Critica a Steiner di Nereo Villa

 

La critica del 1919 di Giovanni Gentile a  “La filosofia della libertà” di Rudolf Steiner (1), scritta in risposta alla richiesta di Benedetto Croce per la sua rivista  “La Critica”, non è molto distante dall’odierna “cicalecciocrazia” dei neo-avversari di Steiner, i quali senza neanche avere quell’opera, criticano il pensiero di Steiner poggiando su contenuti esattamente opposti rispetto a quelli di Gentile. Gentile scriveva a Croce che i concetti della filosofia della libertà di Steiner erano “conservati” anziché intrinsecamente “criticati” nel loro significato (“si conservano, inavvertitamente, tutti i concetti ricevuti, non criticati, non guardati nel loro intrinseco significato) (2) e che non si trattava di filosofia, in quanto essa non era un sistema, e che pertanto non poteva essere filosofia (“Non si perviene perciò a una filosofia, la quale non può essere filosofia senza essere sistema) (3). Il sedicente filosofo Diego Fusaro, in realtà de-pensante, afferma esattamente il contrario e cioè che i contenuti di pensiero di Steiner rappresentano un sistema, e addirittura un sistema di tipo religioso e autoritario: “il sistema di Rudolf Steiner rappresenta un sistema religioso con carattere autoritario (4).

 

Da una parte dunque una visione astratta di destra che dice “no” a Steiner in base al pregiudizio che la filosofia sia un sistema. Dall’altra una visione astratta di sinistra che dice “no” a Steiner in base al pregiudizio che il suo “sistema” sia “religioso” con “carattere autoritario”.

 

Ambedue queste visioni sono infondate, ed ambedue proiettano sull’oggetto osservato, cioè sul contenuto di pensiero di Steiner, ciò che in realtà sono esse stesse in quanto congetture prive di connessioni con la realtà dei fatti. Cercherò di mostrarlo.

 

La critica di Gentile può valere solo a condizione di non considerare il dichiarato proposito di Steiner, che intende se stesso come artista del pensare e non come filosofo sistematico, onde evitare “dissertazioni scientifiche” troppo specialistiche, e che a quelle sia sacrificato lo scopo precipuo della scienza stessa, che per Steiner è quello di “innalzare il valore attuale dell’individualità umana (5): “Io non insegno, racconto ciò che ho sperimentato interiormente”, scriveva infatti Steiner in una lettera ad una sua amica (6), e “lo racconto così come l’ho sperimentato” (ibid.). In questa confidenza di Steiner in merito alla genesi dell’opera in questione, è suggerito l’atteggiamento che dovrebbe far proprio colui che voglia accostarsi ad essa con profitto, e da lettore farsi egli stesso scrittore, ma nel libro della propria vita, e della propria “filosofia della libertà”. Un simile atteggiamento è oltretutto non lontano da quello dello stesso Gentile, che, in una conferenza del 1935, avrebbe caratterizzato l’intento della corrente spirituale di cui egli era allora il maggior esponente, con le seguenti parole: “La forza della filosofia idealistica non consiste nella sua dialettica o nella tecnica delle argomentazioni ond’essa critica le dottrine opposte e si accampa sul terreno della verità con la pretesa conseguente di dettar legge, teoricamente o praticamente. Non è una logica della vita che voglia imporsi alla vita. Anzi essa non ammette più nessuna logica di tal sorta, poiché ha abbattuto ogni barriera tra la filosofia e la vita, tra la filosofia e il semplice pensiero, tra il pensiero e l’essere, e piantato l’essere - cioè il Tutto, la Realtà, Dio stesso - nel cuore dell’uomo; e inculca perciò in questo la fede nella sua missione creatrice (7).

 

Se dunque si vuole ragionare in base a concretezza, si deve osservare che, almeno qui, la filosofia di Gentile e quella dello Steiner risultano accomunate dallo stesso anelito verso una libertà non solo proclamata, ma vissuta dalle insondabili profondità dell’essere uomo!

 

L’altra visione, quella del cosiddetto pensiero debole, che io chiamo mentecattocomunista, o “pensiero alla coque” è tipico invece di coloro che Erich Fromm caratterizza come “studenti dell’avere”: “Studenti che facciano propria la modalità esistenziale dell’avere assisteranno a una lezione udendo le parole dell’insegnante, afferrandone la struttura logica e il significato e facendo del loro meglio per trascrivere ognuna delle parole stesse nel loro quaderno di appunti, in modo da poter poi mandare a memoria le annotazioni e quindi superare la prova di un esame. Ma il contenuto non diviene parte del loro personale sistema di pensiero, arricchendolo e dilatandolo; al contrario, essi trasformano le parole che odono in agglomerati di idee cristallizzate, o in complesse teorie che comunque immagazzinano passivamente. Gli studenti e quanto viene loro insegnato rimangono estranei, a parte il fatto che ognuno degli studenti è divenuto il proprietario di un insieme di affermazioni fatte da qualcun altro (il quale a sua volta o le ha coniate di suo o le ha riprese da altra fonte). […] Si prefiggono un’unica meta: mantenere ciò che ‘hanno appreso’, registrandolo esattamente nella propria memoria, oppure conservandone accuratamente le annotazioni. Non devono né produrre, né creare qualcosa di nuovo. In effetti […] mostrano la tendenza a sentirsi turbati da nuovi pensieri o idee su questo o quell’argomento, e ciò perché il nuovo mette in questione l’insieme cristallizzato di informazioni che già possiedono. In effetti [per costoro] idee che non possano venire facilmente incamerate (o registrate per iscritto) sono preoccupanti, al pari di qualsiasi altra cosa che cresca e si trasformi, e che pertanto sia incontrollabile (8).

 

In effetti, per questi “intellettualini”, ciò che conta è superare gli esami, per AVERE un diploma o una laurea, il famoso “pezzo di carta”, non per altro.

 

E questo è un tipico fatto di attuale costume diabolico, il dominio di mammona.

 

Oggi infatti la gente scambia le uniformi e i titoli per le effettive qualità della competenza. E ciò, spiega il Fromm con ragione: “non è qualcosa che accade di per sé. Coloro che possiedono questi simboli di autorità, e coloro che ne beneficiano, devono attutire il modo di pensare realistico, vale a dire critico, dei loro subordinati, e far sì che credano alla finzione (9). Ed è proprio da questa volontà di attutire il pensare che nasce il cosiddetto pensiero debole, cioè “attutito”.

 

Se si riflette coerentemente, ciò risulta evidente non solo nell’ambito studentesco: “Chiunque si soffermi a riflettere su quanto s’è detto, si renderà conto delle macchinazioni della propaganda, dei metodi cui si fa ricorso per togliere di mezzo il giudizio critico, di come la mente, mediante il ricorso a cliché, venga addormentata e sottomessa, di come la gente sia resa ottusa perché diventi dipendente e perda la capacità di prestare fede ai propri occhi e alla propria capacità di giudizio. Si è così resi ciechi alla realtà dalla finzione in cui si crede (10).

 

Perciò oggi è facile assistere a forum internet sedicenti filosofici nei quali la quiz-filosofia creduta, è ritenuta vera, mentre è calunniata l’altra, cioè ogni altra filosofia non quiz, e/o non astratta, della quale, per es, si dirà: “il sistema di Steiner sussiste o crolla con la fede nel suo fondatore, nella sua via della conoscenza e nelle sue visioni. Se Steiner si è sbagliato, tutto il sistema antroposofico crolla come un castello di carte (11).

 

A nessuno però verrà in mente di verificare “se Steiner si è sbagliato”. Non sarebbe forse più semplice una verifica? No. La logica mentecattocomunista, che attiene a questo tipo di pensiero, poggia infatti sulla paura. Come se di fronte a Caio che affermi: “2 - 1 fa 1”, Tizio rispondesse: “Non posso crederti, perché se ti sbagli, poi come faccio?”.

 

Le attuali critiche” del pensiero di Steiner, provenienti da destra o da sinistra sono dunque percepibili, fino a prova contraria, come critiche alquanto curiose, o originali, nella misura in cui poggiano effettivamente su mancanza di giudizio critico!

 

Solo chi comprende realmente che né il capitalismo occidentale, né il comunismo (sovietico o cinese) possono risolvere il problema del futuro, può pertanto trovare il coraggio di accettare di sperimentare i contenuti del pensiero di Steiner. Tanto il capitalismo quanto il comunismo hanno infatti creato, e continuano a creare, solo “carte”, burocrazie, atte a “cosificare” l’essere umano. L’alternativa a ciò non è dunque tra capitalismo e comunismo, ma fra burocrazia e umanesimo. Ecco perché l’antroposofia di Steiner, o scienza dello spirito, può essere sperimentata (e non mandata a memoria, tipo quiz universitario) solo tramite l’innalzare il valore attuale dell’individualità umana (nota 5) scaturente dalla sua filosofia. La mia critica a Steiner è tuttavia la seguente. La faccio rivolgendomi direttamente a lui, anche se è oramai morto da quasi un secolo:

 

Critica a Steiner di Nereo Villa

Carissimo Rodolfo,
ho studiato con diligenza tutte le tue opere e conferenze e ti devo fare i seguenti appunti. Innanzitutto non potrai negare che il termine “antroposofia” non è, come si potrebbe credere, un neologismo creato da te, dato che esiste un’opera di Thomas Vaughan, alias Eugenio Philalete, intitolata ”Anthroposophia magica”, datata 1650. Detto questo, se è vero l’assunto di Gesù di Nazaret che “l’albero si vede dai frutti”, ti chiedo cosa devo vedere in te, di fronte ai cosiddetti frutti “antroposofici” della tua “società antroposofica”, che si gonfiano la bocca con questa parola. Cos’hanno fatto in concreto costoro per l’attuazione della triarticolazione sociale da te proposta? Come mai di costoro ti sei fidato, e non hai previsto l’attuale deficienza di pensiero, oggi percepibile dappertutto e soprattutto proprio nelle fila dei cosiddetti soci antroposofici? Costoro hanno fatto decisamente il contrario di quanto da te affermato:

 

“Niente deve restare più estraneo agli sforzi della Società quanto un’attività ostile o favorevole ad un qualsivoglia orientamento religioso, poiché il suo scopo è la ricerca spirituale e non la diffusione di una qualunque fede, cosicché ogni propaganda religiosa non fa parte dei suoi compiti (12).

 

E si comportano tutt’ora come una vera e propria orda di fanatici, più mentecatti ancora dei mentecattocomunisti, in quanto diffidenti fra loro e, oltretutto, cattivissimi e litighini per questioni di potere “antroposofico”, esattamente come fanno i politici!

 

Certamente non è colpa tua se costoro non ti ascoltarono. E non ti ascoltano. Così come non fu colpa di Gesù se i preti si fanno chiamare ancora “Padre”, alla faccia delle Sue indicazioni contrarie, e se l’“apparato” pretesco vaticano è sempre più mega faraonico (l’Opus Dei sempre più si comporta come una “normale” banca di malandrini del riciclaggio di denaro sporco!).

 

Però, o Rodolfo, tu dicevi di essere veggente, tu vedevi lontano, ed insegnavi “un metodo di indagine spirituale” che sapesse penetrare “nei mondi sovrasensibili della chiaroveggenza(13).

 

Con questa tua veggenza spirituale, che io non nego nella misura in cui ne sperimento la validità (14), come hai fatto a non accorgerti che i tuoi detrattori ti avrebbero incendiato il Goetheanum, tant’è vero che hai dovuto ricostruirlo due volte, la prima volta in legno, e la seconda in cemento armato? E poi, non diceva forse Gesù che il tempio vero era il suo corpo? E che non sarebbe rimasta pietra su pietra?

Ma al di là di tutto, una cosa ti chiedo ancora, che è la più importante. Se il Goetheanum rappresentava davvero per te un punto di equilibrio spirituale rispetto al materialistico Wilsonianum, perché ti sei occupato così poco di economia, dando invece maggiore spazio alla scuola Waldorf? Quando, nel tardo autunno del 1918, finì la guerra, l’antroposofia si trovò subito inserita nella vita pubblica, sia mediante i diversi corsi del Goetheanum, sia per il grande numero delle tue conferenze pubbliche. Ma dal lavoro sulla triarticolazione sorse solo la scuola Waldorf, che si diffuse con successo in diversi Paesi. Quando invece tentasti di attuare nuove strutture di tipo economico, questo fu un vero fiasco. Perché non lo hai mai spiegato questo insuccesso, in modo da offrire ai “nipoti” il modo di non fare più gli stessi errori o passi falsi? Gli attuali antroposofi, che più cretini di così non si può, al riguardo dicono: “Non vogliamo soffermarci sui particolari di queste iniziative. Basterà accennare al fatto di come fosse doloroso per Rudolf Steiner che le sue iniziative spirituali, riguardanti anche il campo economico, venissero accolte con forze e mezzi tanto insufficienti” (F. W. Zeylmans Van Emmichoven, “La fondazione della società antroposofica”, Ed. Antroposofica, Milano, 1982). Ma come e a chi basta? - vorrei chiedere loro... A voi, che fate pagare una visita medica o una lezione di pianoforte 200 euro? O basta alla scuola antroposofica, oggi parificata alle statali, in base a meri interessi di pecunia?

 

Ma torniamo a noi; so che già allora, o Rodolfo, rimproverasti questi vecchi “mammoni” o ”magna magna” universitari, che volevano introdurre a tutti i costi la vecchia metodologia della pratica universitaria usuale, cioè della menzogna! A costoro ne dicesti di cotte e di crude. Come mai ti sei fidato poi di costoro? Eppure non eri uno sprovveduto. Eri amico della famiglia Nietzsche. A Vienna nel 1889 avevi incontrato le opere di Nietzsche, e ne eri rimasto affascinato. Perché poi ti sei fidato di quegli imbroglioni, che Nietzsche avrebbe scartato a priori in quanto “appartenenti all’altro mondo”, cioè al falso mondo spirituale delle frasi fatte, al mondo della finzione?

Nella tua autobiografia scrivi “Sentivo la sua anima come un essere costretto ad ascoltare con at-tenzione ereditata ed acquisita tutto quanto la vita spirituale del suo tempo produceva, avendo sempre però, nell’intimo, la sensazione: ’Che cosa m’importa, in fondo, di questa vita spirituale? Deve pur esserci un altro mondo dove io possa vivere, perché in questo, tutto mi urta’. Questo sentimento acceso dallo spirito lo rendeva critico ardente del suo tempo…”.

 

E quando la sorella di Nietzsche ti invita da loro a Naumburg, dove viveva anche la madre di Nietzsche, lo descrivi ancora: “Là, disteso sul divano, giaceva l’Ottenebrato, con la sua fronte mirabilmente bella di artista e di pensatore. Erano le prime ore del pomeriggio. Gli occhi, pur essendo spenti, apparivano ancora pervasi d’anima; ma di quanto li circondava non accoglievano più che un’immagine a cui era ormai negato l’accesso all’anima. Stavamo dinanzi a lui, ma Nietzsche non lo sapeva. Eppure si sarebbe ancora potuto credere che quel volto spiritualizzato fosse l’espressione di un’anima che durante il mattino avesse intensamente pensato e volesse ora riposare un po’. Credei che la scossa interiore da me provata si trasformasse in comprensione per il genio il cui sguardo mi fissava senza vedermi...”.

 

E poi, il libro del 1895 che hai fatto su di lui, così empatico nei suoi confronti da sembrare Nietzsche stesso nello stile! C’era grande affinità tra voi. Coglierla è essenziale per capirti veramente. Però nessun antroposofo ancora la vede e si prosegue con la menzogna…

Ma se Nietzsche avesse conosciuto la tua idea della triarticolazione sociale, o la tua filosofia della libertà, uscita nel 1894, non l’avrebbe di certo data nelle loro mani come perla ai porci…

 

Qui finisce la mia critica.

 

Riconosco dunque in Steiner il massimo filosofo dei tempi nuovi, più che non il veggente, nonostante la sua capacità di profezia scientifica poggiante su logica di realtà, percepibile a tutti, e sperimentabile da tutti, che non c’entra nulla con la parapsicologia.

 

Nereo Villa
Castell’Arquato, 17 luglio 2004

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NOTE

 

(1) Cfr. Giancarlo Roggero in “Graal”, Ed. Tilopa, Anno XVIII, N. 69-70, pag. 57: “La recensione di Gentile alla Filosofia della libertà”.
(2) Ibid.
(3) Ibid.
(4) Si veda, per esempio, la seguente critica sedicente filosofica: http://www.filosofico.net/steiner.htm.
(5) Cfr. G. Roggero, “La recensione di Gentile alla Filosofia della libertà”, op. cit.
(6) Lettera a Rosa Mayreder del 4 novembre 1894. In R. Steiner, “Briefe II” 1892-1902, Opera Omnia n. 39, Dornach 1987, pag. 232.
(7) Cfr. G. Gentile “Il carattere religioso dell’idealismo italiano”, conferenza tenuta il 30/04/1935 all’Università di Praga, in “Memorie italiane e problemi della filosofia e della vita”, Firenze 1936, pag. 332, ed anche in “La mia religione ed altri scritti”, Firenze, 1992, pag. 103.
(8) Erich Fromm, “Avere o essere?”, Ed. Mondadori, Milano 1977.
(9) Ibid.
(10) Ibid.
(11) Vedi: http://www.filosofico.net/steiner.htm
(12)Esquisse des principes d’une Societé Anthroposophique”, cit. in R. Guenon, “Il teosofismo”, Ed. Arktos, Torino, 1987.
(13)Il teosofismo”, op. cit.
(14) Le seguenti parole furono pronunciate da Steiner a Stoccarda il 2 gennaio 1921, in un pomeriggio in cui si parlava di come operare nel migliore dei modi per realizzare la triarticolazione degli organismi sociali. A quel tempo il nostro attuale papa polacco (data di nascita 18 maggio 1920) aveva solo sette mesi e mezzo! Non si può non riconoscere in esse un sano e profetico contenuto di pensiero: Di fronte agli eventi mondiali, la chiesa cattolica romana stima oggi di poter ingrandire di molto la sua potenza. Sa perfettamente che non le serve più fare affidamento sulle dinastie, perché essa, di solito meglio informata degli altri, sa che le dinastie oggi ancora coronate, sono condannate a sparire; né vuole legarsi con chi è destinato a sparire. Invece la chiesa cattolica cercherà di usare le aspirazioni delle grandi masse per aumentare la sua potenza; essa si avvale di tutto quanto può essere a sua disposizione, e ora, nella sua grande politica mondiale, con un tratto che è talvolta geniale (geniale nel progettare che l’umanità sia sempre più vincolata a Roma) utilizza il carattere nazionale del clero polacco; la Polonia diverrà essenziale nel gioco che la chiesa cattolica persegue. Secondo me dunque, la chiesa cattolica vedrà nel carattere nazionale del clero qualcosa che vorrà coinvolgere nel suo gioco, nell’ambito della grande politica mondiale” (R. Steiner, ”Come si opera per la triarticolazione dell’organismo sociale”, Ed. Antroposofica, Milano, 1988).