Il Consacrato - Capitolo 25

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-=Capitolo 25: Nella chiesa=-

 

Alchor si stava dirigendo verso il luogo della visione. Si trattava di una chiesa ormai abbandonata che i demoni avevano tramutato in un loro covo. E stando a quanto aveva appreso nella visione che la Luce gli aveva indotto il luogo era anche stato sigillato magicamente così da impedire che ospiti inattesi vi penetrassero senza invito.

E Alchor, ovviamente, non era nella lista degli invitati.

Individuò l'edificio ma decise di attendere prima di entrarvi. Trattandosi del covo dei demoni conveniva verificare che non ci fossero sentinelle o umani soggiogati nei dintorni. Qualcuno insomma che potesse segnalare la propria presenza ai suoi nemici.

Da quanto aveva appreso dalla Luce, all'interno dell'edificio erano prigionieri sia Helge che Fjollund. Non sapeva però quanti demoni fossero presenti. Se ciò che aveva potuto scorgere nella visione corrispondeva vero avrebbe dovuto fronteggiare ben tre avversari. Che sarebbero poi divenuti quattro non appena Balrog si fosse ricongiunto ai suoi sottoposti per completare il piano che lui stesso aveva ordito.

Doveva riconoscerlo: era stato davvero scaltro e abile. Ma soprattutto paziente e perseverante nel perseguire i propri scopi attendendo il momento propizio per ciò che si apprestava a compiere.

Con Helge soprattutto.

Dopo aver esaminato i paraggi dell'edificio, il guerriero della luce giunse alla conclusione che avrebbe dovuto irrompere. Era assai improbabile penetrare nella chiesa senza esser scorti.

Tuttavia non aveva senso agevolare i demoni all'interno.

 

Helge riaprì gli occhi lentamente.

Dolorante per quanto subito.

La vista gli tornò poco a poco e finalmente riuscì a mettere a fuoco.

Si trovava nell'abside, sospeso sopra l'altare, braccia e gambe erano legate con catene maledette ad una croce che i demoni avevano costruito manipolando il legno dei banchi ed i marmi delle colonne della chiesa. Era stato crocifisso di spalle, rivolto verso l'impalcatura che lo reggeva, in modo da offrire la schiena ad eventuali torturatori. Ora, con la testa appoggiata all'incrocio dei legni, era in totale balia dei propri aguzzini.

La consapevolezza della propria posizione lo agitò non poco per cui subito cercò di divincolarsi, nel disperato tentativo di scendere. Questo gli provocò dolore e sofferenza: mugolò per i lividi e le ferite ricevuti poco prima da Aglàr, stringendo i denti e le palpebre muovendo a destra e a sinistra la testa per quel poco che gli riusciva. Attorno al collo infatti una catena lo stringeva appena, impedendogli di spingersi all'indietro. Come un martire, Helge era stato crocifisso in attesa della sua condanna.

Superato lo shock iniziale per la posizione in cui si trovava, respirando a denti stretti, cercò nuovamente di divincolarsi, di sfruttare il poco lasco delle catene per liberarsi. Era tutto inutile.

Chelor, accortosi del risveglio del bell'addormentato, rise sonoramente.

•  Ti sei svegliato, finalmente!

Sentendolo parlare, Helge cercò di volgere la propria attenzione verso il demone, più in basso, a destra.

Provava rabbia.

Un sentimento che immediatamente sentì crescere amplificato da quello che riusciva ad intuire stesse accadendo a pochi passi da Chelor. A causa della posizione e della catena non poteva vedere. Tuttavia Helge strinse i pugni e cercò di scuotere ancora una volta le catene che lo legavano, di liberarsi: tutto era inutile. Queste lo privavano della propria energia e, a causa di qualche incantesimo, si facevano sempre più strette e incandescenti mano a mano che cedeva ai propri istinti. Mano a mano che tentava di raggiungere la propria magia.

Dentro di sé, inopportuno ma così drammaticamente familiare, il muro di tenebra era ancora al suo posto. Più resistente, più solido, una belva famelica, rabbiosa, che lo teneva alla larga dal proprio potere.

Helge strinse i denti e chiuse gli occhi per il dolore: Chelor gli aveva lanciato una piccola lama di tenebra, una modulazione dell'aria che aveva procurato un taglio lungo il fianco del guerriero della luce.

Quando riaprì gli occhi, non poté fare a meno di immagina il ghigno sadico sul volto del demone. E su quello di Aglàr.

Quest'ultimo si trovava a pochi passi da Chelor, più a in centro, all'interno del cerchio di fuoco nero.

Il cadavere della ragazza che Helge aveva visto al suo risveglio nella chiesa qualche tempo prima era ancora al proprio posto. Ma su di essa, nuda, supina, c'era ora la ragazza che invano aveva tentato di difendere dai demoni. Il suo corpo si muoveva sul cadavere, strusciando su di esso, insozzandosi col sangue della ragazza ormai morta. E lei, supplicante, osservava il guerriero crocifisso. Aveva la bocca spalancata per la paura ed il dolore, singhiozzava, piangeva. Le lacrime scendevano lente a rigarle il bel volto deturpato a causa della sofferenza e dal terrore. Violata nella sua intimità, attraverso di lei il sigillo avrebbe acquisito nuovo vigore. Alle sue spalle Aglàr la prendeva con forza, reggendola per le candide braccia che attirava con forza all'indietro, verso di sé. Sul suo volto corrotto dal male espressioni di famelico godimento per la violenza che stava compiendo mentre al contempo le labbra si muovevano veloci pronunciando parole di un sortilegio del vuoto. Per tutta risposta il fuoco nero attorno ad essi si animava avvampando e ondeggiando come dotato di vita propria, come un essere compiaciuto del male che veniva compiuto.

Helge non poteva far altro che ascoltare, lasciare che le suppliche e i lamenti della giovane entrassero in lui, percepire il movimento dei corpi che si univano e la cantilenante voce di Aglàr. Avrebbe voluto intervenire, cercare un modo per sbrogliare la situazione. Ma era tutto vano. La catena che gli stringeva il collo gli impediva di muoversi come avrebbe voluto. Poteva solamente percepire lo stupro che veniva compiuto qualche metro dietro di sé, assistervi impotente.

Dall'altra parte rispetto a Chelor, sulla sinistra la ragazza mora stava in piedi sui primi gradini della scala che conduceva all'altare, assente, totalmente immobile, come se non fosse presente. Probabilmente soggiogata dal potere dei demoni. Reggeva in mano un pugnale dalla lama argentata e con il manico finemente lavorato di colore nero. Sforzandosi, Helge ne riusciva a scorgere il profilo ai piedi della scala dietro di sé: temeva che anche per lei i demoni avessero in serbo qualche macabro rituale.

Aglàr nel frattempo continuava a muoversi, ad entrare e uscire dalla bionda. Il volto rivolto in alto, il demone continuava nel suo rituale solo che le sue mani ora non le stringevano più le braccia ma bensì il collo. La ragazza cercava di liberarsi, ma le sue dita non avevano forza, le sue mani non avevano ragione della morsa del demone. In breve sarebbe morta soffocata.

Spostando appena fatica il volto, Helge riuscì a scorgere con la coda dell'occhio il ragazzino, l'altro prigioniero. Giaceva a terra, singhiozzando. Aveva paura. I due si osservarono per qualche istante, poi un'ombra spezzò questo legame. Qualcosa si era chinato sul ragazzino e ne reggeva il volto, un essere informe composto interamente di tenebra. Un servitore del vuoto.

Helge comprese che non erano mai stati soli nella chiesa: Aglàr e Chelor se n'erano andati a cercare due ragazze ma avevano lasciato comunque un silente custode a vegliare su di loro.

Un istante dopo, l'ombra, rapida com'era apparsa, svanì e tornò a confondersi in qualche anfratto poco illuminato dell'edificio. Doveva trattarsi di una sorta di golem di tenebra, pensò Helge, una creatura nata dalla stregoneria del vuoto.

Ma questa nuova informazione di certo non lo fece sentire meglio. Anzi, rese ancora più drammatica la situazione in cui si trovavano e più certa la consapevolezza che nessuno di loro ne sarebbe uscito vivo.

Nel frattempo, il fuoco nero del sigillo tenebroso avvampava con maggior intensità mentre Aglàr era ormai prossimo all'orgasmo e al termine del sortilegio. La ragazza, lo strumento del rituale, era invece già morta, soffocata dalla ferrea stretta del demone.

Chelor armeggiava invece con il cellulare, distratto.

Improvvisamente, qualcosa accadde.

Alcuni dardi di luce ruppero alcune delle finestre che, in alto, vicine alle travi che sostenevano il soffitto della navata centrale, permettevano alla luce di filtrare nell'edificio. Frammenti di vetro colorato, briciole di artistiche immagini caddero di sotto distraendo i demoni dalle attività in cui erano impegnati. Chelor distolse lo sguardo dal cellulare mentre Aglàr, al culmine del piacere, a causa di quell'insolito imprevisto, perse per un attimo il ritmo e interruppe la recita dell'incantesimo.

- Non ti fermare! Continua idiota!

Questo l'incoraggiamento di Chelor che ora osservava rabbioso il proprio compagno.

Fu solo un istante ma quello stratagemma diede ad Alchor l'occasione che attendeva. Aglàr riprese quasi subito a recitare la formula ma il guerriero aveva già compiuto la sua mossa. Una delle porte laterali dell'edificio venne quindi colpita dalla sua spada e un'esplosione ne fece avvampare i resti di una fiamma azzurra. Dopo esser salito sul tetto dell'edificio, non visto, Alchor aveva osservato i demoni e il macabro rituale che stavano compiendo al suo interno. Aveva scorto Helge, crocifisso proprio come nella visione che la luce gli aveva concesso. Così come aveva notato il piccolo Fjollund e l'essere di tenebra che aveva vegliato su di lui per tutto il tempo.

Aveva osservato tutto per qualche minuto combattuto tra il desiderio di scagliarsi contro i demoni e quello di attendere l'occasione migliore per aiutarli. Sapeva però che un gesto avventato li avrebbe unicamente condotti alla morte per cui, soffocando la rabbia, aveva atteso.

Fino al momento più opportuno.

Quindi l'irruzione all'interno della chiesa, testimonianza della sua furia.

Non poteva contare su nessun altro, solamente su se stesso.

Chelor gli si parò dinnanzi mutando rapidamente il proprio aspetto.

Aglàr invece riprese la formula per il sigillo tenebroso: quello che rivestiva la chiesa era ormai troppo flebile per tenere la Luce e i suoi servitori a distanza. Tuttavia non aveva ancora finito e per colpa di quell'odioso pelato con la spada la barriera del sigillo tenebroso non era stata ultimata. La distrazione di pochi istanti prima stava per rivelarsi drammaticamente nefasta: se l'edificio ne fosse rimasto privo ancora a lungo, i Due Spiriti della Luce si sarebbero accorti di quella chiesa pulsante di vuoto. E avrebbe dirottato su di loro i suoi servitori. Come già era avvenuto con Alchor.

Poco più in là, la spada del guerriero si abbatté violenta sull'avambraccio corazzato di Chelor. Nella sua forma demoniaca assomigliava ad un grosso scarafaggio, ma molto più inquietante e orribile. Il suo corpo era rivestito di una solida corazza tuttavia la spada nera di Alchor, ricoperta da una sottile iridescenza azzurra era riuscita a scalfirla. Il demone però reagì, violento e potente: un pugno colpì Alchor in pieno facendolo volare addosso alla parete.

Non ebbe nemmeno il tempo per riprendersi dall'impatto che Chelor gli fu nuovamente addosso scagliandosi su di lui con la sua mole poco più che raddoppiata rispetto a quando si rivestiva di mere spoglie umane. La corazza di luce del guerriero attutì il colpo ma ugualmente Alchor boccheggiò per la violenza dell'impatto.

Rapido e letale, Chelor riversò sull'addome dell'avversario una sequenza di tre pugni. Poi però fu la volta del guerriero di reagire: colpì il demone sull'occhio con l'elsa della spada facendolo indietreggiare di qualche passo.

Questi urlò di rabbia per il colpo subito e con un ampio movimento del braccio spostò una massa d'aria verso il proprio nemico. Ma Alchor si era già mosso, fulmineo, verso Aglàr: doveva impedire che ultimasse il rituale se voleva dare alla Luce la possibilità di compiere un miracolo e riversare nella chiesa qualcun altro dei suoi servitori.

Il golem di tenebra però gli si parò dinnanzi, ostacolandolo nel raggiungere il proprio obbiettivo. Tuttavia, con un colpo netto della spada, Alchor gli mozzò quello che sembrava essere un arto. L'essere di tenebra ululò per il dolore e portò un'altra delle sue propaggini all'altezza del taglio su cui era ancora visibile la traccia incandescente e luminosa della magia di luce che animava l'arma di Alchor.

Tuttavia il golem era riuscito a rallentarlo. E Chelor ne aveva approfittato per scagliarli addosso alcune lame di tenebra. La corazza di luce protesse il proprio guerriero, ma non a sufficienza: una di queste gli si conficcò nel polpaccio destro facendogli perdere l'equilibrio per un attimo.

Approfittando della ghiotta occasione, il golem gli si avventò contro colpendolo con le proprie propaggini mentre, nel frattempo, Aglàr concludeva il sortilegio.

Il fuoco nero avvampò e sulla chiesa e attorno ad essa una rinnovata cappa di tenebra scese a sigillarla dalla Luce come fosse divenuto ad un tratto un luogo inesistente.

 

 

Leonardo Colombi

 

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