Non ho memoria alcuna
I miei sensi sono acerbi
Nudo
Siedo su di un tavolo freddo.
Attorno
Uomini vestiti di bianco e di luce:
Dottori e scienziati
Vanno e vengono.
Mi studiano
Analizzando i riflessi del mio corpo.
Scrivono
Accurati resoconti delle mie misurazioni
Del colore dei miei occhi,
della larghezza delle mie mani,
della resistenza delle mie ossa,
del diametro dei miei capelli.
Poi
Mi sdraiano sul tavolo
Al centro della sala.
Pongono sulle mie orecchie
Due misere cuffiette:
ascolto Beethoven
mentre la luce abbacinante
che proviene dall'alto
mi nasconde la vista
di coloro che mi operano,
di coloro che mi studiano.
Il laboratorio
È pieno di computer,
sofisticati elaboratori
collegati alle pareti
da cavi pulsanti di vita.
L'impressione che l'intero edificio
Sia un insieme
Di macchine in simbiosi
Che vivono e si nutrono
Collegate tra di loro
E al mondo esterno.
E poi tavoli e scrivanie,
strumenti sterilizzati
per lo studio del corpo umano.
Il sapere dei medici
Trascende i limiti fisici
E la comunicazione
Non è cosa umana.
Infine
Mi alzano e rimango
In piedi su di un piedistallo
Di marmo bianco.
L'aria odora
Di disinfettante ed etere
Tre infermiere in camici verdi
Mi lavano e puliscono
Con acqua e sapone.
Poi mi asciugano
E con cura
Misurano per intero il mio corpo.
Altri si mettono al lavoro
Per crearmi un vestito,
una seconda pelle per il mio ego,
unico
a misura di me stesso.
Mi vestono:
indosso lunghi pantaloni scuri
una camicia bianca
una giacca ed una cravatta neri.
Ai piedi
Un paio di scarpe semplici.
In un'altra stanza
Vengo pettinato e profumato.
Rimango in piedi
Per qualche istante
Senza dire parole
Davanti alla manifestazione
Di me stesso.
Rimango fermo
A fissarmi per un poco.
Nel grande salone
avviene l'addio:
l'intera equipe
mi guarda con orgoglio
soddisfazione sul volto di ognuno.
Assomiglio a tutti loro
E non assomiglio a nessuno.
Mi porgono un oggetto
Che chiamano valigia
E mi invitano
Verso una porta scura.
Provo ansia
Per ciò che mi aspetta
E mentre comprendo
La porta si apre.
Allora esito
E rimango a guardare,
prima un passo
e poco dopo,
avanzo insicuro.
Scompaio nella luce
del mondo reale
che mi accoglie
come un suo figlio.
Leonardo Colombi