"Chiunque sappia arricchire la propria anima di situazioni dettate da sentimenti [....]
E' in questa frase che Giulietta Valentino racchiude il senso della sua arte, nelle sue tele, tra le trame pittoriche, immergendo la tavolozza in tonalità delicatissime.
Giulietta è nata a Rovigo, ma risiede a Potenza fin dall'infanzia. La sua passione per la pittura nasce dal bisogno di doversi raccontare attraverso i colori, "senza spendere parole" come ama spesso dire. Nonostante la formazione scolastica, si definisce "pittrice autodidatta" e comincia ad avvicinarsi alla tecnica dell'olio su tela nel 1982, con le sue prime mostre, personali e collettive, a Lavello, Calitri, Sasso di Castalda, Tolve, Potenza. Le piace ritrarre i temi della vita, l'amore, la bellezza della primavera - incantevoli ed evanescenti sono le sue immagini di fiori - ma anche i dolori dell'esistenza che l'autrice paragona a "dune sabbiose che entrano nel mare... come le avversità entrano nella vita, rendendola un mare in burrasca, che si placa solo al rifiorire di nuove speranze". E le "nuove speranze" per Giulietta rifioriscono su tela. Lei le plasma, come sa fare, con l'armonia ed il silenzio del colore.
Grazia Pastore
(Critica d'arte)
Da giorni cammino nei luoghi, dove vive la pittrice e poetessa Giulietta, attraverso le sue opere ispirate ai diversi monenti della vita quotidiana nella sua terra: la Basilicata.
Sono pagine pittoriche che l'Artista ci porge sublimate dalla sua squisita percezione e sensibilità: "La vigna", "Il campanile", "Compagne" e tanti altri soggetti. Non esecuzioni solo mirabili, ma espresse attraverso un profondo dialogo interiore d'amore e di riflessione, per arrivare alla loro elaborazione. Sono colori che creano tutto il dipinto, portando all'osservatore un piacevole risveglio di emozioni in una dimensione a volte rimasta sopita dal vivere frenetico dei nostri giorni. Infatti i suoi messaggi pittorici, permeati sempre da una diffusa luce mediterranea, comunicano le vibranti emozioni che l'Artista imprime sulla tela, espresse con una notevole sensibilità che penetra in noi; sono racconti realizzati accentuando la pura chiarezza artistica e poetica per portare un dialogo d'amore e di serenità verso l'uomo, in quanto ogni forma, rappresentata nella pittura di Giulietta, ha un suo contenuto interiore totalmente vissuto ed espresso nella sua fedeltà alla pittura intesa come appassionata e coerente accettazione di una consapevole coscienza che oggi appare particolarmente importante.
La natura, la letteratura, il vissuto, si intersecano e creano un unicum tra vita e arte: un binomio iscindibile dalla notte dei tempi.
L'arte è meditazione e rappresenta quello che i greci definivano farmaco, ovvero rimedio all'esistenza. Quest'ultima però è il punto di partenza imprescindibile perché si possano imprimere contenuti sulle tele. Lo sguardo dell'artista è quindi uno sguardo trasversale, che supera la realtà sensibile, può modificarla, rielaborarla o caricarla di sogni, speranze o illusioni. Tutte queste componenti emergono nelle opere di Giulietta; tele che affrontano con lirismo anche gli aspetti più critici ed enigmatici del vissuto. La natura è sovrana, i paesaggi infondono serenità e luce negli occhi dello spettatore, ed in fondo possiamo dire che esiste una vera e propria tensione mistica tra l'io e la natura che finisce per fondere le due componenti. Gli sguardi sono sguardi d'attesa e quindi d'ottimismo, il futuro è la sfida per eccellenza. Le opere rivestono quindi un profondo senso allegorico, che vibra le corde dell'esistenza umana. La natura è quindi bucolica, idilliaca. Essa è trasposizione in pittura dei testi di Virgilio, Teocrito e di tutta la letteratura di argomento pastorale. I paesaggi ricordano anche il borgo natio di leopardiana memoria; questi però sono paesaggi malinconici e sofferenti alla stessa maniera del poeta, il quale avvertiva proprio nel dì di festa la sua esclusione dalla società. Anche i tramonti sono pervasi dalla malinconia, le figure ritratte infatti sono impercettibili, si "lasciano" vivere, proprio perché dominate dalla necessità della natura. I tramonti rendono possibile un rimando alla scrittura di Carlo Levi e a tutti gli studi di carattere demo-etno-antropologico in merito al mondo contadino e alle sue tradizioni religiose e, al tenpo stesso, superstizioni. Nonostante i flutti, l'artista continuerà a costruire Castelli di sabbia: questo è il senso profondo delle opere di Giulietta.
Prof. Francesco Calabrese
(Critico d'arte)
Le parole fuggono dal quadro, si riversano sulla carta, traducono un filo sottile di pensieri e si stupiscono nell’immagine muta. La realtà, solo la realtà è nelle tele di Giulia Valentino. Una realtà silente, un fotogramma del film di una vita, di una storia, di un luogo, che inceppa la pellicola per rimanere eterno. Non una parola, però; non un suono. L’incanto di una realtà vissuta, osservata minuziosamente, ma mai indagata, mai perquisita.
L’artista non cerca risposte; risponde piuttosto all’ansia della scoperta con la serenità della contemplazione, dà voce alle ombre proiettando la luce, esorcizza il moto perpetuo di questa era nell’attesa paziente di un evento qualsiasi che – la pittrice lo sa - non ci sarà mai, semplicemente perché l’evento è già il vivere di ognuno. E così può capitare di smarrirsi nel precipitarsi di un viottolo sghembo dentro il cuore del bosco; di smarrirsi tra le spighe, nei gialli, nella schiva sinfonia dei verdi, ma senza aspirare al cielo, un cielo tenue, lontano, disabitato, un sigillo polveroso sulla fantasmagoria dei monti, sul dolore dei salici, su quel bonario digrignarsi di baracche. La terra, la terra, non il cielo è il mistico richiamo di Giulia; la vibrazione di un prato, l’arabesco di una ringhiera, l’incerto alfabeto delle antiche pietre, il passo precario di una donna, la maniacale perfezione di una natura morta, viva però di freschezza, di luce, di brezze odorose, di casa. Lo sguardo dell’artista sembra abbracciare con lo stesso cuore tutte le cose, gli animali, gli uomini, il sole, la neve, la venatura di una soglia, la tinozza coi fiori, una chicchera bianca quasi dissolta nella luce, l’oscuro arrampicarsi di una grondaia come la proiezione cupa di un campanile che domina l’inverno e accende il cielo; una profonda humanitas, insomma, che blocca il gioco di un figlio, vela tra le vele, ricordo e proiezione di sé, ma che con medesima imperiosa tenerezza ritrae in primo piano un’agnella in nobile posa rinascimentale, lo sguardo altero, una dama quasi, cui la bimba pensosa è compagna. Nessuna volontà di stupire, dunque, nessuna domanda, ma solo il mondo tal quale, il mondo com’è e così come assai spesso non si riesce a vederlo. |