Cfr. anche la corrispondenza del 7/11/2012 di un lettore con l'Osservatorio Scientifico Spirituale
I 37-49: la divisione del lavoro ha notevoli conseguenze per l'economia politica
I 38, 47-49: tendenze a crescite e diminuzioni, prezzo medio
I 39-40: antica regolazione istintiva del lavoro
I 40-49: origine e conseguenze della divisione del lavoro
I 41: egoismo innocuo finché validi impulsi religiosi
I 42 seg.: il non uso per sé delle cose prodotte
I 43 seg.: problema del cd vergine nell'esempio di Nereo Villa
I 44-46: la divisione del lavoro elimina l'egoismo
I 47: salariato come produttore autonomo:
I 44-46: egoismo eliminato dalla divisione del lavoro
37
Se si considera che, come ho detto ieri
[I 23-36: insufficienza della
scienza economica convenzionale - ndc], nell'economia il
problema è afferrare quello che c'è di fluttuante nella circolazione dei valori
e nell'azione che i valori fluttuanti hanno l'uno sull'altro nella formazione
dei prezzi, ci si dovrà dire che anzitutto occorre scoprire quale carattere
debba avere veramente la scienza economica [il grassetto è
mio - ndc],
dato che ciò che è fluttuante non può essere afferrato in modo diretto. Infatti
non avrebbe senso voler afferrare direttamente ciò che è fluttuante; ha senso
soltanto osservarlo con riferimento alle cause che provocano il fenomeno.
Un esempio ce lo farà toccare con mano. Noi usiamo per
determinati scopi il termometro, e vi leggiamo i gradi della temperatura che ci
siamo abituati a confrontare tra loro; valutiamo per esempio 20 gradi in
confronto a 5, e così via. Possiamo anche stabilire dei diagrammi delle
temperature, segnando per esempio le curve discendenti delle temperature
invernali, quelle ascendenti durante l'estate, e così via; abbiamo allora le
fluttuazioni della temperatura. Ma per spiegare il fenomeno dovremo esaminare le
diverse circostanze che determinano la discesa della temperatura nell'inverno e
l'ascesa durante l'estate, e così pure le differenze di temperatura fra una
regione e l'altra. Avremmo in mano per così dire qualcosa di reale solo
riconducendo le fluttuazioni del termometro a quello che ne forma il sostrato.
Registrare soltanto le temperature è un procedimento puramente statistico; e non
sarebbe molto più di questo l'osservare i prezzi e i valori soltanto come
fenomeni. Lo studio assumerà un altro significato se arriveremo a considerare
prezzi e valori col criterio di chi annota le temperature per indagare le cause
delle loro oscillazioni. Solo così si arriva ad afferrare la vera realtà
dell'economia. Con ciò si profila già il carattere che dovrà avere la scienza
economica.
38
È forse noto che, secondo un'antica usanza, le scienze si dividono in teoriche
e, pratiche. Si chiama per esempio scienza pratica, l'etica, e teorica la
scienza naturale. La scienza naturale tratta di ciò che è, l'etica di ciò che
dovrebbe essere. È una divisione già usata dai tempi più antichi: scienze
dell'essere e scienze del dover essere. Per il momento ci basti solo accennarvi.
Possiamo tuttavia chiederci: la scienza economica è una scienza dell'essere,
come pensa Lujo Brentano, oppure è una scienza del dover essere, una scienza
pratica?
Anche nel campo dell'economia, se si vuoi arrivare a sapere è indubbiamente
necessario osservare, così come, per accertare la pressione e la temperatura
dell'aria, si osservano le variazioni del barometro e del termometro. Sotto
questo aspetto, la scienza economica è una scienza teorica. Ma con questo non si
è fatto nulla. La constatazione teorica sarà utile solo se da essa si potrà
ricavare un'indicazione sul modo in cui bisogna agire.
Voglio citare un caso speciale che mostrerà di che cosa si tratti. Supponiamo di
notare attraverso date osservazioni (tutte le osservazioni che non conducono
all'azione sono sempre di natura teorica), che il prezzo di una data merce
scende precipitosamente al punto da rivelare una forte crisi in questo ramo. Per
ora si tratta di osservare teoricamente questo reale ribasso dei prezzi; e, sin
qui, siamo soltanto a ciò che corrisponde alla registrazione delle temperature.
Ora però si tratterà di sapere che cosa si debba fare, quando i prezzi di una
merce o di un prodotto diminuiscono in modo preoccupante. Ritorneremo
sull'argomento con maggior precisione; ora voglio solo dire che cosa occorre
fare e da parte di chi, quando i prezzi di una merce qualsiasi scendono in modo
preoccupante. Si tratterà di prendere un provvedimento atto ad arginare il
ribasso. Di simili provvedimenti, ve ne saranno forse diversi possibili; ma uno
di essi sarà certamente quello di sollecitare, di accelerare la circolazione,
il movimento, il commercio della merce in questione.
39
Questo sarà uno dei provvedimenti, ma da solo sarà forse
insufficiente. Non preoccupiamoci per ora se sia o no sufficiente, o forse neppure giusto, ma cerchiamo di riconoscere comunque che, se i prezzi
precipitano, bisogna far tutto il possibile per accrescere gli scambi.
Dobbiamo compiere effettivamente qualcosa che corrisponda all'influire sul livello del termometro. Ora, se in una camera fa freddo, non ci accosteremo al termometro per cercar di alzare in qualche modo misterioso il livello della colonna di mercurio; non agiremo direttamente sul termometro, ma accenderemo la stufa [oggi invece ci si comporta in economia proprio così, cioè agendo esclusivamente sui vari termometri... della borsa, dei suoi giochi, o del suo fare la cresta (o "spread") o dei vari "tecnicismi", che poi risultano balzelli e sempre nuove tasse sul sudore dei più poveri, i soli che devono accendere la stufa per non morire assiderati da queste imposizioni dell'economia di Stato. In tal senso le cose andranno sempre peggio se non si risolveranno i problemi diversamente - ndc]. Affronteremo cioè il problema da tutt'altra parte.
Così pure nell'economia si tratterà di agire prendendo le mosse da tutt'altra parte. Il problema diventa pratico e quindi dovremo dire che la scienza economica è allo stesso tempo una scienza teorica e una scienza pratica. Si tratterà di trovare il modo di mettere d'accordo la pratica con la teoria.
Questo è uno degli aspetti della scienza economica. L'altro è quello che feci
presente già molti anni fa, senza che in sostanza il problema venisse compreso;
lo feci presente in un articolo scritto all'inizio del secolo
(1900 - ndc), dal
titolo "Scienza dello spirito e problema sociale"; esso avrebbe avuto un'importanza se
fosse stato afferrato dai pratici e se ci si fosse adeguati a esso. Poiché non
venne assolutamente notato, non lo terminai neppure e non lo pubblicai più.
Si
deve comunque sperare che questi problemi vengano capiti sempre più, e forse
queste conferenze potranno dare un contributo per una più profonda comprensione
dei problemi stessi. Se però vogliamo capire dobbiamo fare una breve
considerazione storica.
Risalendo un po' nella storia dell'umanità (l'ho già accennato nella prima
conferenza), si troverà che nei tempi antichi, fino ai secoli quindicesimo e
sedicesimo, non esistevano affatto questioni economiche quali ci si presentano
oggi. La vita economica si svolgeva in massima parte quasi per istinto.
Per
esempio nell'antico oriente determinate
40
condizioni sociali condussero alla formazione di caste, di classi fra gli
uomini; e sotto l'influsso dei rapporti tra uomo e uomo, che da tali condizioni
risultavano, nasceva anche una specie d'istinto di come il singolo individuo
dovesse prender parte attiva alla vita economica. A base di tutto ciò stavano in
gran parte gli impulsi della vita religiosa che erano ancora assolutamente tali
da provvedere al tempo stesso all'ordinamento e al funzionamento dell'economia.
Esaminando storicamente la vita orientale, si noterà che non c'è mai un netto
confine tra ciò che comanda la religione e ciò che dev'essere eseguito nel campo
economico. I comandamenti religiosi si estendono alla vita economica, e quindi
in quei tempi antichi la questione del lavoro e della circolazione dei valori
prodotti dal lavoro non era nemmeno presa in considerazione. Il lavoro in certo
senso veniva eseguito istintivamente, e la maggiore o minore attività del
singolo non costituiva, nel periodo precedente l'epoca romana, una questione di
rilievo, o almeno non una questione che avesse importanza nella vita pubblica.
Le eccezioni in proposito sono trascurabili di fronte al corso generale
dell'evoluzione dell'umanità. Ancora in Platone troviamo una concezione sociale
che in sostanza prende il lavoro come cosa ovvia, e in cui diventa oggetto di
considerazione solo quel complesso di fattori sociali che, all'infuori del
lavoro, egli considera come impulsi della morale e della saggezza.
Questo stato di cose andò mutando a misura che gli impulsi etici e religiosi
diretti non educavano più anche gli istinti economici, ma andavano limitandosi
alla vita morale e riducendosi a semplici dettami sui sentimenti che dovevano
regnare fra gli uomini, sul modo come essi dovevano contenersi di fronte alle
potenze sovrumane, e così via. Sempre più si affermava l'opinione che dal
pulpito nulla vi fosse da dire sul lavoro umano. Soltanto da allora in poi il
lavoro e la sua posizione nella vita sociale divennero davvero un problema.
[In base a considerazioni come questa e seguenti, ma
solo astrattamente accolte cioè senza connessioni con fatti reali, oggi ci si sente già
ispirati a sfornare tomi su tomi incentrati sull'economia e sul capitalismo; si
prenda per esempio "Il capitalismo" di Geminello Alvi (Venezia, 2011), o molti
altri scritti di sedicenti studiosi di Steiner o della sua "tripartizione", che
dilagano nel web affermando il contrario di quanto Steiner chiamava
invece "fatti
primari", "leggi
fondamentali", "leggi
come quella di
Boyle-Mariotte per la fisica", ecc.,
che costituiscono la base della triarticolazione sociale da lui auspicata, nella
speranza, appunto, "che questi problemi vengano capiti sempre più".
Questi sedicenti antroposofi economisti, sono per lo più ex funzionari di Stato
che, sostenendo la statocrazia di personaggi come Putin o Merkel, dimostrano
solo di essere alla ricerca affannosa di mero potere personale, altro che
studiosi! - ndc].
41
Ora non è storicamente possibile questo inserirsi del lavoro nella vita sociale
senza che sorga anche il diritto. Vediamo perciò sorgere contemporaneamente la
valutazione del lavoro del singolo individuo e il diritto. Per le epoche
antichissime dell'umanità non si può affatto parlare di diritto nel senso in cui
lo si concepisce oggi, ma si può cominciare a parlarne solo quando il diritto si
disgiunge dal comandamento. Nei tempi antichi il comandamento è unitario e
contiene in sé al tempo stesso tutto ciò che risponde al senso della giustizia.
Poi il comandamento viene sempre più limitato alla sola vita dell'anima e il
diritto si fa valere per la vita esteriore. Ciò si svolge a sua volta nel corso
di una certa epoca storica, durante la quale si formano determinate condizioni
sociali. Descrivere tutto ciò nei particolari ci condurrebbe troppo lontano
[ed è proprio questo che fanno gli pseudostudiosi:
condurre lontano dalla triarticolazione sociale in modo da dire tutto ed il
contrario di tutto! - ndc], ma
è assai interessante studiare come, proprio nei primi secoli del medioevo, i
rapporti giuridici da un lato, e i rapporti del lavoro dall'altro, vadano
emancipandosi dalle organizzazioni religiose, nelle quali più o meno erano prima
contenuti; organizzazioni religiose intese naturalmente nel senso più lato.
Ma ciò ha una ben determinata conseguenza. Finché il complesso della vita
sociale dell'umanità viene regolato dagli impulsi religiosi,
l'egoismo non
disturba. Ciò è straordinariamente importante anche per la comprensione dei
processi sociali ed economici. Finché l'organizzazione religiosa (rigidamente
seguita, come in certe regioni dell'antico oriente), è tale che l'uomo,
nonostante il proprio egoismo, si inserisce in modo fecondo nella vita sociale,
per quanto egli possa essere egoista, l'egoismo non porta danno; ma esso
comincia ad avere importanza nella vita dei popoli dal momento in cui il diritto
e il lavoro si emancipano dagli altri impulsi e dalle altre correnti sociali.
Perciò, nell'epoca dell'emancipazione del lavoro e del diritto, lo spirito umano
tende, direi quasi incoscientemente, a imbrigliare l'egoismo che ora comincia ad
agitarsi, e che in qualche modo deve venire inserito nella vita sociale. Questa
tendenza culmina
42
poi nella moderna democrazia, nel riconoscimento dell'uguaglianza fra gli uomini
e nella facoltà data a ciascuno di esercitare la propria influenza per stabilire
il diritto, anche nei riguardi del proprio lavoro.
Ma contemporaneamente a questo emanciparsi del diritto e del lavoro, sorge un
altro fatto che esisteva già durante gli antichi periodi dell'evoluzione umana,
ma che, dati gli impulsi religioso-sociali, aveva allora tutt'altro
significato; [si tratta di un -
ndc] un fatto che nell'Europa del medioevo esisteva solo limitatamente,
ma che si sviluppò gradatamente dopo che il diritto e il lavoro ebbero raggiunto
la loro massima emancipazione; voglio dire, la divisione del lavoro
[con questa idea si entra oggi nella fraternità
scientifico-spirituale, cioè nella solidarietà. Ma non vi si entra in modo
pietistico o moralistico, bensì secondo la concreta
coerenza che la
divisione del lavoro comporta (ovviamente se la si
comprende fino in fondo); faccio notare che fra i sedicenti studiosi accennati
ve ne sono perfino alcuni che hanno compreso ciò che dovrebbe comportare
la divisione del lavoro ma solo fino ad un certo punto.
Costoro infatti non hanno il coraggio della libertà di tale
coerenza, quella cioè capace
di condurre fino a quei "fatti primari",
"leggi fondamentali",
"leggi come quella di Boyle-Mariotte per la fisica",
sui quali poggiare, in modo che la triarticolazione sociale possa davvero
reggersi concretamente su se stessa. Costoro pertanto non riescono a fare il
necessario passaggio consequenziale fra divisione
del lavoro ed economia politica, perciò si fermano
a quest'ultima, cioè all'economia di Stato, senza minimamente alludere al minimo
vitale che essa dovrebbe comportare se lo Stato fosse davvero uno Stato di
diritto, anziché statocratico, cioè comprendente pure il "diritto di Stato"
sulla cultura e sull'economia - ndc].
Nei tempi più antichi dell'evoluzione dell'umanità la divisione del lavoro non aveva una particolare importanza, appunto perché anch'essa era inserita nella sfera degli impulsi religiosi dove, in certo modo, ogni uomo veniva collocato al proprio posto; tale questione non aveva quindi allora una grande importanza. Quando però l'aspirazione alla democrazia si collegò con la tendenza alla divisione del lavoro, questa cominciò ad acquistare negli ultimi secoli un'importanza tutta particolare, fino a raggiungere un massimo nel secolo diciannovesimo, poiché la divisione del lavoro ha notevoli conseguenze per l'economia politica.
La divisione del lavoro, delle cui cause e manifestazioni ci occuperemo ancora,
nella sua espressione astrattamente teorica ma radicale,
porta alla conclusione
che sotto l'aspetto economico nessuno adopera
per sé
quel che produce.
Questo,
però, economicamente parlando! Dunque
nessuno, economicamente parlando, adopera
per il proprio consumo quello che produce. Che cosa significa? Voglio chiarirlo
con un esempio. Un sarto confeziona vestiti. In regime di divisione del lavoro
naturalmente li confeziona per altri. Potrebbe però anche confezionarne qualcuno
per sé, oltre che per altri. In tal caso impiegherebbe una parte del suo lavoro
per confezionare i vestiti per sé, lasciando la maggior parte del lavoro per
produrre vestiti per altri. Detto alla
43
buona, è la cosa più naturale del mondo, anche in regime di divisione del
lavoro, che un sarto si confezioni da sé i propri vestiti, oltre che a lavorare
per altri. Ma quale aspetto assume il problema dal punto di vista dell'economia?
Per il fatto che è invalsa la divisione del lavoro, che nessuno produce più per
sé tutto quanto gli occorre, ma che ognuno lavora sempre per altri, viene a
determinarsi per i prodotti un certo valore, e in seguito al valore anche un
prezzo. Sorge ora la domanda: se in seguito alla divisione del lavoro (che
continua anche nella circolazione e nella distribuzione dei prodotti) i
vestiti che il sarto produce hanno un certo valore, quelli che egli confeziona
per sé hanno forse un identico valore economico, oppure vengono ad essere più
cari o meno cari? È una questione importantissima [Solo
in pochi se ne sono accorti: "Storicamente - ha scritto per esempio Ludwig von
Mises in "Socialismo" - la divisione del lavoro trae origine da due fatti di
natura: l'ineguaglianza delle capacità degli individui e la varietà delle
condizioni esterne della vita umana sulla terra. Questi due fatti non sono in
realtà che uno: la diversità della natura, che non si ripete mai ma crea
l'universo in infinita, inesauribile varietà. [...] È evidente che queste due
condizioni non possono che influenzare l'attività umana dall'istante che diviene
logica e cosciente. Esse impongono in qualche modo all'uomo la divisione del
lavoro [...] la divisione internazionale del lavoro è una delle più importanti
conquiste dell'economia politica classica. [...] L'accrescimento della
produttività del lavoro connesso alla divisione del lavoro esercita un'influenza
unificante. La divisione del lavoro conduce gli uomini a considerarsi l'un
l'altro come associati in una battaglia comune per il benessere, piuttosto che
come concorrenti in una lotta per la vita. Essa trasforma i nemici in amici,
converte la guerra in pace, dagli individui fa nascere la società" -
ndc].
Se il sarto produce da sé i
suoi vestiti, essi non si inseriscono più nella circolazione delle merci
[ugualmente se, poniamo, un musicista producesse da sé il
suo strumento musicale, questo non circolerebbe come merce, dato che servirebbe
solo a lui per suonare; lo stesso vale se si volesse produrre da sé il
cd vergine o un registratore
sui quali registrare musica: queste confezioni di oggetti (cd o registratori)
verrebbero a costare molto di più di quanto costano se acquistati nei relativi
negozi, e non entrerebbero mai nel mercato -
ndc]. Quel
che egli confeziona per sé non partecipa dunque all'abbassamento dei prezzi
prodotto dalla divisione del lavoro, e viene quindi a costare più caro. Anche se
il sarto non deve pagare nulla per averlo, il prodotto è ugualmente più caro. È
più caro per la ragione che, per determinare il valore di quello che usa per sé,
al sarto è impossibile impiegare solo tanto lavoro quanto ne impiegherebbe per
ciò che invece entra nella circolazione [l'esempio del
sarto non fu ben capito perché Steiner precorreva i tempi; oggi con l'esempio
tecnologico del cd o del registratore è molto più facile comprendere la sua
preveggenza su questo punto davvero profetico].
È forse necessario riflettere meglio sul problema, che è comunque così. Avviene
che tutto quanto è prodotto da qualcuno per il soddisfacimento dei propri
bisogni, appunto perché non si inserisce nella circolazione alla cui base sta la
divisione del lavoro, viene a costare più caro di quello che invece vi si
inserisce. Se dunque si pensa la divisione del lavoro fino alle sue ultime
conseguenze, si dirà: se il sarto dovesse lavorare solo per gli altri,
otterrebbe per il prodotto del proprio lavoro i prezzi adeguati; dal canto suo,
dovrebbe procurarseli come fanno tutti gli altri, comprandoli in qualche
negozio [l'assemblatore di computers può infatti fare
quello che fa solo se altri hanno costruito i pezzi da assemblare; solo così può
ottenere per il prodotto del proprio lavoro i prezzi adeguati; dal canto suo,
deve quindi procurarsi i vari pezzi non costruendoli lui stesso ma come fanno tutti gli altri, comprandoli in qualche
negozio - ndc].
Guardando bene a tutto ciò, ci si dovrà dire: la divisione
44
del lavoro tende a che, in genere, nessuno lavori più per se stesso, e a che il
prodotto dell'attività del singolo si trasmetta interamente ad altri. Quello che
occorre al singolo deve a sua volta essergli fornito dal complesso sociale. Si
potrà ora obiettare: a un sarto che acquista da un altro sarto, un vestito
dovrebbe costare precisamente altrettanto che confezionandoselo da sé, poiché
l'altro sarto non glielo farà pagare né più né meno. Se così fosse, non vi
sarebbe stata una vera e completa divisione del lavoro; per quella produzione di
vestiti non si sarebbe raggiunta la massima concentrazione che invece è
possibile grazie alla divisione del lavoro. Non è infatti possibile, una volta
introdotta la divisione del lavoro, che questa non si riversi nella
circolazione; non è possibile che un sarto comperi da un altro sarto, ma
occorre che comperi dal negoziante. Da ciò però risulta un valore del tutto
diverso de1 vestito. Se il sarto se lo confeziona per sé, lo prende da se
stesso; se invece lo "acquista", lo acquista dal negoziante. Questa è la differenza;
e siccome la divisione del lavoro inserita nella circolazione fa abbassare i
prezzi, il vestito comperato dal negoziante verrà a costare meno che
confezionandolo da sé [ripeto: il costruttore di
computers può costruirli solo se altri hanno fatto i pezzi da assemblare, se
altri ancora hanno fatto viti e bulloni, e se altri ancora hanno scavato ferro
dalle montagne, ecc., all'infinito; solo così si può ottenere per il prodotto
del proprio lavoro i prezzi adeguati; dal canto suo, ognuno deve quindi
procurarsi i vari pezzi o strumenti per quello che fa, non costruendoli lui
stesso ma come fanno tutti gli altri, comprandoli nei negozi -
ndc].
Consideriamo per ora tutto ciò come qualcosa che ci conduce alla forma della
teoria economica; dobbiamo però riconsiderare un'altra volta i fatti.
Siamo dunque costretti a riconoscere senz'altro che quanto più si procede alla
divisione del lavoro, tanto più deve verificarsi che un uomo lavori sempre per
gli altri, lavori per la collettività, e mai per se stesso. In altre parole ciò
significa che col sorgere e lo svilupparsi della moderna divisione del lavoro,
l'economia, per quanto riguarda produzione e scambio di merci, deve estirpare di
sana pianta ogni egoismo. Raccomando di non prendere queste parole in senso
moralistico, ma in senso puramente economico! Economicamente l'egoismo è
impossibile. Quanto più la divisione del lavoro progredisce, tanto meno si può
fare qualcosa per sé, ma tutto si deve fare per gli altri.
45
In sostanza le condizioni esteriori fanno sì che l'altruismo sia diventato una
necessità in campo economico, molto prima di essere stato compreso in campo etico-religioso. Si può darne un esempio storico facilmente afferrabile.
Egoismo è una parola di data relativamente vecchia. Da molto tempo la si può
trovare in uso, sebbene forse non nel radicale significato odierno. Invece il
suo opposto, il pensare ad altri, espresso nella parola altruismo, non risale a
più di cento anni fa; la parola, come tale, fu inventata assai tardi; possiamo
quindi dire (senza voler dare peso eccessivo a questa esteriorità, quantunque
un'osservazione storica lo mostri bene) che la concezione etica era ancora
lontana da un pieno riconoscimento dell'altruismo, quando, come portato della
divisione del lavoro, già esisteva il riconoscimento economico dell'altruismo.
Se ora osserviamo l'altruismo come esigenza economica, ne consegue direttamente
che, nell'economia politica moderna, occorre trovare il modo per cui nessuno
provveda a se stesso, ma debba provvedere soltanto agli altri, cioè il modo per cui
si provveda anche per il meglio ai bisogni del singolo. Tutto ciò potrebbe
sembrare una concezione idealistica; ma faccio osservare ancora una volta che in
questa conferenza non parlo né idealisticamente né eticamente, bensì dal mero punto di
vista economico. Quanto ho detto ora è inteso semplicemente in senso economico.
Nella vita economica moderna, non un Dio, non una legge
morale e neppure un istinto esigono l'altruismo nel lavoro, nella produzione
delle merci, ma semplicemente la divisione del lavoro. Lo esige, dunque, una categoria in tutto
e per tutto economica.
È press'a poco quel che intendevo nell'articolo citato:
la nostra economia
richiede da noi più di quanto noi siamo attualmente capaci di compiere dal punto
di vista etico-religioso. Molte lotte hanno in ciò la loro ragione. Studiando la
sociologia moderna si vedrà che le lotte sociali dipendono in gran parte dal
fatto che, con la trasformazione dell'economia in economia mondiale, è sorta
sempre più la
45
necessità di essere altruisti e di organizzare altruisticamente le diverse
istituzioni sociali, mentre gli uomini nel loro pensiero non avevano ancora
compresa la necessità di superare l'egoismo, e s'intromettevano in modo
egoistico in quello che già s'imponeva come esigenza sociale.
Riconosceremo tutta l'importanza di quanto si è detto fin qui, se non studieremo
soltanto i fatti che ci appaiono palesi, ma anche quelli nascosti, mascherati.
Il fatto nascosto, mascherato, è che, dato il contrasto formatosi nell'animo
dell'umanità moderna tra le esigenze dell'economia e ciò che gli uomini sono
capaci di realizzare in senso etico-religioso, praticamente gli uomini
provvedono in gran parte ciascuno da sé alle proprie necessità; così che
la nostra
stessa economia contraddice alla sua vera e propria esigenza, una volta
introdotta la divisione del lavoro.
Quei pochi produttori che lavorano per se stessi, come il sarto che ho citato,
non hanno molta importanza. Considereremo il sarto che si confeziona da sé i
propri vestiti, come qualcuno che, nella divisione del lavoro, frammischia un
elemento che non dovrebbe entrarci. Questo è un fatto palese. Ma in seno
all'economia moderna è mascherata una situazione per cui l'uomo, pur non creando
per sé i propri prodotti, in sostanza non s'interessa in modo speciale del
valore o del prezzo dei prodotti stessi in quanto, prescindendo dal processo
economico nel quale quei prodotti sono inseriti, egli introduce come valore nel
complesso economico soltanto ciò che sa produrre col lavoro delle sue mani. In
sostanza ogni salariato, nel senso corrente,
è oggi ancora qualcuno che provvede a se stesso, che
da' di sé tanto quanto vuole guadagnare, e non può assolutamente offrire
all'organismo sociale tutto quanto egli sarebbe in grado di dare, perché non
vuol dare se non quanto intende guadagnare. Provvedere a se stesso significa
infatti lavorare per il guadagno; lavorare per gli altri è invece lavorare
partendo dalle necessità sociali.
Fino
al punto in cui, già ai tempi nostri, si trovano
47
soddisfatte le esigenze inerenti alla divisione del lavoro, si realizza nei fatti l'altruismo, il lavorare per gli altri. In quanto invece quelle esigenze non sono appagate, sussiste l'antico egoismo che si basa appunto semplicemente sul fatto che ognuno provvede a se stesso. È un egoismo economico! Nei riguardi dei comuni salariati esso non viene di solito osservato, perché non si riflette a come vengano qui veramente scambiati dei valori. Quel che il comune salariato produce non ha nulla, proprio nulla a che fare con la retribuzione del suo lavoro. Il pagamento, la valutazione del lavoro deriva da tutt'altri fattori; sicché [leggi: "così avviene invece che" - ndc] egli lavora per il guadagno, per il proprio mantenimento. Il fenomeno è nascosto, mascherato, ma è proprio così.
Ci si prospetta così uno dei primi e più importanti problemi: come riuscire a
eliminare dal processo economico il lavoro per guadagno? come inserire nel
processo economico coloro che sono ancora solo dei salariati, in un modo che
permetta loro di lavorare, non per il salario, ma partendo dalle necessità
sociali? dobbiamo arrivare a questo? Sicuro, poiché altrimenti non avremo mai
prezzi rispondenti al vero, ma sempre prezzi falsi. Dobbiamo riuscire a
ottenere prezzi e valori che non dipendano dagli uomini, ma dal processo
economico, e che risultino dal fluttuare dei valori. Il problema cardinale è il
problema del prezzo.
Dobbiamo osservare il prezzo come la scala del termometro; così facendo potremo sapere quali siano i fattori che formano il prezzo. Ma il termometro si può osservare solo partendo da uno zero, dal quale poi si sale o si scende. Anche per i prezzi risulta in modo del tutto naturale una specie di "zero".
Abbiamo da un lato la natura (v. disegno); essa viene trasformata dal
lavoro umano: da qui derivano i prodotti naturali trasformati. Questo è uno dei
modi in cui viene generato il valore (Valore 1). Dall'altro lato abbiamo il
lavoro che viene trasformato dallo spirito, e da ciò nasce l'altro valore
(Valore 2). Dall'azione reciproca dei valori
1 e 2,
48
come abbiamo detto, sorgono i prezzi. Ritorneremo sempre su questo concetto
economico. Ora questi valori (1 e 2) si stanno in effetti polarmente di fronte,
e si può dire: chi per esempio guadagna principalmente in questo campo (a destra
nel disegno), dico "principalmente", perché totalmente non è possibile; chi,
dunque, trae soprattutto il suo guadagno dal prestare la propria opera in un
lavoro organizzato dallo spirito, ha interesse che i prodotti naturali valgano
poco. Chi invece lavora sulla natura, ha interesse che valgano poco gli altri
prodotti. Se questo è un processo reale, e lo è (se non esistesse, si avrebbero
prezzi diversi tanto nell'industria quanto nell'agricoltura, perché da una parte
e dall'altra i veri prezzi sono nascosti e alterati), in mezzo a questo processo
possiamo trovare due contraenti che sono per quanto possibile disinteressati,
tanto rispetto alla natura quanto rispetto allo spirito o al capitale, e
osservare in tal caso la formazione di una specie di prezzo medio. Quando
avviene questo in pratica? Avviene quando un intermediario acquista da un altro
intermediario, quando entrambi compra-vendono fra di loro. Allora i prezzi hanno
la tendenza ad assumere un valore medio. Se un intermediario compra da un altro
intermediario delle scarpe, e gli vende dei vestiti, i prezzi avranno la
tendenza ad assumere un livello medio. Sono condizioni che si determinano
normalmente, ma ritorneremo su questo punto. La posizione media dei prezzi non
va cercata né negli interessi dei produttori che stanno dalla parte della
natura, né negli interessi di coloro che stanno dalla parte dello spirito, bensì
presso gli intermediari. Non importa affatto che ci sia un intermediario di più
o di meno; il prezzo medio ha comunque la tendenza a sorgere là dove gli affari
di compravendita vengono trattati fra intermediario e intermediario.
Questo non contraddice il resto, poiché in fondo i capitalisti moderni sono
appunto dei negozianti. L'imprenditore è in verità un negoziante. Egli è solo
secondariamente il fabbricante delle proprie merci; economicamente è commerciante.
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Il commercio si è sviluppato dal lato della produzione. Principalmente,
essenzialmente, il produttore è un negoziante. Questo è l'importante. Quindi in
realtà proprio le circostanze moderne si avviano rapidamente al fatto che ciò
che si forma qui (nel centro del disegno) come ben precisa tendenza, va
irradiandosi da un lato e dall'altro. Da un lato, si potrà facilmente
riconoscere tale tendenza, studiando la posizione dell'imprenditore. Vedremo nei
prossimi giorni come essa appaia dall'altro.