09. Il laboratorio delle vite

[Home] [Divagazioni] [Me, myself & I] [Poesie] [Racconti] [Recensioni] [Vari]
 
-=Menù=-
 


 Poesie fino al 2001
Poesie del 2002
Poesie del 2003
Poesie del 2004
Poesie del 2005
Poesie del 2006

 
-= Presente su=-
 
Ewriters
Liberodiscrivere
 
-=Navigazione=-
 


Precedente
Prossima

 
-=Introduzione=-

 

[23 luglio 2003: questa poesia è del 26 maggio scorso: perché io non segua un ordine cronologico nel trascrivere le mie composizioni proprio non lo so, né capisco perché trascrivo poesie che sembrano non avere nulla a che fare con quelle precedenti e successive, ma tant'è…

Non ricordo in che occasione la scrissi, ma in pratica volevo rappresentare la nascita, vista non come un fatto naturale ma sintetico e artificiale. Forse, a livello di subconscio, son rimasto influenzato dalle notizie sulle operazioni chirurgiche che hanno permesso trapianti di mani e di lingua, o forse son rimasto influenzato dalle notizie sulla clonazione. O forse ancora tutto è nato da qualche film o da qualche lettura (Frankenstein?). Non so proprio, certo è che l'opera che tra poche righe potrete leggere è in qualche senso incompleta: manca di particolari e di quelle descrizioni che renderebbero più verosimile l'ambiente fantascientifico descritto.

Ah, preciso solo una cosa: con questa poesia non intendo criticare la scienza o accusarla di crimini che non ha (ancora?) commesso, anzi, grazie alle scoperte e alle varie ricerche si riescono a guarire molte malattie, a porre rimedio a varie disgrazie e a migliorare sensibilmente la vita di tutti. Semplicemente vorrei far riflettere, come molto hanno fatto e faranno gli autori di fantascienza, sul potere che la scienza detiene. Non dobbiamo mai dimenticarci di essere uomini, dotati di un cuore e di un'anima oltre che di un cervello. Una scienza votata alla ricerca dell'immortalità o alla risoluzione dei problemi di solo una parte degli abitanti di questa terra non fa bella figura. Come non lo fa la scienza assoggettata alle macchinazioni economiche o quella al servizio degli eserciti.

Tuttavia, io ringrazio per il progresso che finora abbiamo raggiunto, e ringrazio quanti hanno fatto e quanti molto faranno in ambito scientifico per il bene di tutti e soprattutto del futuro di noi e dei nostri figli. E credetemi, lasciare un mondo malato e inquinato, lasciare a morire milioni di persone in Africa e nei Paesi del Terzo mondo, non è una gran bella eredità. Ma dopotutto, siamo qui apposta, o no? Per migliorare, per osservare capire e migliorare.

Nota 6 marzo 2004 : ad un certo punto della poesia entra in scena la musica. Ma, se quello che ho cercato di rappresentare è la nascita, e il protagonista in un certo senso non esiste ancora, come può sapere che la musica che sta ascoltando è di Beethoven? Forse la musica, come l'arte in genere non ha tempo?]

 

 

 

-= Il laboratorio delle vite =-

 

Non ho memoria alcuna

I miei sensi sono acerbi

Nudo

Siedo su di un tavolo freddo.

Attorno

Uomini vestiti di bianco e di luce:

Dottori e scienziati

Vanno e vengono.

Mi studiano

Analizzando i riflessi del mio corpo.

Scrivono

Accurati resoconti delle mie misurazioni

Del colore dei miei occhi,

della larghezza delle mie mani,

della resistenza delle mie ossa,

del diametro dei miei capelli.

 

Poi

Mi sdraiano sul tavolo

Al centro della sala.

Pongono sulle mie orecchie

Due misere cuffiette:

ascolto Beethoven

mentre la luce abbacinante

che proviene dall'alto

mi nasconde la vista

di coloro che mi operano,

di coloro che mi studiano.

 

Il laboratorio

È pieno di computer,

sofisticati elaboratori

collegati alle pareti

da cavi pulsanti di vita.

L'impressione che l'intero edificio

Sia un insieme

Di macchine in simbiosi

Che vivono e si nutrono

Collegate tra di loro

E al mondo esterno.

E poi tavoli e scrivanie,

strumenti sterilizzati

per lo studio del corpo umano.

Il sapere dei medici

Trascende i limiti fisici

E la comunicazione

Non è cosa umana.

 

Infine

Mi alzano e rimango

In piedi su di un piedistallo

Di marmo bianco.

L'aria odora

Di disinfettante ed etere

Tre infermiere in camici verdi

Mi lavano e puliscono

Con acqua e sapone.

Poi mi asciugano

E con cura

Misurano per intero il mio corpo.

Altri si mettono al lavoro

Per crearmi un vestito,

una seconda pelle per il mio ego,

unico

a misura di me stesso.

 

Mi vestono:

indosso lunghi pantaloni scuri

una camicia bianca

una giacca ed una cravatta neri.

Ai piedi

Un paio di scarpe semplici.

In un'altra stanza

Vengo pettinato e profumato.

 

Rimango in piedi

Per qualche istante

Senza dire parole

Davanti alla manifestazione

Di me stesso.

Rimango fermo

A fissarmi per un poco.

 

Nel grande salone

avviene l'addio:

l'intera equipe

mi guarda con orgoglio

soddisfazione sul volto di ognuno.

Assomiglio a tutti loro

E non assomiglio a nessuno.

Mi porgono un oggetto

Che chiamano valigia

E mi invitano

Verso una porta scura.

Provo ansia

Per ciò che mi aspetta

E mentre comprendo

La porta si apre.

 

Allora esito

E rimango a guardare,

prima un passo

e poco dopo,

avanzo insicuro.

Scompaio nella luce

del mondo reale

che mi accoglie

come un suo figlio.

 

 

Leonardo Colombi

 

 

 

-=Commenti ricevuti=-

 

Commenti ricevuti su ewriters.it :

da arianna :

un testo eccellente! LEGGETELO!

 

Commenti ricevuti su liberodiscrivere.it :

da zingara53 :

Trovo questa poesia un pò inquietante. E' un tuo sogno, un vederti dal di fuori mentre subisci un intervento? E' autobiografica?

da mebro eletto:

Inquietante ed emblematica metafora del processo di indottrinamento e massificazione a cui è costantemente sottoposta la società. Processo necessario affinché si possano perpetuare, senza pericolo di ribellioni, i rapporti di forza che sono alla base della società stessa. Bravo.

 

 

-=Invia un commento oppure una critica=-

Nome / Nickname : (*)
Titolo opera :
Commento/critica : (*)
Indirizzo mail a cui rispondere:
  (*) Campo obbligatorio