Il Consacrato - Capitolo 26

[Home] [Divagazioni] [eBook] [Me, myself & I] [Poesie] [Pubblicazioni] [Racconti] [Recensioni] [Vari]
 
-=Menù=-
 


 Comico - Umoristico
Fantasy
Generico
Riflessioni
Saga Carrefour

 
-= Presente su=-
 



 
-= Navigazione =-
 


Prossimo
Precedente

 
-=Spot=-
 


 
 


 
-=Spot=-
 


 

 

-=Capitolo 26: L'arrivo di Balrog=-

 

Dalla propria posizione sopraelevata, Helge aveva cercato di seguire gli avvenimenti con la coda dell'occhio. L'arrivo di Alchor, lo scontro con i demoni, il completamento del rituale. E per tutto il tempo non aveva potuto far altro se non osservare. Impotente.

Gridò il nome del guerriero, fece sentire la propria voce. Voleva essere liberato e combattere, lottare al suo fianco.

Gli altri che avrebbero potuto aiutarlo a scendere dalla croce erano nelle sue stesse condizioni, o ridotti anche peggio. Fjollund legato alla parete, debole, impaurito. E la ragazza mora, assente, immobile.

Poco distante da lei Alchor si divincolava dal golem di tenebra mentre Chelor gli si avvicinava minaccioso. Anche Aglàr ora si era deciso a prender parte alla lotta: il rituale per rinnovare la protezione del vuoto era stato ultimato.

Anche se non sapeva come, Helge doveva intervenire, doveva aiutare quel suo compagno alle prese con i demoni. Ma ad ogni tentativo di raggiungere la propria magia dentro di sé le catene con le quali era stato imprigionato reagivano inviandogli una scarica di gelido dolore, come spine acuminate che gli corrodevano la carne. Tanto più che dopo il contatto con il proprio potere all'interno della stireria la distanza dalla sua magia era tornata a farsi notevole. Come se nuovamente fosse regredito alla situazione in cui aveva vissuto fino a qualche giorno prima, cieco e sordo alla presenza del dono che la Luce gli aveva elargito.

Non poteva far altro che attendere.

E pregare.

Alchor lottava disperatamente: era riuscito a liberarsi del golem di tenebra, l'aveva colpito, ferito con la propria spada e lanciato lontano da sé. Poi l'aveva perso di vista, distratto dai demoni che lo stavano incalzando. Dietro di lui Chelor aveva generato altre lame di tenebra mentre dinnanzi a sé Aglàr si preparava a scagliare contro il guerriero piccoli globi di energia violacea. Muovendosi rapido e agile, Alchor riuscì a schivare la maggior parte dei colpi. Un paio di essi riuscirono tuttavia ad andare a segno causandogli lievi ferite e scuotendo la sicurezza del guerriero.

L'occhio mancante lo metteva in netta difficoltà contro due nemici: era perfettamente addestrato a sopperire alla mancanza di visuale sul lato sinistro del volto tuttavia le azioni combinate dei due demoni lo stavano mettendo in seria difficoltà.

Se solo avesse avuto un alleato su cui contare tutto sarebbe stato più semplice. Ma una rapida occhiata alla croce sulla quale era incatenato Helge gli fece comprendere che non avrebbe potuto sperare in un intervento del giovane. Anche perché era ancora ben impresso in lui il ricordo di ciò che la visione che la luce gli aveva concesso gli aveva permesso di scorgere.

Tuttavia, sulla destra scorse il piccolo Fjollund ancora incatenato alla parete.

Decise quindi di tentare il tutto per tutto: i demoni si trovavano uno alla propria destra e uno sulla sinistra. Doveva spostare il volto da uno all'altro per tenerli sotto controllo ma sperava di avere abbastanza tempo per agire.

Abbandonando per un attimo la presa sulla spada questa rimase sospesa a mezz'aria davanti a lui. Le mani di Alchor invece, aperte e rivolte in avanti verso i demoni, divennero incandescenti, ardenti di un fuoco azzurro. Le ricongiunse appoggiandole sulla lama della propria spada e quindi le riallargò creandone due copie identiche. Il tutto non durò che una frazione di secondo e, di colpo, il guerriero si trovò ad avere ben tre spade, una materiale e due di natura spirituale dinnanzi a sé.

Aglàr comunque non perse tempo e, contemporaneamente ai movimenti del guerriero fece avvampare le proprie mani di fiamme nere e viola poi, congiungendole, creò un globo che diresse contro il servitore della luce. Chelor invece rimase immobile a soppesare le reali intenzioni di Alchor: cosa sperava di fare da solo contro loro due? Come aveva fatto a rintracciarli?

Qualcosa non quadrava.

Il guerriero nel frattempo agì ordinando con un gesto alle proprie spade di muoversi mentre con le mani tornava ad impugnare la propria arma, quella che se ne stava a galleggiare dinnanzi a lui.

Una delle lame si mosse rapida verso Aglàr contro il globo di fiamme che aveva assunto una malefica forma di teschio e che il demone gli aveva scagliato contro. La lama di luce lo attraversò come burro disperdendo con il proprio potere il sortilegio di tenebra creato dal nemico. Poi, senza arrestare il proprio cammino, la spada proseguì verso il demone che però la scansò all'ultimo.

•  Ah, ah, troppo lento! E' questo il meglio che sai fare?

Alchor non rispose, ma sorrise mentre già tornava a muoversi diretto contro di lui. Nel suo sguardo truce una fiera determinazione.

Un'altra delle spade che il guerriero aveva generato era ormai prossima a scontrarsi con Chelor il quale, incrociando le braccia davanti a sé e proiettando la tenebra in un possente scudo di vuoto e nulla: riuscì a vanificare l'attacco del guerriero senza particolari difficoltà.

Una volta dispersa l'energia, osservando le movenze di Alchor ed il tragitto dell'altra spada spirituale, quella che Aglàr aveva scansato, comprese le reali intenzioni del servitore della luce. Questi stava già affrontando il suo inesperto compagno mentre la lama che aveva scagliato poco prima era ormai prossima a raggiungere il proprio bersaglio: sebbene fosse nascosto nell'ombra, le ferite subite poco prima erano ancora parzialmente visibili. E questo era bastato ad Alchor per mirare al golem di tenebra che ora si contorceva, trafitto, contro un muro della chiesa. Il muro a cui era assicurata la catena che bloccava Fjollund. Nero come la tenebra l'essere iniziò a cadere a pezzi, illuminato da una luce che rapidamente lo ridusse in cenere, bruciandolo a partire dal punto in cui la lama l'aveva trafitto. Il piccolo guerriero della luce ebbe appena il tempo di rendersi conto di quanto accaduto che il golem era già polvere. La spada che Alchor aveva lanciato nella sua direzione, tuttavia, era ancora intatta e incastonata nel muro.

•  Afferra la spada!

Solo questo riuscì a dire Alchor prima che Aglàr, approfittando del punto cieco dell'avversario, lo colpisse al fianco dopo aver schivato un suo affondo. Un colpo veloce che gli squarciò la corazza di luce liquida e che poi si tramutò in bruciante dolore quando il demone fece ardere la propria mano. Il guerriero urlò la propria sofferenza. Ma reagì subito con un fendente, un colpo che questa volta andò a segno. La spada penetrò dalla spalla sinistra fino al petto del demone. Aglàr rimase senza fiato, stupefatto da quello che stava accadendo, vittima della propria sicurezza, un difetto di valutazione delle reali capacità del nemico che l'avevano infine condannato. La spada era penetrata, brutale, dalla spalla fino al centro del suo petto, laddove la sua essenza tenebrosa pulsava di non vita. Già sentiva la magia della luce iniziare la propria opera di purificazione.

Con gli occhi sbarrati osservò il proprio carnefice. Aveva paura, l'aveva sempre avuta. Paura degli altri, paura di soffrire, paura della morte. Paura di vivere forse, per questo era stato così facile accettare il richiamo del Vuoto. In fondo, cosa aveva da rimetterci?

Una volta divenuto un demone tutto ciò che prima non riusciva ad afferrare era improvvisamente divenuto raggiungibile. Poteva sfidare il mondo intero, farla pagare a tutti coloro che l'avevano fatto soffrire.

Per primi aveva ucciso i propri genitori. Era giusto che andasse così, questa la verità nel suo cuore. Non li aveva mai perdonati. Erano stati loro ad insegnargli la paura, a vivere deglutendo sofferenza. E non aveva provato niente quando li aveva soggiogati e indotti ad uccidersi a vicenda. Nudi, li aveva osservati lottare l'uno contro l'altra armati di odio e coltelli. Si erano tagliuzzati a vicenda, piccole incisioni dapprima, poi una, due, quindi molte ferite più profonde. Incalcolabili. Terribilmente mutilati li aveva osservati spegnersi in un bagno di sangue, animati da una rabbia soprannaturale l'uno per l'altra. Come aveva sempre sognato quando il suo nome era ancora Lorthand. Giusta vendetta, ai suoi occhi era questa la semplice verità. Tante ferite, piccole e ripetute, come le violenze a cui lui era stato sottoposto da parte di tutti quegli uomini che, nel buio della propria stanza, lo toccavano, lo baciavano, lo prendevano. Lui aveva paura, chiedeva pietà, urlava di smetterla ma loro non si fermavano. Nessuno di loro. E i suoi genitori mai avevano osato salvarlo. Avevano invece continuato a versare sale sulle sue ferite, picchiandolo, minacciandolo di tacere ogni cosa. E lui era cresciuto nella paura, temendo ogni gesto, ogni sguardo. Persino a scuola, ovunque. Sempre. Non parlava, non incrociava mai lo sguardo di nessuno, sorrideva stancamente. Aveva paura. Ne aveva avuta tanta, infinita. Aveva anche tentato di farla finita, di uccidersi. Ma non ne aveva il coraggio. Anche se orribile, non voleva abbandonarla la sua vita, temeva di spegnersi, di finire in un inferno ancora peggiore.

La paura e la solitudine erano state le sue uniche compagne, le dolorose fondamenta della sua esistenza. O almeno così era stato fino a quel giorno in cui il vuoto era giunto a parlargli, a chiamarlo. La voce di una bambina innocente, un essere immateriale e ammaliante giunto da chissà dove. E lui, adolescente, aveva risposto. Era stato un cambiamento graduale, lento. Una metamorfosi liberatoria, una nuova consapevolezza.

Rinato come Aglàr aveva imparato ad utilizzare i propri poteri, a soggiogare le persone, a elargire dolore. Aveva imparato a tramutare la propria paura in qualcosa di diverso, a nutrirsi del terrore che gli altri, ora, avevano di lui. I bulletti della scuola, le ragazze che non l'avevano mai nemmeno sfiorato con lo sguardo, gli insegnanti, gli sconosciuti…chiunque…Ma erano stati coloro che di lui avevano abusato a vivere sulla propria pelle le sofferenze più grandi. Loro e i suoi genitori. Attraverso la sofferenza inflitta aveva superato la propria paura, acquisito sicurezza e arroganza. E tuttavia gli era rimasto addosso il freddo timore della morte, uno spettro contro il quale aveva combattuto e che per colpa di Alchor era tornato ad ossessionarlo.

Ora, di fronte a lui, l'incubo dello spegnimento si era tramutato in realtà. Sentiva già la propria essenza sgretolarsi, il corpo intorpidirsi. Cercò di reagire, un movimento che sperava felino e letale ma che invece fu lento, fiacco, inutile. Cercò di colpire il proprio aggressore nuovamente, ma non lo raggiunse nemmeno.

Alchor estrasse con forza la spada fiammeggiante dal corpo del demone e con un calcio lo spinse a terra. Percependone l'arrivo, annunciato da alcune lame di tenebra che avevano cozzato, inermi, contro la propria armatura di luce, il guerriero scattò e colpì Chelor proiettando su di lui uno scudo di energia. Il grosso scarafaggio vi urtò contro. Rabbioso, caricò quindi un pugno: come fumo, il potere del vuoto si condensò attorno al suo destro. Quindi il colpo, poderoso e feroce, che mandò in frantumi la barriera che il guerriero aveva usato per rallentarlo e guadagnare il tempo necessario per conficcare nuovamente la spada nel corpo di Aglàr. A terra, il corpo del demone prese ad avvampare: il suo servizio alla causa del Vuoto poteva considerarsi terminato.

Nel frattempo Fjollund si era rialzato e aveva raggiunto la spada creata dalla magia di Alchor ancora incastonata nel muro. La afferrò con entrambe le mani tentando di estrarla. Se fosse riuscito a distruggere la catena che lo bloccava avrebbe potuto liberare Helge o aiutare Alchor. Ma si sentiva debole, sfinito. Tentò di estrarre la spada ma non ce la fece.

Helge continuava invece a divincolarsi, a ondeggiare e a spingersi sull'impalcatura: forse poteva riuscire a far cedere la struttura.

Sotto di lui, nella navata principale, Alchor e Chelor invece si stavano affrontando. La spada di luce si muoveva rapida e letale tuttavia, agile nonostante la mole, lo scarafaggio demoniaco riusciva a schivare tutti quei colpi. Qualcuno andava a segnò ma non poteva molto contro la resistente corazza che il demone aveva imparato a creare attorno a sé. Al contempo, questa si rivelava anche un'arma preziosa: i suoi colpi si rivelavano più pesanti e poderosi, capaci di fiaccare Alchor.

All'improvviso tuttavia un evento inatteso interruppe il loro scontro: le massicce porte in legno della chiesa si aprirono come scosse da un vento iracondo e malvagio. Si spalancarono di scatto.

Entrambi, sia il guerriero che Chelor, si immobilizzarono per osservare in direzione delle porte e dei nuovi arrivati. Helge e Fjollund li imitarono mentre la ragazza mora non accennò al minimo movimento come se tutto quello che le stava accadendo attorno non la riguardasse.

Uno dei due nuovi arrivati non venne riconosciuto dai presenti tuttavia versava in pessime condizioni, il corpo ricoperto di lividi e ferite. Si reggeva in piedi solamente perchè sorretto dall'altro, decisamente un volto più familiare. Alla vista di quello che stava accadendo nell'edificio, Balrog si rivolse al proprio ostaggio.

•  A quanto pare avevi ragione…

A queste parole Silostar sorrise: una parte del proprio compito era terminato.

 

Leonardo Colombi

 

Creative Commons License
Opera proposta sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

-=Commenti ricevuti=-

 

Commenti ricevuti via mail:

da grivitt (13 gennaio 2008):

Veramente belli gli ultimi due capitoli, mi sono piaciuti tantissimo. mi piace la piega che hanno preso gli eventi anche se inizio ad aver paura per la sorte di Alchor... mi stava simpatico... ^_^

 

 

-=Invia un commento oppure una critica=-

Nome / Nickname :
Titolo opera :
Commento/critica :
Indirizzo mail a cui rispondere: