Il Consacrato - Capitolo 04

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-=Capitolo 04: Amara presa di coscienza=-

 

Helge era sopraffatto dalla vergogna e dalla rabbia.

Non accettava quanto era accaduto: giudicava il suo comportamento riprovevole come l'ennesima conferma che oramai aveva toccato il fondo, per sempre lontano dal sentiero della Luce.

Era seriamente preoccupato per le conseguenze delle proprie azioni e dispiaciuto per il male che aveva contribuito a creare.

Fino ad allora mai aveva tenuto comportamenti simili.

Si sentiva perduto, disperato, profondamente in crisi con tutto ma non fino a al punto di nuocere agli altri.

Malgrado avesse rinnegato il proprio ruolo, malgrado la ferocia con la quale aveva reagito alla diagnosi che gli era stata confermata dai medici, aveva sempre evitato di perdere il controllo.

E ora, per una volta - una soltanto! - che si era lasciato andare…

Si maledisse ed imprecò sommessamente.

La ragazza che aveva quasi violentato, stando alle parole di Balrog, probabilmente avrebbe perso fiducia in se stessa, avrebbe iniziato ad allontanare le persone e a temere gli altri. Forse avrebbe accentuato la sua inclinazione all'uso di alcol portandola un giorno, chi poteva saperlo, magari alla droga…

E che dire di quegli uomini che aveva picchiato…dannazione…era difficile prevedere che conseguenze avrebbero avuto le sue azioni, che impatto avrebbero avuto le sue imprese di ubriaco sulla vita di quelle persone…

“Dannazione!” urlò arrabbiato alzandosi di scatto dal tavolino bianco della cucina “e si può sapere perché non mi hai fermato allora?”

“Non è nella mia natura bloccare la violenza. Di nessuna forma essa sia” affermò tranquillamente il demone.

Ovvio pensò Helge e questo non diminuì affatto il suo turbamento.

“Maledizione!”

“Dovevi sentire come si lamentavano quei poveretti…”

Helge lo guardò furente stanco di sentirsi preso per il culo da uno come Balrog.

“…chiedevano pietà…cercavano di scappare…chi lo sa se camminano ancora con le loro gambe…”

“Che cazzo stai dicendo?”

“Semplicemente che ci sei andato giù pesante: li hai scambiati per demoni, sai?”

A ben pensarci, durante la propria missione di guerriero la maggior parte delle volte si era visto costretto a fronteggiare pericolosi demoni e non esseri umani. Inevitabilmente il suo corpo si era abituato a colpire mostri dalla pelle coriacea, ricoperta di squame e aculei, abominevoli manifestazioni di orrore contro le quali non era concessa alcuna pietà.

Quanto gli aveva appena accennato il demone insinuava nel cuore di Helge l'atroce sospetto di aver combattuto, anzi, di aver picchiato quei poveretti come se si trattasse di demoni lasciandoli di conseguenza in condizioni gravi se non addirittura disperate. Non aveva avuto dalla sua il potenziamento della magia né l'ausilio di armi o talismani, ma se davvero li aveva scambiati per demoni non doveva esserci andato tanto leggero.

“Chissà…” continuò il demone, incalzante nel suo ruolo di insinuatore di dubbi e ansie “…magari qualcuno di loro nemmeno ce l'ha fatta a superare la notte…e chi lo sa come si comporteranno in futuro…magari picchieranno i loro figli o uccideranno tutti gli stranieri che…”

Helge lo prese per il bavero e lo fissò profondamente innervosito e incazzato per le parole del demone.

Quello che aveva fatto era riprovevole, certo, ma lui era l'ultimo essere al mondo che poteva permettersi di fargli pesare simili azioni.

Era un demone e di certo nel corso della propria esistenza aveva fatto anche di peggio. Ragazze violentate, uomini picchiati...per un essere immondo come lui quelle erano semplici bazzecole. Di conseguenza non riusciva più a tollerare le sue insinuazioni e i finti paternalismi.

Aveva sbagliato, e lo sapeva. In qualche modo avrebbe trovato il modo di rimediare. Ma in ogni caso non gli andava giù il pensiero che mentre era lì a compiere simili azioni il demone se ne stava bel bello ad osservarlo, senza intervenire minimamente, unicamente in attesa del “dialogo” che stavano tenendo.

“Stammi bene a sentire…” iniziò mentre il Balrog appariva del tutto tranquillo consapevole della propria forza e del fatto che, a differenza di Helge, lui ancora poteva ricorrere all'ausilio della magia.

Ma proprio in quel momento qualcuno suonò alla porta.

I due rimasero immobili a fissarsi per un poco.

Gli occhi anonimi di Balrog non lasciavano trapelare alcun pensiero, alcuna emozione.

Helge aveva l'impressione che non gli avesse raccontato tutta la verità.

E soprattutto era certo che godesse nel vederlo così, sopraffatto dalla vergogna e dalla rabbia. Sensazioni acuite dalla sua parziale conoscenza degli eventi.

“Magari questo stronzo” pensava “si sta anche divertendo alle mie spalle e mi sta pure ingannando.

Dopotutto è un demone: non ci si può fidare di un demone.

Perché mai dovrei credergli?

Loro agiscono solo per egoismo…perché dovrebbe essere sincero con me…magari non ho fatto nulla di tutto quello che mi ha riferito…”

“Forse dovresti andare ad aprire” suggerì allora il demone riportando Helge alla realtà.

Insoddisfatto, lasciò la presa e si diresse alla porta.

“Sappi che non ti ho mentito, Helge, se mai di questo hai dubitato”.

Quell'affermazione colse il guerriero della luce alla sprovvista.

Comunque fosse la discussione non era finita: l'avrebbero ripreso subito dopo, poco ma sicuro.

Adesso, di fronte alla porta, sperava solo che non ci fossero agenti di polizia o qualcuna delle persone che aveva maltrattato la notte precedente.

Sbirciò attraverso lo spioncino: si intravedeva una figura femminile, una giovane donna dai capelli scuri e dal volto molto triste.

Helge trasalì: possibile che fosse la ragazza di cui gli aveva raccontato il demone? Quella che aveva…oddio…

La osservò di nuovo. Era carina e stava piangendo e si asciugava delicatamente gli occhi con un fazzolettino di carta attendendo che qualcuno le aprisse.

Il guerriero della luce provò compassione per lei e ogni pensiero di rancore si dileguò dal suo cuore lasciando spazio all'amarezza e alla tristezza.

Capì che non poteva trattarsi della ragazza della sera precedente, lo percepì chiaramente grazie al suo intuito e alla propria esperienza.

Sapeva perché quella donna era lì, poteva benissimo immaginare il motivo della sua visita: non che la conoscesse di persona, ma da quando abitava lì non era la prima visita di quel tipo che riceveva.

Per questo, nel corso della sua vita si era trasferito di frequente, abitando nelle città e nei luoghi che di volta in volta la Luce gli indicava nel suo percorso di salvezza e purificazione del mondo. Ogni volta senza soffermarsi più del dovuto.

Ma da quando non era più un guerriero del bene, da quando aveva rinnegato il proprio ruolo nessun sogno, nessun messaggio era giunto ad indicargli la via. Dal giorno della diagnosi aveva cambiato casa un paio di volte ma poi aveva compreso che non aveva più senso spostarsi…non aveva più nessun potere… non aveva più nessuno da aiutare…

Ma gli altri non la pensavano allo stesso modo e, purtroppo, in quella città risiedeva qualcuno che in passato era stato aiutato da lui: l'aveva incontrato per caso e di conseguenza quest'ultimo aveva sparso in giro la voce. Felice, gioioso nel rincontrare quel giovane che tanto aveva fatto per salvarlo tempo addietro.

Quindi più di qualche disperato era giunto a casa sua a chiedere aiuto, soccorso, guarigione…

Ma ormai lui non poteva più far nulla.

Per nessuno.

Nemmeno per se stesso…

Soffriva nel vedere il loro dolore ma era proprio a causa loro che lui aveva sacrificato tutto.

Non aveva né una famiglia né una donna, non aveva amici e nemmeno un lavoro…

Aveva vissuto costantemente inseguito dai demoni e disperatamente preso dalla sua missione di salvare il mondo.

Ma la propria esperienza gli aveva fatto capire che era impossibile, la causa della luce era un'utopia.

Il mondo non voleva essere salvato. Ogni giorno aveva la prova di quanto tutto fosse marcio: guerre, uccisioni, rapine, indifferenza…

L'umanità era marcia e aveva toccato il fondo…e anche lui, ora, era uno di loro ormai.

Appoggiò la testa alla porta mentre la donna all'esterno suonava di nuovo.

“Che fai? La ignori?” le beffarde parole del demone gli giunsero alle orecchie in cinica contemporanea ai sommessi singhiozzi della donna al di là della porta.

In silenzio, le aprì.

I due si osservarono per un lungo istante.

“Lei…lei è il signor Helge?” chiese la donna.

Lui annuì in silenzio.

“La prego, mi aiuti…il mio bambino…” la donna gli prese la mano trasmettendogli tutto il suo bisogno di aiuto e la propria disperazione. Voleva che la seguisse, che partissero subito verso l'ospedale, verso la loro casa, verso il luogo in cui avrebbe dovuto compiersi il “miracolo”.

Ma Helge ritrasse la mano.

I suoi occhi apparivano tristi, profondamente sofferenti.

“Mi dispiace…” cercò di dire, sommessamente, quasi in un sussurro.

“La prego, le darò quello che vuole, tutto quello che vuole…la prego, aiuti il mio bambino…“ le lacrime cominciarono nuovamente a rigarle le guance “…mi hanno detto che lei può…la prego…”

“Mi dispiace…”

Fu tutto quello che riuscì a dirle, poi si voltò e tornò in casa chiudendosi la porta alle spalle.

Una distanza incolmabile li separava oramai.

Lui non era più l'uomo dei miracoli, l'integerrimo guerriero del bene, il consacrato della Luce…

Lei, stupita e delusa per un simile comportamento, prese ad urlare disperata, accanendosi contro la porta.

Scalciava e piangeva supplicandolo di aiutarla. Suonò il campanello con insistenza ma senza ottenere alcun risultato. Sbraitò e urlò ancora per qualche minuto, poi lo maledisse e se ne andò. Piangendo. Per tutto il tempo non aveva smesso di piangere. Soffriva molto, questo era evidente.

Fu una fortuna che negli appartamenti vicini non ci fosse nessun altro: chissà che cosa avrebbero potuto pensare…

Per tutto il tempo, fino a che non sentì i passi della donna sulle scale, Helge se ne rimase accucciato con le spalle alla porta.

In silenzio.

Teneva il volto nascosto tra le mani.

Piangeva.

 

 

Leonardo Colombi

 

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