/12/1917 fu firmato il trattato di pace fra la Germania e il nuovo governo rivoluzionario russo, a condizioni durissime per la perdente Russia)!

 

10. Che il pensiero militarista non potesse impedire la catastrofe dell’Europa centrale ed orientale poteva nascondersi soltanto al pensiero militarista. La causa della disgrazia del popolo tedesco fu il fatto che non si volle credere alla possibilità di evitare la catastrofe. Nessuno volle riconoscere che là, dove si potevano prendere le decisioni mancava ogni senso delle necessità storico-mondiali. Chi conosceva queste necessità sapeva che fra gli anglofoni vi erano personalità che riuscivano a scorgere quanto si agitava nelle forze di popolo dell’Europa centrale ed orientale. Sapeva altresì che quelle personalità erano persuase che nell’Europa centrale e orientale si andava preparando qualcosa che sarebbe sfociato in grandi sconvolgimenti sociali. Esse credevano che nei Paesi anglofoni non ci fosse ancora, per tali sconvolgimenti, né una necessità storica né una possibilità; e su questa convinzione regolavano la loro politica. Nell’Europa centrale e orientale non si vide tutto questo, ma si orientò la propria politica in modo che questa dovette crollare “come un castello di carte”. Ci si basò su una politica costruita sul solo fatto che nei Paesi anglofoni si sarebbe ragionato in modo grandioso e del tutto naturale delle necessità storiche secondo la prospettiva inglese. Ma i moventi per una politica del genere erano apparsi come qualcosa di altamente superfluo, soprattutto ai “diplomatici”.

 

11. Invece di condurre una politica orientata in modo da recare vantaggio anche all’Europa centrale e orientale durante la catastrofe bellica, malgrado la veggente politica inglese, si continuò a muoversi negli abusati binari diplomatici. E durante gli orrori della guerra non si apprese dalle amare esperienze che, davanti al compito che l’America aveva proposto al mondo con le sue manifestazioni politiche, era divenuto necessario opporne un altro, sorgente dal cuore dell’Europa, originato dalle sue proprie forze vitali. Tra il compito proposto da Wilson in chiave americana e quello che, tra il rombo dei cannoni, fosse tuonato come impulso spirituale europeo, un accordo sarebbe stato possibile. Ogni altra chiacchiera circa eventuali accordi suonava vuota di fronte alle necessità storiche. Ma la capacità d’imporsi compiti ricavandoli dalle possibilità insite nella vita della umanità nuova, mancava a coloro che le circostanze avevano messo a capo del governo dell’Impero tedesco. Perciò l’autunno del 1918 portò ciò che portò. Lo sfacelo della potenza militare fu accompagnato da una capitolazione spirituale. Invece di rimettersi, almeno in quel momento, a una valorizzazione, mossa dal volere europeo, degli impulsi spirituali del popolo tedesco, si venne alla semplice sottomissione ai quattordici punti di Wilson. Si presentò a Wilson una Germania che da parte sua non aveva nulla da dire! Comunque Wilson la pensi rispetto ai suoi quattordici punti, egli non può però aiutare la Germania se non in ciò che essa stessa vuole. Doveva perciò aspettarsi una manifestazione di questa volontà. Alla nullità della politica, all’inizio della guerra, si aggiunse l’altra dell’ottobre 1918; si aggiunse la terribile capitolazione spirituale portata da un uomo nel quale in molti nei Paesi tedeschi riponevano una specie di ultima speranza.

 

12. Sfiducia nella comprensione delle forze che agiscono per necessità storiche; avversione a considerare gli impulsi derivanti dalla conoscenza delle concatenazioni spirituali, ecco ciò che ha prodotto la situazione dell’Europa centrale. Ora una nuova situazione si è creata dai fatti risultati dalle conseguenze della catastrofe. Tale situazione può essere caratterizzata dall’idea degli impulsi sociali dell’umanità, quale è intesa in questo libro. Questi impulsi sociali parlano un linguaggio di fronte al quale il mondo civile, tutt’intero, ha una missione. Deve oggi il pensiero sul futuro raggiungere lo zero di fronte alla questione sociale come lo raggiunse nel 1914 la politica dell’Europa centrale di fronte ai suoi compiti? I paesi che poterono tenersi in disparte dalle questioni di allora non possono permettersi di fare altrettanto rispetto al movimento sociale. Di fronte a tale questione non vi dovrebbero essere né avversari politici né neutrali. Dovrebbe esserci solo un’umanità operante in comune, un’umanità disposta a comprendere i segni dei tempi e ad uniformare a questi la loro azione [purtroppo questo auspicio di Steiner non è stato mai accolto nemmeno dalle cosiddette scuole pedagogiche steineriane, che anziché liberarsi dallo statalismo, si sono volutamente, per meri scopi di lucro, “parificare” a quelle di Stato, impedendo così ogni possibile rimedio alla crisi mondiale che stiamo ancora subendo - ndc].

 

13. Sulla base delle intenzioni esposte in questo scritto, si comprenderà perché nel capitolo seguente è riprodotto l’“Appello al popolo tedesco e al mondo civile”, lanciato poco tempo fa dall’autore di queste considerazioni e sostenuto da un Comitato che ne condivideva il contenuto. Oggi le condizioni sono diverse da quelle del momento in cui il contenuto dell’“Appello” fu comunicato a un numero ristretto di personalità. Allora l’opinione pubblica lo avrebbe di necessità considerato l’idea di un pubblicista; oggi va presentato al pubblico quello che poco tempo fa non gli si poteva ancora comunicare, per trovare uomini che lo comprendano e che vogliano agire nel suo spirito, se esso merita di essere compreso e realizzato. Se oggi infatti qualcosa può nascere, lo può soltanto grazie all’azione di tali uomini.

 

5. APPELLO AL POPOLO TEDESCO E AL MONDO CIVILE

Presentazione del curatore - Lo Stato di diritto è la parte di organismo sociale che deve amministrare il diritto e la giustizia. La Stato non deve entrare nella parte economico-commerciale e in quella culturale se non come articolazioni dell’organismo sociale, che per Steiner “è formato come quello naturale. E come l’organismo naturale deve provvedere al pensare mediante la testa e non mediante i polmoni, così è necessario che l’organismo sociale sia articolato in sistemi di cui nessuno possa assumere i compiti degli altri, e che ognuno debba collaborare con gli altri facendo valere la propria autonomia” (6§). Il corretto confronto della società triarticolata con la fisiologia umana è il seguente: cultura = vita delle membra; diritto = vita del torace; economia = vita della testa. Molti sedicenti antroposofi credono che la cultura sia necessariamente da confrontarsi col sistema della testa. Sbagliano. “Confrontando l’organismo sociale con quello umano si arriva a un giusto risultato soltanto pensando l’organismo sociale messo alla rovescia (R. Steiner: “Risposte della scienza dello spirito a problemi sociali e pedagogici”, Ed. Antroposofica, Milano 1974, p. 46). “Molti credono che la triarticolazione intenda capovolgere il mondo. Certamente no! Il mondo è già capovolto, e la triarticolazione vuole solo rimetterlo in piedi” (R. Steiner, “L’educazione problema sociale”, Milano 1981, p. 52). L’idea della triarticolazione “da’ la possibilità di intendersi con chiunque; ma nel farlo bisogna guardarsi dallo spogliare l’idea da ciò che essa ha di radicale” (R. Steiner, “Necessità di comprensione” in “I punti essenziali della questione sociale”, 4ª ed. italiana del 1980, p. 209). Ogni relazione con essa è allora evolutiva.

 

V

 

APPELLO AL POPOLO TEDESCO E AL MONDO CIVILE

 

1. Certamente il popolo tedesco credeva che l’Impero, fondato mezzo secolo fa, fosse destinato a durare per un tempo indeterminato. Nell’agosto del 1914 pensò che la catastrofe bellica, al cui inizio si vide posto, avrebbe dimostrato l’invincibilità di quella costruzione. Oggi può solo guardare le sue macerie. Occorre rendersene conto, dato che questa esperienza ha mostrato l’errore tragicamente attivo di quell’opinione di mezzo secolo fa, e soprattutto l’errore dei pensieri dominanti in questi anni di guerra. Quali sono le ragioni di questo fatale errore? Questa domanda dovrebbe far riflettere tutti gli appartenenti al popolo tedesco. Le possibilità di vita di questo popolo dipendono dall’esistenza o meno di una simile autoriflessione; il suo futuro dipende dal fatto di poter i porre seriamente la domanda: come sono caduto nel mio errore? Ponendosi oggi questo problema ne risulta la conoscenza che l’Impero fu, sì, fondato mezzo secolo fa, ma che allora si omise di porre all’Impero un compito che sorgesse dall’essenza stessa del popolo tedesco. L’Impero era fondato. Nei primi tempi della sua esistenza ci si occupò di mettere ordine nelle sue interne possibilità di vita, secondo le esigenze che si mostravano di anno in anno a seguito di antiche tradizioni e di nuove necessità. Si passò poi a consolidare e ad ingrandire posizioni di potenza esteriore, poggianti su forze materiali. Così si prendevano misure relative alle esigenze sociali dei tempi moderni, che tenevano, sì, conto delle necessità momentanee, ma che mancavano di una meta che avrebbe dovuto risultare dalla conoscenza delle forze evolutive a cui deve rivolgersi l’umanità moderna. In tal modo l’Impero era inserito nel complesso civile, ma senza una meta reale che giustificasse la sua esistenza. Il corso della catastrofe bellica lo ha tristemente manifestato. Fino allo scoppio della guerra il mondo non tedesco non aveva potuto vedere nel comportamento dell’Impero nulla che potesse risvegliare l’idea che i suoi governanti svolgessero una missione storica ineliminabile. Il non trovare una missione del genere da parte dei governanti tedeschi ha prodotto di necessità nel mondo non tedesco l’opinione che, per chi vede la realtà, costituisce la ragione profonda della disfatta tedesca.

 

2. Questa realtà influenza moltissimo il giudizio spassionato del popolo tedesco. Nella disgrazia dovrebbe formarsi la convinzione che non ha voluto mostrarsi negli ultimi cinquant’anni. In luogo dei piccoli pensieri relativi alle immediate esigenze del presente, dovrebbe ora intervenire un grande impulso per una concezione della vita che tenda a riconoscere con forti pensieri le forze evolutive dell’umanità moderna e che vi si dedichi con coraggiosa volontà. Dovrebbe cessare la meschina tendenza che relega ad idealisti non pratici tutti coloro che mirano a forze evolutive. Dovrebbero cessare l’arroganza e la presunzione di coloro che si stimano pratici e che, con le loro vedute ristrette mascherate da pratica, hanno provocato le presenti disgrazie. In merito alle esigenze dell’epoca moderna si dovrebbe avere a cuore quanto hanno da dire coloro che sono bollati come idealisti ma che in realtà sono i veri pratici.

 

3. I “pratici” di tutte le tendenze vedevano, sì, arrivare da un bel po’ di tempo esigenze umane completamente nuove ma volevano venirne a capo entro gli schemi delle abitudini di pensiero e delle strutture tramandate dal passato. La vita economica dell’epoca odierna ha suscitato quelle esigenze. Il loro soddisfacimento sulla via dell’iniziativa privata sembrò impossibile. Ad una classe sociale risultò necessario in singoli settori il passaggio dal lavoro privato a quello sociale; questo fu realizzato là dove sembrò utile a tale classe in base alla sua concezione della vita, Il trapasso radicale da ogni lavoro singolo a lavoro collettivo divenne lo scopo della classe che, a seguito dello sviluppo della vita economica moderna. non aveva interesse alla conservazione delle mete private ricevute.

 

4. C’è qualcosa di comune a tutte le aspirazioni che finora sono state proposte in vista delle moderne esigenze umane. Esse tendono alla socializzazione del privato e contano sull’assunzione del privato da parte di comunità (Stato o altri enti) provenienti da premesse che nulla hanno a che fare con le nuove esigenze. Oppure si conta su enti moderni (per esempio i sindacati) che non sono del tutto sorti nel senso delle nuove esigenze, ma che hanno copiato le antiche forme in base alle abitudini di pensiero tramandate.

 

5. La verità è che nessuna delle comunità costituite secondo le antiche abitudini di pensiero può accogliere quanto ci si attende debbano accogliere. Le forze del nostro tempo richiedono la conoscenza di una struttura sociale umana che consideri i problemi in modo del tutto diverso da quanto in genere oggi non si faccia. Fino ad oggi le comunità sociali si sono in gran parte costituite a partire dagli istinti sociali dell’umanità. È compito del nostro tempo compenetrarne le forze con piena coscienza.

 

6. L’organismo sociale è formato come quello naturale. E come l’organismo naturale deve provvedere al pensare mediante la testa e non mediante i polmoni, così è necessario che l’organismo sociale sia articolato in sistemi di cui nessuno possa assumere i compiti degli altri, e che ognuno debba collaborare con gli altri facendo valere la propria autonomia.

 

7. La vita economica può prosperare solo se costituisce se stessa come un elemento autonomo dell’organismo sociale, secondo le proprie forze e le proprie leggi, e se nella sua struttura non si porta disordine per il fatto di farsi assorbire da un altro elemento dell’organismo sociale, quello attivo politicamente. La sfera politica deve esistere anch’essa nella sua piena autonomia accanto a quella economica, come nell’organismo naturale il sistema respiratorio esiste accanto a quello della testa. La loro sana collaborazione non può esser raggiunta se le due sfere hanno organi legislativi e amministrativi in comune; ognuna ha le proprie leggi e la propria amministrazione che collaborano fra loro in modo vivo, dato che il sistema politico deve annientare l’economia se vuole occuparsene [per esempio vietando di distruggere gli agrumi in quanto bene comune - ndc], così come il sistema economico perde le proprie forze vitali volendo diventare politico [per esempio producendo e mettendo nel mercato, cioè nelle dinamiche della compra-vendita, leggi e burocrazia anziché merci, e generando così corruzione - ndc].

 

8. A queste due sfere dell’organismo sociale deve aggiungersene una terza in piena autonomia e sulla base delle proprie possibilità di vita: quella della produzione spirituale, di cui sono parte anche la partecipazione spirituale delle due altre sfere; partecipazione che va trasmessa loro a partire da una terza sfera munita di regolamentazioni ed amministrazione proprie, senza però essere amministrata e influenzata dalle altre due, e comunque influenzata non diversamente da come lo sono i sistemi esistenti gli uni accanto agli altri di un organismo naturale.

 

9. Già oggi si può giustificare scientificamente e costruire in tutti particolari quanto è detto qui come necessità dell’organismo sociale, ma in questo scritto si possono soltanto esporre le indicazioni di massima per tutti coloro che vogliono rendersi conto di tali necessità.

 

10. La costituzione dell’Impero tedesco avvenne in un tempo in cui quelle necessità si presentavano all’umanità moderna. Il governo non capì di dover porre all’Impero un compito che tenesse conto di tali necessità. Ciò avrebbe dato all’Impero non solo la sua giusta struttura; avrebbe pure fornito una giusta direzione alla sua politica estera. Con una simile politica il popolo tedesco avrebbe potuto convivere coi popoli non tedeschi.

 

11. Ora dalla disgrazia deve maturare la comprensione. Si dovrebbe sviluppare la volontà di formare un organismo sociale possibile. Di fronte al mondo esterno non dovrebbe comparire una Germania, che più non esiste, ma un sistema spirituale, politico ed economico, ed i suoi rappresentanti, quali delegazioni autonome, dovrebbero trattare con coloro che hanno sconfitto la Germania unitaria, divenuta, mediante la confusione dei tre sistemi. Una costruzione impossibile.

 

12. In spirito si sentono i pratici [i “pratici di tutte le tendenze”, i tuttologi, gli opinionisti, e in generale soprattutto coloro che vogliono mantenere l’ordine mafioso attuale - ndc] che si pronunciano sulla complicazione di quanto è stato detto qui, e che trovano scomodo anche solo pensare alla collaborazione fra i tre enti, perché non vogliono sapere nulla delle vere esigenze della vita, volendo invece strutturare tutto secondo le comode esigenze del loro modo di pensare. A loro deve però diventar chiaro che o ci si adegua col proprio pensare alle esigenze della realtà, oppure non si impara nulla dalle disgrazie, e si moltiplica all’infinito il male fatto mediante l’altro male che sorgerà.

Rudolf Steiner


 

 

IN MARGINE ALLA TRIARTICOLAZIONE

DELL’ORGANISMO SOCIALE

 

1. La triarticolazione dell’organismo sociale una necessità del nostro tempo

Presentazione del curatore - Chi leggerà queste pagine si renderà conto di quanto l’umanità sia degenerata rispetto al periodo in cui furono scritte: subito dopo la prima guerra mondiale, dunque un secolo fa. I riferimenti di Rudolf Steiner alla catastrofe generata dalla prima guerra, vanno pensati anche per la catastrofe della seconda guerra mondiale, ed anche per l’attuale catastrofe che stiamo vivendo seduti, storditi e quasi paralizzati davanti al televisore senza minimamente comprendere il perché di tanto sangue sparso nel mondo. La catastrofe continuerà finché uomini perpetueranno la propria stolidità nel sentirsi interiormente appagati e a posto per il fatto di essere andati a votare questo o quel partito, questo o quel programma partitico, e senza minimamente riconoscere che nella storia mai si attuò del tutto uno solo di tali programmi. Forse assisteremo alla distruzione del nostro televisore prima di riprendere in mano i fatti che continuano a sfuggire “alle idee” (§1)? O risulterà necessario ritrovare “altre idee più adeguate al corso reale delle cose” (§1)? A chi non si è già rannicchiato nella frase fatta che al peggio non c’è mai fine, e a chi vuole essere davvero PRATICO (§2), questo scritto apporterà speranza. I fatti odierni “richiedono l’intervento di idee feconde” (§3), non di “routine” senza idee, né di “programmi teorici senza prassi” (§4) e studiati a tavolino per un “proletariato” (§8) sempre più cretino.

 

La triarticolazione dell’organismo sociale una necessità del nostro tempo

(cap. 1° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 125 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. È tempo di riconoscere che i programmi dei partiti sorti in un passato più o meno recente, ed esistenti ancora oggi, devono fallire di fronte ai fatti generati dalla catastrofe della guerra mondiale. I sostenitori di quei programmi, che collaborarono all’ordinamento delle condizioni sociali, dovrebbero ritenersi confutati dalla catastrofe stessa, e riconoscere che le loro idee si sono dimostrate insufficienti a dominare lo svolgimento dei fatti. Questi sono sfuggiti alle idee ed hanno condotto alla confusione e all’esplosione violenta. Dovrebbe risultarne ormai la necessità di trovare altre idee più adeguate al corso reale delle cose.

 

2. Si è chiamata “pratica” quella che era soltanto gretta “routine”. I cosiddetti “uomini pratici” si erano abituati a un campo ristretto d’azione che dominavano per forza di inerzia. Mancava loro l’inclinazione e l’interesse per scoprirne il nesso con campi più vasti della vita. Si andava orgogliosi d’essere “pratici” nel proprio campo ristretto. Si faceva quanto la “routine” richiedeva, lasciando sfociare la propria azione nel meccanismo generale della vita, senza preoccuparsi del come. Cosi, alla fine, tutto cadde in confusione; e dal groviglio dei fatti si sviluppò la catastrofe. Questo fu il destino delle classi dirigenti, per essersi abbandonate a una “prassi” senza idee adeguate a governarla. Ora, davanti al caos, non si è capaci di liberarci dalle vecchie abitudini di pensiero. Abituati ormai a considerare “praticamente necessario” questo o quello, abbiamo perduto la facoltà di riconoscere che quanto è ritenuto oggi “praticamente necessario” è invece interiormente marcio.

 

3. Nell’ordinamento economico dei tempi moderni si è massimamente palesato come i pensieri umani abbiano perso la padronanza delle cose. In questo campo il morbo interno si è mostrato nel movimento socialista-proletario, dove è sorta l’altra specie di programmi di partito, quella che sorse dall’immediata esperienza del male e che, o richiese mediante critica un cambiamento di rotta sulla via del caos, oppure attese salvezza dallo “svolgimento” dei fatti scatenati. Programmi teorici, nati da esigenze umane generali, senza mettere in conto praticamente i fatti. Alla pratica, che era mera “routine” disdegnante il pensare, si contrapposero idee socialiste che sono teoria senza pratica. Oggi, mentre i fatti richiedono l’intervento di idee feconde, viventi nella realtà delle cose, simili teorie “pensieri senza pratica” si dimostrano insufficienti, e tanto più dimostreranno questa loro insufficienza, quanto più diverrà necessario intervenire nella caotica vita presente con idee capaci di apportarvi un ordine.

 

4. Di fronte a una “routine” senza idee e a programmi teorici senza prassi, occorre oggi, in chi voglia veramente pensare in modo pratico, buona volontà in una certa direzione. Gli esperti, ma in realtà pratici ben poco pratici, dovrebbero cercar di riconoscere che il continuare un’economia senza piani e senza idee, non ci tirerà fuori, ma sempre più c’immergerà nella catastrofe. Oggi vogliamo ancora illuderci sorvolando sul fatto di essere stati condotti al caos dall0assenza di idee che si scambia per esperienza di vita. Chi proponeva idee è stato disprezzato come “idealista” senza pratica, e non si vuol riconoscere che con ciò ci si è comportati nel meno pratico dei modi, anzi, si è stati “idealisti” nel senso peggiore.

 

5. Dall’altro lato, dove dominano le esigenze teoriche senza pratica, si vuol conquistare un’esistenza degna di esseri umani per quella classe che attualmente sente di non possederla ancora. Non si vede che la si vuol conquistare senza penetrare veramente nelle necessità della vita sociale. Si crede che, conquistato il potere di attuare le esigenze teoricamente richieste ma non praticamente raggiungibili, si riuscirà come per miracolo a instaurare l’ordine a cui si aspira.

 

6. Chi ha a cuore il bene dell’umanità, anche riguardo alla classe proletaria oppressa dalla quale si sollevano le esigenze in questione e che spera di raggiungere le sue mete nel modo accennato, deve seriamente chiedersi: che cosa avverrà se da una parte si persiste a enunciare programmi ormai confutati dal corso degli eventi, e dall’altra si vuol conquistare il potere per attuare rivendicazioni che non cercano di accordarsi con ciò che la vita stessa richiede per un ordinamento sociale possibile?

 

7. Si potrà forse essere bene intenzionati, oggi, rispetto al proletariato, ma non si è obiettivamente sinceri se non gli si fa toccar con mano che i programmi ai quali aderisce non lo conducono al bene a cui aspira, ma portano al disastro della civiltà europea, la cui rovina sigillerà la sua. Oggi si è sinceri verso il proletariato solo se lo si sveglia al fatto che coi programmi ai quali aderisce non potrà mai e poi mai raggiungere quello che inconsciamente desidera.

 

8. Il proletariato vive in un errore formidabile. Ha visto negli ultimi secoli gli interessi umani a poco a poco totalmente assorbiti dalla vita economica. Ha dovuto accorgersi che le forme giuridiche della vita sociale si sono costituite sotto l’influsso della potenza e dei bisogni economici; ha potuto constatare che l’insieme della vita dello spirito, specialmente l’educazione e la scuola, si è edificato su condizioni risultanti da fondamenti economici e dallo Stato dipendente da questi. Si è radicato in lui il pregiudizio funesto che ogni vita giuridica e spirituale debba necessariamente derivare dalle forme dell’economia. Anche larghe sfere di gente non proletaria sono oggi vittime di questo pregiudizio. La dipendenza della vita spirituale e giuridica da quella economica, sviluppatasi negli ultimi secoli come fenomeno del tempo, è oggi ritenuta una necessità di natura. Non ci si accorge della verità, che appunto questa dipendenza ha spinto l’umanità alla catastrofe; ci si abbandona al pregiudizio che basti cambiare l’ordinamento economico attuale in un altro che generi da sé una nuova vita giuridica e spirituale. Si vuol modificare soltanto l’ordinamento economico, invece di riconoscere che va soppressa la dipendenza delle altre due sfere della vita sociale dalla forma economica.

 

9. Nel momento attuale dell’evoluzione storica del mondo, non si tratta di mutare semplicemente il genere di dipendenza della vita spirituale e della vita giuridica dalla vita economica; si tratta di configurare la vita economica tramite provvedimenti che, con conoscenza di causa, provvedano alla produzione ed alla circolazione dei beni senza esercitare, da questo punto di vista, la minima azione su posizioni giuridiche rispetto agli altri uomini, né sulla possibilità di svolgere le loro attitudini mediante l’educazione e la scuola. Nell’epoca storica appena trascorsa, sia la vita giuridica, sia quella spirituale, furono una “sovrastruttura” della vita economica; in avvenire dovranno essere organi dell’assetto sociale indipendenti, accanto a quello dell’economia. I provvedimenti da prendersi nell’ambito di quest’ultimo devono risultare dall’esperienza in questo campo e dall’essere gli uomini congiunti con questa o quella branca della vita economica. Dovranno formarsi associazioni tra persone appartenenti alle diverse professioni, tra gli intrecciati interessi dei produttori e dei consumatori, culminando il tutto in un’amministrazione economica centrale. Le persone che appartengono a questa organizzazione economica formano anch’esse una comunità giuridica, indipendente quanto ad amministrazione e rappresentanza proprie, in cui si regola tutto quanto concerne la sfera giuridica di ogni essere umano maggiorenne. Lì si configurerà tutto quanto rende l’uomo simile ad ogni altro suo simile. Ad esempio, in tale comunità dovrà regolarsi il diritto del lavoro (genere, misura, durata del lavoro). Questo complesso di leggi sarà completamente avulso dal giro della vita economica. Nella vita economica il lavoratore si troverà come libero contraente di fronte a coloro nella cui unione è chiamato a produrre. In merito alla sua collaborazione economica ad uno dei rami della produzione decide la competenza economica; ma in merito alla sua forza lavorativa ha voce in capitolo egli stesso, come essere umano maggiorenne, sul terreno democratico del diritto, fuori del giro della vita economica.

 

10. Come la vita giuridica (amministrazione statale) sarà regolata da un organo giuridico indipendente dell’assetto sociale, così la vita spirituale (educazione, scuola, ecc.) sarà pure regolata in piena libertà da un altro organo indipendente della comunità sociale, perché, così come una sana vita economica non può fondersi in uno con l’organo giuridico, in cui tutto deve procedere dai giudizi di tutti i maggiorenni l’uno all’altro equivalenti, allo stesso modo la direzione della vita spirituale non può sottoporsi a leggi, ordinamenti, sorveglianza e simili, che emanino dal mero giudizio di uomini maggiorenni. La vita spirituale ha bisogno di dirigersi da sé, secondo punti di vista puramente pedagogici ed umani. Solo in una simile auto-direzione si possono veramente coltivare a favore della vita sociale le facoltà individuali predisposte in una comunità

umana.

 

11. Chi in una pratica reale della vita è in grado di esaminare spassionatamente quali siano le condizioni d’esistenza dell’organismo sociale al gradino attuale dell’evoluzione umana, non potrà fare a meno di arrivare al risultato che per il risanamento dell’organismo sociale è necessaria la sua triarticolazione in un organismo indipendente spirituale, in un altro giuridico e in un terzo economico. Da ciò l’unità dell’organismo intero non è certamente compromessa, essendo essa fondata nella realtà, per il fatto che ogni uomo appartiene, coi suoi interessi, a tutti e tre gli organismi parziali, e che le loro tre amministrazioni centrali possono, nonostante la loro autonomia, armonizzare i loro provvedimenti.

 

12. Nell’articolo seguente vedremo che le relazioni internazionali non costituirebbero un ostacolo, anche nel caso in cui un solo Stato fosse un organismo sociale triarticolato.

 

2. Le necessità della vita internazionale e la triarticolazione

Presentazione del curatore - Dell’errore dei keinesiani, Rudolf Steiner parlò in modo molto dettagliato a Stoccarda nella conferenza del 2/1/1921 a proposito dell’illusione del credere possibile un’intesa con gli anglofoni circa la statalizzazione di tutta l’economia in “una specie di Stato mondiale” pensato secondo le vecchie abitudini di pensiero che avevano già condotto alla prima catastrofe mondiale (R. Steiner, “Come si opera per la triarticolazione sociale”, Ed. Antroposofica, Milano 1988, 2ª conferenza del 2° corso). Nel seguente scritto sulla necessità della vita internazionale in rapporto alla triarticolazione, è sottolineato come gli interessi di Stato (“economia di Stato”, o “keynesianesimo”, o “economia politica”, o “politica economica”, che dir si voglia), ingerendosi nell’universale tendenza all’autonomizzazione della vita economica del pianeta, perturbano l’economia reale fino a bloccarla, generando miseria, e distruggendo perfino la vita giuridica, la quale simulando una base democratica che non ha, poggia ancora su base monocratica (monopolio). Da ciò l’esigenza risanatrice della triarticolazione.

 

Le necessità della vita internazionale e la triarticolazione

(cap. 2° de “In margine alla triarticolazione

dell’organismo sociale”,

p. 130 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Contro l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale si fa spesso l’obiezione che, effettuandola, uno Stato turberebbe le sue relazioni con altri Stati. Solo osservando a tutt’oggi la natura dei rapporti tra gli Stati si può riconosce il valore di questa obiezione. Guardando in tal senso risulta chiaro che i fatti economici attuali hanno preso forme che non sono più in accordo con le delimitazioni degli Stati. Tali delimitazioni, risultanti da condizioni storiche, hanno ben poco a che fare oggi con gli interessi economici dei popoli viventi in detti confini. Ne consegue che i loro governi stringono relazioni internazionali, cioè fra nazioni, mentre sarebbe più conforme alla natura di tali relazioni se esse fossero stabilite in modo immediato da persone o da associazioni economicamente attive. Per richiedere materia prima da uno Stato estero un’industria dovrebbe semplicemente prendere accordi con la relativa amministrazione, e tutto quanto occorre per tali accordi dovrebbe svolgersi esclusivamente nel giro economico. Si può osservare che negli ultimi tempi la vita economica ha assunto forme indicatrici di una tendenza tale da chiudersi in sé, e che in questa economia chiusa in sé, gradatamente tesa a diventare un’unità su tutto il pianeta, gli interessi statali s’ingeriscono come elemento perturbatore. Le condizioni storiche per cui l’Inghilterra prese il dominio sull’India, cos’hanno a che fare con le condizioni economiche per cui un fabbricante tedesco importa merci dall’India?

 

2. La catastrofe della guerra mondiale ha mostrato che la vita dell’umanità moderna non sopporta il perturbamento portato dagli interessi di Stato all’economia mondiale tendente all’unità. Questo perturbamento sta alla base dei conflitti coi Paesi occidentali in cui cadde la Germania; ed anche nei conflitti con quelli orientali giocano cause analoghe. Interessi economici avevano resa necessaria una ferrovia che dal territorio austro-ungarico andasse verso sudest. Gli interessi dello Stato austriaco e quelli dei paesi balcanici alzarono la voce, e sorse la questione se a questi interessi non fossero contrari quelli relativi alle esigenze economiche. Il capitale che deve servire l’economia è così messo in rapporto con gli interessi di Stato. Gli Stati vogliono che i capitalisti si pongano al loro servizio; i capitalisti vogliono che la potenza concentrata nello Stato serva ai loro interessi economici. La vita economica è così impigliata nell’ambito degli Stati, mentre nella sua fase moderna di sviluppo tende a formare un tutto unitario al di là di ogni confine statale.

 

3. Questa internazionalità della vita economica indica che in avvenire i singoli campi dell’economia mondiale dovranno sussistere in rapporti indipendenti dai restanti interessi non economici fra i popoli. Gli Stati dovranno lasciare le questioni economiche in mano a persone o associazioni addette all’economia.

 

4. Se non si vuole che da ciò le relazioni culturali-spirituali siano rese del tutto dipendenti dagli interessi economici, bisogna far sì che queste possano svolgere la loro internazionalità a partire da premesse proprie. Non vogliamo affatto mettere in dubbio che i rapporti economici possano costituire una base anche per relazioni culturali. Ma dobbiamo riconoscere che le relazioni culturali, così allacciate. possono diventare feconde solo se accanto ad esse si formino tra i popoli rapporti provenienti esclusivamente dai bisogni della vita culturale stessa. Nel singolo popolo, la vita spirituale-culturale degli uomini si stacca dai substrati economici; assume configurazioni che nulla hanno a che fare con le forme della vita economica. Queste configurazioni devono poter stringere, con quelle corrispondenti di altri popoli, rapporti che procedano unicamente dalla loro propria vita. Non si può negare che, al momento attuale dell’evoluzione umana, la tendenza egoistica dei popoli a rinchiudersi nella propria nazionalità sia avversa alla configurazione internazionale delle sfere spirituali della vita. I popoli si sforzano di crearsi strutture statali i cui confini coincidano con quelli etnici. E questo sforzo si allarga all’altro sforzo, quello di fare dello Stato etnico chiuso anche un campo economico chiuso.

 

5. In avvenire, la tendenza dell’economia mondiale sopra accennata lavorerà contro gli egoismi nazionali. E se non si vuole che da questa opposizione sorgano infiniti conflitti, gli interessi culturali-spirituali che si estrinsecano nei popoli dovranno regolarsi secondo la loro natura, indipendentemente dalle condizioni dell’economia; e dalle amministrazioni così formate, dovranno stringersi i rapporti internazionali. Ciò non sarà possibile se non a patto che le zone in cui regna una vita spirituale comune assegnino a se stesse confini relativamente indipendenti da quelli derivanti dalle premesse della vita economica.

 

6. Qui è ovvio chiedere come possa la vita spirituale trarre il suo sostentamento dalla vita economica, se i confini delle due amministrazioni non coincidono. Per rispondervi, si pensi che una vita culturale-spirituale auto-amministrantesi, di fronte all’indipendente vita economica, si trova come una corporazione economica. Ora quest’ultima può, per le sue basi economiche, stabilire rapporti con le amministrazioni economiche del suo territorio, indipendentemente dalla loro appartenenza a una zona più vasta. Chi considera praticamente possibile solo quanto ha visto fare fin qui, riterrà tutto ciò un’astratta teoria, e crederà che l’ordinamento in questione dovrà fallire per la sua eccessiva complicazione. Ma questa maggiore o minore complicazione dipenderà dall’abilità degli uomini che intraprenderanno la riforma. Comunque, la paura di questa supposta complicazione non dovrà far arrestare nessuno di fronte a misure che sono richieste dalle necessità storiche universali del nostro tempo (si veda in proposito il 4° cap. del mio libro “I punti essenziali della questione sociale”).

 

7. La vita internazionale dell’umanità tende a rendere reciprocamente indipendenti i rapporti culturali dei popoli e quelli economici dei singoli territori. Di questa necessità dell’evoluzione umana tiene conto la triarticolazione degli organismi sociali. In essi la vita giuridica su base democratica è anello di congiunzione tra la vita economica, che allaccia rapporti internazionali secondo le proprie esigenze, e la vita culturale-spirituale che li allaccia partendo da forze proprie.

 

8. Per quanto fortemente le abitudini di pensiero create in noi dalle condizioni statali invalse fino ad oggi possano mantenerci ligi alla credenza che la trasformazione di tali condizioni sia “praticamente inattuabile”, lo sviluppo dei fatti storici procederà distruggendo qualsiasi provvedimento che, partendo da quelle abitudini di pensiero, vorrà conservarsi oppure risorgere, perché l’ulteriore fusione della vita spirituale, giuridica ed economica è addirittura un’impossibilità per le esigenze della vita dell’umanità moderna. La catastrofe della guerra mondiale ha manifestato questa impossibilità, la quale è derivata dal sorgere di antagonismi fra gli Stati, che esplosero in conflitti economici e culturali con un esito che non sarebbe pensabile là dove la vita spirituale si fosse trovata di fronte alla sola vita spirituale, e gli interessi economici di fronte ai soli interessi economici.

 

9. Voglio mostrare nel modo seguente, come sia possibile senza mettersi in conflitto con la vita internazionale, intraprendere la triarticolazione in un singolo Stato, anche se questo, resti, inizialmente, il solo a compierla.

 

10. Un settore economico che volesse costituirsi in vasta associazione nell’ambito di uno Stato [come avviene di solito oggi con lo statalismo keinesiano - ndc] non potrebbe mantenere rapporti economici vantaggiosi con l’estero che continuasse nell’economia capitalistica. Istituzioni simili a quelle statali, sottoposte ad amministrazioni economiche centrali toglierebbero ai capi d’azienda la possibilità di fornire all’estero i prodotti richiesti. Fosse pure concessa a quei capi d’azienda ampia indipendenza nell’accettare ordini, dovrebbero pur sempre attenersi, per provvedersi di materie prime, alle disposizioni dell’amministrazione centrale. In pratica, da tali strettoie tra esigenze dell’estero e andamento degli affari dell’amministrazione interna, risulterebbero condizioni impossibili. Ed anche l’importazione incontrerebbe le medesime difficoltà dell’esportazione. Basterebbe accennare a queste cose per obiettare circa l’impossibilità di scambi economici vantaggiosi tra un Paese economicamente impostato secondo astratti principi socialisti e Paesi a economia capitalistica, e ogni persona imparziale dovrà riconoscerlo.

 

11. Simili obiezioni non possono invece toccare l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale. Quest’ultima non progetta un piano organizzativo di tipo statale sulle relazioni risultanti dagli interessi economici. Intende che le amministrazioni di rami congeneri dell’economia si uniscano in associazioni, le quali a loro volta si allaccino ad altre, tramite cui i prodotti trovino diffusione adeguata alle esigenze del consumo di quel campo economico. Un’azienda che lavori per l’esportazione potrà agire di sua piena e libera iniziativa nel commercio con l’estero, essendo in grado all’interno di entrare in rapporto con le associazioni che le sarebbero maggiormente utili per le forniture di materie prime. Lo stesso varrà per un’azienda importatrice. In questa configurazione del giro economico dovrà servire di norma solamente la condizione che nel commercio con l’estero non siano prodotte e introdotte merci i cui costi di fabbricazione o i cui prezzi d’acquisto pregiudichino il tenore di vita dei lavoratori all’interno. L’operaio che lavora per l’estero dovrà ricevere come compenso dei suoi prodotti quanto gli occorre per il suo sostentamento; e i prodotti importati da fuori dovranno, in generale, potersi avere a prezzi accessibili al lavoratore dell’interno che ne abbia bisogno. Può darsi senza dubbio che la differenza di condizioni tra interno ed estero faccia sì che per certi prodotti da importare dall’estero si rendano necessari prezzi troppo alti. Guardando bene, si riconoscerà che le idee che stanno a base della triarticolazione dell’organismo sociale tengono conto di ciò. Per es., nel libro “I punti essenziali della questione sociale”, a proposito di un fatto analogo a questo, è detto: “Un’amministrazione che si occupi solo della vita economica può anche condurre a compensazioni necessarie alla vita economica stessa. Se, per esempio, un’azienda non è in grado di pagare interessi a chi vi impiega i suoi risparmi di lavoro, e se nonostante ciò l’azienda è riconosciuta corrispondente ad un bisogno, allora potrà essere aggiunto il mancante da parte di altre aziende, previa libera intesa con tutte le persone che vi partecipano” [Rudolf Steiner, “Capitalismo e idee sociali (Capitale, lavoro umano)”, cap. 3° de “I punti essenziali della questione sociale”, §40” - ndc]. Cosi anche il prezzo troppo elevato di un prodotto estero potrà essere pareggiato da contributi integrativi provenienti da aziende capaci di realizzare profitti troppo alti rispetto ai bisogni dei lavoratori in esse impiegati.

 

12. Proprio chi anela a idee adatte alle direttive della vita economica, volendole veramente pratiche, non potrà dare indicazioni su tutti i minimi particolari, perché i casi particolari della vita economica sono innumerevoli. Dovrà però configurarle in modo che chiunque voglia praticamente applicarle a un singolo caso, possa venirne a capo. A questo proposito si può constatare che nelle proposte presentate nei miei “Punti essenziali della questione sociale” si riuscirà tanto meglio quanto più si procederà conformemente alle esigenze delle cose stesse. Soprattutto si vedrà che la struttura, lì proposta, di un corpo economico facente parte d’un organismo sociale triarticolato, permette un commercio privo di ostacoli con paesi stranieri, anche quando in essi la triarticolazione non sia stata ancora adottata.

 

13. Chi riconosca che l’autonomia del giro economico debba essere il risultato di un’economia tendente a formare un’unità su tutta la terra, certamente non dirà che tale commercio possa dimostrarsi impossibile. Infatti, l’economia mondiale, costretta entro singole forme statali, tende a superarle. Sarà dunque impossibile che una zona dell’economia che per prima si conformi a questa tendenza venga a trovarsi in svantaggio di fronte ad altre zone che si oppongano all’evoluzione generale dell’economia. Potrà piuttosto risultare che nell’organismo sociale triarticolato il profitto del commercio estero ridondi a vantaggio del tenore di vita della popolazione intera; mentre in una collettività capitalistica andrà a beneficio di pochi. Non sarà però per nulla pregiudicata la stessa bilancia commerciale dal fatto che nell’organismo sociale triarticolato la relativa distribuzione tra la popolazione avvenga diversamente che in quello non triarticolato.

 

14. Da ciò si vede come nella triarticolazione non sia data un’utopia aliena dalla realtà, ma una somma di impulsi pratici realizzando i quali si può cominciare in qualsiasi punto della vita. Ciò distingue questa “idea” dalle astratte “esigenze” dei diversi partiti socialisti. Queste esigenze cercano capri espiatori per tutto quello che nella vita sociale è divenuto insopportabile, e quando li hanno trovati, proclamano che devono essere eliminati. L’idea della triarticolazione parla invece di ciò che da quanto esiste deve generarsi affinché scompaia il marcio. Al contrario d’altre idee che criticano, che possono anche distruggere, ma che non offrono indicazione alcuna per ricostruire, l’idea della triarticolazione vuole appunto costruire. Ciò appare particolarmente chiaro a chi in merito alle relazioni economiche con l’estero spassionatamente pensi dove sarebbe condotto uno Stato che volesse erigersi in modo conforme a quei principi puramente distruttivi. Alle tendenze demolitrici interne si aggiungerebbero le rovinose incongruenze nei rapporti con l’estero.

 

15. Senza alcun dubbio, le condizioni economiche di un singolo organismo sociale triarticolato servirebbero da efficace esempio agli altri Paesi [Ho sempre sognato che questo esempio potesse essere dato dall’Italia… E lo sogno ancora, anche se questi ultimi tempi sembrano contraddire l’attuazione di questo sogno - ndc]. Gli ambienti dove regna l’interesse per un’equa distribuzione dei beni cercherebbero di applicarla anche nel proprio Paese quando ne constatassero la praticità negli altri, e l’estendersi dell’idea della triarticolazione farebbe sì che sempre più si raggiungessero le mete a cui la vita economica moderna tende secondo le forze insite in essa. Il fatto che in molte parti della terra regnino ancora possenti interessi statali sfavorevoli a queste tendenze non dovrebbe trattenere uomini di un territorio economico che ravvisino nella sua importanza la triarticolazione, ad introdurla.

 

3. Marxismo e triarticolazione

Presentazione del curatore - L’incompleta percezione di Marx e di Engels di come avrebbe essere liberata l’economia rischia ancora oggi, terzo millennio, il continuo riproporsi di schiavitù e catastrofi. Occorre accorgersi che nella vita economica non esistono automatismi... Le verità incomplete possono funzionare per un certo tempo. Poi, al posto della chiarezza, subentra sempre l’abbaglio. Ciò appaga per un po’ il mondo, così che interi secoli ne sono traviati. Generalizzazioni e mega-presunzioni generano sempre mega-disastri.

 

Marxismo e triarticolazione

(cap. 3° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 137 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Sarà impossibile uscire dal disordine in cui l’Europa è piombata se certe rivendicazioni sociali permarranno ancora a lungo nella confusione per cui vengono ora svisate. Una di esse che vive in vaste sfere, è quella espressa da Engels nel suo libro “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza” con le parole: “Al posto del governo sulle persone subentra l’amministrazione di cose e la direzione di processi di produzione”. Gran numero di capi del proletariato e con essi le masse proletarie medesime professano la concezione da cui quest’asserzione scaturisce. Da un certo punto di vista essa è giusta. Le compagini umane, dalle quali si sono sviluppati gli Stati moderni, hanno costituito amministrazioni che non regolano soltanto cose e processi di produzione, ma governano anche gli uomini che a quelli lavorano. L’amministrazione di cose e rami della produzione abbraccia la vita economica. Nei tempi moderni, quest’ultima ha preso forme per cui è divenuto necessario che la sua amministrazione cessi dal provvedere anche al governo degli uomini. Marx ed Engels hanno riconosciuto questa necessità. Hanno rivolto la loro attenzione al modo in cui capitale e lavoro umano sono attivi nel giro economico. Sentivano che la vita dell’umanità moderna tende a superare la forma assunta da quell’attività, perché per essa il capitale è diventato la base per esercitare un potere sulla forza del lavoro umano [a tutt’oggi gli economisti universitari studiano ancora la cosiddetta “forza-lavoro” come se fosse una merce - ndc]. Il capitale serve non soltanto alla amministrazione di cose e alla direzione di processi di produzione; ma da’ le direttive per governare gli uomini. Da ciò Marx ed Engels dedussero la necessità di allontanare dal giro dell’economia il governo sugli uomini. E dedussero giustamente, perché la vita moderna non vuole che gli uomini siano considerati come semplici accessori delle cose e dei processi di produzione e siano amministrati assieme a questi.

 

2. Ma Marx ed Engels credevano di poter sbrigare la cosa semplicemente col gettar fuori il governo degli uomini dal processo economico, lasciando però sussistere la nuova amministrazione economica depurata, ma pur sempre derivante dallo Stato. Non videro che nel governo degli uomini era implicito anche il regolarne i reciproci rapporti, i quali non possono permanere non regolati, né si regolano da sé quando non siano più regolati nel vecchio modo dalle esigenze della vita economica. Nemmeno videro che nel capitale era nascosta la sorgente delle forze atte ad amministrare le cose e a dirigere i processi di produzione. Infatti, mediante il capitale, è lo spirito umano che dirige la vita economica. Amministrando le cose e dirigendo i rami della produzione, non si coltiva ancora lo spirito umano che precede da una sempre nuova creazione di esistenza e che deve sempre essere apportatore di forze nuove anche alla vita economica, se non si vuole che questa dapprima s’irrigidisca e poi finisca col decadere del tutto.

 

3. È giusto quello che Marx e Engels vedevano: l’amministrazione dell’economia nulla dovrebbe contenere che significhi un governo sugli uomini; e il capitale che la serve non dovrebbe padroneggiare lo spirito umano che gli indica le vie. Ma divenne funesta la loro credenza che tanto i reciproci rapporti tra gli uomini, regolati dai governi, quanto la direzione della vita economica da parte dello spirito umano, possano stabilirsi da sé quando non partano più dall’amministrazione economica.

 

4. La pulizia della vita economica, vale a dire la sua limitazione all’amministrazione di cose e alla direzione di processi di produzione, è possibile solo se, accanto alla vita economica, esista qualcosa che subentri al posto del governare di prima, e qualcos’altro che porti lo spirito umano a dirigere davvero il giro della vita economica. L’idea della triarticolazione dell’organismo sociale rende giustizia a questa esigenza. La direzione della vita spirituale, poggiata su se stessa, porterà alla vita economica le forze spirituali umane che, progredendo, possono continuamente fecondarla a nuovo, mentre sul suo proprio terreno essa si limita ad amministrare cose e a regolare branche di produzione. E l’organo giuridico dell’organismo sociale, separato dalla sfera dello spirito e da quella dell’economia, regolerà le relazioni degli individui umani come un uomo maggiorenne può democraticamente regolarle di fronte a un altro uomo maggiorenne, senza che in tale rapporto s’intrometta la potenza che l’uno può acquistare sull’altro per maggiori sue forze spirituali o per le basi economiche che può avere.

 

5. Marx ed Engels avevano ragione quando esigevano una riforma della vita economica; ma il punto di vista dal quale la richiedevano era unilaterale. Non videro che la vita economica può diventare libera solo se accanto ad essa si pongano una libera vita giuridica e una libera cultura dello spirito. Quali forme debba assumere la vita economica dell’avvenire, può riconoscerlo solo chi si renda conto che l’orientamento economico capitalistico, deve passare a quello immediatamente spirituale, e che la regolazione dei rapporti umani emanante dalla potenza economica dovrà passare in avvenire a un’altra, retta invece da criteri puramente umani. La richiesta di una vita economica in cui siano esclusivamente amministrate cose e in cui siano diretti processi di produzione non potrà mai essere appagata finché venga sollevata unilateralmente per sé. Chi fa questo, pretende creare una vita economica che espella da sé ciò che finora ha portato in grembo come necessità della propria esistenza e che tuttavia debba sussistere.

 

 6. Da altre vicende della vita, ma da una esperienza profonda, Goethe coniò due aforismi che sono pienamente validi anche per molte rivendicazioni sociali dei nostri tempi. Uno è: “Una verità incompleta opera per un certo tempo; ma poi, al posto di un’illuminazione totale, si introduce a un tratto una falsità abbagliante; questo appaga il mondo e così secoli interi ne sono traviati”. L’altro è: “Concetti generali e grande presunzione sono sempre avviati a produrre terribili disastri”. In realtà, il marxismo non illuminato dalle vere condizioni del nostro tempo è una “verità incompleta” che, nonostante la sua insufficienza, opera nella concezione proletaria del mondo; ma dopo la catastrofe della guerra mondiale essa diventa, di fronte alle vere esigenze del tempo, una “falsità abbagliante” a cui si deve impedire di “traviare i secoli”. A questo sforzo si sentirà portato chi riconosca verso quali sventure corra il proletariato a causa della sua “verità incompleta”. Da questa “verità incompleta” sono derivati in realtà “concetti generali”, i cui sostenitori, a causa di una presunzione davvero non piccola, respingono come utopia tutto ciò che si sforza di porre, al posto delle loro generalità utopistiche, le vere realtà della vita.

 

4. Libera scuola e triarticolazione

Presentazione del curatore - Già nel 2004 ho rilevato nella mia “Critica a Steiner” il grave tradimento della sedicente società antroposofica italiana rispetto all’idea della triarticolazione sociale proposta da Rudolf Steiner. Oggi le cose sono molto peggiorate e detta società è diventata un putrescente e paradossale covo di businessmen incalliti e assatanati dal dio quattrino... Negli anni ’80 Elisabetta Pederiva, fondatrice della scuola, e Iberto Bavastro, che dirigeva l’Edizione Antroposofica, mi chiesero di diventare docente nella loro scuola elementare. Accettai. Ma fui di lì a poco estromesso dal gruppo insegnanti, capeggiato dall’allora amministratore della scuola dr. Franzini, al quale avevo espresso il fatto che le idee della triarticolazione non potevano convivere col benché minimo compromesso con lo Stato, ed anche in riunione col gruppo sostenni che se detta scuola avesse accettato (come poi accettò) la parificazione con le scuole di Stato, avrebbe perso la sua prerogativa, cioè la sua caratteristica essenziale di essere pioniera per l’attuazione della triarticolazione dell’organismo sociale, auspicata dal suo fondatore Rudolf Steiner. La raggelante risposta di Franzini fu: “Per me quelle sono tutte stronzate”. Eppure Steiner era solito ripetere più e più volte che le esigenze sociali dei tempi nuovi non potevano supportare compromessi con gli Stati in quanto “tutto ciò che tende a compromessi conduce solo a vie sbagliate” (R. Steiner, “Risposte della scienza dello spirito a problemi sociali e pedagogici”, Milano, 1964, p. 287, §4, Opera Omnia n. 192, 13ª conf., Stoccarda, 8 settembre 1919). Nel seguente articolo vi sono i motivi della mia opposizione di allora alla “parificazione” di detta scuola con le scuole di Stato. 

 

 Libera scuola e triarticolazione

(cap. 4° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 140 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. La cultura pubblica della vita spirituale nell’educazione e nella scuola è diventata sempre più, nei tempi moderni, cosa di pertinenza dello Stato. “Lo Stato deve provvedere alla scuola” è ormai un giudizio talmente radicato nella coscienza degli uomini che chi crede di doverlo ribattere è considerato un “ideologo” alieno dal mondo. Eppure, appunto in questo campo della vita c’è qualcosa che va considerato molto ma molto seriamente, perché chi giudica nel modo accennato non ha idea di quanto sia “aliena dal mondo” la causa che sostiene. In modo tutto particolare la nostra scuola porta in sé i contrassegni specifici delle correnti di decadenza nella vita culturale dell’umanità contemporanea. Con la sua struttura sociale, lo Stato moderno non ha tenuto dietro alle esigenze della vita. Mostra, per es., una struttura inadeguata alle esigenze economiche dell’umanità moderna. Non è all’altezza dei tempi nemmeno rispetto alla scuola; dopo averla sottratta alle comunità religiose, l’ha messa totalmente alle proprie dipendenze. La scuola, a tutti i suoi gradi, forma gli uomini nel modo occorrente allo Stato per le prestazioni che lo Stato ritiene necessarie. Nell’istituzione delle scuole si rispecchiano i bisogni dello Stato. Sebbene si parli molto di cultura umana generale e di cose simili che si vorrebbero attuare, l’uomo moderno pur sentendo molto, ma inconsciamente, di far parte dell’ordinamento statale, non vede per nulla come sia in realtà da intendere, parlando di cultura umana generale, il suo divenire un utile servitore dello Stato.

 

2. A questo riguardo, anche il pensiero dei socialisti d’oggi nulla promette di buono. Costoro mirano a trasformare l’antico Stato in una grande organizzazione economica in cui dovrebbe continuarsi la scuola di Stato. Ma questa continuazione ingrandirà pericolosamente tutti gli errori della scuola attuale. In essa sussistevano finora molti elementi derivanti da tempi nei quali lo Stato non imperava ancora sull’educazione e sull’istruzione. Naturalmente non si può desiderare la sopravvivenza dello spirito di quegli antichi tempi, ma si dovrebbe fare ogni sforzo per introdurre nella scuola lo spirito nuovo dell’umanità progredita. Questo spirito non ci sarà, se si trasforma lo Stato in un’organizzazione economica e si riplasma la scuola in modo che da essa procedano persone atte ad essere le più efficaci macchine di lavoro di tale organizzazione economica. Oggi si parla molto di “scuola unitaria”. Teoreticamente non conta nulla che sotto questo nome ci si immagini qualcosa di molto bello, dato che se si fa della scuola un membro di un’organizzazione economica, non potrà essere davvero qualcosa di bello!

 

3. Quel che importa al momento attuale è che si radichi completamente la scuola in una vita spirituale-culturale libera. Il contenuto dell’insegnamento e dell’educazione dovrebbe essere attinto unicamente dalla conoscenza dell’uomo in via di divenire e delle sue disposizioni individuali. Educazione ed istruzione dovrebbero avere per base un’antropologia conforme al vero. La domanda che va posta non è “che cosa occorre che l’uomo sappia, e sappia fare, per l’ordinamento sociale esistente” ma l’altra: “quali disposizioni porta l’uomo in sé e che cosa può essere sviluppato in lui? In tal modo diverrà possibile che la generazione che cresce apporti forze sempre nuove all’ordinamento sociale. In esso vivrà allora ciò che continuamente possano farne individui umani completi che vi entrano, anziché costringere la nuova generazione a diventare ciò che l’ordinamento ora esistente vuole che essa sia.

 

4. Un rapporto sano tra la scuola e l’organismo sociale si ha soltanto quando a questo siano apportate di continuo nuove disposizioni umane individuali non ostacolate nel loro sviluppo. Ciò può ottenersi solo se nell’organismo sociale sia dato modo alla scuola e all’educazione di amministrarsi da sé in piena autonomia. Stato ed economia devono accogliere gli individui umani educati da una vita spirituale autonoma, non già prescriverne la formazione secondo i loro bisogni. Le direttive su ciò che un uomo, ad una data età, deve sapere e potere, vanno attinte dalla natura umana. Stato ed economia dovranno organizzarsi in modo da corrispondere alle esigenze della natura umana. Non sono loro che devono dire: abbiamo bisogno che l’uomo sia così e cosi per servire a un dato ufficio, perciò esaminateci gli uomini che ci occorrono e provvedete affinché essi sappiano e possano fare quello che va bene per noi; è l’organo spirituale dell’assetto sociale che in piena autonomia deve portare fino a un certo grado di sviluppo gli uomini adeguatamente dotati, mentre lo Stato e l’economia devono adattarsi ai risultati del lavoro nella sfera spirituale.

 

5. Poiché la vita dello Stato e la vita dell’economia non sono qualcosa di separato dalla natura umana, ma un suo risultato, non ci sarà da temere che una vita spirituale veramente libera e poggiante su se stessa possa educare uomini, alieni dalla realtà. Tali alieni sorgono invece quando le istituzioni statali ed economiche esistenti vogliono regolare esse stesse l’educazione e la scuola. Infatti nello Stato e nell’economia si deve agire nella prospettiva di quanto c’è, che è già divenuto, mentre per l’educazione dell’uomo in via di sviluppo occorrono tutt’altre direttive di pensiero e di sentimento. Una giusta posizione come educatori e insegnanti si ha solo se si può stare di fronte all’educando in modo libero e individuale, sapendosi dipendenti nella propria azione unicamente da conoscenze sulla natura umana, sulla natura dell’ordinamento sociale e simili, ma non da leggi o prescrizioni provenienti da fuori. Se sul serio si vuol condurre l’ordine attuale della società ad un altro, retto da punti di vista sociali, non si deve temere di affidare la vita spirituale con l’educazione e la scuola a se stessa, mediante un’autonoma amministrazione. Da questa proverranno uomini pieni di zelo e di gioia di cooperare all’organismo sociale; mentre da una scuola regolata dallo Stato e dall’economia non possono provenire che uomini privi di questo zelo e di questa gioia, perché soffocati dagli effetti di un dominio che non avrebbero dovuto subire, prima di essere divenuti cittadini e collaboratori pienamente coscienti dello Stato e dell’economia. Il giovane deve crescere attraverso le forze di un educatore e maestro indipendente dallo Stato e dall’economia, il quale possa coltivare liberamente le facoltà individuali altrui, perché alle proprie è lecito esercitarsi in libertà.

 

6. Nel mio libro “I punti essenziali della questione sociale” ho cercato di mostrare come, nella concezione della vita dei socialisti che sono a capo del partito, continui a vivere, nella sua essenza, soltanto il pensiero della borghesia degli ultimi tre o quattro secoli spinto fino ad un certo estremo. È un’illusione dei socialisti che le loro idee rappresentino una completa rottura con quel mondo di pensiero. Non è una concezione nuova ma solo una colorazione speciale della concezione borghese della vita, data dal modo di sentire del proletariato. Ciò si mostra in modo particolare nell’atteggiamento di questi capi socialisti di fronte alla vita spirituale e al suo inserirsi nell’organismo della società. L’importanza preminente conseguita dall’organizzazione della società borghese degli ultimi secoli a partire dalla vita economica ha fatto sì che la vita spirituale ne diventasse fortemente dipendente. È andata perduta la coscienza di una vita spirituale fondata in se stessa a cui l’attività interiore umana prende parte. Cooperarono a questa perdita la concezione naturalistica e l’industrialismo. Vi si riallacciò il modo in cui nei tempi moderni s’inserì nell’organismo sociale la scuola. Divenne importante il rendere l’uomo abile per la vita esteriore nello Stato e nell’economia. Sempre meno lo si pensò come un essere animico che, in prima linea, dovesse essere cosciente della sua appartenenza a un ordine spirituale di cose e, grazie a questa coscienza, conferire un senso allo Stato e all’economia nei quali vive. Sempre meno le menti presero la loro direzione dall’ordine spirituale del mondo e sempre più dalle condizioni della produzione economica. Nella borghesia ciò divenne una direttiva dell’anima e del sentimento; i capi del proletariato ne fecero una concezione teoretica della vita, un dogma.

 

7. Questo dogma sarà disastroso se dovrà servire di fondamento alla scuola del futuro. Poiché però in realtà da una struttura economica, per quanto eccellente, dell’organismo sociale, non può provenire il modo di occuparsi di una vera vita spirituale e tanto meno un ordinamento scolastico produttivo, questo dovrà intanto fondarsi sul proseguimento del precedente mondo di pensiero. I partiti che vogliono essere i sostenitori di una nuova configurazione della vita dovranno perciò lasciare che la cultura spirituale nelle scuole sia continuata dai rappresentanti delle vecchie concezioni del mondo. Ma poiché in tali condizioni non potrà stabilirsi alcun legame interiore tra la generazione nuova e gli elementi antichi tuttora coltivati, la vita spirituale dovrà sempre più impantanarsi. Questa falsa [e/o paradossale - ndc] posizione in una concezione della vita che non potrà essere per loro fonte di forza interiore, farà inaridire le anime di questa generazione, produrrà in esse il vuoto, così che, nell’ordine sociale prodotto dall’industrialismo, gli uomini si ridurranno a [diventare androidi - ndc] esseri senz’anima [esseri senza attività interiore - ndc].

 

8. Affinché ciò non avvenga, il movimento per la triarticolazione dell’organismo sociale promuove il distacco totale dell’insegnamento dalla vita statale e dalla vita economica. Le persone addette all’insegnamento non devono dipendere socialmente da nessun altro potere all’infuori di quello di altre persone che all’insegnamento collaborano. All’amministrazione di istituti scolastici, di corsi d’insegnamento e simili, dev’essere provveduto soltanto da persone che al tempo stesso insegnino o siano comunque produttivamente attive nella sfera culturale. Ognuna di queste persone dividerebbe il suo tempo tra l’insegnamento, l’amministrazione delle istituzioni culturali ed altre attività spirituali. Chi, senza preconcetti sia in grado di esercitare giudizio critico sulla vita spirituale, può riconoscere che la forza viva occorrente per organizzare ed amministrare tutto quanto concerne l’educazione e l’insegnamento può svilupparsi nell’attività interiore soltanto di chi sia attivo nell’insegnamento, o in altri rami affini.

 

9. Certo consentirà pienamente con ciò solo chi spassionatamente riconosca necessario l’aprirsi di una nuova sorgente di vita spirituale per la ricostruzione del nostro ordinamento sociale in sfacelo. Nell’articolo “Marxismo e triarticolazione” ho accennato all’idea giusta ma unilaterale di Engels che: “Al posto del governo sulle persone subentra l’amministrazione di cose e la direzione di processi di produzione”. Quanto è giusto ciò, altrettanto è vero che negli ordinamenti sociali del passato la vita degli uomini era possibile solamente perché, dirigendo i processi della produzione economica si dirigevano insieme anche gli uomini. Quando questa direzione cumulativa venga a cessare, bisogna che gli uomini ricevano dalla sfera spirituale liberamente basata su se stessa, quegli impulsi per la vita che agivano in loro attraverso la direzione precedente.

 

10. A ciò si aggiunga un altro fatto. La vita spirituale prospera solo quando può svolgersi come un’unità. Dal medesimo sviluppo delle forze dell’attività interiore generatrici di una concezione del mondo che appaghi e sostenga l’uomo, deve provenire anche la forza produttiva che fa dell’uomo un capace collaboratore nella vita economica. Ovviamente uomini pratici per la vita esteriore potranno provenire solo da una scuola che sia idonea a sviluppare in modo sano anche impulsi superiori verso una concezione del mondo. Un ordine sociale che amministri solo cose e diriga unicamente processi produttivi, deve a poco a poco traviarsi se non possono essergli addotti uomini anima sanamente sviluppata.

 

11. Perciò una ricostruzione della nostra vita sociale deve conquistarsi la forza d’istituire l’autonomia dell’insegnamento. Se non si vuole che uomini continuino a “governare” uomini alla maniera antica, bisogna creare la possibilità che in ogni attività interiore umana lo spirito libero, con tutta la forza via via possibile nelle individualità umane, divenga guida della vita. Questo spirito non si lascia opprimere; e sarebbe un tentativo di oppressione il voler regolare la scuola [come ancora oggi, terzo millennio, avviene, a causa del tradimento della società antroposofica (cfr. sopra la mia Presentazione) - ndc] da parte di istituzioni che muovano da prospettive di un ordinamento puramente economico. In tal caso lo spirito libero sarebbe portato, dai fondamenti della sua propria natura, a continue ribellioni. Continue scosse dell’edificio sociale sarebbero la necessaria conseguenza di un ordine che, partendo dalla direzione dei processi di produzione, volesse al tempo stesso organizzare la scuola.

 

12. Per chi abbracci con lo sguardo queste cose, una delle più impellenti rivendicazioni del tempo diventa la fondazione di una comunità umana che lavori energicamente a stabilire la libertà e l’amministrazione autonoma dell’educazione e della scuola. Nessun’altra necessità dell’epoca potrà trovare appagamento, finché in questo campo non si sia riconosciuto il giusto. E per riconoscerlo basta in sostanza gettare spregiudicatamente lo sguardo sull’aspetto della nostra odierna vita spirituale, così lacerata e menomata in fatto di forze sostenitrici per le anime umane.

 

5. Quel che occorre per un nuovo assetto sociale

Presentazione del curatore - Quel che occorre per un nuovo assetto sociale è un pensare nuovo. Chi pretende di cambiare il mondo con gli antichi impulsi, con le guerre e in genere con le tradizioni del passato è un androide lunare, cioè un essere che di umano ha solo la forma. La civiltà del futuro non può più basarsi su un “civis romanus” ancorato a sequestri (ratto delle sabine) e su lotte fratricide (Romolo che uccide Remo), perché nel terzo millennio la tradizione lunare si farà solare nella misura in cui l’uomo seguirà regole di luce diretta e non riflessa. In caso contrario il cosiddetto nuovo ordine mondiale predicato dagli antichi impulsi dovrà confliggere col cosmo stesso, vero ordine, e con il Culto di “ur” (in ebraico “luce”), vera cultura.

 

Quel che occorre per un nuovo assetto sociale

(cap. 5° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 147 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Non si può scoprire il senso di realtà vivente nell’idea di triarticolazione dell’organismo sociale se la si paragona alle idee di tradizione in cui cresciamo per educazione e consuetudini circa la pratica di quanto appare possibile. Il caos sociale e statale in cui siamo piombati è deriva appunto da abitudini di pensiero e di sentimento a cui tali tradizioni ci hanno condotto, e che sono state superate dalla vita. Quindi chi obietta che la triarticolazione non tiene conto degli impulsi da cui sono derivate finora le istituzioni umane, vive nell’inganno che superare tali impulsi sia una colpa contro ogni possibile ordinamento sociale. Ma l’idea di triarticolazione poggia sulla conoscenza che il credere a un’ulteriore efficacia di tali impulsi sia il più grave ostacolo al sano progresso fondato sull’attuale gradino evolutivo umano raggiunto.

 

2. Che non sia più oltre possibile coltivare gli impulsi antichi, dovrebbe essere riconosciuto dal fatto che questi impulsi hanno perso la forza di spingere gli uomini ad un lavoro produttivo. Gli impulsi antichi del reddito da capitale e del reddito da guadagno salariale poterono dare tale spinta solo finché c’era ancora quel tanto che dei valori antichi poteva destare l’inclinazione e l’amore dell’uomo. Questi valori di vita si sono dimostrati chiaramente esauriti nell’epoca trascorsa. Aumentano sempre più i capitalisti che non sanno più per che cosa debbano ammassare capitale; sempre più numerosi sono anche i salariati che non sanno più per quale scopo lavorare.

 

3. L’esaurimento degli impulsi attivi nelle compagini statali è evidente nel fatto che oggi è divenuto ovvio, per molti, considerare lo Stato come fine a se stesso, dimenticando che lo Stato esiste PER gli uomini. Si può considerarlo fine a se stesso soltanto perdendo l’interiore individuale affermazione di sé come esseri umani, fino al punto di non esigere più per - e da - questa, adeguate istituzioni statali. Allora si è portati a cercarne l’essenza in ogni sorta di istituzione statale, contrastante in realtà col suo vero compito. Si diventa smaniosi di attribuire alle istituzioni di Stato più di quanto occorra all’affermazione di sé da parte degli esseri umani in esso riuniti. Ma ogni “più” attribuito allo Stato, significa un “meno” attribuito agli esseri umani che lo sostengono.

 

4. Nella vita spirituale l’infruttuosità degli impulsi antichi si palesa nella generale sfiducia nello spirito. Ci si interessa a condizioni non spirituali della vita, a cui si dedicano osservazioni e pensieri. Quanto proviene da creazione spirituale si preferisce considerarlo come una faccenda personale di chi la produce, ed anche se ciò volesse essere accolto nella vita pubblica si cerca piuttosto di ostacolarlo. È una delle più diffuse particolarità dei nostri contemporanei la mancanza d’intendimento per il lavoro spirituale individuale dei propri simili.

 

5. Il nostro tempo ha bisogno di rendersi conto di quanto logorati siano ormai i suoi impulsi economici, statali e spirituali. Da questo riconoscimento dovrà accendersi un energico volere sociale. Non saranno poste le fondamenta della necessaria ricostruzione finché non si riconosca che le nostre calamità economiche, statali e spirituali non sono causate soltanto da condizioni esterne della vita ma dalla disposizione animica dell’umanità moderna.

 

6. Nell’anima dell’umanità si è prodotta una lacerazione. Nei moti istintivi, inconsci della natura umana rumoreggia un elemento nuovo. Nel pensare cosciente le antiche idee non vogliono seguire i moti istintivi. Ma anche i moti istintivi migliori diventano barbarici e bestiali se non sono illuminati da pensieri adeguati. Dall’animalizzazione dei propri istinti, l’umanità attuale è spinta verso una situazione pericolosa. La ricerca di nuovi pensieri per una condizione nuova del mondo è la sola cosa che possa portare salvezza.

 

7. Un appello alla socializzazione che non consideri tutto questo, non può condurre a nulla di salutare. Va superata la paura che si ha di considerare l’uomo come un essere animico e spirituale. Una trasformazione unilaterale della vita economica, un rinnovamento unilaterale della struttura statale, senza la coltivazione di condizioni socialmente sane e feconde dell’anima, sono adatti a cullare l’umanità in illusioni invece di permearla di senso di realtà. E siccome sono pochi coloro che sanno decidersi a riconoscere il problema della vita attuale e del prossimo avvenire, nel senso lato di un problema riguardante sia ordinamenti esteriori che rinnovamenti interiori, si procede così adagio sulla via della ristrutturazione della società. Dire come fanno molti che il rinnovamento interiore richiede tempi lunghissimi che non vanno precipitati, nasconde la paura di un tale rinnovamento. Invece il giusto atteggiamento può risiedere solo nel prendere energicamente di mira TUTTO quanto può condurre al rinnovamento, e vedere poi con quanta minore o maggior rapidità si avanzi sul cammino della vita.

 

8. Gli avvenimenti degli ultimi anni [allusione di Steiner alla prima guerra mondiale - ndc] hanno sparso un certo sfinimento nei nostri contemporanei; uno sfinimento che bisogna superare per amore delle prossime generazioni, e della civiltà del prossimo avvenire. Mosso da tali sentimenti ho presentato al pubblico l’idea della triarticolazione. Potrà forse essere imperfetta magari anche storta; i suoi sostenitori capiranno, se la si combatterà dal punto di vista di altre idee nuove. Ma che la triarticolazione appaia “incomprensibile” perché contrasta con abitudini antiche, non potrà mai considerarsi segno che i suoi avversari abbiano inteso il richiamo che sorge oggi dall’evoluzione umana, facendosi sentire in un modo sufficientemente energico.

 

6. Capacità di lavoro, volontà di lavoro e organismo sociale triarticolato

Presentazione del curatore - La tirannia del dominio dell’uomo sull’uomo, la schiavitù e le leggi prive di epicheia non potranno mai incentivare la creatività umana ma, al contrario, solo brama di guadagno personale, brama che di per sé non appartiene nemmeno alla natura umana.

 

Capacità di lavoro, volontà di lavoro e organismo sociale triarticolato

(cap. 6° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 150 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Per i socialisti, la forma di guadagno usata finora nella vita economica è uno stimolo lavorativo, la cui eliminazione potrebbero instaurare condizioni sociali più sane di quelle presenti. Quindi per loro è urgente il problema: quale incentivo potrebbe indurre gli uomini a porre sufficientemente le loro facoltà al servizio della produzione economica, quando non vi trovi più sfogo l’egoismo che trova il suo appagamento nel guadagno? Chi pensa alle socializzazioni non fa molta attenzione a questo problema. Finché non si è in grado di conoscere realisticamente come poter determinare gli animi a lavorare altrettanto volentieri “per la comunità” quanto per sé, la richiesta che in avvenire l’uomo non debba lavorare più per sé ma “per la comunità”, resta illusoria. Certo si può opinare che un’amministrazione centrale ponga ognuno al suo posto di lavoro, e che poi, attraverso quest’organizzazione lavorativa, sia pure possibile ripartire nel giusto modo i prodotti del lavoro. Ma questa opinione poggia su un’illusione: pur considerando che gli uomini abbiano necessità di consumo da soddisfare, non tiene però conto del fatto che la semplice consapevolezza dell’esistenza di tali necessità non spinge l’uomo a produrre, quando debba produrre non per sé, ma per la comunità. Da questa mera consapevolezza di lavorare per la società non gli sorgerebbe alcun senso di appagamento, quindi nemmeno uno stimolo al lavoro.

 

2. Nel momento stesso in cui si pensa ad eliminare nel lavoro l’antico incentivo del guadagno egoistico, bisognerebbe riconoscere la necessità di crearne uno nuovo. Un’amministrazione economica che non includa il guadagno egoistico tra gli incentivi operanti nel suo seno, non può di per sé forzare la volontà lavorativa umana. E proprio per il fatto di non poterla forzare, soddisfa un’esigenza sociale a cui è arrivata gran parte dell’umanità al livello della sua attuale evoluzione. Questa parte di umanità non vuol più essere portata al lavoro da una costrizione economica. Vorrebbe lavorare spinta da incentivi più consoni alla dignità umana. Senza dubbio in molti uomini, a cui si pensa a proposito di questa esigenza, questa è più o meno inconscia e istintiva; ma nella vita sociale, questi impulsi inconsci e istintivi hanno molta più importanza delle idee accampate coscientemente. Le idee coscienti devono spesso la loro origine solo alla circostanza che gli uomini non hanno la forza spirituale di riconoscere veramente ciò che avviene in loro. Se ci si addentra in quelle idee, ci si aggira in un mondo irreale. Perciò è necessario, nonostante l’illusorietà di tali idee superficiali, fare attenzione alle vere rivendicazioni umane, come quella accennata. D’altronde è innegabile che in un momento come l’attuale sono in giuoco bassi istinti umani, in cui la vita sociale si solleva in ondate selvagge. E non si soffocherà l’esigenza di una vita più degna di esseri umani, giustamente sollevata nel senso accennato, sfruttando il pretesto dei bassi istinti per incriminarla a sua volta.

 

3. Se deve sorgere un’organizzazione della vita economica che non possa esercitare alcuna spinta sulla volontà di lavoro degli uomini, occorre che questa spinta parta da un’altra organizzazione. L’idea dell’organismo sociale triarticolato tiene conto del fatto che, all’odierno grado evolutivo dell’umanità civile, la vita economica deve limitarsi a provvedere all’economia. Tramite propri organi, la sua amministrazione dovrà riuscire a constatare l’estensione delle necessità di consumo, il modo migliore per portare i prodotti ai consumatori, e la misura in cui questo o quel prodotto dovrà essere preparato. Tuttavia non avrà alcun mezzo per suscitare nell’uomo la volontà di produrre. E nemmeno sarà in grado di provvedere ad istituzioni educazione ed istruttive, da cui siano coltivate le facoltà umane individuali che devono essere la sorgente dell’attività economica. Dall’antico sistema economico fino ad oggi, gli uomini coltivavano queste facoltà perché, appunto, potevano darsi alla speranza del guadagno personale. Sarebbe errore funesto credere che il semplice comando da parte di amministrazioni economiche che abbiano di mira la sola economia, possa agire sulle facoltà umane individuali nel senso di svegliare la volontà, e che un tale comando abbia forza bastante per indurre l’uomo ad impegnare la sua voglia di lavorare. L’idea dell’organismo sociale triarticolato vuole, appunto, evitare che ci si abbandoni a questo errore. Ed è in una libera vita spirituale fondata su se stessa che vuole creare un campo in cui l’uomo impari in modo vivente cosa sia la società umana per cui deve lavorare, un campo in cui impari a conoscere l’importanza di un singolo lavoro nella struttura dell’intero ordinamento sociale in modo da amarlo in ragione del suo valore per l’intero. Nella libera vita spirituale l’idea della triarticolazione vuole creare le basi che possano sostituire lo stimolo derivante dal guadagno personale. Solo in una vita spirituale libera può nascere un tale amore per l’ordinamento sociale umano, quale l’ha un artista per la creazione delle sue opere. Se invece non si vuoi prendere in considerazione la possibilità di coltivare in una libera vita spirituale un tale amore, allora si rinunci addirittura allo sforzo di riorganizzare l’assetto sociale. Chi dubita che si possano educare gli uomini a questo amore, deve anche dubitare della possibilità di eliminare il guadagno personale dalla vita economica. Chi non può credere che una vita spirituale libera generi nell’uomo un tale amore, ignora appunto che è la dipendenza della vita spirituale dallo Stato e dall’economia a produrre la brama del guadagno personale, brama che di per sé non è per nulla un risultato elementare della natura umana. Questo è l’errore da cui parte spesso l’obiezione che per realizzare la triarticolazione occorrerebbero uomini differenti dagli attuali. No, dall’organismo triarticolato gli uomini verrebbero educati in modo da diventare diversi da ciò che sono stati finora. a causa appunto dell’ordinamento economico statale.

 

4. E come la libera vita spirituale genererà gli impulsi allo sviluppo delle facoltà individuali, così lo Stato giuridico democratico darà alla volontà di lavoro gli impulsi necessari. Nei rapporti veri che si stabiliranno tra gli uomini riuniti in un organismo sociale, in cui ogni persona maggiorenne regoli i suoi diritti rispetto ad ogni altra persona maggiorenne, ci sarà la possibilità che si accenda la volontà di lavorare “per la comunità”. Si dovrebbe pensare che solo da simili rapporti potrà nascere un vero senso di comunità, e che da questo sentimento può derivare la volontà di lavorare. Perché nella realtà un tale Stato di diritto avrà come conseguenza che ogni uomo sarà collocato in modo vivente, con piena coscienza, nel comune campo di lavoro. Egli saprà perché lavora e vorrà lavorare nella comunità di lavoro nella quale si sa inserito con la propria volontà.

 

5. Chi riconosce l’idea dell’organismo sociale triarticolato intende che il grande consorzio a struttura sociale propugnato dal socialismo marxista non può generare impulsi atti a promuovere la capacità e la volontà di lavoro. Egli vuole che la realtà dell’ordinamento esteriore della vita non faccia dimenticare il vero essere dell’uomo. Perché la vera praticità della vita non deve solo fare i conti con le istituzioni esteriori ma deve anche tener presente ciò che l’uomo è e che può diventare.

 

7. Daltonismo psicologico

Presentazione del curatore - Il daltonismo psicologico è tipico di chi vive nel pregiudizio della capacità di amministrare ordini di cose essenzialmente diverse fra loro, secondo una sola prospettiva in nome dell'unità, affinché questa unità non si spezzi. Tale pregiudizio è simile a quello di chi dicesse che l’eredità genetica dell’uomo e la sua educazione, agendo sull’uomo da parti diverse, spezzano la sua unità (cfr. §2). Chi così ragiona non ha accesso alla piena realtà delle cose perché non ha la capacità di trovare le intuizioni ad esse corrispondenti, e si comporta come chi, a causa di acromatopsia, vede solo differenza di luminosità ma non qualità di colori. Quando questo pregiudizio vive nelle compagini dello Stato unitario (plenipotenziario e/o centralista), necessariamente si genera un’amministrazione forzosa delle tre sfere dell'organismo sociale (economia, scuola, e diritto) di cui lo stesso Stato è una parte, le quali di conseguenza sono costrette a morire della loro sempre più crescente imperfezione. Allo stesso modo l’uomo resterebbe imperfetto e malato fino alla morte se la sua eredità genetica e la sua educazione lavorassero alla formazione della sua vita partendo da una sorgente unitaria (ibid.). Ecco perché così come esistono daltonici che vedono il mondo tutto grigio, allo stesso modo esistono “riformatori e rivoluzionari sociali psicologicamente daltonici (se cosi si può dire), che vorrebbero strutturare l’organismo sociale come un consorzio economico in cui gli uomini esistano come meccanismi” (§6). Ed ecco perché è così difficile farsi capire in questo contesto.

 

Daltonismo psicologico

(cap. 7° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 154 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Molti non possono accettare - così sembra - l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale perché temono che con questa si voglia spezzare ciò che in realtà deve operare da unità indivisa nell’assetto della vita sociale. Ora è giusto che l’uomo attivo nella vita economica venga a trovarsi in rapporti di diritto coi suoi simili e che la sua vita spirituale dipenda da quei rapporti come pure dalla sua condizione economica. Nell’uomo queste tre attività sono riunite; vivendo, egli è implicato in tutte e tre.

 

2. Ma è forse questa una ragione per affermare che queste tre attività debbano essere amministrate da un solo punto centrale? e che debbano essere amministrate tutte e tre secondo medesimi principi? Nell’uomo e nel suo agire confluiscono molte cose a partire dalle più disparate cause. Egli è soggetto alle qualità trasmessegli dai suoi antenati; ma pensa e agisce anche secondo quel che l’educazione ha fatto di lui, per opera di altre persone estranee alla sua famiglia. Sarebbe alquanto strano, se si volesse dire che per il fatto che eredità ed educazione agiscono sull’uomo da parti diverse si spezza la sua unità! Non si dovrebbe piuttosto dire che l’uomo resterebbe imperfetto, se eredità ed educazione lavorassero alla formazione della sua vita partendo da un’unica ?

 

3. Si comprende allora quanto debba fluire nell’uomo, ovviamente da parti diverse per rispondere ai bisogni del suo essere proprio grazie a questa diversità, perché il non comprenderlo sarebbe assurdo. Ma ci si rifiuta di riconoscere che lo sviluppo delle facoltà individuali, l’ordinamento dei rapporti giuridici e la formazione della vita economica possano giustamente accogliere l’uomo nelle rispettive sfere, solo se nell’ordine sociale in cui vive siano regolate da centri diversi e secondo diversi punti di vista. Una vita economica che ordini i diritti degli uomini in essa attivi secondo i propri punti di vista, e li faccia educare e istruire secondo gli interessi in essa dominanti, fa dell’uomo una rotellina del meccanismo economico. Atrofizza il suo spirito, che può svilupparsi liberamente sol quando lo faccia secondo i propri impulsi. Fa pure intristire i rapporti di sentimento dell’uomo coi suoi simili poiché quei rapporti non vogliono essere toccati dalla sua posizione economica, ma chiedono di esser regolati secondo uguaglianza di tutti gli uomini per quanto riguarda il lato puramente umano.

 

4. Una vita statale o giuridica che governi lo sviluppo delle facoltà umane individuali [come avviene ancora oggi, terzo millennio, col “Ministero della Pubblica Istruzione - ndc] grava pesantemente su tale sviluppo perché, dagli interessi vigenti in quella sfera, si formerà ovviamente la tendenza a far sviluppare sempre quelle facoltà secondo i propri bisogni e non secondo quelli inerenti alla loro natura, anche quando ci sia da principio la migliore volontà di tener conto delle peculiarità degli uomini. Una simile vita giuridica impone alle branche dell’economia un carattere non proveniente dai bisogni dell’economia che regola. In quella vita giuridica l’uomo è spiritualmente oppresso e impedito, per la tutela economica esercitata, di svolgere interessi adeguati al suo essere. Una vita spirituale che di per sé volesse stabilire rapporti giuridici, dall’ineguaglianza delle facoltà umane, verrebbe indotta anche a un’ineguaglianza dei diritti; e dovrebbe rinnegare la sua vera natura se, nella sua attività, si lasciasse determinare da interessi economici. In una siffatta cultura spirituale [idem est: cultura riguardante l’immaterialità dell’io - ndc] l’uomo non potrebbe giungere a una giusta coscienza di ciò che lo spirito [i.e.: l’io - ndc] può essere veramente nella sua vita perché lo vedrebbe profanato dall’ingiustizia e snaturato da scopi economici.

 

5. L’umanità del mondo civile è arrivata alla sua condizione attuale per il fatto che per molte cose i tre campi della vita, nel corso degli ultimi secoli, sono concresciuti in modo da formare uno Stato unitario. E l’inquietudine del momento attuale sta nel fatto che moltissime persone, inconsapevoli del vero carattere dei propri sforzi, urgono verso una costituzione dell’organismo sociale, tale che in tale organismo i tre organi possano svolgersi separatamente, e cioè: la vita dello spirito, liberamente, partendo dai propri impulsi speciali; la vita giuridica, democraticamente, erigendosi sull’accordo diretto o indiretto di uomini tra loro equivalenti; la vita economica in uno svolgimento che comprenda unicamente la produzione la circolazione e il consumo di merci.

 

6. Da diversi punti di partenza si può arrivare a riconoscere la necessità della triarticolazione dell’organismo sociale. Uno di questi è la conoscenza della natura umana al tempo nostro. Nella prospettiva di una certa teoria sociale e opinione di partito, si potrà ritenere assai poco scientifico e pratico dire che nell’ordinamento della convivialità umana, si debba interrogare la psicologia su ciò che essa stima adatto alla natura umana. D’altra parte sarebbe una sventura incalcolabile se si volesse vietare a tutti coloro che vogliono difendere il diritto della psicologia “sociale” di dir la loro nei riguardi della configurazione della vita sociale. Come esistono daltonici che vedono il mondo tutto grigio, cosi ci sono riformatori e rivoluzionari sociali psicologicamente daltonici (se cosi si può dire), che vorrebbero strutturare l’organismo sociale come un consorzio economico in cui gli uomini esistano come meccanismi. Questi agitatori ciechi per la psicologia nulla sanno della loro stessa cecità. Sanno solo che sono sempre esistite una vita giuridica e una vita spirituale accanto alla vita economica; e credono che, organizzando quest’ultima secondo i loro criteri, tutto il resto venga poi da sé. No, non verrà; tutto il resto sarà mandato in rovina. Ma farsi comprendere è molto difficile [!!! - ndc]; perciò è purtroppo necessario ingaggiare con loro una battaglia che non è promossa da veggenti in fatto di psicologia, ma da loro stessi.

 

8. Inciampi sulla via della triarticolazione

Presentazione del curatore - Queste analisi di Steiner sulle condizioni psicologiche dei lavoratori e degli agitatori politici all’indomani della prima guerra mondiale fanno emergere i motivi che fecero - e fanno ancora oggi (terzo millennio) - propendere la maggior parte delle persone a ritenere impossibile una nuova configurazione della vita economica in cui i lavoratori vi operino NON secondo rapporti politico-giuridici (cfr. §3), vale a dire secondo rapporti burocraticamente impostati secondo logica formale, BENSÌ secondo concreta immaginazione logica di risoluzione dei problemi che sorgano nell’attiva impresa economica. Questo “inciampo” sulla via della triarticolazione è ancora presente, soprattutto in chi oggi ci governa per esempio attraverso la misura giuridica di come debbano essere i cetrioli, o le banane, o le pizze, ecc., affinché queste merci possano essere immesse nel mercato col timbro “CEE”. Addirittura, con l’amministrazione politico-giuridica dell’economia, siamo arrivati al punto che i fallimenti della vecchia URSS si stanno reincarnando in quelli dell’UE, distruggendo e saccheggiando tutto. Basti pensare - a fronte della fame nel mondo - all’indennizzo concesso dalla Comunità europea per la distruzione degli agrumi in eccesso, indennizzo poi intascato regolarmente da Cosa Nostra (G. Falcone, “Cose di Cosa Nostra”, Ed. Rizzoli, Milano, p. 144). Ciò dunque continua - e “fatalmente” continuerà - a preparare terreni di rivolta, di terrorismo e di guerre su tutto il pianeta, finché non ci si accorgerà di ciò che è talmente grande da risultare invisibile (come può essere invisibile l’elefante per il pidocchio che vi salta sopra): la triarticolazione dei tre principali poteri dell’organismo sociale mondiale.

 

Inciampi sulla via della triarticolazione

 (cap. 8° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 157 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Certe idee orientate alle realtà da cui scaturirono le agitate rivendicazioni dell’uomo d'oggi, e pure all'armonia con le condizioni in cui si potrebbe convivere spiritualmente, politicamente ed economicamente, sono oggi schiacciate da altre idee, aliene dalla vita reale in entrambi questi orientamenti. Gli uomini che aspirano a condizioni vitali diverse da quelle ad oggi vigenti, o che ne sono in realtà già stati avulsi dai fatti mondiali, sono rimasti talmente lontani dalle dinamiche che fecero storicamente emergere le suddette condizioni, che manca loro del tutto la capacità di comprenderne l’azione e l’importanza. Da uno stato ottuso di coscienza le masse proletarie richiedono, sì, il mutamento delle condizioni di vita in cui si vedono poste, e in cui vedono un effetto della vita economica moderna retta da forze capitalistiche ma per il genere della loro partecipazione alla vita economica, non sono state ancora avviate al modo di operare di quelle forze; quindi non sanno arrivare a idee feconde su come quel modo operativo possa modificarsi. Gli intellettuali, capi e agitatori, delle masse proletarie sono a loro volta illusi da idee teoretiche ed utopistiche, derivanti da una scienza sociale ancora orientata da concezioni economiche urgentemente bisognose di trasformazione. Questi agitatori non si rendono minimamente conto del fatto che, in campo politico, economico e di vita spirituale, la pensano come i “pensatori borghesi” che avversano, e sostanzialmente mirano solo a far realizzare le idee finora dominanti da altre persone messe al posto di quelle che le realizzavano prima. Ma non nasce nulla di veramente nuovo solo se il vecchio è fatto da altri uomini in un modo un po’ diverso da prima.

 

2. Fa parte delle “idee antiche” quella di voler dominare la vita economica mediante il potere politico-giuridico. È un’“idea antica” perché ha messo gran parte di umanità in una condizione la cui insostenibilità è stata effettivamente dimostrata dalla catastrofe della guerra mondiale. L’idea nuova che deve sostituire quella vecchia è la liberazione dell’amministrazione economica da ogni potere politico-giuridico, vale a dire la direzione dell’economia secondo direttive risultanti solo dalle fonti dell’economia stessa e dai suoi interessi.

 

3. “Non si può pensare ad una configurazione della vita economica in cui gli uomini che vi lavorano non la svolgano in rapporti politico-giuridici!”. Cosi obietta certa gente, credendo che il sostenitore della triarticolazione dell’organismo sociale non veda una cosa così ovvia. In realtà però, chi solleva quest’obiezione, non intende soppesare tutta la portata che avrebbe per l’intera vita economica, se le vedute e le istituzioni politico-giuridiche che vi regnano non fossero regolate in grembo all’economia stessa, secondo i suoi interessi, ma da una direzione situata fuori di essa, che si determinasse unicamente da punti di vista propri alla sfera di giudizio di ogni essere umano maggiorenne. Per quale ragione anche tanti uomini di pensiero socialista non vogliono riconoscere questo fatto? Perché, partecipando alla vita politica, costoro si sono, sì, formate rappresentazioni sul modo in cui si dirigono le cose in merito a politica e diritto, ma non sulla natura essenziale delle forze operanti nella vita economica. Perciò possono, sì, pensare un regime economico la cui direzione proceda secondo principi amministrativi politico-giuridici, non possono pensarne un altro che si ordini secondo premesse e necessità sue proprie, e in cui intervengano regolamenti giuridici provenienti da altra parte. La massima parte dei capi e degli agitatori del proletariato si trova nella situazione così caratterizzata. Se la massa del proletariato, per i fatti sopra citati, non ha comprensione sufficiente per una possibile trasformazione della vita economica, i suoi capi non si trovano in miglior condizione. E se ne allontanano, perché non riescono a disincagliare il loro pensare dalla sfera della vita politica.

 

4. Una conseguenza di come il pensiero sia incagliato nell’elemento politico unilaterale, si ha nel modo in cui da diverse parti si vuol dar vita all’istituzione dei consigli d’industria. Al momento attuale, un’istituzione del genere dovrebbe farsi nel senso del “nuovo pensiero” citato, altrimenti sarà tutto lavoro sprecato. Il “nuovo pensiero” richiede che detti consigli d’industria siano una prima istituzione di cui lo Stato non abbia ad occuparsi, e che proceda da un puro pensare economico da parte delle persone attive nella vita economica. Si affidi all’istituzione, sorta in tal modo, il compito di promuovere le associazioni, dalla cui cooperazione sociale nell’economia dovrà compiersi d’ora innanzi ciò che prima era creato dalla concorrenza egoistica di singoli. Importante è la libera consociazione delle singole branche della produzione e del consumo, non la sua amministrazione da parte di uffici centrali secondo prospettive politiche. Si tratta di promuovere l’iniziativa economica degli uomini che lavorano, non già di tutelarla attraverso la burocrazia. È indifferente che mediante una legge di Stato, fatta secondo prospettive politiche, si sovrapponga un’amministrazione alla vita economica, o che si escogiti per l’economia un “sistema di consigli” retto da uomini che sappiano pensare unicamente secondo una prospettiva politica, e quindi organizzare tutto di conseguenza. Può darsi persino che, tra questi, vi sia chi teoreticamente richieda una certa autonomia della vita economica; in pratica da queste richieste potrà risultare solamente un sistema economico strozzato dentro un sistema politico, poiché è architettato secondo un pensare politico. In merito a una istituzione del genere, si penserà in modo corrispondente alle attuali condizioni di vita dell’umanità solo quando ci si sarà formata una rappresentazione adeguata di come, accanto al sistema economico, debbano praticamente svilupparsi l’organo statale-giuridico e l’organo spirituale dell’organismo sociale. Potremo infatti farci un’immagine della vita economica indipendente solo se vedremo giustamente collocato al suo posto, nella struttura complessiva dell’organismo sociale, ciò che non deve esistere nell’ambito della vita economica. Se non si vede il posto giusto per lo sviluppo della vita spirituale e della vita giuridica, si sarà sempre tentati di fonderle e confonderle insieme, in qualche modo, con la vita economica.

 

9. Che cosa esige lo “Spirito nuovo”

Presentazione del curatore - Lo spirito del tempo attuale esige che ci si accorga consapevolmente che andare al mercato per acquistare o vendere una merce non può avere a che fare con previe decisioni democratiche, o partitocratiche, o burocratiche, dato che quando si compra o si vende qualcosa lo si fa solo in base a necessità, come avviene per il vegliare o il dormire di ognuno. Se per prendere un caffè al bar o una mela dall’ortolano, ecc., si dovesse prima richiedere burocraticamente il permesso a parenti o a conoscenti secondo legalità democratica, si rallenterebbe fino al blocco totale tale azione di acquisto o di cessione. Non tenerne conto, significa perturbare e distruggere l’economia. È quanto sta succedendo su tutto il pianeta.

 

Che cosa esige lo “Spirito nuovo”

 (cap. 9° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 160 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Le sterili discussioni che si fanno oggi in molti ambienti sui consigli di fabbrica possono chiaramente mostrarci quale scarsa comprensione ci sia ancora per le rivendicazioni sorte dalle necessità evolutive dell’uomo per il tempo attuale e per il prossimo avvenire. La maggior parte di chi partecipa a tali discussioni non ha la minima idea di come oggi nella democrazia e nella forma sociale della convivialità vogliano estrinsecarsi due impulsi riguardanti lo stesso essere umano. Entrambi questi impulsi esercitano sulla vita pubblica un’azione perturbatrice e distruttrice finché non si arrivi a stabilire condizioni in cui possano funzionare; ma l’impulso sociale che può vivere nella sfera economica non può, per sua natura, manifestarsi democraticamente: deve tenere conto della necessità che nella produzione economica gli uomini considerino i giustificati bisogni dei loro simili. Regolando l’economia secondo questo impulso, occorre fondarla su ciò che le persone in essa attive fanno l’una per l’altra, sulla base di contratti che scaturiscano dalle loro rispettive posizioni economiche. Se detti contratti hanno da operare socialmente, per concluderli sono necessarie due cose: innanzitutto devono scaturire dall’iniziativa dei singoli individui fondata sulla comprensione; in secondo luogo i singoli individui devono vivere in un complesso economico dove sia data la possibilità che, tramite contratti, la prestazione del singolo sia indirizzata nel modo migliore alla collettività. La prima esigenza si può soddisfare solo se nessun influsso amministrativo di carattere politico s’interponga tra l’uomo attivo nell’economia e il suo rapporto con le fonti e gli interessi della vita economica. La seconda esigenza si appaga se i contratti non siano conclusi secondo richieste di un mercato sregolato, ma secondo richieste risultanti quando, dati i bisogni, le branche della produzione si associno sia tra loro, sia coi consorzi del consumo, in modo che la circolazione delle merci si svolga secondo queste associazioni. Attraverso la loro esistenza sarà preindicata alle persone attive nell’economia la via da prendersi in ogni singolo caso per regolare contrattualmente la loro attività.

 

2. Una vita economica così formata non vuole parlamentarismi. Si fonda solamente su competenza e capacità nel dirigere un ramo dell’economia, e sull’unione della propria posizione con le altre, nel modo socialmente più adatto allo scopo. Quel che accade entro un tale corpo economico non è regolato da votazioni, ma dalla comprensione dei bisogni che valuta quanto è stato prodotto dagli uomini più capaci e competenti, e condotto al giusto luogo del suo consumo per accordo comune.

 

3. Ma così come nell’organismo naturale un sistema di organi, per la sua stessa attività dovrebbe dissolversi, se non fosse regolato da un altro, allo stesso modo anche ciascuno degli organi componenti l’organismo sociale deve essere regolato dagli altri. Quanto avviene nel sistema economico per opera degli uomini che vi lavorano, dovrebbe condurre nel corso del tempo ai danni inerenti alla sua natura, se non vi si opponesse con la propria opera l’organizzazione politico-giuridica, la quale deve fondarsi su basi democratiche altrettanto sicuramente di quanto la vita economica non lo può: nello stato giuridico democratico il parlamentarismo è giustificato. Ciò che vi nasce opera sull’attività economica degli uomini patteggiando la tendenza della vita economica a produrre danni. Volendo invece imprigionare la vita economica stessa nell’amministrazione della struttura giuridica, le si toglie la sua mobilità e la sua efficienza. Gli uomini che lavorano nell’economia devono ricevere il diritto da fuori della sfera economica, e limitarsi ad applicarvelo.

 

4. Dovrebbe farsi l’esame di queste cose là dove si vogliono istituire consigli di fabbrica. Invece vi dominano dibattiti da punti di vista rispondenti all’antico principio di formare la legislazione politica secondo gli interessi di gruppi economici. Se attualmente sono cambiati i gruppi che vogliono procedere secondo l’antico principio, non è però cambiato il fatto che uno spirito nuovo manca ancora là dove ce ne sarebbe più urgente bisogno.

 

5. Oggi le cose sono messe in modo che un risanamento della vita pubblica può esserci solo se un numero sufficiente di uomini riconosca le vere attuali esigenze, sociali, giuridiche e spirituali, di uomini che abbiano la buona volontà e la forza di trasmettere anche ad altri la comprensione necessaria in questo campo. Ma gli ostacoli ancora esistenti per tale risanamento scompariranno nella misura in cui si diffonderà la comprensione qui caratterizzata, dato che è solo una superstizione politico-sociale ritenere di natura oggettiva tali ostacoli, fuori della comprensione umana. Affermano ciò solo coloro che non riescono mai a capire quale sia il vero rapporto tra idea e pratica. Pensano nel modo seguente: gli idealisti hanno, sì, idee buone e buone intenzioni, però “così come stanno le cose, quelle idee non possono realizzarsi”. Ma non è così. Per poter realizzare certe idee oggi, l’unico impedimento è costituito da chi pensa a questo modo e che ha pure il potere di opporre ostacoli in tal senso. Di un tale potere dispongono anche quei “capi” ai quali si uniscono masse di popolo, provenienti dai partiti tradizionali, che li seguono obbedienti. Perciò è condizione fondamentale del risanamento che quei raggruppamenti di partito si sciolgano, e si dia luogo alla comprensione di idee derivanti dalla medesima comprensione pratica, senza riallacciarsi alle opinioni dei gruppi e dei partiti di una volta. È una questione scottante del momento attuale trovare le vie e i mezzi per porre, al posto delle opinioni di partito, queste idee indipendenti che possano formare il “clou” per unire uomini di ogni partito, capaci di riconoscere che i partiti esistenti sono ormai dei sopravvissuti e che le condizioni sociali odierne ne sono la prova irrefutabile.

 

6. Si può capire che questo riconoscimento non riesca facile a chi ne avrebbe così bisogno; né alle masse, perché manca loro il tempo, l’agio e spesso anche la preparazione necessaria; né ai capi, perché il loro potere e i loro preconcetti sono radicati in ciò che hanno sostenuto finora. L’esistenza di questi due atteggiamenti rende tanto più urgente il dovere di cercare il vero progresso dell’umanità non dentro ma fuori delle tradizioni di partito. Non basta oggi sapere che cosa debba sostituire le istituzioni passate; bisogna lavorare per porre le nuove idee in una direzione tale da portare il più presto possibile allo scioglimento dei vecchi partiti, e da portare gli uomini a tendere verso nuove mete. Chi difetta di questo coraggio non può contribuire al risanamento della vita sociale; e chi ha la superstizione che tale tendenza sia un’utopia, costruisce su terreno cedevole.

 

10. Profitto economico e spirito del tempo

Presentazione del curatore - La brama di possesso impedisce negli esseri umani l’azione di idee pensate fino in fondo come quella della triarticolazione dell’organismo sociale (autogestione dell’economia, delle scuole e della politica, pensate come organismi articolati rispettivamente fra loro come i tre principali sistemi - nervoso, metabolico, respiratorio - dell’organismo umano), che è quanto richiede lo spirito del tempo all’uomo d’oggi. Chi pensa solo a farsi i fatti suoi, credendo di poter separare il proprio benessere da quello altrui (egoismo insano), genera conseguenze socialmente malsane, oltretutto dimostrando di non saper fare nemmeno l’interesse proprio, che - se pensato fino in fondo (sano egoismo) - è inseparabile da quello altrui. Ecco perché “per il progresso della vita economica si tratta di eliminare il profitto nella misura in cui il profitto lascia la produzione dei beni all’alea del mercato, che secondo le esigenze dello spirito del tempo andrebbe rimossa” (cfr. §4 e §5).

 

Profitto economico e spirito del tempo

 (cap. 10° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 164 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Sul profitto dell’imprenditore esistono opinioni tra loro contrastanti. Chi lo difende, dice che l’uomo è tale da impegnare le sue capacità a pro di una qualsiasi impresa che serva alla collettività soltanto quando vi sia indotto dalla prospettiva del profitto. Quindi, che per quanto nasca dall’egoismo, procura tuttavia alla collettività vantaggi che mancherebbero se si eliminasse il profitto dalla vita economica. Gli oppositori di quest’opinione dicono invece che non bisogna produrre per il profitto, ma per il consumo; e che bisogna adottare provvedimenti di natura tale che gli uomini li adoperino per le loro forze a vantaggio della collettività, anche se non vi siano attirati dalla prospettiva del profitto.

 

2. Per lo più accade nella vita pubblica che simili opinioni contrastanti non siano pensate fino in fondo, ma che si lasci al potere la decisione in proposito. Se si è di idee democratiche, si ritiene giustificato che siano realizzate e che rimangano, se già lo sono, istituzioni corrispondenti agli interessi e ai desideri della maggioranza. Se invece si è pertinacemente convinti della giustezza di ciò che corrisponde ai propri desideri e interessi, si aspira a un potere centrale autoritario che ordini le cose nel senso di tali desideri e interessi. In tal caso si vuole acquistare per se stessi tanta influenza su questo potere centrale, che per suo mezzo si verifichi ciò a cui si aspira. Da questa direttiva nasce quella che oggi si chiama “dittatura del proletariato”. Le rivendicazioni in proposito partono dagli interessi e dai desideri di chi le richiede senza prima cercare di accertare, mediante un pensiero conforme ai fatti, se le loro richieste siano dirette a provvedimenti che siano oggettivamente possibili o no.

 

3. L’umanità si trova attualmente in un punto della sua evoluzione in cui nella convivenza umana non è più possibile un’azione basata sul prevalere di quanto si desidera. Del tutto indipendente da ciò che vuole questa o quella persona, questo o quel gruppo umano, d’ora in poi agiranno sanamente nell’ambito della vita pubblica solo tendenze mosse da idee che siano pensate fino in fondo. Per quanto fortemente la passione umana si opponga a lasciare entrare nella vita un’azione mossa da idee pensate fino in fondo, che è quanto richiede lo spirito dell’umanità d’oggi, alla fine bisognerà pure rispondervi, perché si riconoscerà che il suo contrario porta a conseguenze socialmente malsane.

 

4. Una di queste idee pensate fino in fondo è quella della necessità della triarticolazione dell’organismo sociale. Mal si accorda ad essa il fatto di apparire poco chiara a molti tra i suoi avversari; ma ciò avviene perché costoro non aspirano tanto alla chiarezza dei propri pensieri, quanto ad un mero accordo coi loro interessi, desideri e preconcetti. Se poi vengono a trovarsi di fronte a idee che vanno obiettivamente in fondo alle cose, appare ai loro occhi solo il fatto che queste sono in contrasto con le loro intenzioni; allora confusamente si giustificano designando come poco chiaro ciò che contrasta coi loro desideri [incredibile ma vero, questa descrizione ritrae perfettamente i principali avversari attuali dell’idea della triarticolazione pensata fino in fondo, che sono paradossalmente proprio i sedicenti steineriani che hanno consentito, per mero profitto economico, alla parificazione statale delle scuole primarie ad indirizzo pedagogico steineriano, segno questo di un’eccezionale condizione subumana dell’attuale umanità! - ndc].

 

5. Nel giudizio sull’importanza economica del profitto s’insinuano opinioni oggettivamente ingiustificate. Da un lato è senz’altro vero che l’aspirazione al profitto è egoistica. Però non basta voler eliminare il profitto unicamente in base alla sua natura egoistica, dato che nel giro della vita economica non può non esserci qualcosa che indichi se esista o meno il bisogno di una merce prodotta. Nella forma attuale di economia, tale conoscenza si può attingere solo dal fatto che la merce in questione dia o no profitto. Una merce che dia un profitto abbastanza forte nel giro economico può essere prodotta; una che non dia un profitto sufficiente non va prodotta, perché perturberebbe la bilancia dei prezzi delle merci in circolazione. Qualunque possa essere il significato del profitto da un punto di vista etico, esso è, nella forma tradizionale dell’economia, il contrassegno del bisogno che una merce sia prodotta.

 

6. Per il progresso della vita economica si tratta di eliminare il profitto, perché il profitto lascia la produzione dei beni all’alea del mercato, che secondo le esigenze dello spirito del tempo andrebbe rimossa. Ma ci si offusca il sano giudizio se, nel combattere il profitto, s’insinua l’accenno alla sua natura egoistica; perché nella vita l’importante è che in ogni campo della realtà si facciano valere ragioni oggettivamente giustificate in quel dato campo. Ragioni provenienti da altri campi, per quanto in sé giustissime, non possono agire sul giudizio a questo riguardo.

 

7. Per la vita economica occorre che l’indicazione data dal profitto sia sostituito dall’azione di persone che abbiano l’incarico di provvedere razionalmente alla mediazione tra il consumo e la produzione, in modo da eliminare l’alea del mercato. La giusta comprensione di questa trasformazione dell’indicazione proveniente dal profitto in un’azione razionale fa sì che si rimuovano dalla vita economica quei motivi che finora perturbavano e confondevano il giudizio, e che li si trasferisca nel campo della vita giuridica e spirituale.

 

8. Solo quando si riconoscerà che l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale trae la sua configurazione dall’aspirazione a creare fondamenti sani per un’azione pratica e obiettiva nei diversi campi della vita, la si giudicherà rettamente, apprezzandone giustamente il valore pratico. La vita sociale non potrà essere risanata finché si pretenda che dalle istituzioni amministrative economiche provengano disordinatamente impulsi giuridici e spirituali, mentre esse possono svolgersi praticamente solo se vi domini la competenza nell’azione e nel giudizio. Nei raggruppamenti attuali dei partiti regnano motivi che si tengono ancora lontani dalle esigenze dello spirito del tempo. Da ciò deriva che le opinioni dominanti in questi gruppi debbano opporre dei preconcetti all’idea della triarticolazione. Bisogna però abolire la credenza che oggi si possa operare una trasformazione delle condizioni sociali malsane continuando a praticare le vecchie tendenze di partito. La prima cosa a cui si deve pensare è appunto la trasformazione delle opinioni stesse dei partiti. Per tale scopo è pure inutile che dai partiti esistenti si stacchino frazioni, i cui aderenti pretendano poi di rappresentare la “giusta” opinione, rimproverando agli altri di averla abbandonata. Perché questo conduce dalla lotta per le opinioni di partito a quella ancora peggiore per il potere di dati gruppi di persone. Invece quel che occorre oggi è la comprensione spregiudicata delle esigenze dello “spirito del tempo”.
 

 

11. Vita spirituale e vita economica

Presentazione del curatore - È illusorio credere che possa esistere un’istituzione, o un ordinamento, o uno Stato che, di per sé, conferisca agli uomini una soddisfacente vita sociale, perché ci potranno sempre essere uomini o gruppi di uomini, il cui modo di agire e/o di amministrare è antisociale. Solo quando nell’organismo sociale sia possibile educare liberamente a sentimenti sociali, potranno esservi anche capacità amministrative a favore della collettività in modo che i beni prodotti siano fruibili da ognuno in modo equo. Socializzazione non è sinonimo di istituzione, o di “Sabato”, ma di “sabato PER l’uomo”, cioè di organismo sociale triarticolato in cui la vita spirituale non dipenda dalla vita economica. Così come nella fisiologia umana il consumo di ATP non dipende dal “vuoto” fra un assone e un altro, bensì da pienezza di contenuti e da feedback del volere umano in atto, allo stesso modo l’azione di forze che riportino le tendenze antisociali verso la socialità possono essere maieuticamente ritrovate e sviluppate NON per opera di istituzioni, ma solo per un’azione pienamente libera che un essere umano possa esercitare su un altro essere umano.

 

Vita spirituale e vita economica

 (cap. 11° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 167 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Molti parlano oggi di “socializzazione” come se, con questa parola, si dovesse intendere una somma di istituzioni, nello Stato o nella convivenza sociale, grazie alle quali dovrebbero trovare appagamento certe esigenze dell’umanità moderna. Si pensa che il malcontento e il disordine sociale siano causati dal fatto che quelle istituzioni non vi siano ancora, e che quando ci saranno, sorgeranno senz’altro un’ordinata convivenza e collaborazione sociale. Molti si abbandonano a questa credenza in modo più o meno cosciente, ed è questa la ragione per cui tante idee deleterie si sviluppano intorno alla “questione sociale”, perché non è possibile istituire ordinamenti che di per sé conferiscano agli uomini una vita sociale soddisfacente. Simili ordinamenti sono tecnicamente buoni se grazie ad essi sia possibile produrre beni e poi distribuirli nel modo più adatto per poterne fruire. Ma saranno socialmente buoni solo se, nel loro ambito, uomini di sentimenti sociali amministreranno a favore della collettività i beni prodotti. In qualsiasi ordinamento ci possono sempre essere uomini o gruppi di uomini che vi agiscano in un modo che abbia carattere antisociale.

 

2. Non ci si illuda che sia possibile introdurre una condizione di vita soddisfacente senza che vi operino uomini di sentimenti sociali, perché un’illusione simile è un ostacolo alle idee sociali veramente pratiche. L’idea della triarticolazione dell’organismo sociale aspira a una completa liberazione da una simile illusione. Perciò si può capire che sia violentemente combattuta da tutti coloro che vivono ancora oggi nelle opache nebbie di questa illusione. In una delle tre sfere dell’organismo sociale quest’idea mira a una collaborazione tra uomini, totalmente fondata sui liberi rapporti e sul libero consorzio umano tra un’individualità e l’altra. Le individualità non vengono costrette entro alcun ordinamento prestabilito. Il modo in cui si aiutano e sostengono reciprocamente, dipende solo da ciò che l’uno può essere per l’altro, grazie alle sue facoltà e prestazioni. Non è da meravigliare che oggi molti non possano pensare altro che anarchia, come conseguenza di un’eventuale libera configurazione dei rapporti umani nella sfera spirituale dell’organismo sociale. Ma chi pensa così, non sa quali forze dell’intima natura umana siano impedite nel loro sviluppo per il fatto che l’uomo sia plasmato nelle rigide forme impostegli dallo Stato o dalla vita economica. Quelle forze dell’intima natura umana non possono svilupparsi per opera delle istituzioni, ma solo per un’azione pienamente libera che un essere umano eserciti su un altro essere umano. E ciò che così si sviluppa, non agisce in modo antisociale, ma sociale. Si atrofizza invece l’interiorità umana che agisce socialmente, se sia per eredità sia per educazione si trasmettono istinti provenienti da privilegi d’origine statale o da predominio economico.

 

3. L’organismo sociale triarticolato, mediante il suo organo spirituale, presenterà sempre nuove sorgenti d’impulsi sociali. Questi imbeveranno di spirito sociale le relazioni giuridiche degli uomini che devono essere regolate nello Stato democratico, e introdurranno questo spirito anche nella direzione della vita economica.

 

4. Nell’ambito della vita economica non si potrà evitare la tendenza antisociale, a causa delle forme di vita invalse nei tempi moderni, perché la collettività è servita nel modo migliore quando il singolo può impiegare senza ostacoli le proprie facoltà a beneficio della collettività. Ma allo scopo occorre che il singolo possa accumulare capitale, e che possa anche unirsi liberamente con altri per economicamente sfruttarlo. L’illusione socialistica ha ritenuto possibile che queste masse di capitale sempre più accumulate potessero alla fine passare semplicemente dalle mani dei loro possessori privati alla collettività, e che ne potesse risultare la realizzazione d’una collettività socialistica. In realtà, con questo trapasso andrebbe perduta la redditività economica del capitale, poiché essa poggia sulle facoltà individuali del singolo. Si deve ammettere senza riserve che l’economia avrà la massima vitalità, se non le sarà tolta dalla propria sfera la tendenza antisociale, ma in cambio le verranno addotte continuamente da un’altra sfera, da quella spirituale, le forze che riportino le tendenze antisociali verso la socialità.

 

5. Nei miei “Punti essenziali della questione sociale” ho cercato di mostrare che un modo di pensare veramente sociale non può voler instaurare il trapasso dell’amministrazione del capitale dalle mani del singolo o di gruppi di singoli, a quelle della collettività; ma che al contrario il singolo deve avere la possibilità di porre le proprie facoltà al servizio della collettività, senza alcun ostacolo mediante l’impiego del capitale; e che quando egli non possa o non voglia più esercitare in questo modo le sue facoltà, l’impiego del capitale debba passare ad altra persona avente facoltà analoghe. Questo trapasso non deve avvenire per opera di privilegi statali o di potenza economica, ma il successore dovrà essere designato da chi, per l’educazione ricevuta nella libera sfera spirituale, abbia conseguito l’idoneità a scoprire la persona più adatta dal punto di vista sociale.

 

6. Chi parla in questo modo del risanamento delle nostre condizioni sociali, può ben vedere con gli occhi dello spirito lo scherno con cui accoglieranno le sue indicazioni coloro che si ritengono uomini pratici. Bisognerà che per ora sopporti questo scherno, sebbene sappia che proprio esso ha provocato negli ultimi anni la spaventosa catastrofe dell’umanità. Quel loro atteggiamento potrà durare ancora per qualche tempo; ma poi anche i più ostinati non potranno più tener testa a ciò che insegneranno i fatti sociali stessi. Allora dovrà tacere la frase fatta che proposte come quella della triarticolazione possono essere bene intenzionate, ma che per realizzarle “mancano gli uomini adatti”. Chi dice e ripete questa frase fatta non è certo “adatto”. Si ritiri dunque, o non impedisca con la sua potenza brutale, nel loro lavoro fecondo, coloro che vorrebbero provvedere affinché possano dispiegarsi in una libera vita spirituale gli impulsi sociali degli esseri umani.

 

12. Diritto ed economia

Presentazione del curatore - Viviamo costretti entro uno Stato unitario in base ad un monopolio della coercizione che lo Stato (Stato di diritto) si attribuisce in modo forzoso (“diritto” di Stato) in quanto i suoi “contribuenti” sono costretti ad accettarlo in tal modo forzoso (e/o mafioso). L’unità di un sano organismo sociale non si crea però ordinandola mediante potenze centrali di coercizione, bensì lasciandola sorgere da forze che, cooperando, richiedono di vivere singolarmente ciascuna per sé, “nell’intento di poter produrre la vita di un tutto” (§3). Solo in tal modo l’organismo sociale malato può essere risanato... 

 

Diritto ed economia

 (cap. 12° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 170 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Tra le molte obiezioni che si possono muovere contro l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale, ce n’è una che si può formulare così: “Finora gli sforzi dei pensatori politici hanno mirato a creare in un dato campo rapporti di diritto che contemplassero le condizioni della produzione economica risultate nel corso di questi ultimi tempi. Tutto il lavoro fatto in tal senso è trascurato dall’idea della triarticolazione che vuole solo staccare il diritto dall’economia”.

 

2. Chi solleva questa obiezione crede di poter rimuovere l’idea della triarticolazione come qualcosa che vanifica le esperienze di uomini pratici, e che intende cooperare alla conformazione della vita sociale senza considerare tali esperienze. In realtà però accade proprio il contrario. Gli avversari della triarticolazione dicono: “Dovreste pur tenere in considerazione le difficoltà che sorte durante tutti i tentativi fatti per cercare condizioni di diritto che fossero in armonia con quelle della produzione moderna. Pensate alle resistenze che furono opposte a chi fece simili tentativi!”. Ma l’operatore della triarticolazione risponde che proprio tali difficoltà attestano che si cercò nella direzione sbagliata. Si volle trovare ad ogni costo una forma di vita sociale in cui, da un ordinamento unitario del diritto e dell’economia, risultasse ciò che può appagare certe esigenze moderne. Invece si dovrebbe riconoscere che nella vita economica, se condotta in modo conforme al suo scopo, devono sorgere condizioni contrarie alla coscienza del diritto, se da fuori del giro economico non si lavora contro questi effetti [per esempio, in base alla mera vita economica risulterebbe del tutto conforme al suo scopo distruggere agrumi in eccesso per renderli scarsi in modo da innalzarne il prezzo, quindi se da fuori del giro economico non ci si opponesse agli effetti di tale distruzione di agrumi sorgerebbero condizioni contrarie alla coscienza del diritto, dato che con quel cibo molte bocche potrebbero essere sfamate - ndc]. Nella vita economica si ha interesse a che persone o gruppi di persone particolarmente capaci di gestire una branca di produzione, possano arrivare a raccogliere capitali per farlo, perché oggi può servire nel miglior modo la collettività solo ciò che uomini capaci siano in grado di fare in certi campi, grazie alla possibilità di amministrare grandi capitali. Ma per la natura della vita economica, questo servizio può consistere solo nel produrre al meglio possibile per la collettività le merci di cui questa abbisogna. Con la produzione di merci si mette in mano ai produttori una certa potenza economica. L’idea della triarticolazione tiene conto del fatto che non può essere altrimenti. Perciò vuole che si stabiliscano condizioni sociali in cui questa potenza possa, sì, sorgere, ma senza produrre danni sociali. Non vuole impedire l’accumularsi di capitali nelle mani dei singoli, perché riconosce che con tale impedire verrebbe meno anche la possibilità di porre le facoltà di questi singoli al servizio sociale della collettività. Vuole però che dal momento in cui il singolo non possa più provvedere all’amministrazione dei mezzi di produzione che si trovano in suo potere, questi passino ad altra persona capace. Questa non deve poterli acquistare grazie ai suoi mezzi di potenza economica, ma per il fatto di essere la persona più idonea allo scopo. Ciò si può conseguire solo se il trapasso avvenga secondo princìpi che coi mezzi della potenza economica non abbiano nulla a che fare. Questi princìpi risulteranno quando gli uomini si inseriscano coi loro interessi anche in altre sfere di vita diverse da quella economica. Se gli uomini sono legati fra loro sul terreno del diritto, che genera interessi non economici, questi interessi non economici potranno farsi valere. Se invece l’uomo ha interesse solo per cose prodotte dalla vita economica, tali altri interessi non economici non sorgeranno neppure. Se chi possiede mezzi di produzione deve sviluppare la consapevolezza che non opera nel migliore dei modi in una posizione economica chi la acquista per il proprio tornaconto, ma chi la acquista per il proprio ingegno, questa consapevolezza può svilupparsi su un terreno creato accanto a quello economico. Sul proprio terreno la vita economica genera, sì, il senso della potenza economica, non però anche quello del diritto sociale. Perciò dovettero fallire i tentativi di trarre il diritto sociale dal pensare economico.

 

3. Su fatti simili, radicati nella realtà della vita, poggia l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale. Per questa idea, l’esperienza fatta da chi voleva creare rapporti moderni di diritto per le forme moderne dell’economia È importante, ma non la conduce ad aggiungere un altro tentativo analogo agli altri falliti. La triarticolazione non vuole far sorgere diritti sociali da un terreno su cui non possono sorgere, ma vuole che si formi una vita da cui realmente questi diritti possano generarsi. Nell’epoca moderna il giro della vita economica ha inghiottito quella vita; dovrà nuovamente liberarsene. L’idea della triarticolazione può essere intesa se si riesce a comprendere il bisogno che ha la vita economica di ricevere continuamente da fuori la correzione delle proprie forze, affinché non abbia a generare in sé effetti che la paralizzino. Le si procurerà una tale correzione se a ciò provvederanno, accanto alla vita economica, una vita spirituale autonoma e un’autonoma sfera del diritto. Con ciò non si distrugge l’unità della vita sociale, ma in realtà la si promuove nel giusto senso. Questa unità non si crea ordinandola mediante una potenza centrale, bensì facendola sorgere dalla cooperazione di forze che richiedono di vivere singolarmente ciascuna per sé, nell’intento di poter produrre la vita di un tutto. Le esperienze fatte attraverso i tentativi di creare per la vita economica moderna rapporti di diritto tratti dalla stessa vita economica non dovrebbero esser dunque considerate per ricavarne obiezioni contro la triarticolazione; si dovrebbe piuttosto riconoscere che queste conducono senz’altro a scorgere nella triarticolazione dell’organismo sociale proprio l’idea che le circostanze della vita moderna urgentemente richiedono.

 

13. Spirito sociale e superstizione socialista

Presentazione del curatore - Il potere, cioè il diritto di Stato, o la mafia che sostituisce lo Stato di diritto, è oggi concentrato nell’organismo economico privo di vita. In tal modo avviene che quanto ha soppresso l’economia, domina come fatto economico, mentre come “cultura dell'obbligo” (“scuola dell'obbligo”!!!) sottomette a sé ogni attività umana. Il fatto economico da mezzo è diventato fine. Questo non è avvenuto solo ad opera del materialismo marxista ma, regolarmente, anche ad opera di sistemi che sembravano opporsi al marxismo. Fatto sta che la cadavericità mondiale marxista permane tuttora il logico graduale compimento di un secolare processo dialettico e analitico-metodologico, che oggi è addirittura fornito di mistiche necessità dalle neo-sovietiche argomentazioni confessionali cattocomuniste, anzi, bisognerebbe dire, “mentecattocomuniste”…

 

 Spirito sociale e superstizione socialista

(cap. 13° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 173 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Discutendo sulle cause del movimento sociale odierno [1920 - ndc] si accenna, tra l’altro, al fatto che tanto il padrone dei mezzi di produzione quanto l’operaio addettovi sono in grado di trasmettere al prodotto qualcosa che provenga da un immediato interesse personale alla sua produzione. Il padrone fa fare i prodotti per guadagno; l’operaio li fa per guadagnarsi la vita. Nessuno dei due è appagato dal prodotto fabbricato.

 

2. Con questo accenno alla mancanza di rapporto personale fra produttori e loro prodotti nell’ordinamento economico moderno, si tocca effettivamente un lato essenziale della questione sociale. Ma bisognerà rendersi conto che questa mancanza è la necessaria conseguenza della tecnica moderna e della meccanizzazione del lavoro ad essa collegata. È un difetto della vita economica che non può essere rimosso. Quanto è prodotto dalla grande industria tramite larga divisione del lavoro, non può toccare il produttore da vicino com’era invece per la produzione dell’artigiano medioevale. Bisogna ormai rassegnarsi al fatto che per gran parte di lavoro umano il genere d’interesse di prima non esiste più. Ma si dovrebbe anche capire che l’uomo non può lavorare senza prendere interesse a quel che fa. Se la vita ve lo costringe, sente la sua esistenza come insoddisfacente e arida.

 

3. Chi vuole onestamente affrontare il movimento sociale, deve pensare a sostituire con un altro interesse quello venuto meno. Ma non può riuscirci se vuol fare del processo economico l’unico contenuto dell’organismo sociale, relegandovi come specie di appendici l’ordine giuridico e la vita spirituale. In un grande consorzio economico ordinato marxisticamente, dove l’ordine giuridico e la vita spirituale sono soltanto una “sovrastruttura ideologica”, la mancanza totale d’interesse per qualsiasi lavoro renderebbe la vita umana un supplizio. Chi vorrebbe instaurare un tale consorzio non pensa che se un certo entusiasmo può essere destato dallo sforzo per raggiungere la meta, non appena questa fosse conseguita, l’attrattiva verrebbe meno e l’uomo si troverebbe impigliato in un meccanismo sociale impersonale che ne estirperebbe ogni voglia di vivere. Che una simile meta possa entusiasmare le masse non è che un [“compensativo” - ndc] risultato della mancanza dell’antico interesse ai prodotti del lavoro, mancanza non accompagnata dallo sviluppo di un interesse nuovo che lo sostituisca.

 

4. Il destare questo nuovo interesse dovrebbe essere compito di coloro che, per l’ereditata partecipazione alla cultura dello spirito, possono ancora pensare a bisogni sociali degli uomini che non siano unicamente quelli economici. Gli uomini dovrebbero abituarsi all’idea che al posto dell’antica sfera d’interesse al lavoro dovrebbero subentrarne altre due. In un ordinamento sociale fondato sulla divisione del lavoro, il lavoro, anche quando non appaghi in sé e per sé, può soddisfare quando sia fatto per amore dell’interesse verso coloro al cui vantaggio è rivolto [non tenerne conto conduce a ciò che ho spesso caratterizzato come imbecillità essenziale (o addormentamento essenziale, o alienazione essenziale) del “pensatore” politico post-moderno, il quale proprio grazie ai nuovi raggiungimenti tecnologici dell’automazione del lavoro potrebbe rilevare la possibilità umana di godere di un nuovo e più facile sostentamento; poiché però sembra rifiutarsi di tenerne conto, tende di fatto a generare schiavitù - perfino lui stesso diventa “cameriere dei banchieri” - più di quanto avvenisse nel tempo in cui le macchine non lavoravano ancora per lui. Infatti, se prima l’umanità faticava nel lavorare, ora invece fatica per trovare lavoro, dato che il lavoro è svolto sempre più dalle macchine. Ed è appunto questo il paradosso dell’imbecille, o dello zombi, o del morto che cammina; cfr. il video “2015 il paradosso dell'imbecille permane” - ndc]. Questo interesse deve però svilupparsi in una vivente comunità. Un ordinamento giuridico, in cui il singolo viva come uguale tra uguali, desta l’interesse per il prossimo; vi si lavora per gli altri perché si stabilisce in modo vivente un rapporto con loro. L’ordine economico ci mostra solo ciò che gli altri richiedono da noi; nell’ordinamento giuridico vivente, l’uno diventa prezioso all’altro per impulsi di natura umana che si esauriscono nel bisogno che si ha uno dell’altro per la creazione di beni di cui si ha necessità.

 

5. A questa sfera d’interessi, risultante da un ordine giuridico indipendente di fronte alla vita economica, deve aggiungersene un’altra. Una vita umana il cui contenuto spirituale debba risultare dall’ordinamento economico, ove manchi l’interesse ai prodotti del lavoro, non può appagare nemmeno se l’interesse d’un uomo per l’altro sia guidato dall’ordinamento giuridico. Perché alla fine dovrebbe pur sorgere la consapevolezza che nell’economia si lavora l’uno per l’altro solo per amore dei beni economici. Il lavoro economico ha senso solo quando si riveli al servizio di contenuti della vita umana posti al di sopra dell’economia e del tutto indipendenti da questa. Il lavoro che di per sé non appaga, diventa pregevole quando sia compiuto in una vita che, da un punto di vista spirituale superiore, accenna a mete umane per le quali la vita economica non è che un mezzo. Una tale prospettiva spirituale si può ottenere unicamente da un organo spirituale autonomo dell’organismo sociale, mentre una vita spirituale che sia la “sovrastruttura” dell’ordinamento economico, appare solo come un mezzo della vita economica.

 

6. La complicazione della vita economica moderna, con la sua meccanizzazione del lavoro umano, rende necessaria, come polo opposto, la vita spirituale libera e indipendente. Epoche anteriori dell’evoluzione umana consentivano la fusione degli interessi economici con gli impulsi spirituali perché l’economia non era ancora in balia della meccanizzazione. Ma se l’uomo non deve soccombere alla meccanizzazione, è necessario che, mentre è immerso nell’ordinamento meccanico del lavoro, la sua attività interiore possa liberamente elevarsi a quei rapporti in cui si trova trasferito quando partecipa a una libera vita spirituale.

 

7. È di corta veduta chi, davanti all’accenno di una libera vita spirituale, e dell’ordinamento giuridico che l’uguaglianza umana esige, opponga che né l’una né l’altro possano comunque superare la disuguaglianza economica che è la più opprimente di tutte. L’ordinamento economico moderno ha portato a questa disuguaglianza appunto perché non ha ancora avuto il relativo ordinamento giuridico e l’educazione spirituale di cui ha bisogno. Il pensiero marxistico crede che ogni forma di produzione economica prepari da sé la successiva superiore forma di produzione, e che, quando questo processo di preparazione sia concluso, quella superiore sarà portata a sostituire quella inferiore grazie all’“evoluzione” stessa. In realtà, la forma moderna di produzione non si è sviluppata da forme economiche antiche, ma da forme giuridiche e da idee spirituali di un tempo passato. E sono queste che, mentre hanno rinnovata la forma economica, sono invecchiate e divenute bisognose di rinnovamento. Di tutte le forme di superstizione, la peggiore è quella di credere che si possano far sorgere magicamente il diritto e lo spirito dalla forma dell’economia; perché è una superstizione che offusca non solo il pensare, ma la vita stessa. Questa superstizione impedisce che lo spirito si rivolga alla sua propria fonte, dato che vuol trovargli una fonte falsa in ciò che non è spirituale. E l’uomo si lascia troppo facilmente ingannare da chi gli dice che lo spirito può sorgere da sé dal non-spirito; perché con questo inganno gli pare di potersi liberare dallo sforzo che invece deve riconoscere necessario quando comprende che lo spirito può essere conquistato solo dallo spirito col proprio lavoro.

 

14. La base pedagogica della scuola Waldorf

Presentazione del curatore - Portare nel campo pedagogico ciò che risponde alla mentalità sociale contemporanea non è mai stato fatto in quanto ciò può attuarsi solo da una cultura libera da ministeri statali, e capace del coraggio di regole di… luce.

 

La base pedagogica della scuola Waldorf

 (cap. 14° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 177 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. I propositi che intendiamo attuare con la Scuola Waldorf (dal nome di una fabbrica di sigarette e per desiderio del suo proprietario, nel settembre 1919 aveva iniziato a Stoccarda la prima scuola a pedagogia steineriana) si rifanno a concezioni ben definite sui compiti sociali del momento attuale [1920 - ndc] e del prossimo avvenire. Da queste concezioni deve scaturire lo spirito secondo il quale la Scuola Waldorf dovrà essere condotta. Questa scuola è annessa ad una azienda industriale. Il modo in cui l’industria moderna è venuta a situarsi nell’evoluzione della vita umana sociale, caratterizza la pratica del movimento sociale moderno. I genitori che affideranno i loro figli a questa scuola, non possono fare a meno di aspettarsi che siano istruiti, educati e resi idonei alla vita in senso corrispondente a detto movimento. Da ciò la necessità, nel fondare questa scuola, di prendere le mosse da princìpi pedagogici radicati nelle esigenze vitali dell’ora presente. L’educazione deve mirare a fare dei veri uomini e a istruirli per la vita in modo da corrispondere alle esigenze che ogni uomo può far sue, da qualsiasi classe sociale provenga. Ciò che la pratica della vita presente richiede dall’uomo, deve rispecchiarsi negli ordinamenti di questa scuola, e lo spirito che deve dominare nella sua vita va suscitato nei fanciulli dall’educazione e dall’insegnamento.

 

2. Grave danno sarebbe se, nelle concezioni pedagogiche fondamentali su cui la Scuola Waldorf deve essere eretta, dominasse uno spirito estraneo alla vita [oggi, terzo millennio, questo spirito estraneo vive - purtroppo - proprio nella sedicente scuola a pedagogia steineriana, burocraticamente “parificata”, per mero scopo di lucro, a quella dell’obbligo (obbligo… di Stato!!!). Di fatto, in Italia NON esistono ancora vere scuole a pedagogia steineriana. Esistono scuole a “pedagogia steineriana parificata”, e ciò è evidente anche nel grave danno o nella grande crisi in cui versa la cultura di Stato - ndc]. Tale spirito oggi facilmente si manifesta ovunque si cominci a sentire quanta parte nell’attuale sfacelo della civiltà abbia avuto l’espandersi del materialismo come concezione e come vita durante gli ultimi decenni. Mossi da questo sentimento si vorrebbe introdurre uno spirito idealistico nell’amministrazione della vita pubblica. E chi rivolge la sua attenzione all’educazione e all’istruzione, vorrà più che mai vedere attuato un tale orientamento in questo campo. Non bisogna disconoscere che in queste aspirazioni c’è molta buona volontà, ed è naturale che sia riconosciuta. Questa buona volontà, se sarà resa attiva nel modo giusto, potrà rendere preziosi servigi quando si tratti dì raccogliere energie umane per un’impresa sociale per la quale occorra creare nuove premesse. Tuttavia appunto in questo caso è necessario mostrare come la migliore volontà debba fallire quando voglia realizzare le sue aspirazioni senza pienamente tener conto di premesse basate sulle cognizioni dei fatti.

 

3. Resta così caratterizzata una delle esigenze di cui va tenuto conto nella fondazione di un istituto quale dev’essere la Scuola Waldorf. Nel suo spirito pedagogico e nel suo metodo, deve dominare l’idealismo; ma un idealismo che abbia il potere di destare nel giovane le forze e le facoltà che gli abbisogneranno nel corso della vita, per avere, riguardo alla collettività, adeguata energia di lavoro, e riguardo a se stesso un valido sostegno per la propria vita interiore.

 

4. La pedagogia e il metodo scolastico non potranno assolvere tale compito, se non si fonderanno sulla vera conoscenza del ragazzo nel suo divenire. Persone illuminate domandano oggi un’educazione e un’istruzione miranti non ad un sapere unilaterale, ma alla conquista di attitudini, non alla mera coltivazione di doti intellettuali, ma a dare capacità volitive. Non si può aver dubbi sulla giustezza di questo pensiero. Tuttavia è impossibile educare la volontà e il sano sentire che sta alla sua base, se non si sviluppa la comprensione atta a destare forti stimoli d’azione nel sentimento e nella volontà. Un errore oggi frequente in questo campo non consiste nell’impartire ai giovani troppa sapienza, ma piuttosto nell’impartire loro cognizioni carenti di forza dinamica per la vita. Si illude chi crede di poter formare la volontà senza coltivare la comprensione vivificatrice della medesima. È compito dell’odierna pedagogia veder chiaro su questo punto; tale visione chiara può solo risultare da una conoscenza viva dell’uomo completo.

 

5. Così come per ora è ideata, la Scuola Waldorf sarà una scuola popolare [sottolineo ancora che una scuola popolare a pedagogia steineriana o waldorfiana non si attuò mai in Italia, dato che i costi esosi della sedicente odierna scuola steineriana sono inaccessibili per il popolo - ndc], i cui scopi e programmi sono edificati sulla penetrazione, resa viva in ogni insegnante, della natura completa dell’uomo; per quanto le attuali condizioni lo consentono. Si intende che i ragazzi delle singole classi debbono essere portati al punto di poter corrispondere a quanto richiedono le idee d’oggi. Ma entro questi confini, gli scopi dell’insegnamento e i programmi del medesimo devono esser tali quali risultano dalla suddetta conoscenza dell’uomo e della vita.

 

6. Il fanciullo è affidato alla scuola elementare nell’età in cui avviene una profonda trasformazione nella costituzione della sua anima. Nel periodo che va dalla nascita fino al sesto o settimo anno, il bambino ha la tendenza ad abbandonarsi totalmente all’ambiente umano che lo circonda, e a conformare le sue forze in via di sviluppo secondo l’istinto di imitazione. Dopo quest’epoca l’anima si schiude a ricevere coscientemente ciò che agisce dall’educatore e dall’insegnante sul fanciullo in base a un’autorità naturale. Il fanciullo accetta tale autorità, perché sente oscuramente come nel suo educatore e maestro viva qualcosa che deve vivere anche in lui. Non si può essere educatori o maestri senza porsi con piena consapevolezza in rapporto col fanciullo, così da tener conto della trasformazione dell’istinto imitativo nella facoltà di assimilazione fondata sul sentimento di una naturale autorità. La concezione di una vita basata sulla sola scienza naturale propria all’umanità moderna, non considera con piena coscienza simili fatti dello sviluppo umano. Solo chi è sensibile alle manifestazioni più sottili dell’essere umano, potrà rivolgervi l’attenzione necessaria. Questa sensibilità deve dominare in tutta l’arte di educare e di istruire; deve formare i programmi e vivificare lo spirito che unisce educatori ed allievi. Ciò che l’educatore fa, non può dipendere che in minima parte da quello che suscitano in lui le norme generiche di una pedagogia astratta; in ogni istante della sua azione egli deve rinnovarsi e quasi rinascere dalla conoscenza viva del ragazzo in via di divenire. È facile obiettare che un’educazione e un insegnamento vitali sono impossibili in classi numerose. Entro certi limiti tale obiezione è certamente giustificata; ma chi la estende oltre certi limiti dimostra solo di parlare dal punto di vista di norme pedagogiche astratte, poiché un’educazione, un insegnamento vivo, poggiante su una reale conoscenza dell’uomo, si compenetra di forza tale da destare l’interesse del singolo alunno, e da rimuovere la necessità di vincolarne l’attenzione mediante un lavoro direttamente “individuale”. Si può impartire l’educazione e l’insegnamento in modo che l’allievo se lo appropri da sé in modo individuale. È però necessario che l’opera dell’insegnante sia sufficientemente compenetrata di vita. Chi sente che cosa sia la vera conoscenza dell’uomo, vede a tal segno nel ragazzo in via di divenire un problema vitale da risolvere, che nel tentarne la soluzione risveglia la partecipazione dei suoi allievi. E questa partecipazione giova molto di più di un’azione esercitata individualmente sull’alunno, la quale potrebbe facilmente pregiudicarne l’attività spontanea. Sempre entro certi limiti, si può sostenere che classi numerose, guidate da maestri pieni della vita suscitata da vera conoscenza dell’uomo, raggiungeranno risultati migliori rispetto a classi ridotte in cui, partendo da una pedagogia teorica, i maestri non siano in grado di sviluppare quella vita.

 

7. Una conoscenza profonda della natura umana osserva nella costituzione animica del bambino sul finire del nono anno un mutamento che, dal punto di vista dell’educazione, è pari in importanza a quello del sesto o settimo anno, sebbene si manifesti con minore evidenza. Il sentimento dell’io assume allora una forma che determina tra il fanciullo e la natura e in genere tutto l’ambiente, un rapporto tale da permettere che gli si parli ora maggiormente delle relazioni che le cose hanno tra loro, mentre prima di quel momento egli sviluppava interesse quasi esclusivamente per le relazioni che i fatti e le cose hanno con l’uomo. Questi processi dell’evoluzione umana devono essere osservati nel modo più accurato dall’educatore. Se infatti nel mondo delle rappresentazioni e dei sentimenti del fanciullo s’introduce ciò che in un dato periodo della vita armonizza appunto con l’indirizzo delle forze che in lui si svolgono, si rafforza l’essere umano intero, così che tale rafforzamento resta per lui una sorgente di energie per tutta la vita. Se invece in un periodo della vita si lavora contro la direttiva dell’evoluzione, s’indebolisce l’essere mano.

 

8. Nella conoscenza delle esigenze speciali di ciascun periodo della vita sta la base di un giusto programma d’insegnamento. Ma su questa conoscenza si fonda pure il modo con cui va trattata la materia d’insegnamento nei periodi successivi. Alla fine del nono anno sarà necessario aver portato il fanciullo fino a un certo grado rispetto a tutto ciò che è penetrato nella vita umana attraverso l’evoluzione della civiltà. Perciò a ragione si dedicheranno appunto i primi anni di scuola a insegnare a scrivere e a leggere; ma questo insegnamento dovrà essere disposto in modo da non ledere le forze che devono evolversi in questo periodo. Se si insegnano le cose in modo da occupare unilateralmente l’intelletto infantile e da promuovere solo un’astratta conquista di attitudini, la natura sensitiva e la volontà si atrofizzano. Se invece il fanciullo apprende in modo da partecipare tutt’intero all’attività che svolge, si sviluppa armonicamente in ogni sua parte. Nel disegno ed anche nelle pitture primitive, tutto l’essere del bambino partecipa con interesse a ciò che fa; perciò si dovrebbe far derivare la scrittura dal disegno. Si tenti di ricavare le forme delle lettere da forme in cui possa applicarsi l’infantile senso artistico; si faccia derivare la scrittura, che conduce a ciò che è sensato, intellettuale, da un’occupazione che essendo artistica interessa tutto l’uomo. E soltanto dalla scrittura si tragga poi la lettura che concentra fortemente l’attenzione nel solo campo intellettuale.

 

9. Se si comprenderà quanto sia necessario trarre ciò che è intellettuale dall’educazione artistica, si sarà più inclini a dare all’arte il posto che le spetta nel primo insegnamento elementare. Si darà in quei primi anni il posto dovuto alla musica e anche all’arte plastica, e si collegherà adeguatamente l’insegnamento artistico con gli esercizi fisici. La ginnastica e i giochi di movimento diventeranno espressioni di sentimenti suscitati dalla musica o dalla recitazione. Il movimento euritmico, vivo di significato, sostituirà quello che si fonda unicamente sull’anatomia e sulla fisiologia del corpo. Si vedrà allora quale potente forza formativa della volontà e del sentimento derivi da una conformazione artistica dell’insegnamento. Ma un’educazione e un’istruzione veramente feconde in questo senso potranno essere impartite solo da maestri i quali, grazie ad un’approfondita conoscenza umana, penetrino il nesso fra il proprio metodo e le forze evolutive che si manifestano in un dato periodo della vita. Non è vero insegnante ed educatore chi ha imparato la pedagogia come la scienza di trattare i fanciulli, ma colui nel quale la conoscenza dell’essere umano ha risvegliato il maestro.

 

10. Per la formazione interiore è importante che il bambino, prima d’aver compiuto i nove anni, sviluppi un rapporto col mondo esterno attraverso la fantasia; è una tendenza che l’uomo porta in sé. Se l’educatore non è un esaltato, non ci sarà pericolo che renda esaltato il fanciullo anche se gli presenterà il mondo delle piante e degli animali, dell’aria e delle stelle, mediante fiabe, favole ed altre narrazioni consimili, facendogliele vivere dentro l’anima.

 

11. L’insegnamento oggettivo è certo giustificato entro certi limiti; ma se, mossi da concezione materialistica, lo si estende a tutto si trascura il fatto che nell’entità umana esistono anche forze che non possono essere sviluppate mediante la sola visione oggettiva. Così l’apprendimento solo mnemonico di talune cose è connesso con le forze evolutive che vanno dal 6° o 7° anno fino al 14°. Su questa facoltà della natura umana deve fondarsi l’insegnamento dell’aritmetica. Esso può addirittura essere usato come mezzo per sviluppare le forze della memoria. Trascurando questo fatto si sarà forse indotti, appunto riguardo all’aritmetica, a preferire in modo antipedagogico l’elemento dell’osservazione oggettiva a quello formativo della memoria.

 

12. Nello stesso errore possiamo cadere se in ogni occasione ci assilla oltre misura l’ansia che il fanciullo debba capire tutto quello che gli comunichiamo. Quest’ansia nasce certo da buona volontà; ma è una buona volontà che non tiene conto di ciò che significa per l’uomo potere più tardi ridestare nella propria anima cose che nella prima età si è appropriato per puro esercizio di memoria, e scoprire che, grazie alla maturità acquistata, riesce ora a comprenderle da sé. Sarà però necessario che la grande vivezza del maestro eviti l’indifferenza che si può temere di generare nell’alunno con l’apprendimento a memoria. Se il maestro compenetra il suo insegnamento con tutto il suo essere, può liberamente insegnare anche cose che il fanciullo comprenderà interamente, con somma sua gioia, soltanto nel riviverle più tardi. Questo rivivere le cose del passato, comprendendole, rafforza il contenuto della vita. Se il maestro è capace d’insegnare in modo da provocare tale rinvigorimento, da’ al fanciullo un tesoro inestimabile per tutta la sua esistenza. Così eviterà anche che il suo “insegnamento oggettivo”, facendo eccessivamente appello alla comprensione del fanciullo, cada nella banalità. Ciò potrà forse favorire l’attività spontanea del fanciullo, ma trascorsa l’infanzia i suoi frutti diventano ingustabili; invece la forza vivificatrice che la viva fiamma del maestro suscita nel fanciullo, rispetto a cose che in certo modo superano ancora la sua “comprensione” presente, permane forza attiva per tutto il corso della vita.

 

13. Se dopo compiuto il nono anno si comincia a descrivere al fanciullo il mondo animale e vegetale in modo che dalle forme e dalle vicende extra-umane risultino comprensibili la forma umana e le manifestazioni della vita umana, si possono destare nell’allievo le forze che in questo periodo appunto anelano a sorgere dalle profondità dell’essere. Risponde al carattere che in quest’epoca della vita assume il sentimento dell’io, il considerare il regno animale e quello vegetale in modo che tutte le qualità e le funzioni che in essi sono ripartite nelle varie specie, si manifestino in armonica unità nell’essere umano come il sommo degli esseri viventi.

 

14. Intorno al 12° anno interviene un’altra tappa nell’evoluzione dell’essere umano. Questi è ora maturo per sviluppare in sé le facoltà grazie alle quali può essere condotto in modo proficuo verso la comprensione di ciò che dev’essere afferrato indipendentemente da ogni rapporto con l’uomo; e cioè verso la comprensione del regno minerale, dei fenomeni fisici, meteorologici, ecc.

 

15. Da simili esercizi, tratti unicamente dal carattere dell’attività umana, senza riguardo ai fini della vita pratica, altri se ne dovranno svolgere come una specie di istruzione al lavoro; ciò pure risulterà dalla conoscenza della natura delle diverse età. Quel che abbiamo accennato qui intorno a singole parti della materia d’insegnamento, si può estendere a tutto ciò che va impartito all’alunno fino al suo 15° anno,

 

16. Né si deve temere che l’allievo sia licenziato dalla scuola in una disposizione d’anima e di corpo estranea alla vita, se nell’insegnamento si sarà tenuto conto nel modo descritto dei principi educativi e didattici che risultano dall’evoluzione interiore dell’essere umano, poiché da questa evoluzione interiore è configurata la stessa vita umana, e l’uomo entrerà nella vita nel miglior modo se, tramite lo sviluppo delle proprie facoltà, verrà a trovarsi in armonia con quello che, movendo da facoltà umane consimili, gli uomini prima di lui incorporano nell’evoluzione della civiltà. Certamente per accordare tra loro lo viluppo dell’allievo e quello della civiltà esterna, occorrono insegnanti che non rinchiudano il loro interesse nella stretta pratica professionale, ma che sappiano pienamente partecipare alla vita in tutta la sua ampiezza. Tali insegnanti troveranno il modo di destare nei giovani non solo la comprensione per i contenuti spirituali della vita, ma anche la capacità di conformarla praticamente. Con tale indirizzo d’istruzione, il giovinetto di 14 o 15 anni sarà in grado di comprendere le cose essenziali che nei diversi campi dell’agricoltura, dell’industria, dei mezzi di comunicazione, ecc., servono alla vita complessiva dell’umanità. Le cognizioni e le capacità che egli si sarà appropriate lo renderanno adatto a orientarsi nella vita. Se la Scuola Waldorf vuole raggiungere la meta vagheggiata da chi l’ha fondata, dovrà erigersi su una base pedagogica quale è quella che abbiamo qui descritta. Potrà così dare un insegnamento e un’educazione che permetteranno al fisico dell’alunno di svilupparsi sanamente secondo le sue necessità, perché l’anima, di cui il corpo fisico è espressione, sarà stata sviluppata in conformità delle sue forze evolutive.

 

17. Prima che la Scuola Waldorf si aprisse si è cercato di lavorare con gli insegnanti in modo da poter mirare alla meta qui delineata per mezzo della scuola. Con siffatto indirizzo coloro che hanno partecipato alla fondazione di questa scuola ritengono di portare nel campo pedagogico qualcosa che risponde veramente alla mentalità sociale odierna. Essi sentono la responsabilità che è legata a simili tentativi, ma credono che, davanti alle esigenze sociali del momento, sia un dovere l’intraprenderli quando se ne presenti la possibilità.

 

15. L’errore fondamentale nel pensare sociale

Presentazione del curatore - L’errore fondamentale nel pensare sociale è in sintesi il nostro pigro anacronismo di fronte al divenire. Nel film “Il pianeta delle scimmie” sono bene rappresentate le condizioni umane attuali, in cui la retrograda vita spirituale e la retrograda vita giuridica la fanno da padrone sugli uomini. Oggi siamo appunto nella condizione di essere governati da androidi, simili a quelle scimmie. Ma non possiamo neanche dire che è colpa loro ciò che sta succedendo su tutto il pianeta e che ci appare come il mega “film” dell’inciviltà in cui siamo piombati come attori-marionette, dato che siamo noi stessi che regolarmente (con una matita ed una croce, come se fossimo analfabeti), deleghiamo i “macachi” a “pensare” per noi…

 

L’errore fondamentale nel pensare sociale

 (cap. 15° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 186 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. A un’idea come quella della triarticolazione dell’organismo sociale, molti fanno sempre di nuovo la seguente obiezione: “Ma il movimento sociale cerca ad ogni costo di superare le disuguaglianze sociali tra gli uomini; come può questo esser raggiunto attraverso trasformazioni apportate all’ordine giuridico e alla vita spirituale, se queste due sfere hanno amministrazioni autonome rispetto all’economìa?”.

 

2. Quest’obiezione è fatta da coloro che vedono, sì, l’esistenza di disuguaglianze economiche, ma non vedono che queste furono generate da uomini conviventi nell’organismo sociale. Si scorge che l’ordinamento economico della società si esprime nel tenore di vita degli uomini; si lavora affinché per molti sorga la possibilità di un tenore di vita che sembri loro più degno, e si crede che questa possibilità si attui dopo aver apportato nell’ordinamento economico certi cambiamenti a cui si pensa.

 

3. Chi guarda più a fondo nelle condizioni della vita umana, deve vedere la causa principale degli attuali inconvenienti sociali nel fatto che è diventato predominante proprio il suddetto ragionamento. Per molti, l’ordinamento economico della vita è troppo distante dalle loro rappresentazioni sulla vita dello spirito e del diritto, per intendere i rapporti con altre rappresentazioni dell’uomo nel complesso umano. La situazione economica degli uomini è il risultato della posizione da loro reciprocamente presa in seguito alle proprie facoltà spirituali ed alle norme giuridiche vigenti fra loro. Chi lo comprende, non può credere di trovare un sistema economico che di per sé sia in grado di mettere gli uomini che vi lavorano in condizioni vitali che appaiano loro degne. Che in un sistema economico si possano trovare, per le proprie prestazioni, controprestazioni corrispondenti che diano la possibilità di un degno tenore di vita, dipende dagli atteggiamenti spirituali degli uomini che vi sono attivi, e dal modo in cui ordinano le loro relazioni reciproche secondo la coscienza che hanno del diritto.

 

4. Negli ultimi tre o quattro secoli l’umanità civile si è sviluppata sotto la spinta di impulsi che rendono difficilissima la comprensione del vero rapporto tra vita economica e vita spirituale. L’uomo è stato irretito in connessioni che, per le conquiste della tecnica in campo economico, hanno ricevuto un’impronta non più corrispondente all’educazione dello spirito e alle idee giuridiche che erano venute formandosi da precedenti epoche evolutive. Ci siamo abituati ad esaltare con unanime riconoscimento i progressi spirituali dell’epoca moderna, senza però rivelare che questi furono conseguiti soprattutto nei campi direttamente connessi con la vita tecnico-economica. È certo che la scienza può vantare conquiste poderose, ma può vantarle soprattutto là, dove tali conquiste furono provocate da esigenze della vita tecnico-economica.

 

5. Sotto l’influsso di questo genere di progresso spirituale si formò nelle sfere dirigenti dell’umanità l’abito mentale di giudicare ogni condizione della vita in base a principi economici. Nella maggioranza dei casi, queste sfere dirigenti non sono coscienti di questo loro modo di giudicare; lo praticano inconsapevolmente. Credono di vivere secondo ogni sorta di impulsi etici ed estetici; ma inconsciamente seguono loro giudizio, determinato dalla vita tecnico-economica. Pensano economicamente, mentre credono di vivere esteticamente, religiosamente, eticamente.

 

6. Nei pensatori socialisti, questo abito mentale delle classi dirigenti è oggi diventato un dogma. Credono che tutta la vita sia determinata dall’economia,perché coloro da cui hanno ereditato le loro opinioni hanno fatto del pensiero economico la loro abitudine mentale, in massima parte inconscia. Così i pensatori socialisti vogliono trasformare l’ordinamento economico proprio secondo quella concezione che causò lo stato di cose che ritengono urgentemente bisognoso di trasformazione. Non si accorgono che se agissero secondo le idee che hanno condotto allo stato di cose a cui si oppongono, non farebbero che peggiorarla. Gli uomini vogliono infatti restare attaccati alle loro idee e abitudini mentali ancora molto più ostinatamente che non alle istituzioni.

 

7. Ora però l’evoluzione umana è arrivata a un punto in cui, per la sua propria natura, esige progresso, non solo delle istituzioni ma anche delle idee e delle concezioni. Il destino del movimento sociale dipende dal fatto che sia o no sentita questa esigenza che la stessa storia dell’umanità impone. Per quanto strano possa apparire ancora oggi a molti, è pur vero che la vita moderna ha preso una forma che non è più possibile padroneggiare coi modi di pensare del passato.

 

8. Si dice a ragione che la questione sociale vada trattata diversamente da come hanno fatto, ad esempio, Saint Simon, Owen, Fourier (Claude Henri de Saint Simon, 1760-1851, fondatore della cosiddetta prima scuola socialistica, seconda la quale le strutture della società umana dovevano essere organizzate secondo le leggi della scienza naturale; Robert Owen, 1771-l858, riformatore sociale idealista; si veda in proposito quanto ne dice Steiner nello scritto “Scienza dello spirito e problema sociale”, in appendice del presente volume; François Marie Charles Fourier, 1772-1851, creatore di un sistema socialistico su base scientifica); che coi loro impulsi spirituali non si possa trasformare la vita economica. Da ciò si trae la conseguenza che nessun impulso spirituale possa avere influenza trasformatrice sulle condizioni della vita sociale. La verità è che chi pensa così ha ricevuto le sue idee da una vita spirituale che per sua natura non era più adatta a dominare la vita economica moderna. Così, invece di arrivare alla sana conclusione che dunque occorre un rinnovamento della vita spirituale e del diritto, si perviene all’opinione che le auspicate condizioni sociali debbano risultare di per sé dalla vita economica. Quelle condizioni però non risultano. Risulterà invece solo confusione economica se non ci sarà il progresso della vita spirituale e giuridica che l’epoca moderna domanda a gran voce.

 

9. Ciò che nel campo sociale deve accadere oggi e nel prossimo avvenire dovrà essere sorretto dal coraggio di raggiungere il progresso desiderato nella vita spirituale e giuridica. Senza questo coraggio, si potranno anche fare cose bene intenzionate, ma che non condurranno a condizioni durevoli. Perciò in questo campo la cosa più urgente è oggi divulgare il fatto che la nuova cultura spirituale è il fondamento di un prospero sviluppo dell’umanità civile. I frutti di questa nuova cultura spirituale matureranno nell’ordinamento economico; una vita economica che voglia riformarsi da sé non farà che riprodurre, peggiorati, gli antichi inconvenienti. Finché si chiederà alla vita economica di sviluppare negli uomini le loro predisposizioni, si aggiungeranno ai vecchi mali, mali nuovi. Solo quando si arriverà a intendere che l’uomo, col proprio spirito, deve apportare alla vita economica quello di cui essa ha bisogno, si potrà lavorare coscientemente a raggiungere ciò che incoscientemente si richiede.
 

 

16. Le radici della vita sociale

Presentazione del curatore - Nel seguente articolo intitolato “Le radici della vita sociale” Steiner mostra l’importanza del rapporto fra organismo umano e organismo sociale. Aggiungo qui alcuni appunti che credo importanti per chi intende studiare la triarticolazione. Nessuno ha il monopolio della triarticolazione. Ogni individualità umana è il vero esperto, e non bisogna fidarsi dell’insegnamento di nessuno, me compreso. In questa pagina metto solo a disposizione la mia esperienza di studioso per indicare, a gentile richiesta di un giovane amico, i due testi principali consigliabili per lo studio della triarticolazione sociale. Sia ben chiaro dunque che nessuno ha (né può avere) il monopolio di questa idea tri-unitaria per l’organismo sociale. Con un dito non puoi sostenere un foglio di carta, nemmeno con due dita puoi farcela stabilmente; con tre dita invece ci riesci perché la realtà stessa è tri-unitaria: vi è un oggetto, un soggetto, ed un rapporto fra questi. Ognuna di queste tre cose, prese da sole, non è la realtà. Tutte e tre invece sono la realtà. Chi si avvicina per la prima volta all’idea della triarticolazione dell’organismo sociale si avvicina sostanzialmente a se stesso, cioè alla fisiologia del proprio organismo corporeo. In tal modo diventa subito giustificabile - in senso non dogmatico, né teologico o moraleggiante ma fisiologico appunto - anche il rapporto epicheico fra “sabato” e “uomo” spiegato dal Cristo. Si tratta ora di incominciare a capire in senso fisiologico la similitudine fra organismo sociale e organismo umano. La fisiologia odierna è indietro rispetto a quella della medicina antroposofica ma questo non deve costituire un ostacolo. L’uomo, non potendo né con droghe né con altri espedienti eliminare il pensare, dovrà prima o poi pareggiare i conti della scienza fisiologica, riconoscendo le dinamiche del pensare, del sentire e del volere, anche in rapporto all’io umano. Si provi per esempio a rispondere al seguente quesito ancora molto in ombra: come mai quando mi vergogno arrossisco, mentre quando mi spavento impallidisco? Qual è il senso fisiologico dei colori rosso e bianco nei fenomeni umani rispettivi a vergogna e paura? Prova a cercare (anche nel web) questa spiegazione e ti accorgi subito che ben pochi riescono a convincerti. Ovviamente, la risposta di chi dicesse che scientificamente i colori non esistono, non avrebbe alcun valore, essendo questa una reale scemenza, simile a quella di chi guardando dal suo punto di vista la luna dicesse che la luna è una circonferenza piatta, o ha forma di falce, e non anche una sfera celeste. Ecco perché lo “scemo” era l’antica parola con cui si indicava la parte non visibile della luna. Secondo la scienza dello spirito antroposofica e secondo precise verifiche della fisiologia (1) i sentimenti di paura e di vergogna testimoniano che è il sangue a far battere il cuore, e non il cuore a pompare sangue: se io mi spavento divento pallido perché il sangue dalla periferia va a proteggermi nel mio centro di equilibrio. Perciò divento pallido. Se invece mi vergogno, dal centro di me stesso vorrei fuggire via, oltre me stesso, fuori, nel cosmo. Qui il sangue è testimone della mia volontà centrifuga e mi fa arrossire. Il libro “Enigmi dell’anima”, che Steiner scrive dopo trent’anni di riflessioni e di studi sulla fisiologia umana, è da lui raccomandato per tentare di risolvere fisiologicamente e secondo realtà le problematiche sociali, che ancora oggi sono ancora senza alcuna prospettiva per un futuro migliore: “In pieno accordo con quanto già oggi può dire l’indagine scientifica naturale, ho tentato di descrivere questa triplice organizzazione dell’essere naturale umano, nel mio libro “Enigmi dell’anima”, per ora molto sommariamente. Sono certo che la biologia, la fisiologia e tutta la scienza naturale concernente l’uomo, saranno portate a riconoscere in un futuro molto prossimo [questa certezza di Steiner sul futuro molto prossimo è un errore di ottimismo: se considero le persistenti scemenze degli attuali informatori scientifici sul cuore-pompa e sui nervi-motori, devo altrimenti supporre che Steiner ragionava sentendo “molto prossimo” un futuro di secoli o millenni - ndc, luglio 2015] come questi tre sistemi: della testa, della circolazione (o del petto) e del ricambio, mantengano il funzionamento generale dell’organismo umano perché operano con una certa autonomia, senza che vi sia un assoluto accentramento nell’organismo umano; e perché ciascuno di questi tre sistemi ha un rapporto speciale, per sé stante, col mondo esterno. Il sistema della testa per mezzo degli organi di senso, il sistema della circolazione o ritmico per mezzo della respirazione, e il sistema del ricambio mediante gli organi della nutrizione e del movimento” (Rudolf Steiner, “Tentativi per risolvere secondo realtà le questioni e necessità sociali imposte dalla vita” in “I punti essenziali della questione sociale”, Ed. Antroposofica, cap. 2°, pp. 44-51, Milano 1980). Quindi i due testi base iniziali per approfondire l’idea della triarticolazione sociale sono “Enigmi dell’anima” e “I punti essenziali della questione sociale”.

Strutture da considerare

- Prima struttura da considerare è l’organizzazione del capo umano (connessa a tutto il sistema nervoso e sensoriale). Pensata socialmente questa struttura va capovolta. Non solo perché i veri frutti che alimentano l’organismo sociale provengono dalla testa umana similmente alla linfa vitale proveniente dalle radici dei vegetali, ma anche perché osservando bene tali radici si nota che le circonvoluzioni del cervello hanno una forma simile. L’uomo va dunque pensato capovolto come un fiore o un vegetale, vale a dire piantato con la testa a mo’ di radici nel terreno sociale. Il segreto della veggenza della similitudine fra organismo sociale e organismo umano è dunque questo capovolgimento. “Confrontando l’organismo sociale con quello umano - spiega Steiner nella 2ª conf. del ciclo “Risposte della scienza dello spirito a problemi sociali e pedagogici” - si arriva a un giusto risultato soltanto pensando all’organismo sociale messo alla rovescia”.

- Un’altra struttura si situa invece nel torace e riguarda il sistema ritmico, soprattutto la respirazione e la circolazione sanguigna, ma anche qualsiasi altro processo ritmico dell’organismo umano.

- La terza struttura, metabolismo, riguarda principalmente le membra e gli organi attivi nei processi del ricambio.

L’organismo umano è sano se ogni struttura interagisce con le altre due mantenendo la propria autonomia. Invece è malato se una delle strutture esce indebitamente dal proprio ambito e sconfina in quello delle altre. Così è per l’organismo sociale. Questo deve potersi articolare in tre strutture indipendenti in se stesse ed aventi ognuna la speciale organizzazione che le è propria.

Le tre strutture in questione sono rispettivamente quella economica, quella politica e quella culturale.

Nei tre sistemi (1° nervoso, 2° ritmico-respiratorio, 3° metabolico) è contenuto tutto quanto è necessario, se organizzato con reciprocità d’azione, al sano funzionamento complessivo dell’organismo umano. Il concetto di articolazione, inteso nelle tre strutture sociali e nei tre sistemi del corpo umano, non riguarda parti della società o del corpo spazialmente delimitate, ma le attività, cioè le funzioni dell’organismo. Anche il concetto di organismo non riguarda parti pensate come sezionate o staccate. Per esempio il termine “organismo del capo” è usato da Steiner tenendo presente che nel capo ha il suo centro in prima linea la vita dei nervi e dei sensi, ma che naturalmente esistono nel capo anche attività del ritmo e del ricambio, come nelle altre parti esiste attività neuro-sensoriale. Nondimeno i tre generi di attività sono nettamente distinti tra loro nella loro natura essenziale.

Alcuni errori da non fare.

L’organismo sociale triarticolato non significa “diviso in tre parti” cioè tripartito. Steiner ha promosso il termine “triarticolazione” (“dreigliederung” in tedesco) distinguendolo bene da “tripartizione” in quanto l’organismo sociale triarticolato non significa “diviso in tre parti” cioè tripartito, dato che la divisione in tre parti evoca una mera giustapposizione degli “arti” dell’organismo sociale e non il loro articolarsi, appunto. Chi crede all’opportunità di rendere in italiano il concetto “dreigliederung” con “tripartizione” - errore fatto soprattutto dagli inglesi con “threefolding” - pecca di superficialità, dando più importanza alla forma delle consuetudini linguistiche, che ai contenuti sostanziali dei concetti. L’organismo sociale triarticolato non significa nemmeno un organismo analogico alla fisiologia umana da “computerizzare” nei particolari: “da quando Schäffle (A. E. F. Schäffle, 1831-1903, economista) scrisse il suo libro sulla struttura dell’organismo sociale (“Bau und Leben des sozialen Körpes”, Tübingen) si è tentato di ricercare analogie fra l’organizzazione di un essere naturale, diciamo dell’uomo, e la società umana come tale. Si è voluto stabilire che cosa sia la cellula nell’organismo sociale, che cosa l’aggregato di cellule, i tessuti, ecc. È comparso anzi di recente un libro di Merey, Weltmutation, nel quale certe leggi e certi fenomeni naturali sono semplicemente applicati all’organismo della società umana. Quanto qui si vuole esporre non ha assolutamente nulla a che fare con un simile giocherellare con le analogie. E chi credesse che anche in questa trattazione ci si voglia baloccare in tal modo con delle analogie tra l’organismo naturale e quello sociale, mostrerebbe soltanto di non essere penetrato nello spirito di quel che si è inteso dire. Qui infatti, lungi dal voler trapiantare nell’organismo sociale qualche verità inerente a fatti scientifici, si vuole una cosa del tutto diversa, e cioè che dallo studio dell’organismo naturale il pensiero e il sentimento umano imparino a sentire ciò che ha possibilità di vita, per poi essere in grado di applicare questo modo di sentire all’organismo sociale. Se, come spesso accade, si trasporta semplicemente nell’organismo sociale quanto si crede di aver imparato nei riguardi dell’organismo naturale, si dimostra soltanto di non volersi conquistare la capacità di considerare l’organismo sociale per se stesso, indipendentemente, investigando le sue leggi, come si sa di dover fare per comprendere l’organismo naturale. Dal momento in cui, come lo scienziato della natura studia l’organismo naturale, ci si ponga obiettivamente di fronte all’organismo sociale nella sua autonomia, per scoprire le sue leggi particolari, ogni gioco di analogie cessa di fronte alla serietà dell’osservazione. Si potrebbe anche pensare che a base di questa nostra concezione stia la credenza che l’organismo sociale debba venir “costruito” secondo un’astratta teoria copiata dalla scienza naturale. Ma ciò è quanto mai lontano dalla verità. A tutt’altro s’intende accennare” (“Tentativi per risolvere secondo realtà le questioni e necessità sociali imposte dalla vita”, op. cit.).

 

(1) cfr.: Manteuffel-Szoege L., Gonta J., "Réflexions sur la nature des fonctions mécaniques du coeur", Minerva Cardioangiologica Europea, VI, 261-267, 1958; Manteuffel-Szoege L., Turski C., Grundman J., "Remarks on Energy Sources of Blood Circulation", Bull. Société Inter. Chirur., XIX, 371-374, 1960; Manteuffel-Szoege L., "Energy Sources of Blood Circulation and the Mechanical Action of Heart", Thorax, XV, 47, 1960; Manteuffel-Szoege L., "New Observations concerning the Haemodynamics of Deep Hypothermia", Journ. Cardiovas. Surg., III, 316, 1962; Manteuffel-Szoege L., "Haemodynamic Disturbances in Normo - and Hypothermia with Excluded Heart and during Acute Heart Muscle Failure", Journ. Cardiovas. Surg., IV, 551, 1963; Manteuffel-Szoege L., "On Stopping and Restarting of Circulation in Deep Hypothermia", Journ. Cardiovas. Surg., V, 76,1964; Manteuffel-Szoege L., Michalowski J., Grundman J., Pacocha W., "On the Possibilities of Blood Circulation Continuing after Stopping the Heart", Journ. Cardiovas. Surg., VII, 201,1966.

 

Le radici della vita sociale

 (cap. 16° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 189 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Nel mio libro “I punti essenziali della questione sociale” è, sì, dedotto il paragone dell’organismo sociale con quello umano naturale; ma al tempo stesso vi si richiama l’attenzione sul come tragga in errore il credere di poter trasportare, senz’altro, in un campo, concezioni ricavate da un altro campo. Chi guarda all’attività della cellula o di un organo, nel corpo umano secondo le opinioni della scienza, e poi cerca la “cellula sociale” o gli “organi sociali” per imparare a conoscere la struttura e le condizioni di vita dell’“organismo sociale”, cadrà molto facilmente in un vuoto giuoco di analogie.

 

2. É diverso l’accennare, come è stato fatto nei “Punti essenziali”, che una sana contemplazione dell’organismo umano può educare il nostro pensiero nel modo necessario per una comprensione della vita sociale conforme alla verità. Tale educazione ci farà imparare a giudicare i fatti sociali non secondo opinioni preconcette ma secondo la loro propria legge. Ed è questo che occorre oggi, prima di tutto. Perché oggi, riguardo al giudizio sociale, siamo profondamente immersi in opinioni di partito. Queste non sono formate secondo quanto è fondato sulle condizioni vitali dell’organismo sociale, ma sono mosse da oscuri sentimenti di singoli individui, e soprattutto di gruppi umani. Se il modo di giudicare che si applica nei programmi di partito si trasportasse nell’indagine dell’organismo umano, si vedrebbe presto che non se ne aiuterebbe la comprensione, ma la si ostacolerebbe.

 

3. Nell’organismo, l’aria che si inspira deve continuamente essere resa inservibile. L’ossigeno, deve trasformarsi in acido carbonico. Perciò devono esserci provvedimenti per i quali gli elementi divenuti inservibili siano sostituiti da elementi utili. Chi in un’osservazione spassionata dell’organismo sociale applica obiettivamente il giudizio educato nello studio dell’organismo umano, scopre che la sfera dell’economia, appunto quando sia istituita nel modo più pratico, deve continuamente generare condizioni che richiedono di essere compensate da altre istituzioni. Come agli organi predisposti a rendere inservibile nell’organismo umano l’ossigeno inspirato, non si può chiedere di renderlo nuovamente servibile, così non si dovrebbe presupporre che dal giro economico stesso nascano provvedimenti atti a compensare ciò che esso deve generare di ostacolo alla vita.

 

4. Tale compensazione può essere prodotta solo da un organismo giuridico vivente accanto all’economia, che si costituisca per forza propria e secondo la propria natura, e da una vita spirituale che, indipendentemente dalle organizzazioni economica e giuridica, cresca libera secondo radici proprie. È superficiale chiedersi se la cura della vita spirituale non debba forse essere legata alle esistenti condizioni del diritto. Certo che deve esserlo! Ma un conto è che gli uomini che coltivano la vita dello spirito siano dipendenti da quella del diritto, un altro conto è che occuparsi dello spirito dipenda dalle istituzioni della vita giuridica. Si dovrà constatare che l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale suscita facilmente obiezioni giudicandola in modo preconcetto, ma che tali obiezioni si sgretolano se la si pensa fino in fondo.

 

5. L’economia ha leggi proprie che di per sé nell’organismo sociale creano condizioni distruttive. Se però si vogliono eliminare tali condizioni distruttive mediante provvedimenti economici, si distrugge l’economia stessa. Nell’economia moderna sono sorti inconvenienti dovuti all’amministrazione capitalistica privata dei mezzi di produzione. Se si vogliono estirpare i danni mediante il provvedimento economico dell’amministrazione collettiva dei mezzi di produzione, si rovina l’economia moderna. Invece si rimedierebbe ai mali se, accanto al giro economico, si creasse un sistema giuridico indipendente da esso, ed una libera vita spirituale; i danni che risultano continuamente dalla vita economica sarebbero con ciò annullati già nel nascere. Non accadrebbe che si eliminano i danni solo dopo che gli uomini ne hanno sofferto, dato che le organizzazioni instaurate accanto a quelle economiche servirebbero a neutralizzarli.

 

6. Le opinioni di partito dell’epoca moderna hanno distolto il giudizio dalle condizioni di vita dell’organismo sociale, e lo hanno fatto deviare nelle correnti delle passioni di gruppo. È necessario correggerle al più presto a partire dal lato in cui gli uomini possono conquistarsi l’imparzialità, e cioè dal contatto con l’organismo naturale, in cui la vita del pensiero si corregge da sé studiando le condizioni che per loro natura richiedono spassionatezza.

 

7. Però non arriverà lontano chi applichi per tale correzione solo le idee scientifiche ordinarie. Perché per molti riguardi a tali idee manca la forza di penetrare abbastanza a fondo nei fatti della natura. Se invece si cerca di attenersi non a quelle ma alla natura stessa, ci si pone in grado di attingere lì la spassionatezza, più che nelle opinioni di partito. Nonostante la buona volontà di molti scienziati di trascendere con la propria mentalità il materialismo, ancora adesso le idee scientifiche consuete sono compenetrate di materialismo. Può correggerle uno studio della natura, che parta da indagine spirituale, fornendo la base per una disciplina del pensiero che nei suoi risultati sia all’altezza anche della comprensione dell’organismo sociale.

 

8. L’idea della triarticolazione dell’organismo sociale non si limita a trasportare semplicemente le conoscenze naturali dal campo della natura in quello della vita sociale. Nell’osservazione della natura essa vuole semplicemente avere la forza di osservare senza pregiudizi il mondo dei fatti sociali. Questo dovrebbero considerare coloro che sentono parlare superficialmente di una triarticolazione della vita sociale in modo analogo a come si può parlare di una triarticolazione dell’organismo naturale umano. Chi prende sul serio quest’ultima nel suo genere, proprio cosi facendo si accorge che una cosa non può essere trasferita all’altra. Tramite il modo di pensare che impiega solitamente per studiare l’organismo naturale egli si creerà però la direzione di pensiero che gli permetterà di orientarsi anche tra i fatti sociali.

 

9. Si potrebbe forse obiettare che con questo modo di vedere si ricaccino nel grigiore delle teorie astratte le idee sociali; ma bisognerebbe pur dire che una simile opinione dura solo finché si guardi da fuori questo “ricacciare”, dato che in tal modo si sente naturalmente come “grigio” quanto si vede indistintamente da lontano e “colorato” quanto si genera dalla “vicina” passionalità. Se però ci si avvicina al “grigio” si sentirà destarsi qualcosa di simile alla passionalità, che sarà però diretta a tutto quanto c’è di veramente umano, e che si perde d’occhio quando si guarda dal punto di vista dei partiti e delle opinioni.

 

10. È davvero urgentissimo oggi avvicinarci a ciò che è veramente umano, perché le posizioni di lotta dei gruppi umani che si separano hanno danneggiato abbastanza. Dovrebbe ormai maturare la comprensione che il rimedio non può consistere nel creare nuove posizioni di lotta, ma nell’osservare ciò che la storia stessa impone al momento attuale dell’evoluzione umana. È ovvio constatare i mali ed esigerne l’eliminazione tramite programmi; ma è necessario inoltrarci fino alle radici della vita sociale per risanarne, attraverso quelle, anche i fiori e i frutti.

 

17. Il terreno della triarticolazione

Presentazione del curatore - Il terreno della triarticolazione di cui parla Steiner in questo articolo fu espresso a suo tempo anche dagli evangelisti a proposito del vino nuovo da non mettere in otri vecchi se non si vuole vederli esplodere, disperdendone il vino (Luca 5,37-38; Matteo 9,17; Marco 2,22).

 

Il terreno della triarticolazione

 (cap. 17° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 193 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. L’essenziale nella triarticolazione è che con quest’ idea si considerino le condizioni sociali senza prevenzioni di classe e di partito dal punto di vista della domanda: “Cosa va fatto oggi in senso evolutivo per arrivare ad una struttura degli organismi sociali che offra possibilità di vita?”. Chi lotta seriamente e onestamente per trovare una risposta a questa domanda non può trascurare il fatto che oggi la vita economica e la vita politico-giuridica sono cadute in un reciproco contrasto distruttore. L’odierna divisione dell’umanità nelle classi in cui viviamo proviene da cause economiche. In grembo all’evoluzione economica, e per sua causa, uno diventa proletario, l’altro imprenditore, un terzo un uomo attivo nella sfera della cultura spirituale. Uomini di pensiero socialistico non si stancano di porre questo fatto sul primo piano delle loro rivendicazioni, per farle poi apparire in tale sfondo come qualcosa di ovvio. Non pensano però che ciò che più conta è vedere per quale motivo la vita economica abbia potuto agire con tanta preponderanza sulla divisione in classi dell’umanità. Non si vede che tale divisione avvenne in quanto all’azione economica non si fece fronte con alcuna azione politico-giuridica adeguatamente contrapposta. Dal giro economico l’uomo venne messo su un terreno che lo isolava, e si trovò a dover meramente sopravvivere nelle condizioni offertegli dalla situazione economica. Cosi un uomo non comprese più l’altro. Non poteva più intendersi con lui, e tutt’al più poteva sperare di batterlo e di sopraffarlo con l’aiuto di chi si trovava nelle sue stesse condizioni. Dalle profondità dell’evoluzione umana, non era sorta una vita politico-giuridica capace di riunire i gruppi umani isolati. Non si vide che continuare a pensare secondo gli antichi impulsi politico-giuridici contrastava con le nuove forze economiche.

 

2. Ma non si può lavorare nell’economia nel modo richiesto dalle condizioni invalse negli ultimi due secoli, se si lasciano cadere gli uomini in condizioni sociali corrispondenti a un pensiero politico-giuridico inerente ad epoche precedenti. Né si può sperare che la divisione in classi, sorta senza nuove aspirazioni politiche, possa essere il punto di partenza di una riforma dell’organismo sociale. È naturale che le classi che si sentono oppresse non riconoscano giustificata quest’affermazione: “Già da più di mezzo secolo abbiamo nuove aspirazioni politiche!”. La dimostrazione che ciò non sia vero, nel mio libro “I punti essenziali della questione sociale” è posta a base delle ulteriori idee sulla forma adeguata di ricostruzione sociale. Karl Marx e i suoi seguaci chiamarono, sì, alla lotta gli uomini di una data classe sociale; ma diedero loro solo quei pensieri che avevano presi dalle classi che volevano combattere. Perciò anche se la lotta dovesse condurre al fine da molti auspicato, nulla di nuovo potrebbe risultarne, ma solo il vecchio, anche se guidato da uomini di una classe diversa da quella che ha retto il timone finora.

 

3. Il riconoscimento di ciò non condurrà certo all’idea della triarticolazione, ma potrà almeno prepararne la via. Finché un numero sufficiente di uomini non arriverà a capirlo si continuerà a pretendere di spremere invano dalle antiche idee politico-giuridiche impulsi che siano all’altezza delle condizioni economiche presenti. Se non ci si persuade di ciò, si rifugge dalla triarticolazione dell’organismo sociale perché essa ci appare in contrasto con ciò che ci siamo abituati a pensare.

 

4. È d’altronde comprensibile che, in un tempo così apportatore di tante sventure, gli uomini arretrino spaventati se si chiede loro di pensare secondo una forza propria, tratta dalle profondità della vita umana. Molti si sentono oppressi dalle vicende del tempo e disperano della forza di idee creative. “Attendono” finché le “condizioni” creino una situazione più favorevole. Ma le “condizioni” non creeranno mai altro, se non ciò che sarà stato immesso in esse da idee umane.

 

5. “Tuttavia”, dicono molti, “le idee migliori non possono praticamente produrre nulla se respinte dalle condizioni della vita”. L’idea della triarticolazione tiene conto appunto di questa obiezione; essa parte dalla conoscenza che né la pratica priva di idee, né l’idea se non è pratica, possono arrivare a un organismo sociale capace di vivere. Di conseguenza non presenta un programma all’uso antico. Di tali programmi ce ne sono già abbastanza per insegnarci che possono, sì, essere “buoni” o “nobili” o “pieni di spirito”, e tuttavia essere respinti dalla realtà. L’idea della triarticolazione tiene conto, nel campo economico, di realtà dell’epoca attuale date dalla natura e dalla vita umana; tiene conto della coscienza del diritto dell’umanità, quale risulta dall’evoluzione umana nel corso degli ultimi secoli, e di una vita spirituale che collochi, entro l’organismo sociale, uomini che ne comprendano le condizioni di vita, e le promuovano in modo che sia creata la possibilità d’esistere per l’organismo sociale stesso. Crede altresì di veder chiaro che, in un organismo sociale triarticolato, gli uomini possano cooperare nella vita, in modo che da questa collaborazione nasca quello non potrebbe mai nascere dall’idea astratta di un programma.

 

5. Chi non vuol vedere questa differenza di principio tra l’idea della triarticolazione e quelle dei programmi consueti, non potrà convincersi delle sue fecondità. È un’idea rispondente alla realtà, perché non vuol tiranneggiare la vita secondo un programma, ma si sforza innanzitutto di creare la base su cui possa svolgersi poi liberamente quella vita da cui si sviluppano gli impulsi sociali. I problemi del presente e del prossimo avvenire sono tali che non possono essere proposti all’intelletto, ma devono risultare da una vita che prima occorre instaurare. L’umanità attuale ha per ora solo un presentimento dei problemi sociali. La loro vera forma apparirà solo quando la struttura dell’organismo sociale sarà costituita in modo che le tre forze vitali contenute nell’esistenza umana, possano sollevare la loro vera realtà dal livello di un sentimento istintivo a quello di un pensiero cosciente. Molte cose che si dicono oggi in proposito, di fronte a una vera conoscenza della vita, fanno un’impressione d’immaturità. Se ne trae la conclusione che gli uomini siano immaturi per configurare la loro vita secondo idee. No; gli uomini diverranno maturi per le risposte quando le domande saranno loro prospettate senza il velo degli antichi pregiudizi.

 

6. Cosi vede la situazione presente chi dall’esperienza della realtà totale si sforza di arrivare all’idea della triarticolazione. Egli vorrebbe che da questa visione delle cose movesse l’azione. Di scambi di parole ne avremo avuti abbastanza, quando dalle parole sarà stata generata l’azione.

 

18. Una vera illuminazione come base del pensiero sociale

Presentazione del curatore - “Una vera illuminazione come base del pensiero sociale” non può più accettare che si continui a ritenere le scuole come una competenza dello Stato, nonostante sia sempre più visibile a tutti che la “maturità” di Stato non sia assolutamente una garanzia per genitori, che credono nella loro coscienza di “stare tranquilli” coi loro figli all’asilo o a scuola. I piccoli uomini di domani saranno sempre più seviziati non solo psicologicamente ma pure fisicamente da questa impostazione in cui la “maturità” è un pezzo di carta che nulla garantisce, esattamente come una moneta BCE o BCI o IOR creata dal nulla… Sono i genitori i veri responsabili dell’educazione e dell’istruzione dei loro figli, non lo Stato delegato. Perciò dovranno loro stessi, grazie alla loro veggenza spirituale, cercare individualmente, periodicamente riuniti in associazioni di genitori, di occuparsi della ricerca delle persone adatte e mature per l’insegnamento pedagogico, didattico e scientifico, consono ai propri figli. In ciò dovrà consistere l’autoamministrazione di scuole e di tutta la struttura connessa alla libertà di ricerca secondo i criteri delle scienze naturali, applicata sia al mondo sensibile che al mondo sovrasensibile, o psicologico che dir si voglia.

 

Una vera illuminazione come base del pensiero sociale

(cap. 18° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 196 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. È sempre più crescente il numero di chi si accorge dell’impossibilità di uscire dall’attuale caos sociale se nel pensare e nel sentire non si prende la via verso lo spirito. Ammetterlo è, nei più, determinato dalle molte delusioni date dalle “idee economico-sociali” che cercavano i loro fondamenti solo nella produzione e nella distribuzione di beni materiali.

 

2. Si può però anche vedere chiaramente quanto sia poco feconda oggi questa ammissione dello spirito. Essa fallisce quando si tratta di generare idee economiche, perché il mero parlare di spirito non basta; esprime solo un bisogno; non da’ consigli quando dovrebbe indicare come soddisfare quel bisogno. In ciò si dovrebbe riconoscere un compito di oggi. Bisognerebbe chiederci: perché persino coloro che ritengono necessaria per la vita sociale un orientamento verso lo spirito non vanno oltre l’affermazione di tale necessità? Perché non arrivano fino a spiritualizzare realmente il pensiero economico?

 

3. Si può rispondere a questa domanda considerando l’odierno sviluppo del pensiero dell’umanità civile. Chi si è sforzato di conquistarsi una concezione del mondo partendo dalla cultura del tempo, considera un segno della propria “cultura spirituale” superiore il parlare dell’“inconoscibile” dietro alle cose. Pian piano è divenuta una credenza molto diffusa che solo una mente piena di pregiudizi possa ancora parlare dell’“essenza delle cose”, delle “cause invisibili delle cose visibili”. Ora un tale atteggiamento di pensiero può reggersi, per un certo tempo, di fronte alla conoscenza della natura. I fenomeni naturali si offrono ai nostri occhi; ed anche chi non vuol saperne d’investigarne le cause, può descriverli, arrivare cosi a un certo contenuto per il suo pensiero.

 

4. Ma questo atteggiamento di pensiero deve fallire in materia di economia. Perché, alla fine, qui i fenomeni sono prodotti da uomini; le esigenze scaturiscono dagli animi umani. Ma negli uomini vive, come essere, appunto ciò che non si riesce più a percepire quando ci si abitua a parlare di fronte alla natura, di un “inconoscibile” come fanno molti seguaci delle concezioni moderne della vita. È avvenuto cosi che il recente passato abbia sviluppato tra i contemporanei abitudini di pensiero che in materia economica falliscono totalmente. Si può osservare l’acqua che gela e l’embrione che si sviluppa, e cosi facendo, parlare “dignitosamente” dell’“inconoscibile” che è nel mondo, ammonendo i propri contemporanei di non perdersi in fantasie intorno a detto “inconoscibile”. Ma con un pensare che si sia educato in uno stato d’animo come questo, non si potranno certamente assolvere i compiti dell’economia. Questi esigono che si penetri nella vita umana piena e complessiva; e qui domina l’elemento spirituale-animico, anche quando si manifesti solamente nelle esigenze di un appagamento di bisogni materiali.

 

5. Si avrà una scienza economica, quale il presente la richiede, solo quando non ci si limiterà più ad “accennare” allo spirito e all’attività interiore, ma quando si cesserà di stigmatizzare come “antiscientifici” e indegni di un uomo illuminato gli sforzi per arrivare a una vera conoscenza dello spirituale. Si potrà infatti applicare il proprio giudizio critico all’attività interiore umana solo quando si penetrerà dentro i suoi nessi con ciò che nella scienza della natura si cerca per l’appunto di evitare.

 

6. A coloro che, partendo dalla propria concezione, parlano di cose soprasensibili, affermando che solo attraverso una conoscenza rivolta in tal modo al soprasensibile, si può vincere il materialismo dominante, si risponde oggi che il materialismo è già “scientificamente” superato; che sono abbastanza numerose le trattazioni che nel campo della “vera” scienza dimostrano che il materialismo non basta a spiegare i fenomeni naturali. Di fronte a ciò bisogna dire che queste risposte possono essere teoricamente interessanti; ma non riescono a vincere il materialismo. Il materialismo sarà vinto quando non si dimostrerà più solo teoricamente che nei fatti del mondo c’è di più di quanto vedono i sensi; sarà superato solo se penetrerà nell’osservazione del mondo lo spirito vivente. Solo questo spirito, operante nella concezione umana, può anche abbracciare nel loro insieme le connessioni che agiscono nella vita materiale delle collettività umane. Si può dimostrare finché si vuole che la “vita” non è solo un processo chimico; con ciò non si torcerà un capello al materialismo. Lo si combatterà efficacemente invece, se si avrà il coraggio, non soltanto di dire che nelle concezioni del mondo deve operare lo spirito, ma di fare di questo spirito il reale contenuto della propria coscienza.

 

7. L’idea della triarticolazione dell’organismo sociale si rivolge a uomini che hanno questo coraggio. Questo coraggio cerca d’introdursi, dalle superficialità dell’esistenza, alla loro entità interiore. Questo coraggio significa la necessità di coltivare una vita spirituale libera e autonoma, perché comprende che una vita spirituale vincolata arriva tutt’al più fino a un “accenno” allo spirito, non però a una “vita” nello spirito. Significa pure la necessità di un’autonoma vita giuridica, perché comprende che la coscienza del diritto ha radice in sfere dell’attività interiore umana che possono essere efficaci solo in una connessione umana che si svolga in piena indipendenza dalla vita spirituale ed economica. Questa comprensione si può raggiungere solo quando si venga a conoscere l’elemento animico dell’uomo. Una concezione della vita che si sia educata all’opinione dell’“inconoscibile”, come molte correnti attuali di pensiero, tenderà all’erronea credenza che si possa trovare una struttura sociale di comunità umane che si formi solamente secondo i fatti materiali della vita economica.

 

8. Il coraggio di cui si parla qui non può fermarsi davanti all’opinione che gli uomini non siano “maturi” per una siffatta radicale trasformazione del loro pensare e sentire. Saranno “immaturi” solo finché la conoscenza dello spirituale sia presentata loro “scientificamente” come un preconcetto. Quanto agisce nel caos attuale non è l’immaturità, ma la credenza che la conoscenza spirituale sia il contrassegno di un uomo poco illuminato. Tutti i tentativi di configurare la vita sociale derivanti da questa “illuminazione” non spirituale, dovranno fallire, perché eliminano lo spirito dai loro tentativi. E nel momento stesso in cui l’uomo esilia lo spirito dalla sua coscienza, lo spirito solleva le sue esigenze nell’inconscio. Solo quando l’uomo non opera contro lo spirito, lo spirito può aiutare le azioni umane, e con lo spirito opera soltanto colui che lo accoglie entro la propria coscienza. Il superamento di quella falsa “illuminazione”, ricavata da una mal compresa scienza della natura e divenuta oggi lo sballato vangelo di vaste masse umane, può essere la sola base di un sapere sociale adatto a influire fruttuosamente sulla vera vita sociale.

 

19. La via della salvezza per il popolo tedesco

Presentazione del curatore - Tutte le domande che Steiner pone al popolo tedesco nel seguente articolo intitolato “La via della salvezza per il popolo tedesco”, dovrebbero essere poste oggi alla signora Merkel, e quanto segue dovrebbe essere letto agli inglesi e ad Obama. All’indomani della prima guerra mondiale, l’impero tedesco era in dissolvimento, l’imperatore era fuggito in Olanda ed il trattato di Versailles aveva già in sé i germi per la seconda guerra mondiale.

Nel 1918, Steiner avvertiva:

“Dalle regole presenti nell’evoluzione del mondo va superato quanto dall’antica Grecia penetra nella nostra struttura sociale: la partizione dell’umanità in caste alle quali è affidato rispettivamente il compito di provvedere alla nutrizione, alla difesa, all’insegnamento” (R. Steiner, Dornach 29/11/1918, 1ª conf. del ciclo “Esigenze sociali dei nuovi tempi”).

Invece quanto si vorrebbe raggiungere oggi è purtroppo ancora “la fondazione di una casta di padroni in occidente e di una casta economica di schiavi in oriente, cominciando dal Reno per estendersi verso oriente fino nell’Asia. Non una casta di schiavi nel senso dell’antica Grecia, ma una casta economica di schiavi, una casta di schiavi che deve essere organizzata in maniera socialistica, che deve accogliere tutte le cose impossibili di una struttura sociale, peraltro da non doversi applicare alle popolazioni di lingua inglese. Questo è il punto: far diventare la popolazione di lingua inglese padrona della terra” (ibid., 01/12/1918, 3ª conf.).

E l’odierno interesse degli anglofoni alla risoluzione dell’attuale crisi greca fa invece solo chiedere alla gente sempre più ignara di ogni cosa, in quanto disabituata a pensare autonomamente: “Ma cosa c’entra Obama o gli Stati Uniti con l’euro?”.

Nel 1919, Steiner avvertiva:

“Nell’organismo sociale triarticolato non abbiamo a che fare con ideologie, utopie o filosofie, ma con qualcosa che può essere fatto, che è un piano per un agire concreto, non la descrizione di una condizione futura, ma un piano di lavoro [...] L’umanità deve fare appello a nuove abitudini di pensiero, a nuove direzioni di pensiero, prima che sia troppo tardi. E lo ripeto ancora una volta: se l’umanità non avrà interiormente questo coraggio, tra pochissimo tempo potrebbe davvero essere troppo tardi” (R. Steiner, Ulm, 26/05/1919, 1ª conf. del ciclo “Libertà di pensiero e forze sociali”, Opera Omnia n. 333).

Per sei anni Steiner continuò poi ad esprimere ancora queste idee (si spense nel 1925), che però non furono mai capite. Fu capita invece la socialdemocrazia, concetto spurio formato da due realtà in contraddizione “Prima della catastrofe della Guerra Mondiale si è voluto fondere assieme questi due impulsi contraddittori e persino fondare un partito che li portasse entrambi nel suo nome: il partito socialdemocratico. È più o meno come dire che il ferro è legno. Queste due realtà, democrazia e socialismo, si contraddicono a vicenda, ma sono entrambe autentiche e legittime esigenze dei tempi recenti. Ora la catastrofe della Guerra Mondiale si è abbattuta su di noi, ha prodotto i suoi effetti, ed ora sentiamo come emerga l’esigenza socialista e come non le interessi affatto un parlamento democratico. Il modo in cui ora l’esigenza socialista, a sua volta in modo teorico, senza avere idea di come stiano veramente le cose, compare sulla scena con i suoi slogan del tutto astratti quali ad esempio “la conquista del potere politico”, “la dittatura del proletariato” e cose simili, è qualcosa che comunque ha origine dal fondo del sentire socialista, ma dimostra che ormai si è capito che anche il sentire socialista si contrappone al sentire democratico. Il futuro, che deve tener conto della realtà della vita e non degli slogan, dovrà riconoscere come colui che ha una sensibilità socialista ha ragione quando percepisce, per così dire, qualcosa di inquietante nella “democrazia”, e come colui che ha una sensibilità democratica ha a sua volta ragione quando percepisce qualcosa di assolutamente terribile nelle parole “dittatura del proletariato” (ibid., Berlino, 15/09/1919, 3ª conf.).

 

La via della salvezza per il popolo tedesco

 (cap. 19° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 200 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Nel 1858 Hermann Grimm cominciava un suo saggio su “Schiller e Goethe” con le seguenti parole: “La vera storia della Germania è la storia dei movimenti spirituali del popolo. Solo quando l’entusiasmo per una grande idea animò la nazione, sciolse e portò a fluire le forze irrigidite, avvennero azioni grandi e luminose” (H. Grimm in “Fünfzehn Essays”, la 1ª serie, Gütersloh 1889, pag. 166). E più avanti dice ancora: “… i nomi degli imperatori e dei re tedeschi non sono le pietre miliari del progresso del popolo”.

 

2. Far rivivere lo stato d’animo da cui scaturirono queste parole, sembra l’unica chiarezza nel momento della sventura piombata sul popolo tedesco. Che di questo stato d’animo possa ancora emergere qualcosa nell’agire e operare del presente l’unica base su cui possa poggiare la speranza di chi ritiene necessario, appunto per il popolo tedesco, il rivolgersi a pensieri di salvezza. Chi oggi dice che bisogna attendere quali relazioni coi popoli dell’occidente e dell’oriente risulteranno dalla situazione mondiale, prima di poter pensare ad un terreno fecondo su cui fondare un nuovo assetto sociale, non ha la più pallida idea delle necessità del tempo. Da questo riconoscimento è scaturito ciò che abbiamo esposto intorno all’idea della triarticolazione dell’organismo sociale. L’autore di queste pagine ritiene di avere sufficientemente risposto nei suoi articoli alla sempre ripetuta obiezione che si debba anzitutto pensare alle risultanze degli attuali rapporti con gli altri popoli, prima di poter rivolgere l’attenzione alle idee sociali presentate dalla triarticolazione. Questa obiezione si fonda su un errore che può diventare il più amaro destino del popolo tedesco, perché la Germania è uscita dalla catastrofe mondiale in condizione di dover prima di tutto creare la base di relazioni future con gli altri popoli. La forma che la vita economica prenderebbe se volesse svilupparsi svincolata dalla sfera politico-giuridica e da quella spirituale, potrebbe inserirla nell’economia mondiale. In questi articoli si è cercato di mostrare come l’inserirsi dell’economia tedesca nell’economia mondiale sarebbe nell’interesse degli altri popoli. Nessun altro popolo potrebbe considerare ragione di ostilità una vita spirituale libera. E stabilendosi nel popolo tedesco una vita giuridico-politica fondata sull’eguaglianza di tutti i cittadini maggiorenni non potrebbe considerarsi elemento ostile se non da chi volesse irridersi da sé.

 

3. Ma un’idea come questa della triarticolazione dovrebbe presentarsi pubblicamente dinanzi al mondo come un impulso di volontà. Nel momento in cui quest’idea si mostrasse in via di realizzazione, potrebbe diventare la manifestazione della natura tedesca, con cui il resto del mondo si metterebbe d’accordo come su di una base sicura. Di fronte alle condizioni odierne, di fronte allo scetticismo sull’efficacia pratica di idee vitali, si vorrebbe chiedere: dov’è l’essenza tedesca? Dai migliori spiriti del suo passato possono risuonare al popolo tedesco idee come quelle esposte da Hermann Grimm sessant’anni fa. Quegli spiriti intendevano esprimere con tali idee il volere più profondo del loro popolo; e i loro successori non dovrebbero avere orecchi per percepire il senso di quelle idee?

 

4. Costoro si trovano in una condizione in cui davvero non basta ricordare le idee dei predecessori, ma occorre svilupparle ulteriormente in un modo nuovo, adatto al momento attuale. Vuole il tedesco perdere se stesso, rinnegando il proprio essere per aver perduto la fede nelle idee? La parte migliore di questo suo essere può consistere solo nella fede nell’efficacia delle idee. Ed il mondo deve tener conto di una manifestazione dell’essere tedesco, quando questo gli si presenti nella sua vera natura.

 

5. Un numero sufficiente di uomini che compenetri con le forze dell’anima l’eredità congenita della fede nel mondo delle idee, deve diventare la salvezza di questo popolo. Da nessun accomodamento col mondo esterno potrebbe fiorire ai tedeschi la fortuna, se fosse compiuto sotto il segno della sfiducia nell’efficacia pratica delle idee, poiché in qualsiasi accomodamento di questo genere mancherebbe la cooperazione dell’intimo nucleo essenziale dell’anima tedesca.

 

6. Dovrebbero tacere tutte le obiezioni che partono dall’opinione che non sia questo il tempo di abbandonarsi alle idee perché solo quando la forza delle idee sarà riconosciuta da un numero sufficiente di uomini, si potrà cominciare a parlare di un’epoca che contenga i germi di vere possibilità di vita per il popolo tedesco. Questa fede nelle idee non deve regolarsi secondo ciò che altrimenti avviene, ma in qualsiasi cosa che avvenga per opera di tedeschi, la fede nelle idee deve essere la forza motrice. Allora si potrà attenderne con fiducia l’ulteriore sviluppo. Invece un’attesa inoperosa, mettendo da parte la fede nelle idee, il lasciare in un’apparente sollecitudine pratica che il destino segua il suo corso, tutto ciò è per i tedeschi un peccato contro il loro essere, un peccato contro lo spirito dell’epoca del mondo, un peccato contro l’esigenza di una vera coscienza di sé.

 

7. Non è forse abbastanza chiaramente percepibile l’azione di questi peccati? Non ne sono ancora presenti gli effetti funesti? Non risuona la sciagura con voce che li rende manifesti? Non c’è più nel popolo tedesco la forza di riconoscere come peccato questo peccato contro lo spirito del proprio essere? Queste domande sono tali da lasciare dei lividi nelle anime che considerano la vita pubblica del popolo tedesco. Il dolore dovrebbe condurre al risveglio. Erano forse sognatori gli spiriti tedeschi del passato che ebbero fede nelle idee? Sono domande a cui risponde solo la vita vera. E quale può essere la risposta? Sì, furono sognatori, se i loro posteri si limitano a sognare le loro idee; ma furono invece luminosi spiriti della realtà, se questi posteri accolgono in sé la forza delle idee in una volontà desta e vivente.

 

20. La sete di pensiero della nostra epoca

Presentazione del curatore - Ancora oggi si usa dire a chi non ha ancora rimosso completamente il suo giudizio critico: “Ma tu sei un idealista!” come se l’idea fosse una malattia del genere umano, da curare con la “pratica”. E poi si è costretti a prendere atto che la massima pratica degli umani è il divenire subumani, donando le proprie idee a droghe, alcool, ed istituzioni affini, dai grandi stadi per le grandi gare sportive alle grandi corse nello spazio in cui i nuovi schiavi possano passare dall’essere gladiatori all’essere liberi… dal pensare, in cerca di altri mondi senza capire il proprio o la forza che in esso fa essere un filo d’erba… Ma nonostante la robotizzazione degli umani divenuti androidi, la sete di idee creative non si estinguerà mai…

 

La sete di pensiero della nostra epoca

(cap. 20° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 203 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. “Pensieri con buone intenzioni non procurano pane”. Questo è il nocciolo della sapienza che spesso ci giunge oggi agli orecchi quando si parla di idee che stanno alla base della triarticolazione dell’organismo sociale. Di fronte alla gravità del tempo [allusione di Steiner alle rovine portate dalla prima guerra mondiale - ndc], si vorrebbe porre questo verbo di saggezza accanto a un altro che pure capita spesso di sentir enunciare oggi: “Quando una volta la gente tornerà a lavorare la questione sociale assumerà un altro aspetto”.

 

2. Chi non si sente risuonare in testa queste due frasi, non si accorge di ciò che è diventata voce quotidiana in molti ambienti. Anche se non sono direttamente pronunciate, esse trapelano tuttavia attraverso molti dei discorsi che si fanno pubblicamente.

 

3. Le obiezioni provenienti da simili fonti di saggezza sono così incomparabilmente evidenti che è difficile vincerle mediante le idee che il nostro tempo impone. Basta che uno dica: “Confuta queste mie obiezioni”, e il miglior pensatore dovrà confessare la propria impotenza. Ed è naturale: sono inconfutabili perché sono giuste.

 

4. Ma quel che importa nella vita è forse solo dire qualcosa di giusto in una data situazione? Tutto non dipende piuttosto dal riuscire a trovare idee atte a mettere in moto fatti stessi? Uno dei fenomeni più dannosi della nostra vita pubblica attuale è proprio quello di non voler unire al pensare il senso della realtà.

 

5. Questo difetto di senso della realtà è già tutto quanto crea con tanta violenza ostacoli contro chi vuol rimediare agli inconvenienti sociali del momento tramite idee feconde. E da molto tempo ci siamo abituati a pensare secondo questo difetto. Ed ora urge cambiare rotta, proprio in questo punto vitale.

 

6. Prima di tutto bisogna riconoscere come siamo scivolati in questo modo di pensare, ponendoci sott’occhio gli andamenti del pensiero che sono i preferiti nell’epoca moderna.

 

7. Uno di questi è in materia sociale quello attinto dalle abitudini di vita di popoli primitivi. Si cerca d’indagare come in “tempi primordiali” sia esistito un certo comunismo, o qualcosa di simile, deducendone talune conclusioni per quello che si dovrebbe fare oggi. Questo corso di pensiero è diventato molto usuale ora, negli scritti che trattano della questione sociale. Da lì è venuto estendendosi, e vive oggi in gran parte di ciò che pensano della “questione sociale” appunto le “masse”.

 

8. In verità questo andamento di pensiero si sarebbe potuto ottenere ancora più facilmente. Si sarebbe potuto paragonare la vita sociale degli uomini con le abitudini di animali selvaggi; si sarebbe constatato che i provvedimenti dettati dagli istinti li conducono ad appagare i loro bisogni, e al tempo stesso coincidono con l’appropriazione di ciò che la natura porta incontro ai loro bisogni. Ma l’essenziale è che l’uomo sostituisca l’ordinamento istintivo mediante il pensiero cosciente e indirizzato alla meta. Deve costruire in base alla natura, come ogni altro essere che per vivere ha bisogno di mangiare. Nel problema del pane è nascosto un problema della base naturale. Ma questo esiste per ogni essere che abbia bisogno di nutrimento. Fin qui non si può ancora parlare di “pensiero sociale”. Questo comincia soltanto con le faccende per cui l’uomo assoggetta la base naturale per mezzo del suo pensiero. Col suo pensiero egli signoreggia le forze della natura, col pensiero si mette in un rapporto di lavoro con altri uomini, e immette nella vita sociale il “pane” , strappato alla natura col lavoro. Per la vita sociale il problema del pane è un problema di pensiero. Si tratta dunque soltanto di rispondere alla domanda: “Quali sono i pensieri fecondi che, tradotti in realtà, generano dal lavoro umano l’appagamento dei bisogni umani?”.

 

9. Si può dare ragione a tutti coloro che, dopo aver udito le spiegazioni recedenti, dicano: “Ma questa è davvero sapienza primitiva! Che bisogno c’è di pronunciare cose tanto ovvie?”. Oh, si farebbe ben volentieri a meno di pronunciarle, se le persone che le ritengono superflue non fossero le stesse che, a danno del sano pensare sociale, le annullano con la loro saggezza dicendo che i “pensieri non procurano pane”.

 

10. E così è dell’altra saggezza, per cui si vorrebbe sfuggire alla serietà della questione sociale, dichiarando che, prima di tutto, bisogna che la gente ricominci a lavorare. L’uomo lavora se in lui nasce il pensiero che lo stimola al lavoro. Se ha da lavorare nel complesso della vita sociale, egli sente la sua vita come qualcosa di degno d’un essere umano solo se in questa vita regnino pensieri che gli facciano apparire la sua collaborazione nella luce della dignità umana. Certo è che ambienti anche socialistici vorrebbero sostituire questo stimolo al lavoro con la costrizione al lavoro. Questo è appunto il loro modo di sottrarsi alla conoscenza della necessità di idee sociali feconde.

 

11. Il mondo è arrivato al punto in cui si trova per causa di coloro che, fuggendo le idee, ne rendono impossibile l’efficacia. Una salvezza è possibile soltanto se coloro che riescono ancora a sviluppare una sufficiente consapevolezza di questo stato di cose, formino tra loro un’unione potente. Non devono scoraggiarsi in questo momento così grave. Saranno ancora scherniti con gli epiteti di idealisti, utopisti, sognatori, ecc. Ma faranno il loro dovere se costruiranno, mentre gli schernitori distruggono, perché noi vedremo cadere ciò che con tanto orgoglio hanno conseguito coloro che, fuggendo le idee, hanno costruito o ancora costruiscono sulle sabbie mobili di un’ingannevole “realtà”. Il loro pensiero si esaurisce nell’illusione della loro “praticità” , mentre si creano un appagamento interiore a buon mercato con la derisione di ciò che è vera pratica della vita. Per tutti coloro che non temono di mutare la rotta dei loro pensieri, è sommamente importante il riconoscere chiaramente ciò che in tal senso si offre all’intelletto senza pregiudizi. La vita del nostro tempo ha sete di idee creative; per quanto la spensierata agitazione dei nemici del pensiero cerchi di eluderla, la sete non si estingue.

 

21. Necessità di comprensione

Presentazione del curatore - Dedico quest’ultimo articolo di Steiner scritto “In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale” a tutti gli Erzberger (vedi sotto al §8) che ho dovuto lasciare alla loro strada in quanto mancanti di “Necessità di comprensione” o in quanto mancante io di essa, dato che non sono mai stato attratto dallo spirito plenipotenziario partitocratico di costoro, né dal diritto di Stato, o da Cosa Nostra che dir si voglia, sostituitosi allo Stato di diritto. Chi non riesce ad emancipare il proprio pensare verso un concetto di Stato non plenipotenziario ma che si occupi solo di quanto compete allo STATO DI DIRITTO, vale a dire del DIRITTO, non può che aggregarsi, secondo l'antiquato modello partitocratico, a riformatori che faranno, sì, passi in avanti, ma sempre verso uno Stato sempre più centralizzato, e quindi sempre più tiranno, a discapito di tutti.

 

Necessità di comprensione

 (cap. 21° de “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 206 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. A un insieme di idee com’è quello della triarticolazione dell’organismo sociale si obietta spesso che la triarticolazione non è in grado di presentare “proposte pratiche” per questo o quel particolare. Si dice, per esempio: “C’è il dissesto della moneta. Cos’ha da proporre il seguace della triarticolazione per rimediarvi?”. Questi deve rispondere: “L’andamento odierno dell’economia mondiale è stato tale che la lotta della concorrenza tra gli Stati ha portato in ognuno alla svalutazione del denaro. Un miglioramento può avvenire soltanto se non si considerino come un rimedio le singole misure che si possono prendere per questo o quello, ma se, per opera della triarticolazione, tutta l’economia sia trasformata nella propria essenza. Provvedimenti singoli possono migliorare per un po’ quel dato particolare, ma se l’essenza dell’economia resta la stessa, un singolo miglioramento non può giovare a nulla; anzi, dovrà persino avere come conseguenza un peggioramento in qualche altro campo”.

 

2. Il vero rimedio pratico per la ricostruzione di ciò che è stato saccheggiato è appunto la triarticolazione stessa. Se in una regione dove, poniamo, la vita economica soffre per la svalutazione del denaro, si volessero creare vasti provvedimenti nel senso della triarticolazione, il malanno, nel corso degli avvenimenti, dovrebbe migliorare. L’obiezione citata proviene dal fatto che, per qualche ragione, chi la fa rifugge da un lavoro pratico nel senso della triarticolazione, e pretende che i seguaci di questa idea gli diano i mezzi di risanare certe situazioni senza trasformarle secondo questa loro idea.

 

3. Su ciò esiste appunto un contrasto essenziale tra i fautori dell’idea della triarticolazione e tutti coloro che credono di poter conservare l’antica vita sociale dello Stato unitario ed iniziare la ricostruzione in seno ad esso. Ma l’idea della triarticolazione poggia appunto sulla conoscenza che è l’unitarietà dello Stato quella che ha portato alla situazione catastrofica del mondo, e che, dunque, ci si deve decidere a ricostruire nelle condizioni indicate dalla triarticolazione.

 

4. Non si potrà conseguire un risanamento della vita sociale malata finché non nascerà in un numero sufficiente di persone il coraggio d’intraprendere riforme profonde. Senza queste riforme profonde, l’unica cosa ancora possibile è impadronirsi della potenza economica e politica da parte degli Stati vincitori e la sopraffazione dei vinti. I vincitori potranno provvisoriamente conservare l’antico sistema, perché i danni a loro procurati da questo possono essere compensati dai vantaggi che ritraggono dal dominio sui vinti. Ma i vinti sono ora in una situazione che rende necessaria un’azione immediata secondo le misure radicali di cui parlavamo. Certo, una comprensione in proposito sarebbe preferibile anche per i vincitori; perché lo stato di cose che i vincitori creano a casa loro deve condurre i vinti, nel corso del tempo, alla percezione della condizione insopportabile dei vinti e con ciò a nuove catastrofi. E i vinti stessi non possono attendere, perché ogni indugio ingigantisce l’impossibilità delle loro condizioni di vita.

 

5. L’idea della triarticolazione va certo contro le abitudini di pensiero e di sentimento di coloro che si sono conformati all’orientamento dello Stato unitario. Il confessare senza riserve che i mali presenti sono la conseguenza di questo orientamento equivale oggi per molti a vedersi sfuggire il terreno da sotto ai piedi. Il terreno sul quale costoro vogliono reggersi è lo Stato unitario. <vorrebbero conservarlo, e su quella base prendere provvedimenti da cui sperano un miglioramento di circostanze. Invece ciò che conta è trovare un nuovo terreno. E manca il coraggio di cercarlo.

 

6. L’esigenza fondamentale per rendere efficace l’idea della triarticolazione deve dunque essere la cura di far nascere nel massimo numero possibile di uomini la comprensione che oggi solo un provvedimento profondamente radicale può giovare. Troppi uomini finora si sono formati il loro giudizio sulle cose pubbliche partendo da sfere di vita oltremodo ristrette. Proprio coloro che sono attivi nelle grandi aziende della nostra vita economica si trovano in questa situazione. Si attribuiscono capacità di giudizio su vasti problemi, mentre sono capaci di agire solo su ciò che risulta loro partendo da cerchie ristrette della loro vita.

 

7. Bisogna promuovere l’intendimento, oggi cosi scarso, delle connessioni della vita pubblica. L’idea della triarticolazione troverà tanto minori opposizioni, quanto maggior numero di uomini conosceranno come le forze della vita pubblica abbiano operato sinora, e come abbiano dovuto condurre per forza alla catastrofe attuale. Tutto ciò che può servire a diffondere una comprensione in tal senso, prepara il terreno per l’efficacia pratica dell’idea della triarticolazione.

 

8. Perciò ci si dovrebbe ripromettere poco dall’entrare in discussioni con gli appartenenti all’uno o all’altro partito; costoro per lo più, finché restano dentro il partito, cercheranno di tradurre nel senso loro qualsiasi idea proposta dal sostenitore della triarticolazione. Si dovrebbe provvedere piuttosto, non appena si fosse compresa la fruttuosità di questo impulso, a diffonderne la comprensione fra la gente, poiché non già con quelli che la respingono c’è qualcosa da fare, ma soltanto con chi ne è persuaso. Solo con questi si potrà anche entrare nei particolari della vita pubblica. Rendiamoci dunque conto, una buona volta, che con un Erzberger, per es., non è possibile parlare del risanamento della vita pubblica, finché Erzberger… è Erzberger! (Matthias Erzberger, 1875-1921, deputato tedesco del Centro, nell’ottobre del 1918 diventò plenipotenziario per l’armistizio chiesto dalla Germania agli Alleati; Ministro delle Finanze tedesco negli anni 1919-21, fu ucciso da nazionalisti il 26 agosto 1921).

 

9. Scrivo tutto ciò perché vedo che, in questa direzione, non tutti quelli che tengono in considerazione quest’idea, navigano nelle giuste acque. La triarticolazione è appunto un’idea che va servita nella sua integrità, se si vuol servirla davvero. Essa da’ la possibilità d’intendersi con chiunque; ma, nel farlo, bisogna guardarsi dallo spogliare l’idea di ciò che ha di radicale. Si agirà in questo senso quando si riconoscerà quali siano state le vere ragioni della decadenza. Da questa comprensione deve derivare il coraggio di andare fino in fondo; perché la perplessità ora dominante non è che la conseguenza della mancanza di tale comprensione.

 

SCIENZA DELLO SPIRITO E PROBLEMA SOCIALE

Presentazione del curatore - Cosa c’entra la scienza dello spirito o l’occultismo o l’esoterismo col sociale? “Esoterico”, dal greco “esoterikòs”, significa “interno”. Per esoterico si intende tutto quanto sta in correlazione interna con fatti reali. Il contrario di “esoterico” è “essoterico” (o “exoterico”), vale a dire tutto quanto è invece astratto dal reale. L’uso del termine “esoterico” per definire l’occulto come qualcosa di negativo o di superstizioso è un’ambigua degenerazione semantica dell’antichità che oggi non ha più senso, dato che non si bruciano più le streghe e che i collegamenti dei fatti del mondo a partire dall’anima cioè dall’attività interiore umana non sono riducibili a definizioni confessionali o partitocratiche, assolutizzazioni, dogmi, dottrine, ecc. Un esempio: l’“esoterismo” del contenuto concettuale di “benessere” è l’inseparabilità di tale contenuto: il mio benessere è inseparabile da quello del mio prossimo; l’essoterismo (o exoterismo) del medesimo concetto è, al contrario, credere ancora di poter separare il proprio benessere da quello altrui. Ma è una astratta perché chi pensa solo a farsi i fatti suoi (egoismo malsano), genera conseguenze socialmente malsane, oltretutto dimostrando di non saper fare nemmeno l’interesse proprio, il quale - se pensato fino in fondo (egoismo sano) - è esotericamente inseparabile, appunto, da quello altrui. Nel seguente scritto di Steiner intitolato “Scienza dello spirito e problema sociale” si parla di organismo sociale in base all’unica possibile legge della scienza sociale: “La salute di una comunità di uomini che lavorano insieme è tanto maggiore quanto meno il singolo ritiene per sé i ricavi delle proprie prestazioni, vale a dire quanto più di tali ricavi egli da’ ai suoi collaboratori, e quanto più i suoi bisogni non siano soddisfatti dalle proprie prestazioni, ma da quelle altrui” (§35). Solo con tale salute la funzione del denaro ha senso e solo così l’uomo non potrà più esserne schiavo. Occorrerà comprendere ciò per distaccare la rimunerazione del lavoro dal procacciamento dei mezzi di sussistenza. Queste due cose, rimunerazione del lavoro e procacciamento dei mezzi di sussistenza, vissute come sinonimi hanno comportato e comportano la vendita della forza-lavoro (mercato del lavoro). Questa vendita è come vendere l’uomo a fette e ciò non è cristiano, se per cristianesimo intendiamo ancora la ribellione umana contro la schiavitù e il servaggio della gleba. L’umanità si ribellerà sempre più contro la vendita della forza-lavoro e si accorgerà sempre più che il cosiddetto mercato del lavoro, o della forza-lavoro, è come una bestemmia contro lo spirito. Ecco perché occorre un metodo scientifico anche per lo spirito, nonostante l’azione ostacolante della chiesa cattolica e in genere di ogni confessione religiosa. L’uomo si accorgerà sempre più che non può esservi cristianesimo senza liberazione della forza-lavoro. Il cristianesimo indusse a riconoscere, almeno per principio, la massima che gli uomini, quanto alla loro anima, sono uguali davanti a Dio. Da ciò proviene però anche l’esclusione della schiavitù dall’ordinamento sociale umano. Ma sappiamo che se il principio non si incarna davvero rimane sempre un fatto a cui dobbiamo sempre tornare a farvi riferimento dai più vari punti di vista: che nel nostro ordinamento sociale una parte dell’uomo, e per di più un elemento che si svolge nel corpo, può essere comperata come merce ed anche venduta dall’uomo stesso. Questo è appunto ciò che snerva ed irrita. In effetti il punto saliente del problema sociale è tutto qui: che la forza-lavoro possa essere pagata. Ed è questo che va cambiato in quanto l’uomo non è una merce e non può essere trattato come tale. Il superamento della schiavitù esige che nessun lavoro umano possa essere merce. Questo è il vero punto saliente del problema sociale che il nuovo cristianesimo risolverà, grazie alla triarticolazione dell’ordinamento sociale.

 

SCIENZA DELLO SPIRITO E PROBLEMA SOCIALE

(appendice del libretto “In margine alla triarticolazione

 dell’organismo sociale”,

p. 210 della 4ª ed. italiana del 1980)

 

1. Chi oggi si guardi intorno nel mondo, vede dappertutto farsi avanti con forza il cosiddetto “problema sociale”. Chi prenda la vita con serietà deve per forza farsi pensieri in proposito. Gli dovrà allora apparire del tutto naturale che il modo di pensare che collocò fra i suoi compiti i massimi ideali dell’umanità, deve in qualche modo trovare un accordo con le esigenze sociali. La scienza dello spirito vuole appunto essere per il presente un tale modo di pensare. Di conseguenza è solo naturale che ci si occupi di un tale accordo.

 

2. Di primo acchito si può avere l’impressione che la scienza dello spirito non abbia da dire niente di speciale in questa direzione. Si vedrà come sua caratteristica preminente l’interiorizzazione della vita dell’anima e il risvegliare la visione per un mondo spirituale. Persino coloro che abbiano anche solo superficialmente preso conoscenza delle idee esposte da oratori o scrittori orientati secondo la scienza dello spirito, dovranno spassionatamente riconoscere queste tendenze. Più difficile è invece vedere che queste tendenze hanno oggi un’importanza pratica. Specialmente non risulterà evidente il loro nesso col problema sociale. Molti si chiederanno in che cosa possa migliorare le distorsioni sociali una dottrina che si occupa di “reincarnazione”, di “karma”, di “mondo spirituale”, di “formazione dell’uomo” e di altri problemi del genere. Una simile direzione di pensieri sembra volteggiare nella lontananza delle nuvole, lontana da ogni realtà, mentre ora ognuno avrebbe la necessità di concentrare tutti i suoi pensieri per fronteggiare i compiti posti dalla realtà terrena.

 

3. Fra tutte le diverse opinioni che oggi devono necessariamente presentarsi in merito alla scienza dello spirito, ne siano qui ricordate due. Una consiste nel vedere nella scienza dello spirito l’espressione di una fantasia sbrigliata. È del tutto naturale che esista un’opinione del genere, e per chi segue la scienza dello spirito non dovrebbe avere nulla di incomprensibile. Ogni discorso, tutto quanto si svolge attorno a lui procurando gioia e piacere, tutto gli può insegnare che per molti egli fa dei discorsi folli. A questo tipo di comprensione da parte del mondo che lo circonda, egli deve peraltro portare l’incondizionata sicurezza di essere sulla giusta via. Non potrebbe altrimenti mantenere la propria posizione, se non gli fosse chiaro il contrasto fra le sue idee e quelle di tanti altri appartenenti al mondo della cultura. Se ha la giusta sicurezza ·della sua convinzione, se ne conosce la verità e la portata, deve dirsi: “So benissimo che oggi posso essere considerato quasi un folle, e me ne è evidente il motivo; ma la verità deve agire, anche se è derisa e dileggiata; la sua azione non dipende dalle opinioni che se ne hanno, ma dal suo sicuro fondamento”.

 

4. L’altro giudizio in cui può incorrere la scienza dello spirito è che i suoi pensieri possono anche essere belli e soddisfacenti, ma che possono avere un valore solo per la vita interiore dell’anima, non per la lotta pratica della vita. Persino coloro che per l’appagamento dei loro bisogni spirituali richiedono l’alimento della scienza dello spirito, possono con facilità essere tentati di dirsi: “Certo però che questo mondo di pensieri non può dare alcun chiarimento in merito a come ci si possa avvicinare ai bisogni sociali e alle miserie materiali”. Proprio questa opinione riposa però su un totale misconoscimento dei fatti reali della vita e soprattutto su un malinteso, rispetto ai frutti del modo di pensare proveniente dalla scienza dello spirito.

 

5. Si chiede infatti quasi esclusivamente: che cosa insegna la scienza dello spirito? E come si può dimostrare quanto sostiene’ Se ne cercano poi i frutti nel senso di soddisfazione che si può trarre dai suoi insegnamenti. Certo che questa sembra la cosa più naturale possibile. Bisogna innanzitutto avere un sentore per la verità delle affermazioni che ci si presentano. Ma il vero frutto della scienza dello spirito non va cercato in questo. Il vero frutto si mostra in effetti soltanto quando chi è orientato verso la scienza dello spirito si avvicina ai compiti della vita pratica. Il punto è vedere se la scienza dello spirito lo aiuta ad afferrare con comprensione quei compiti e a cercarne le vie e i mezzi per risolverli. Chi vuole agire nella vita deve innanzi tutto comprenderla. Questo è il nocciolo del problema. Fino a quando si rimane a chiedere che cosa insegna la scienza dello spirito, si può trovare il suo insegnamento troppo “alto” per la vita pratica. Se invece si indirizza la propria attenzione a vedere quale scuola di pensiero e di sentimento si sperimenta attraverso quegli insegnamenti, si cesserà di sollevare obiezioni del genere. Per quanto strano possa sembrare ad una concezione superficiale, è pur vero che i pensieri in apparenza ondeggianti sulle nuvole della scienza dello spirito formano la giusta visuale per una retta guida della vita quotidiana. Proprio in questo modo la scienza dello spirito affina la comprensione per le esigenze sociali, perché porta prima lo spirito alle luminose altezze del soprasensibile. Ed tanto è vero, quanto sembra una contraddizione.

 

6. Da un esempio si mostrerà che cosa s’intende. Negli ultimi tempi è stato pubblicato un libro interessantissimo: “Als Arbeiter in Amerika” (“In America come operaio”, K. Siegismund, Berlino). Ne è autore il Consigliere di Stato Kolb che ha trascorso mesi interi in America come semplice operaio. In tal modo ha acquisito giudizi sugli uomini e sulla vita che evidentemente non avrebbe potuto dargli il corso di studi a seguito del quale divenne Consigliere di Stato, e neppure le esperienze che avrà potuto acquisire nei posti che avrà occupato prima di diventare Consigliere di Stato. Dopo aver quindi occupato per anni posizioni di una certa responsabilità ed essersene poi ritirato, andò a vivere per breve tempo in un lontano Paese e lì apprese a conoscere la vita, tanto da scrivere nel suo libro questa frase apprezzabile: “Quanto spesso, prima, vedendo un uomo sano chiedere l’elemosina mi dicevo con sdegno morale perché mai quel pezzente non andava a lavorare. Ora lo so! In teoria i problemi hanno tutt’altro aspetto che non in pratica, e a tavolino anche le questioni più antipatiche dell’economia sono trattate in modo del tutto sopportabile”. Qui però non devono sorgere malintesi. Va dato il più completo e intero riconoscimento a quest’uomo il quale è riuscito a togliersi da una comoda posizione sociale ed è andato a lavorare con fatica in una birreria e in una fabbrica di biciclette. Va innanzi tutto molto sottolineato il riconoscimento della sua azione, affinché non sorga l’opinione che l’uomo in questione è sottoposto a una critica sfavorevole. Per chi comunque vuol vedere, è senz’altro chiaro che tutte le scuole frequentate e la scienza studiata non gli hanno fornito alcun giudizio sulla vita. Si cerchi però di rendersi conto che cosa si è ammesso in tal modo: si può cioè apprendere tutto quanto oggi autorizza ad occupare posizioni direttive, e rimanere ugualmente lontanissimi dalla vita sulla quale si deve agire. Non è forse il caso paragonabile a qualcuno che dovrebbe essere istruito in una scuola qualsiasi a costruire ponti, e che poi, messo di fronte al compito di costruirne uno, risulta che non ne sa nulla’ Eppure no, non è esattamente la stessa cosa. Chi si prepara male per la costruzione di ponti, mostrerà presto le sue manchevolezze di fronte alla pratica. Risulterà un incapace e sarà ovunque respinto. Chi invece si prepara male per agire nella vita sociale, non potrà mostrare altrettanto alla svelta le sue manchevolezze. Ponti mal costruiti crollano, e anche a chi è più parziale risulta chiaro che il costruttore era un incapace. Quel che invece si fa male nell’azione sociale appare soltanto perché la gente ne soffre. Non si vede altrettanto facilmente il nesso fra queste sofferenze e l’incapacità sociale, quanto fra il crollo di un ponte e il costruttore incapace.

 

7. «Benissimo - si dirà - ma che ha tutto questo a che fare con la scienza dello spirito? Crede forse il seguace della scienza dello spirito che le sue dottrine avrebbero fornito al Consigliere di Stato Kolb una migliore comprensione della vita? Che cosa gli sarebbe servito sapere qualcosa di “reincarnazione”, di “karrna” o di “mondi soprasensibili”?». Certo nessuno vuol sostenere che le idee relative al sistema planetario e ai mondi superiori avrebbero potuto impedire al nominato Consigliere di dover ammettere “che a tavolino anche le questioni più antipatiche dell’economia sono trattate in modo del tutto sopportabile”. Come Lessing in un caso specifico, il seguace della scienza dello spirito può ora rispondere: «Io sono questo “nessuno”, e appunto lo affermo». Naturalmente la cosa non va intesa nel senso che la dottrina della reincarnazione o la conoscenza del karma possano far agire in modo socialmente giusto. Sarebbe naturalmente ingenuo. Non è che quelli destinati a diventare Consiglieri di Stato siano da indirizzare alla Dottrina segreta della Blavatsky invece che ai luminari delle diverse Università. Il problema è se una teoria economica elaborata da un seguace della scienza dello spirito possa essere tale che, ben elaborata a tavolino, sia anche valida per la vita reale. Ed essa appunto lo sarebbe. Quando una teoria non è valida per la vita’ Quando deriva da un pensare che non è stato educato per la vita. Ora però gli insegnamenti della scienza dello spirito corrispondono alle vere leggi della vita, come la dottrina dell’elettricità corrisponde a quella applicata in una fabbrica di apparecchi elettrici. Chi vuole impiantare una fabbrica del genere, deve prima imparare la vera dottrina dell’elettricità, così come chi vuol agire nella vita deve prima imparare a conoscere le leggi della vita. E se in apparenza le conoscenze della scienza dello spirito sono lontane dalla vita, in verità esse le sono vicine. A uno sguardo superficiale sembrano estranee al mondo; a una vera comprensione spiegano la vita. Non ci si ritira nei “circoli della scienza dello spirito” per semplice curiosità ad ascoltare le più diverse “interessanti” informazioni sui mondi dell’aldilà, ma si educa il proprio pensare, sentire e volere in base alle “eterne leggi dell’esistenza” per uscire poi nella vita e comprenderla in una chiara visione. Gli insegnamenti della scienza dello spirito sono una via diversa per arrivare a pensieri, giudizi e sentimenti pieni di vita. Il movimento proveniente dalla scienza dello spirito sarà sui suoi giusti binari solo quando questo sarà completamente inteso. Un giusto agire scaturisce da un giusto pensare; un agire non giusto scaturisce da un pensare involuto o dalla mancanza di pensieri. Chi in generale vuol credere che si possa agire bene in campo sociale, deve ammettere che tale agire bene dipende dalle capacità umane. Elaborare le idee della scienza dello spirito significa potenziare le facoltà per l’agire sociale. In questo senso il punto non è soltanto vedere quali pensieri si acquisiscono attraverso la scienza dello spirito, ma che cosa si fa del proprio pensare attraverso di esse.

 

8. Certo si deve ammettere che nell’ambito di chi si dedica alla scienza dello spirito non si rileva del suo lavoro in questa direzione. Altrettanto poco si può negare che appunto perciò chi è lontano dalla scienza dello spirito ha ancora tutte le ragioni per dubitare di quanto si è asserito. D’altra parte non si può tralasciare di osservare che il movimento della scienza dello spirito, nella sua accezione attuale, è solo all’inizio della sua attività. Il suo passo successivo consisterà nell’inserirsi in tutti i settori pratici della vita. Così per esempio per il “problema sociale” si vedrà che al posto di teorie “con le quali a tavolino si può bene pontificare” ne sorgeranno altre che renderanno capaci di giudicare la vita senza pregiudizi e daranno alla volontà l’indirizzo per un agire dal quale deriverà salvezza e benedizione per il prossimo. Alcuni diranno che proprio nel caso di Kolb si mostra che il rinvio alla scienza dello spirito è superfluo. Basterebbe che la gente, nel prepararsi a una qualsiasi professione, non imparasse teorie solo a tavolino, ma che le adeguasse alla vita; che accanto a indicazioni teoriche ne ricevesse anche di pratiche. Appena infatti Kolb osservò la vita gli bastò quello che aveva imparato per giungere ad un’opinione differente da quella che aveva in precedenza.

 

9. No, non basta, perché la manchevolezza è più profonda. “Se qualcuno vede che con una preparazione insufficiente riesce a costruire solo ponti che crollano, è ancora ben lontano dall’aver acquisito la capacità di costruirne che non crollino. Allo scopo, deve prima raggiungere una vera preparazione adatta. Di certo non è sufficiente osservare solo le condizioni sociali, avendo magari teorie inadeguate sulle leggi basilari della vita, così come non basterà di fronte a un disoccupato non dire più: “Perché mai quel pezzente non lavora?”. Comprendendo in base alle condizioni sociali il motivo per cui quel tale non lavora, si impara forse come vanno strutturate tali condizioni sociali a vantaggio degli uomini? Senza dubbio tutte le persone di buona volontà che hanno avanzato i loro piani per il miglioramento del destino umano non giudicavano come il consigliere Kolb prima del suo viaggio in America. Anche prima di quel viaggio erano ben convinte che non tutti coloro a cui vanno male le cose siano da giudicare in base alla frase: “Perché mai non lavora quel pezzente?”. Ma sono per questo fruttuose le loro proposte di riforma? No, né possono esserlo, già per la ragione che si contraddicono fra loro. Si avrà di conseguenza il diritto di dire che anche i piani positivi di riforma del consigliere Kolb, dopo la sua conversione, non possono avere una speciale efficacia. L’errore del nostro tempo a questo proposito è che ognuno si considera capace di comprendere la vita, anche se non si è impegnato a lavorare in base alle leggi fondamentali della vita, anche se prima non ha educato il suo pensare a vederne le vere forze. La scienza dello spirito è invece una scuola per un sano giudizio sulla vita, perché va alle sue radici. Non serve a nulla vedere che le relazioni sociali portano l’uomo a condizioni sfavorevoli di vita nelle quali egli perisce: occorre imparare a conoscere le forze mediante le quali si possano instaurare condizioni migliori. Proprio questo non possono fare i nostri esperti economisti per una ragione analoga per cui chi non conosce le tabelline non può fare calcoli; lo si metta di fronte a tutte le cifre che si vuole: lo sgranarvi gli occhi sopra non gli servirà a nulla. Allo stesso modo si ponga davanti alla realtà qualcuno il cui pensare nulla comprende della forza di base della vita sociale: potrà descrivere con molta efficacia quanto vede: ma non potrà stabilire come si intrecciano le forze sociali per il bene o per il male degli uomini.

 

10. Oggi è necessaria una concezione della vita che conduca alle sue vere sorgenti. La scienza dello spirito può essere una tale concezione della vita. Andremo avanti, se tutti coloro che intendono formarsi un’opinione su quanto è socialmente necessario vorranno prima passare attraverso gli insegnamenti di vita della scienza dello spirito. L’attuale obiezione che chi si dedica alla scienza dello spirito “parla” soltanto e non “agisce”, vale tanto poco quanto l’altra che anche le opinioni della scienza dello spirito non sono state ancora sperimentate, e che quindi possono forse rivelarsi grigia teoria come l’economia del signor Kolb. La prima obiezione non vale, perché nella natura non si può “agire”, se sono sbarrate le vie all’azione. Se anche un conoscitore dell’anima sa molto bene cosa dovrebbe fare un padre per l’educazione di suo figlio, egli non potrà comunque “agire” se il padre non gli affida quel compito. In tal senso occorrerà attendere con pazienza fino a che il “parlare” di chi lavora alla scienza dello spirito avrà fatto capire i problemi a chi ha il potere di “agire”. Il che avverrà. L’altra obiezione non è meno irrilevante, e può essere fatta solo da chi non conosce l’essenza delle verità della scienza dello spirito. Chi le conosce sa che queste non sorgono come qualcosa che si “sperimenta”. Le leggi della salvezza umana sono cioè altrettanto sicuramente inserite nel fondo dell’anima umana, quanto lo è la tavola pitagorica. Occorre solo discendere abbastanza profondamente nell’anima umana. Certo si può rendere evidente quanto è inciso nell’anima, così come si può rendere visibile che due per due fa quattro mettendo quattro fagioli di due gruppi, vicini fra loro. Ma chi vuole veramente affermare che la verità del due per due uguale a quattro debba essere prima “provata” coi fagioli? In effetti avviene che chi dubita delle verità della scienza dello spirito non le ha ancora “riconosciute”, esattamente come potrebbe dubitare che due per due fa quattro chi non lo avesse ancora riconosciuto. Anche se i due fatti si distinguono molto fra loro, perché l’ultimo è semplice e il primo complicato, pure la somiglianza esiste. Peraltro non la si può afferrare finché non si entra di persona nella scienza dello spirito. Per questo non si può dare alcuna “prova” di questo fatto a chi non conosce la scienza dello spirito. Si può dire soltanto: “Imparate prima a conoscere la scienza dello spirito e vi sarà chiaro tutto il problema”.

 

11. L’importante compito della scienza dello spirito nel nostro tempo si mostrerà quando essa sarà diventata un fermento per tutta la vita. Fino a quando questa via non potrà ancora essere percorsa nella vita nel pieno senso della parola, chi è orientato verso la scienza dello spirito è solo all’inizio della sua attività. E fino ad allora dovrà anche sentire il rimprovero che i suoi insegnamenti sono estranei alla vita. Certo, lo sono, ma come la ferrovia era estranea a una vita che considerava soltanto la diligenza “vera vita”. La scienza dello spirito è estranea alla vita, come il futuro è estraneo al passato.

 

12. Qui di seguito ci si addentrerà in alcuni particolari della relazione fra scienza dello spirito e problema sociale.

 

13. Sul problema sociale due sono le opinioni in contrasto. La prima attribuisce maggiormente agli uomini le cause del bene e del male della vita sociale, la seconda soprattutto alle strutture in cui gli uomini vivono. I rappresentanti della prima opinione vorrebbero promuovere il progresso cercando di elevare le capacità spirituali e fisiche degli uomini e i loro sentimenti morali; chi invece propende per la seconda opinione pensa soprattutto di elevare le condizioni di vita, perché si dice che se gli uomini potessero vivere sufficientemente bene, anche le loro capacità e la loro sensibilità morale sarebbe automaticamente portata a un livello superiore. Non si può certo negare che oggi è questa seconda opinione a guadagnare sempre più terreno. In molti ambienti dare ancora importanza alla prima opinione è considerato espressione di un modo arretrato di pensare. Viene detto che chi dalla mattina presto fino alla sera tardi deve combattere contro la più amara miseria non può progredire nello sviluppo delle sue forze spirituali e morali. Prima di parlargli di problemi spirituali, gli si dia il pane.

 

14. Quest’ultima affermazione diventa facilmente un rimprovero specialmente di fronte a una corrente come quella della scienza dello spirito. E chi fa tali rimproveri non è certo fra i peggiori nel nostro tempo; può anche dire: “Il puro teosofo scende a malincuore dai piani devachanici e karmici a quello terreno. Impara piuttosto dieci parole di sanscrito, prima di informarsi che cosa sia la rendita di posizione”. Così si legge in un libro interessante, pubblicato da poco: “Die kulturelle Lage Europas beim. Wiedererwachen des modernen Ohkultismus” (La posizione culturale europea di fronte al risveglio dell’occultismo moderno) di G.L. Dankmar (Lipsia 1905).

 

15. È comprensibile che il rimprovero sia sollevato. Si fa rilevare che nel nostro tempo famiglie di otto persone sono spesso stipate in un solo vano, che vi manca perfino aria e luce, che i bambini sono mandati a scuola in uno stato tale da crollare per la debolezza e la fame. Ci si chiede poi se chi si preoccupa del progresso delle masse non deve tendere con tutte le sue forze a portare aiuto in queste situazioni. Invece di indirizzare i suoi pensieri alle conoscenze dei mondi spirituali, egli dovrebbe chiedersi come sia possibile elevare le condizioni di miseria sociale. “Scenda la teosofia dal suo gelido isolamento, scenda fra gli uomini, fra il popolo; metta con serietà e verità in cima al suo programma l’esigenza etica della generale fraternità e agisca in conformità, senza preoccuparsi di tutte le conseguenze; faccia diventare azione sociale la parola di Cristo relativa all’amore per il prossimo, ed essa diventerà e rimarrà prezioso e valido bene dell’umanità”. Così dice più avanti il libro citato.

 

16. Chi fa questo rimprovero contro la scienza delle spirito ha le migliori intenzioni. Gli va persino riconosciuto di aver ragione nei confronti di molti che si occupano degli insegnamenti provenienti dalla scienza dello spirito. Senza dubbio fra questi ultimi ve ne sono alcuni che vogliono occuparsi solo dei propri bisogni spirituali, che vogliono solo sapere qualcosa della “vita superiore”, del destino dell’anima dopo la morte, e così via. Di certo poi non si ha torto dicendo che al giorno d’oggi appare più necessario dedicarsi a un’azione comunitaria, alle virtù dell’amore per il prossimo e del benessere umano, invece di curare in solitudine estranea al mondo non si sa bene quali superiori facoltà assopite nell’anima. Chi anele soprattutto a ciò, potrebbe sembrare un uomo dall’egoismo più raffinato, ed il cui benessere animico sarebbe al di sopra delle comuni virtù umane. Viene anche fatto presente che per una corrente spirituale, qual è la scienza dello spirito, possono avere interesse soltanto persone benestanti che possono quindi dedicare il loro tempo a cose del genere. Chi invece deve muovere le sue mani dalla mattina alla sera per una paga miserabile non può essere nutrito, con belle parole relative a una generale unione fra gli uomini, ad una “vita superiore” o ad altre cose del genere.

 

16 È certo che nella direzione indicata anche da parte di chi segue la scienza dello spirito vi sono delle manchevolezze. È però altrettanto vero che una ben intesa vita basata sulla scienza dello spirito deve condurre anche il singolo individuo alle virtù del lavoro altruistico e dell’azione svolta a favore della collettività. In ogni caso la scienza dello spirito non può impedire a nessuno di essere una brava persona, come lo sono altri che nulla sanno della scienza dello spirito e che non ne vogliono sapere.

 

17. Tutto questo non tocca però assolutamente il punto più importante in merito al problema sociale. Per arrivarvi è senz’altro necessario più di quanto vogliono ammettere gli avversari della scienza dello spirito. Agli avversari deve essere senz’altro riconosciuto che molto si può raggiungere con i mezzi proposti da diverse parti per il miglioramento delle condizioni sociali umane. Un partito vuole una cosa, un altro un’altra. A chi pensa con chiarezza, alcune richieste dei partiti si rivelano presto come chimere; altre invece contengono di certo anche il nocciolo della questione.

 

18. Owen, vissuto dal 1771 al 1858 e certamente uno dei più nobili riformatori sociali, faceva sempre rilevare che l’uomo è determinato dall’ambiente in cui cresce, che il carattere dell’individuo non è formato dall’individuo stesso, ma dalle condizioni di vita nelle quali cresce. Non si vuole ora contestare quel che vi è di luminosamente giusto nelle affermazioni citate. Ancor meno esse vanno liquidate con una sprezzante alzata di spalle, malgrado siano più o meno ovvie. Va piuttosto senz’altro ammesso che molte cose andrebbero meglio se nella vita pubblica ci si conformasse a queste conoscenze. Quindi anche la scienza dello spirito non impedirà a nessuno di partecipare alle opere tese al progresso umano che, nel senso delle dette conoscenze, vogliono favorire un migliore destino per le classi oppresse e bisognose.

 

19. La scienza dello spirito deve invece andare più in profondità. Un progresso radicale non può più in effetti essere ottenuto con tutti quei mezzi. Chi non lo ammette non ha mai avuto chiaro da dove provengono le condizioni di vita in cui la gente è. In altre parole, anche se la vita dell’uomo dipende da tali condizioni, tali condizioni sono determinate da uomini. Altrimenti chi mai prende le misure grazie alle quali uno è povero e l’altro è ricco? Appunto altri uomini. La situazione di fatto non cambia per la circostanza che questi “altri uomini” abbiano vissuto prima di quelli che ora prosperano o non prosperano nelle condizioni attuali. Per le condizioni sociali le sofferenze che la natura stessa procura all’uomo vanno considerate solo indirettamente. Tali sofferenze devono appunto essere alleviate o addirittura eliminate a seguito dell’azione umana. Se non avviene quanto è necessario in questa direzione è perché manca qualcosa nelle istituzioni umane. Il riconoscere questi fatti di base insegna che tutto il male, del quale si può giustamente parlare in una prospettiva sociale, deriva anche dalle azioni umane. In questo senso non è il singolo l’“artefice del proprio destino”, ma di certo tutta l’umanità.

 

20. Quanto certo è questo, altrettanto vero è che in generale nessuna parte rilevante dell’umanità, nessuna casta o classe determina per cattiva intenzione le sofferenze di un’altra parte. Tutto quanto si sostiene a questo proposito si basa semplicemente su mancanza di comprensione. Malgrado sia questa una verità ovvia, pure essa deve essere espressa, perché se anche queste cose sono facili da comprendere con l’intelletto, pure nella vita pratica non ci si comporta di conseguenza. Ad ogni sfruttatore dei suoi simili sarebbe naturalmente più gradito se le vittime del suo sfruttamento non dovessero soffrirne. Si farebbero progressi se questo non fosse soltanto considerato ovvio, ma se vi si adeguassero le proprie sensazioni e i propri sentimenti. Ma che cosa si deve fare sulla base di queste affermazioni? Così obietterà senza dubbio qualche “pensatore sociale”. Deve forse lo sfruttato porsi di fronte allo sfruttatore con sentimenti benevoli? Non è fin troppo comprensibile se il primo odia il secondo e se dal suo odio è portato alla sua posizione partitica? Sarebbe davvero una cattiva ricetta - così si obietta ancora - se l’oppresso esortasse all’amore fra gli uomini di fronte all’oppressore, più o meno nel senso della massima del grande Buddha: “L’odio non è superato dall’odio, ma solo dall’amore”.

 

21 Eppure solo la conoscenza proveniente da questo atteggiamento porta oggi ad uno specifico “pensiero sociale”. E qui appunto interviene la disposizione d’animo proveniente dalla scienza dello spirito. Questa disposizione d’animo non può fermarsi a una comprensione superficiale, ma deve penetrare in profondità. Di conseguenza non può limitarsi a mostrare che a seguito di questa o quella condizione si genera miseria, ma deve arrivare alla sola conoscenza feconda grazie alla quale tali condizioni furono e sono di continuo create. Rispetto a questi profondi problemi, quasi tutte le teorie sociali si dimostrano appunto soltanto come “grigie teorie”, se non addirittura come semplici frasi.

 

22. Finché si resta col proprio pensiero in superficie, si ascriverà in genere un potere del tutto falso alle condizioni delle circostanze esteriori. Infatti le condizioni della vita sono solo l’espressione di una vita interiore. Così come comprende il corpo umano solo chi sa che esso è l’espressione dell’anima, allo stesso modo nella vita può giudicare rettamente le strutture esteriori solo chi ha chiaro che quelle null’altro sono se non creazioni di anime umane che vi incarnano le loro sensazioni, i loro atteggiamenti e i loro pensieri. Le condizioni in cui si vive sono create dagli uomini, e non si creerà mai nulla di meglio se non si partirà da altri pensieri, atteggiamenti e sensazioni, diversi da quelli avuti dai creatori di queste condizioni.

 

23. Consideriamo queste cose nei particolari. In apparenza sembrerà facilmente un oppressore chi conduce una vita sfarzosa, chi viaggia con le sue comodità e così via. Come oppresso apparirà chi veste male e deve viaggiare pigiato in seconda classe. Non è necessario essere senza cuore reazionario o qualcosa del genere per afferrare con chiari pensieri quanto segue. Nessuno è oppresso o sfruttato se io porto questo o un altro vestito, ma solo se pago troppo poco l’operaio che confeziona l’abito per me. Il povero operaio che acquista il brutto vestito per pochi soldi, nel senso indicato e rispetto agli altri, è esattamente nella stessa posizione del ricco che si fa confezionare il vestito migliore: che io sia ricco o povero, sono uno sfruttatore se acquisto cose pagandole troppo poco. In sostanza oggi nessuno dovrebbe chiamare oppressore qualsiasi altro, perché dovrebbe prima guardare se stesso. Facendolo scoprirà presto in sé anche l’oppressore. Il lavoro che tu devi fornire al ricco è forse fornito solo a lui in cambio di un misero salario? No, chi siede accanto a te lamentandosi come te dell’oppressore, si fornisce del lavoro delle tue mani esattamente alle stesse condizioni del ricco contro cui entrambi vi scagliate. Si rifletta sul problema e si troveranno altri appigli per un “pensiero sociale”, per altro diversi da quelli correnti.

 

23. Su questa strada di pensieri si dovrà innanzi tutto chiarire che i concetti di “ricco” e di “sfruttatore” vanno del tutto separati. Se oggi si è ricchi o poveri dipende dall’abilità propria o da quella dei propri antenati, o da tutt’altre circostanze. Ciò non c’entra col fatto che si sia sfruttatori della forza-lavoro di altri. O almeno non c’entra direttamente. C’entra invece moltissimo con dell’altro. E cioè col fatto che le nostre istituzioni o le condizioni nelle quali siamo inseriti sono costruite sul tornaconto personale. Occorre pensare molto chiaramente in proposito, altrimenti si giunge a una concezione del tutto distorta di quanto è detto. Se oggi compero un vestito, secondo le condizioni esistenti sembra naturalissimo che io lo acquisti al più buon mercato possibile. Vale a dire: tengo presente solo me stesso. Con questo è però indicata la prospettiva che domina tutta la nostra vita. Si potrà facilmente obiettare: forse che le persone e i partiti che pensano socialmente non tendono a eliminare questo inconveniente? Non si tende forse a proteggere il lavoro? Le classi lavoratrici e i loro rappresentanti non richiedono miglioramenti salariali e limitazioni di orari lavorativi? Già più sopra è stato detto che nella prospettiva del presente non va obiettato proprio nulla contro tali richieste e misure. Naturalmente con questo non si vuol togliere la parola a nessuna delle richieste dei partiti esistenti. Si vuole solo chiarire una diversa prospettiva; non è una presa di posizione contro i partiti, il che in ogni caso è al di fuori dell’impostazione della scienza dello spirito.

 

24. Si potranno introdurre ancora moltissimi miglioramenti a difesa della classe lavoratrice, e così contribuire di certo ad elevare le condizioni di vita di questo o di quel gruppo di persone, ma con questo non si sarà modificata l’essenza dello sfruttamento. Infatti lo sfruttamento dipende dalla circostanza che ognuno acquista i prodotti del lavoro altrui badando al proprio tornaconto. Che io abbia tanto o poco, se mi procuro quanto mi serve per soddisfare i miei interessi, l’altro dev’essere sfruttato. Se anche difendo il suo lavoro, conservando questo punto di vista faccio qualcosa solo in apparenza. Se pago più caro il lavoro di un altro, anch’egli dovrà pagare più caro il mio, se non si vuole ottenere una condizione peggiore dell’uno a seguito della condizione migliore dell’altro.

 

25. È bene chiarire il problema con un altro esempio. Se compro una fabbrica con lo scopo di guadagnare il più possibile, farò in modo di pagare i lavoratori il meno possibile, e così via. Tutto quanto avviene sarà nella prospettiva del tornaconto personale. Se invece compro la fabbrica nella prospettiva di trattare il meglio possibile duecento lavoratori, tutte le mie azioni assumeranno un’altra sfumatura. In pratica oggi il secondo caso non potrà distinguersi di certo molto dal primo. Ciò dipende soltanto dal fatto che un singolo altruista non può fare molto in una società tutta costruita sul tornaconto personale. Tutto diverso sarebbe il problema se il lavoro non fosse generalizzato in base a tornaconto personale.

 

26. Un pensatore pratico affermerebbe ovviamente che con le sole “buone intenzioni” nessuno potrebbe creare la possibilità di portare i suoi dipendenti a migliori condizioni salariali, perché con le buone intenzioni non si aumentano i ricavi per le proprie merci, senza di che non si potrebbero creare migliori condizioni per i dipendenti. Invece proprio qui va compreso che l’obiezione è del tutto errata. Tutti gli interessi e di conseguenza tutte le condizioni della vita si modificano se nel fare qualcosa non si ha presente se stessi, ma gli altri [lo stesso del resto avviene in campo artistico quando si studia una partitura al pianoforte, o un sceneggiatura per una recita, ecc., per eseguirla in pubblico - ndc]. A cosa deve badare qualcuno che può servire solo il proprio tornaconto? Appunto di acquisire il più possibile, e non può prendere in considerazione come gli altri debbano lavorare per soddisfare i suoi bisogni. Egli deve quindi indirizzare le sue forze nella lotta per l’esistenza. Se inizio un’impresa che deve procurare a me il più possibile, io non chiedo in che modo sono impegnate le forze-lavoro che operano per me. Se invece non io vado considerato, ma solo il problema di come il mio lavoro serva agli altri, allora tutto si modifica [esattamente come il suono che produco considerando le orecchie altrui più della fatica del mio noioso esercizio al pianoforte per l’esecuzione di quel dato passaggio - ndc]. Allora non ho più bisogno di intraprendere qualcosa che possa essere di danno per altri. Allora non pongo le mie forze al mio servizio, ma al servizio di altri. Il che ha per conseguenza un tutt’altro sviluppo delle forze e delle capacità degli uomini. Alla fine di questo scritto vedremo come ciò possa modificare praticamente le condizioni della vita.

 

27. In un certo senso Robert Owen può essere indicato come un genio dell’attività pratica sociale. Aveva due caratteristiche che possono giustificare appieno l’affermazione fatta: una saggia visione per strutture socialmente utili e un nobile amore per gli uomini. Basta soltanto considerare quello che egli organizzò grazie a quelle due capacità, per riconoscerne giustamente tutta l’importanza. A New Lanark creò un esemplare impianto industriale occupando gli operai in modo che non solo avessero un’esistenza materiale degna di uomini, ma che vivessero anche in condizioni morali soddisfacenti. Le persone che vi si riunirono erano in parte dedite al bere. Egli immise fra questi degli elementi migliori che col loro esempio agirono sui primi. Così si ebbero i risultati migliori possibili. Quel che in quel luogo ottenne Owen, rende impossibile metterlo sullo stesso piano di altri più o meno fantasiosi “miglioratori del mondo”, i cosiddetti utopisti. Egli si mantenne nei limiti di disposizioni praticamente eseguibili, delle quali anche chiunque negato ai sogni deve ammettere che comunque, in un certo campo limitato, esse eliminarono la miseria umana. Non è nemmeno un’utopia, volendone nutrire la speranza, pensare che quel campo limitato possa servire da esempio, e che da esso possa pian piano essere sollecitata una sana evoluzione del destino umano nella sfera sociale.

 

28. Owen stesso pensava in questo modo. Perciò osò un passo ulteriore lungo la via iniziata. Nel 1824 cominciò a creare nello Stato dell’Indiana, nell’America settentrionale, una specie di piccolo Stato pilota. Acquistò un’estensione di terreno su cui fondare una comunità umana costruita su libertà ed uguaglianza. Furono prese tutte le misure per rendere impossibili lo sfruttamento ed il servaggio. Chi si accinge a un compito del genere deve portare con sé le più belle virtù sociali: l’aspirazione a rendere felici i suoi simili, e la fede nella bontà della natura umana. Dev’essere dell’opinione che assicurando con misure idonee la benedizione del lavoro, nella natura umana si sviluppi in modo del tutto automatico il piacere di lavorare.

 

29. In Owen questa fede era tanto forte che sarebbero dovute intervenire esperienze davvero pessime per farvelo vacillare.

 

30. E le cattive esperienze si verificarono. Dopo lunghi e nobili sforzi, dovette giungere alla conclusione che “si dovrà sempre fallire nella realizzazione di colonie del genere, se prima non si saranno trasformati i costumi, e che avrebbe maggior valore agire teoricamente sull’umanità piuttosto che in pratica”. Questo riformatore sociale dovette giungere a tale conclusione per il fatto che vi era troppa gente senza voglia di lavorare, che voleva scaricare il lavoro sui propri simili; da qui seguirono litigi lotte e alla fine il fallimento della colonia.

 

30. L’esperienza di Owen può essere istruttiva per tutti coloro che davvero vogliano imparare. Essa può condurre da tutte le istituzioni, artificialmente pensate e create per la prosperità dell’umanità, ad un fecondo lavoro sociale che tenga conto della vera realtà.

 

31. Attraverso le sue esperienze Owen poté rettificare radicalmente la sua opinione che tutta la miseria umana provenga solo da “cattive istituzioni” in cui vive la gente, migliorando le quali la bontà della natura umana debba mostrarsi da sé. Dovette convincersi che le buone istituzioni possono essere conservate solo se gli uomini che vi partecipano sono per loro natura disposti a conservarle, se vi sono legati con calda partecipazione.

 

32. Si potrebbe ora credere che sia necessario preparare teoricamente gli uomini per i quali si vogliono creare nuove istituzioni, più o meno chiarendo loro la giustezza e l’efficacia delle misure da prendere. Per chi non abbia preconcetti non è difficile trarre le stesse conseguenze dalla posizione di Owen. Tuttavia si può giungere ad una vera esperienza pratica solo penetrando più profondamente la cosa. Da una bontà della natura umana meramente creduta, che trasse in inganno Owen, occorre arrivare a una vera conoscenza dell’uomo.

 

33. Tutta la chiarezza raggiungibile dagli sul fatto che ogni istituzione corrisponda allo scopo e possa portare l’umanità alla prosperità, non può alla lunga condurre alla meta desiderata, perché anche con un’impostazione del genere l’uomo non potrà acquisire gli impulsi interiori per il lavoro, se dall’altro lato restano validi in lui gli impulsi basati sull’egoismo. L’egoismo è comunque una parte della natura umana. Domina nei sentimenti dell’uomo, quando questi deve vivere e lavorare assieme ad altri nella società. Con una certa necessità questo porta che in pratica la maggior parte della gente considera migliore una struttura sociale attraverso cui il singolo possa soddisfare al meglio i propri bisogni. Sotto l’influenza dei sentimenti egoistici si pone così del tutto naturalmente il problema sociale in questa forma: quali strutture sociali vanno instaurate affinché ogni singolo possa avere per sé il ricavo del suo lavoro? Specialmente poi nel nostro tempo che pensa materialisticamente, solo pochi partono da altre premesse. Si sente ripetere come una verità evidente che sarebbe impossibile un ordinamento sociale che volesse costruirsi sull’amore e la partecipazione. umana. Si conta piuttosto sul fatto che complessivamente possa meglio prosperare una comunità umana in cui il singolo possa avere per sé “tutto” o almeno la maggior parte possibile del suo lavoro.

 

34. Proprio l’opposto insegna però l’occultismo poggiante su una più profonda conoscenza dell’uomo e del mondo. L’occultismo mostra appunto che tutta la miseria umana è semplicemente una conseguenza dell’egoismo, e che del tutto necessariamente in una comunità umana si instaurano al contempo ogni miseria e dolore, se la comunità stessa si basa in qualche modo sull’egoismo. Per comprenderlo occorrono per altro conoscenze più profonde di quelle che circolano sotto le insegne della scienza sociale. Questa scienza considera appunto solo il lato esteriore della vita umana, non invece le sue forze più profonde. È perfino difficilissimo risvegliare nella maggioranza degli uomini odierni anche solo un sentore del fatto che di tali forze più profonde si potrebbe parlare. Costoro considerano persona non pratica e dedita alla fantasia chi suggerisce in qualche modo cose del genere. In questa sede non si può neppure tentare di sviluppare una teoria sociale costruita sulle forze più profonde, perché allo scopo sarebbe necessaria un’opera esauriente. Solo una cosa si può dire: sulla base delle vere leggi della collaborazione umana si può mostrare quali sono le assennate riflessioni sociali risultanti a chi conosce quelle leggi. La piena comprensione del problema può essere acquisita solo da chi si conquista una concezione del mondo basata sull’occultismo. La rivista in cui appare questo articolo lavora appunto per render nota questa concezione del mondo. D’altra parte non è possibile attendersela da un singolo articolo sul “problema sociale”. Tutto quello che l’articolo può porsi come compito è di gettare luce su questo problema dal punto di vista dell’occultismo. Vi saranno persone che riconosceranno col sentimento nella sua giustezza ciò che è stato esposto molto brevemente e che questa volta non poteva essere presentato in modo più esauriente.

 

35 La fondamentale legge sociale che può essere indicata dall’occultismo è questa: “La salute di una comunità di uomini che lavorano insieme è tanto maggiore quanto meno il singolo ritiene per sé i ricavi delle proprie prestazioni, vale a dire quanto più di tali ricavi egli da’ ai suoi collaboratori, e quanto più i suoi bisogni non siano soddisfatti dalle proprie prestazioni, ma da quelle altrui”. Tutte le istituzioni entro una comunità di uomini che contraddicono questa legge, alla lunga producono in qualche modo miseria e dolore. Così come ogni legge naturale vale per uno specifico campo della natura, allo stesso esclusivo e necessario modo questa legge fondamentale vale per la vita sociale. Non bisognerebbe però pensare che basti dar valore a questa legge in un senso genericamente morale, o che la si voglia più o meno trasformare nel senso che ognuno lavori al servizio dei propri simili. No, in realtà la legge vive come deve, solo se una comunità di uomini riesce a creare istituzioni tali che mai qualcuno possa trattenere per sé i frutti del suo lavoro, ma che questi frutti vadano a vantaggio della comunità, possibilmente senza residui. In cambio ognuno dovrebbe a sua volta essere mantenuto dal lavoro dei suoi simili. In altre parole, il punto è che lavorare per i propri simili e conseguire determinate entrate siano due cose del tutto distinte.

 

36. L’occultista non si fa alcuna illusione che la sedicente “gente pratica” si limiti a sorridere di un “idealismo da far rizzare i capelli”. Eppure la legge sopra citata è più pratica di qualsiasi altra che sia mai stata pensata o tradotta in realtà. Chi veramente studia la vita può trovare che ogni comunità umana esistente ora in qualche posto, o che sia mai esistita, ha due tipi di istituzioni. Le une corrispondono alla legge citata, le altre la contraddicono. Così è dappertutto, indipendentemente che gli uomini lo vogliano o no. Infatti ogni comunità decadrebbe immediatamente se il lavoro del singolo non fluisse nel tutto. L’egoismo umano però contrasta da sempre questa legge e cerca di trarre per il singolo possibilmente molto profitto dal suo lavoro. Proprio quanto per egoismo è stato in tal modo deviato ha avuto da sempre per conseguenza dolore e miseria. Ciò significa che sarà sempre verificabile come non pratica la parte di istituzioni umane introdotta dai “pratici” e basata sull’egoismo proprio o altrui.

 

37. Naturalmente il problema non consiste nel comprendere meramente la legge citata; la vera pratica comincia con la domanda: come la si può tradurre nella realtà? È chiaro che la legge non dice nient’altro che questo: il benessere umano è tanto maggiore, quanto minore è l’egoismo. Nel tradurla nella realtà va tenuto presente che si devono cercare uomini che possano trovare la via per uscire dall’egoismo. Il che è peraltro del tutto impossibile se la misura del bene e del male del singolo è determinata in base al suo lavoro. Chi lavora per sé deve cadere pian piano nell’egoismo. Solo chi lavora del tutto per gli altri può diventare a poco a poco un lavoratore non egoistico.

 

38. In proposito è però necessaria una premessa. Se qualcuno lavora per un altro, il primo deve trovare nell’altro il motivo per il suo lavoro; e se qualcuno deve lavorare per la comunità, egli deve sentire il valore, l’essenza e l’importanza della comunità stessa. Il che può avvenire solo se la comunità è qualcosa di diverso da una somma più o meno indistinta di singoli individui. La comunità dev’essere pervasa da un vero spirito a cui ognuno prenda parte. Dev’essere tale che ognuno si dica: è giusta, e io voglio che sia così La comunità deve avere una missione spirituale, e ogni singolo deve voler contribuire al compimento di quella missione. Tutte le indistinte ed astratte idee di progresso di cui di solito si parla non possono però costituire una missione nel senso indicato. Quando esistano solo queste, un singolo o un gruppo lavora qua o là, senza però vedere a che altro possa servire il suo lavoro se non che sia utile a sé, al suo gruppo o agli interessi a cui al momento si è legati. Lo spirito della comunità a cui si accennava deve essere vivente fino in ogni singolo.

 

39. Sempre il bene è prosperato dove in qualche modo esisteva una simile vita dello spirito comunitario. Il singolo cittadino di una città dell’antica Grecia, o anche quello di una città libera medioevale aveva almeno un oscuro sentimento di uno spirito comunitario del genere. Non è un’obiezione a questa osservazione che per esempio le istituzioni esistenti nell’antica Grecia erano possibili soltanto perché vi era una schiera di schiavi che eseguivano il lavoro per i “cittadini liberi” e che non erano spinti dallo spirito della comunità, ma dall’oppressione dei loro padroni. Da questo esempio si può solo apprendere che la vita umana è soggetta all’evoluzione. Oggi l’umanità è giunta a un gradino al quale è impossibile una soluzione dei problemi della società come quella che esisteva nell’antica Grecia. Anche ai più nobili greci la schiavitù non appariva come un’ingiustizia, ma come una necessità umana. Così per esempio anche il grande Platone poté presentare un ideale statale in cui lo spirito della comunità trovava il suo adempimento perché la maggioranza degli uomini dediti al lavoro vi era obbligata dai pochi spiriti eletti. Però il compito odierno è di portare gli uomini in una posizione tale che ogni singolo svolga il lavoro per la comunità partendo da un proprio impulso interiore.

 

40. Di conseguenza nessuno dovrebbe pensare di cercare una soluzione della questione sociale valida per tutti i tempi, ma soltanto pensare a come si deve conformare il proprio pensare e agire sociale, tenendo conto delle immediate necessità del presente nel quale si vive. In genere oggi nessuno può pensare teoricamente qualcosa, o tradurla in realtà, stimando di poter così risolvere il problema sociale. Allo scopo dovrebbe avere il potere di costringere un certo numero di uomini nelle condizioni da lui create. Non si può proprio avere nessun dubbio: se Owen avesse avuto il potere o la volontà di costringere tutti i partecipanti della sua colonia al lavoro loro spettante, l’esperimento avrebbe avuto successo. Ma oggi una simile costrizione non può più esercitarsi. Va creata la possibilità che ognuno compia liberamente quello che è chiamato a fare nella misura delle proprie capacità e forze. E proprio per questo non potrà mai essere questione che, nel senso delle ricordate convinzioni di Owen, si agisca in tal modo sugli uomini “teoricamente”, che si trasmetta loro una semplice veduta in merito a come si possano organizzare per il meglio le condizioni economiche. Una teoria economica astratta non potrà mai essere un impulso contro le forze egoistiche [l’odierna crisi economica mondiale è infatti dovuta alla circostanza per cui economisti di Stato studiano tali teorie economiche astratte nelle scuole di Stato e le fanno applicare all’economia di Stato; nessuno ha fatto tesoro delle esperienze negative di Owen, così come nessuno ha fatto tesoro delle scoperte di John Nash, Nobel per l’economia (1994). Nash dimostrò scientificamente che i fondamenti dell’odierna economia di Stato sono matematicamente sbagliati, in quanto ancora basata su Adam Smith che nel 1776 affermò che il massimo livello di benessere sociale si ottiene quando ciascun individuo persegue egoisticamente il proprio singolo interesse (A. Smith, “La ricchezza delle nazioni”). Anche se agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso Nash dimostrò che Smith si sbagliava, le dimostrazioni matematiche di Nash, scoperte scientifiche di enorme respiro, la cui circolazione avrebbe potuto modificare il corso della catastrofe economica a cui oggi assistiamo, furono espressamente tenute nascoste perfino agli stessi economisti, mentre teorie basate su ipotesi dimostrate false per via matematica furono ampiamente diffuse non solo tra i professionisti dell’economia, ma a tutti i livelli, grazie all’azione massiccia dei media, e addirittura applicate in paesi “minori”, che si erano dimostrati favorevoli a tentare questa via, come accadde per esempio in America Latina. Cosa aveva in definitiva scoperto Nash? Che il massimo livello di benessere per una società si manifesta non quando ciascuno degli individui che la compongono agisce in vista del proprio interesse - come diceva Smith - ma quando l’attuazione dell’interesse proprio avviene senza però perdere di vista quello degli altri. Nash dimostrò matematicamente come un comportamento mosso dal mero individualismo possa generare nell’organismo sociale una sorta di “legge della giungla”, che fa sì che tutti i suoi membri finiscano per godere di un benessere inferiore alle loro potenzialità! Ciò nonostante, oggi viviamo ancora in tale teoria economica della “legge della giungla” - ndc]. Una teoria economica del genere potrà trasmettere alle masse per qualche tempo un certo slancio che appaia simile all’idealismo. Ma alla lunga una teoria del genere non può essere utile a nessuno. Chi propone alle masse questo tipo di teoria, senza dare loro qual cos’altro di spirituale, pecca contro il vero senso dell’evoluzione umana.

 

41. La sola cosa che serve è una concezione spirituale del mondo che per se stessa, attraverso ciò che può offrire diventi tutt’uno coi pensieri, i sentimenti e la volontà dell’uomo, in breve con tutta la sua anima. La fede che Owen aveva nella bontà della natura umana era solo in parte giustificata; dall’altro lato essa è una delle peggiori illusioni. È giustificata in quanto in ogni uomo è latente un “io superiore” che può essere risvegliato. Tale io può peraltro essere risvegliato dal suo sonno solo mediante una concezione del mondo avente le caratteristiche prima accennate. Inserendo uomini così orientati in strutture quali erano state pensate da Owen, la comunità prospererà nel migliore del modi. Riunendo invece uomini che non abbiano una concezione del genere, in un tempo più o meno lungo la bontà delle strutture si dovrà trasformare si dovrà trasformare di necessità in male. In uomini privi di una concezione del mondo rivolta allo spirito proprio le istituzioni che tendono al benessere materiale devono cioè necessariamente produrre un potenziamento dell’egoismo, e quindi a poco a poco miseria e dolore [è quanto è avviene oggi - ndc]. È quindi giusto nel significato originario della parola che si può aiutare soltanto il singolo procurandogli il solo pane; a una comunità si può invece procurare del pane solo aiutandola a trovare una concezione del mondo. In altre parole, non serve proprio a nulla voler procurare il pane a ogni singolo componente di una comunità. Dopo qualche tempo le cose si metteranno in modo che di nuovo molti non avranno neppure il pane.

 

42. La conoscenza di questi principi toglie però molte illusioni a certuni che amano presentarsi come benefattori del popolo, perché costoro rendono molto difficile il lavoro per il benessere sociale. Tanto più che in determinate condizioni i successi sono costituiti solo da piccolissimi successi parziali. Perde valore la maggior parte di quanto oggi tutti i partiti presentano come rimedi per la vita sociale; tutto ciò si dimostra vana illusione e vuota parola, privo di sufficiente conoscenza della vita umana. Quando non sia osservata la legge ricordata, per chi guarda a fondo nelle cose non possono avere importanza né il parlamento, né la democrazia, né l’agitazione delle masse, né altro del genere, mentre tutto questo può agire favorevolmente se lo si fa nel senso della legge citata. È una pessima illusione credere che qualsivoglia deputato del popolo in tutti i parlamenti possa contribuire in qualche modo per il bene dell’umanità se la sua azione non è indirizzata nel senso della fondamentale legge sociale.

 

43. Ovunque questa legge si presenta, ovunque qualcuno agisce conformemente ad essa, per quanto gli è possibile dal posto nel quale si trova nella comunità umana, si consegue qualcosa di buono, anche se nel singolo caso ciò avvenga in piccolissima misura. Un sano e generale progresso sociale è costituito solo da singole azioni che nascano in questo modo. Per altro avviene anche che in singoli casi, comunità umane più grandi posseggano una speciale disposizione a conseguire d’un solo colpo col loro contributo un maggiore successo nella direzione indicata. Anche ora vi sono già certe comunità umane che preparano nelle loro disposizioni qualcosa del genere. Tali comunità renderanno possibile che col loro contributo l’umanità riceva una spinta, faccia un salto verso l’evoluzione sociale. All’occultismo sono note tali comunità, ma non è suo compito parlarne apertamente. Vi sono anche mezzi per preparare grandi masse umane a salti del genere, che per altro possono essere compiuti in un tempo prevedibilmente vicino. Nel senso della legge citata è però lasciato ad ognuno di agire per quanto può nel suo campo. Non esiste nel mondo posizione individuale dalla quale non si possa fare qualcosa, per quanto in apparenza sia poco importante o molto influente.

 

44. L’importante è comunque che ognuno cerchi il cammino verso una concezione del mondo che si indirizzi a una vera conoscenza dello spirito. L’indirizzo spirituale antroposofico può costituire una concezione del genere per tutti gli uomini, se si configura sempre più nel modo che corrisponde al suo contenuto e agli indirizzi in esso esistenti. Attraverso tale indirizzo l’uomo può sperimentare di non essere nato in un posto e in un tempo qualsiasi, ma di essere stato posto di necessità, per la legge della causalità, per il karma, nel posto in cui si trova. Egli può comprendere che il suo ben giustificato destino lo ha inserito nella comunità umana entro la quale è. Può anche divenire cosciente che le sue capacità non gli provengono da un cieco destino, ma che hanno un senso nell’ambito della legge del karma.

 

45. L’uomo può comprendere tutto ciò in modo che tale comprensione non rimanga solo un astratto problema intellettuale, ma che a poco a poco riempia tutta la sua anima di vita interiore.

 

46. Sorgerà in lui il sentimento che egli da’ un significato superiore alla sua vita lavorando adeguatamente al suo posto nel mondo e secondo le sue capacità. Da questa comprensione non seguirà un oscuro idealismo, ma un poderoso impulso per tutte le sue forze, e nel suo agire in tale direzione vedrà qualcosa di tanto naturale, quanto lo è il mangiare e il bere in un’altra connessione. Inoltre riconoscerà il senso che lo lega alla comunità umana di cui è parte. Comprenderà i nessi con cui la sua comunità umana si pone rispetto ad altre; in tal modo i singoli spiriti di tali comunità si uniranno in un’immagine spirituale avente per scopo una missione unitaria di tutto il genere umano. La sua conoscenza potrà poi passare da quella del genere umano a quella del significato di tutta l’esistenza terrestre. Solo chi non si indirizza nella direzione di questa concezione del mondo può dubitare che essa possa agire come qui viene indicato. Certamente oggi nella maggior parte delle persone vi è poca propensione ad entrare in questo ordine di idee. D’altra parte non può esservi dubbio che il giusto modo di pensare proveniente dalla scienza dello spirito attiri sempre più gente. E nella misura in cui ciò avviene gli uomini faranno quel che è giusto per conseguire il progresso sociale. Non si possono avere dubbi in proposito anche se fino ad ora, come si dice, nessuna concezione del mondo ha procurato la felicità all’umanità. Secondo le leggi dell’evoluzione umana in nessuna epoca precedente sarebbe potuto accadere quello che d’ora in poi è a poco a poco possibile: trasmettere a tutti gli uomini una concezione di una prospettiva mondiale per le conseguenze pratiche cui si è fatto cenno.

 

47. Le concezioni del mondo esistenti finora furono accessibili solo a singoli gruppi di uomini, e quanto è finora avvenuto di buono nel genere umano proviene da quelle concezioni del mondo. Ma a un bene generale può solo condurre una concezione che afferri tutte le anime e che possa accendere in loro la vita interiore. E questo sarà in grado di fare dappertutto il modo di pensare derivato dalla scienza dello spirito, là dove corrisponda davvero alla sua natura. Certo non si deve guardare soltanto all’aspetto che questo modo di pensare ha assunto finora; per afferrare giustamente quel che si è detto è necessario comprendere che la scienza dello spirito deve ancora svilupparsi fino alla sua superiore missione di civiltà.

 

48. Fino ad ora la concezione antroposofica del mondo non ha potuto mostrare per diverse ragioni il volto che mostrerà in avvenire. Una delle ragioni è che per prima cosa dovette in qualche modo prendere piede. Dovette di conseguenza rivolgersi a un determinato gruppo di persone. Per la natura delle cose tale gruppo non poteva essere se non quello che, per le caratteristiche della sua evoluzione, aveva nostalgia per una nuova soluzione dei misteri dell’universo e che, attraverso l’esempio delle persone riunite nel gruppo stesso, poteva portare comprensione e partecipazione per una soluzione del genere. Naturalmente la scienza dello spirito doveva per il momento rivestire le sue comunicazioni con un linguaggio che fosse adatto al gruppo di persone indicato. Nella misura e secondo le condizioni che risulteranno in seguito, la scienza dello spirito troverà anche le forme espressive per parlare ad altri gruppi di persone. Soltanto chi voglia avere esclusivamente dogmi finiti e rigidi può pensare che la forma attuale delle comunicazioni della scienza dello spirito sia durevole o addirittura la sola possibile. Proprio perché per la scienza dello spirito il punto non è rimanere semplice teoria o soddisfare la sete di sapere, essa deve lavorare lentamente in questo modo. Fra i suoi scopi vi è appunto quello pratico sopra caratterizzato del progresso dell’umanità, ma potrà agire in quel senso solo se creerà vere condizioni adatte allo scopo. Tali condizioni non possono d’altra parte realizzarsi se non conquistando un individuo dopo l’altro. Il mondo progredisce solo se gli uomini lo vogliono. Ma perché lo vogliano è necessario in ognuno un lavoro interiore sulla propria anima. Il che può soltanto essere fatto passo per passo. Se così non fosse, anche la scienza dello spirito sarebbe in campo sociale una pensata intellettualistica e non potrebbe svolgere alcun lavoro pratico. Presto si ritornerà in argomento (1).

 

(1) A questo articolo, scritto nel 1907 per esclusiva iniziativa dell’autore, non seguì nient’altro in campo sociale fino all’Appello del 1917 - oggi cap. V de “I punti essenziali della questione sociale” - e al libretto pubblicato in questo volume. La causa più probabile di tale silenzio fu che da parte dei lettori dei seguaci di allora di Rudolf Steiner non venne mostrato alcun interesse per questi problemi - ndt.