07. Nella stanza dell 'alchimista

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[30 giugno 2003: questa composizione porta la data del 24 aprile scorso. Non ricordo in che occasione la scrissi, né se la sua creazione sia legata a qualche evento in particolare, forse alla lettura del Silmarillion di J.R.Tolkien. E' una specie di mini racconto fantasy in versi (se i miei si possono definire versi, dato che non rispettano metriche o regole particolari, ma semplicemente assecondano il mia volontà e il mio istinto). L'evento è banale: un ladro si è intrufolato in qualche modo in un laboratorio di un famoso alchimista. L'intento è quello di trafugare qualcosa di inestimabile e la bramosia del ladro fa cadere la scelta su di una gemma levigata e perfetta. Quella gemma incredibilmente bella rappresenta la bellezza più pura e perfetta, rappresenta ogni sogno, rappresenta quanto di meglio si possa desiderare in fatto di oggetti materiali. Il possedere quell' oggetto diventa allora tutto ciò che un uomo/donna possa desiderare: null'altro conta più. E nel tentativo di prenderla viene meno anche la percezione del reale: infatti il ladro, per natura scaltro e prudente, non si preoccupa di verificare la presenza di trappole né, come dice lui stesso, percepisce la presenza di altre forze/persone in gioco. Bene, grosso modo questo è quanto: il resto spetta a voi. Buona lettura.]

 

 

-= Nella stanza dell 'alchimista =-

 

Come vi arrivai,

non ricordo.

Di tutte le cianfrusaglie

Che scambiai per ricchezza

Soltanto una mi parve preziosa:

era una gemma,

tagliata e perfetta.

Non potevo raggiungerla

Per via del vetro che,

In forma di sfera,

La racchiudeva.

Luceva, e sulla superficie

Onde

Come di un mare interno e silenzioso

Placido e remoto.

La desiderai

E la bramai più di ogni altra cosa

E il desiderio del suo possesso

Mi rodeva l'anima.

Con tutte le mie forze

Lottai per farla mia,

dapprima accanendomi impaziente

sulla protezione di vetro,

con forza e violenza

poi con scalpello e preciso lavoro

e infine con gli acidi

e gli strani artifici

che trovai lì attorno.

Alla fine cedetti

E seduto in disparte riflettevo

Su come riuscire nell'intento.

Nulla aveva funzionato finora,

nulla,

e nemmeno un graffio

su quella dannata copertura di vetro.

Poi

Un sordo rumore di metallo

E il vetro finalmente si apriva,

scivolando e scomparendo,

in risposta al mio desiderio

(ignoravo allora

che altri fossero parte del gioco)

e indi la presi con le mie mani.

E quando finalmente l'ebbi

L'alzai in alto

Sopra la mia testa,

rimirandola e accarezzandola

vedendola farsi via via più lucente

mentre il mio cuore più non conteneva

la mia soddisfazione.

 

Fu allora che tutto iniziò.

Iniziai a disgregarmi:

dapprima furono le mani

che iniziarono a svanire,

poi le braccia

e poi le gambe.

Sentivo freddo

E tremavo

In preda al terrore più recondito.

Lentamente mi consumai totalmente

Divenendo luce e polvere

Svanendo nell'oblio

Cercando invano rifugio

Nell'oscurità e nel buio.

Mi consumai e sparii

Continuando a rimirare quella gemma,

e bramandola ancora,

bramandola e desiderandola sempre,

consumato dal freddo e dal terrore,

consumato dal mio vano desiderio.

La gemma rimase immobile,

sospesa a mezz'aria

irraggiungibile e perfetta.

Turbinava e s'agitava il mare

Delle anime che racchiudeva

Mentre lentamente planava

Per portarsi nuovamente

Al centro della sfera di vetro,

l'unica barriera

a difesa degli stolti.

 

 

Leonardo Colombi

 

 

 

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