(29 febbraio 1792, Pesaro - 13 novembre 1868, Passy, Parigi)

 

 

Figlio di due musicisti, il padre Giuseppe Antonio suona il corno e la madre Anna Guidarini è cantante, Gioacchino Antonio Rossini mostra immediatamente uno spiccato talento musicale. Dal 1804 al 1810 frequenta il Liceo musicale di Bologna studiando Haydn e Mozart con padre Mattei. Due anni dopo è già una celebrità: La pietra di paragone, l'opera buffa con cui debutta al Teatro alla Scala il 26 settembre 1812 a soli ventanni, è la sua settima opera e il suo settimo successo. Nel 1813 due capolavori di Rossini: la prima opera seria, il melodramma eroico in 2 atti Tancredi, e il dramma giocoso in 2 atti L'italiana in Algeri, in cui esplode, per la prima volta nei due finali d'atto, il gusto rossiniano per il gioco di parole e ritmi che si fanno motore irresistibile e travolgente. Seguono Il Turco in Italia, nel 1816 Il barbiere di Siviglia e nel 1817 La Cenerentola. Negli anni seguenti, Rossini si dedica all'opera seria, rallentando i ritmi di lavoro e cominciando a godere i frutti, anche economici, di un successo diventato, nel frattempo, internazionale. Dopo un viaggio a Londra, dal 1824 al 1829 è a Parigi, dove ottiene lusinghieri successi ma anche pungenti critiche: viene considerato "sorpassato", perchè incapace di adattarsi al nuovo clima romantico. Agli attacchi Rossini risponde con il Guglielmo Tell  andato in scena il 13 agosto 1829, all'Academie Royale de Musique di Parigi. È la sua ultima opera, scritta secondo i canoni della "nuova" musica, con forme aperte, esaltazione del patriottismo e della natura. A soli 37 anni abbandona le scene! In seguito, amareggiato e per lunghi periodi sofferente, scrive soltanto pezzi brevi da camera (che raccoglie in 14 volumi sotto il titolo di Peccati di Vecchiaia) e alcune opere sacre, fra cui uno Stabat mater (1841) e, soprattutto, la bellissima Petite Messe Solennelle, assoluto capolavoro anticipatore di alcune soluzioni tipiche del '900, terminata quattro anni prima di morire e dedicata direttamente "al buon Dio".

Stile

Nell’età della Restaurazione la musica di Rossini scuote lo stile del tempo. Partendo dalla tradizione dell’opera settecentesca, la conduce ad esiti totalmente nuovi, stravolgendo la materia musicale. Rende brillante ed imprevedibile l’orchestra, ravviva i colori strumentali ed accentua la dinamica attraverso l’uso del crescendo e del concertato. Impone alle voci un virtuosismo che si rifà al bel canto ma è tutto particolare e interamente fissato sul pentagramma. Differente l’approccio verso l’azione teatrale. Qui Rossini predilige un taglio vivo e realistico tuttavia mantenendo un certo distacco emotivo tale da classificarlo, per la critica del tempo, conservatore. Sarà il motivo principale per cui Rossini, a soli 37 anni, deciderà di smettere. Rossini dilata le strutture settecentesche conferendo ai lavori comici un'architettura grandiosa. La divisione è in due atti. Il primo atto è notevolmente più ampio del secondo e si chiude con un grandioso finale che occupa quasi un terzo dell'atto stesso. Nel finale Rossini fissa il culmine formale della partitura e dell'intreccio, dove si raggiunge la massima complicazione. Il secondo atto porta alla liberazione e alla risoluzione. Tema fondamentale dell'opera buffa rossiniana è l’incompetenza dell'uomo di fronte ai fatti e agli imbrogli in cui si trova coinvolto di là dalla sua volontà. La poetica rossiniana sembra essere lontana dal nuovo clima romantico che affidava alla musica il compito di esprimere emozioni: il ruolo di voce dell'anima.

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