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2.1 - La
Costa |
2.5 -
Paesaggio
e Flora terrestre 2.6 - Avifauna 2.7 - Escursioni 2.8 - Interazione tra l'area protetta e le attività economiche locali 3.1 - Nuova Vincolistica 3.1.1 - Zona A di Riserva Integrale 3.1.2 - Zona B di Riserva Generale 3.1.3 - Zona C di Riserva Parziale 3.2 - Notizie Utili 3.3 - Libri e Pubblicazioni |
L'area compresa tra il fiume Sarno e Punta Campanella dall'VIII sec. a.C.
vede la presenza di una comunità di villaggi indigeni che verso la metà
del VI secolo a.C. si sposta sulla costa (Pompei-Stabia) e negli scali
commerciali della Penisola Sorrentina, punti di passaggio dei traffici
etruschi. Verso la fine del V sec. a C. tutta la Campania cade
progressivamente in mano agli Osco-Sanniti, popolazioni italiche che
discendono dai monti del Sannio, e, da Cuma a Poseidonia (Paestum),
l'unica isola di grecità rimarrà Neapolis, fondata dagli Eubei (primi
colonizzatori greci d'occidente). Dalla fine del IV comincia la
penetrazione romana che sarà definitiva dal 90/80 a.C. Con la romanizzazione si assiste ad una grande opera
di trasformazione del territorio. L’impianto urbano sorrentino,
risalente al periodo osco-sannita, riceve un nuovo assetto con la
monumentalizzazione di alcune insulae dove sorgono terme, teatro,
foro ed edifici pubblici annessi. Il territorio si popola di ville
rustiche legate alla produzione del rinomato vino sorrentino e di fornaci
per la produzione di anfore (molto richieste) e calici. Le fonti documentano la cerimonia della libagione (versando vino pregiato
in mare) fatta dalle navi che passavano davanti al santuario di Athena
nelle bocche di Capri e di ammainamento delle vele in segno di devozione.
Oggi i nostri naviganti (per la maggior parte ufficiali della marina
mercantile) i cui avi sparavano colpi di cannoni, suonano le sirene di
bordo per salutare i loro Santi Protettori (Meta, Piano, Sorrento)
perpetuando in modo diverso una antica usanza. Questo atavico rapporto tra
la terra e il mare, che coinvolge anche la sfera religiosa, si perpetua
anche nelle numerose processioni dei santi sul mare a Positano e in
Penisola Sorrentina, in modo non dissimile di quanto sembra avvenisse a
Pompei con le processioni di Iside sul fiume Sarno.
I monti che costituiscono la dorsale della penisola
erano chiamati dagli antichi Monti Sireniani e dai romani Monti Lattari
(nome che ancora oggi conservano) con un esplicito riferimento alla
produzione di latte e formaggio, come nell’altro nome documentato:
Taurobulae ‘che nutrono tori’. La pregiata carne dei vitelli
della penisola, e in particolare di Massa, è decantata anche in vari
scritti cinquecenteschi. Il mare era molto pescoso e a Roma si consigliava di
comprare lo helops (= pesce spada o storione) a Sorrento. Decantati nelle fonti antiche sono i colli sorrentini ricchi di vigneti su pergolati che producevano il famoso Surrentinum esportato in molti porti del Mediterraneo. Controversa era la sua qualità: aspro e forte; passito; poco digeribile; consigliato ai convalescenti per la sua delicatezza, ma con conseguenze letali per il convalescente che ne abusava; raffrenava i catarri delle viscere e dello stomaco e non
‘andava alla testa’; rivaleggia con il Falernum, perchè sopportava l'invecchiamento e giungeva a maturazione dopo 20/25 anni e
allora diventava digeribile. Secondo l'Imperatore Tiberio (che lo definiva
nobile acetum) i medici si erano messi d'accordo per
nobilitare il vino sorrentino, ma probabilmente egli non aveva avuto la
pazienza di attenderne la maturazione. Molto decantata è anche la bellezza del paesaggio e
del clima dolce e salubre sotto la carezza dello Zefiro.
1.4 - Il santuario di Athena di Punta della Campanella L’orizzonte cultuale nel quale si inserisce il
culto di Athena di Punta della Campanella è un orizzonte che “integra
terra e acqua, litorale e mare aperto in rapporto alle esigenze ideali
della navigazione”. Il culto può “legittimamente considerarsi rivolto
al patrocinio dell’accesso marittimo del Golfo sin dall’età arcaica.
Athena del resto è effettivamente idonea a sovrintendere alla navigazione
quanto ad abilità pratica ed intelligente, tecnica sagace della rotta e
del passaggio”. Il rapporto privilegiato intrattenuto dalla dea con il
fondatore mitico del suo santuario sorrentino, Odisseo, è indicativo in
tal senso. Sul famoso santuario di Athena di Punta della
Campanella, la cui fondazione mitica è attribuita a Odisseo (Strabone,
V, 247), esisteva fino ad un decennio fa una scarsissima documentazione,
tanto da indurre qualche studioso a loca- lizzarlo, senza alcun fondamento
probante, in punti diversi del territorio di Massalubrense. In anni
recenti la frequentazione cultuale del promontorio è stata ampiamente
documentata dalla metà del VI secolo alla prima metà del II secolo a.C.
senza alcuna soluzione di continuità. I vasi rappresentati nella stipe votiva (deposito
degli ex voto) sono essenzialmente legati al rito della libagione che per
la Campanella è documentato dalle fonti (Stazio,
Silv., III, 2,22). Ben rappresentati sono anche contenitori e
oggetti connessi con il servizio del santuario. Il vuoto di documentazione a partire dalla seconda
metà del II sec. a.C. dimostrerebbe che il culto di Athena cadde
nell'oblio durante gli ultimi anni della Repubblica, anche se il nome
latino della dea continuò a caratterizzare il promontorio, come si legge
nei documenti medievali che riguardano la Torre di avvistamento, in
Boccaccio (Dec. V, 6) e nei vari portolani fino al '700. 1.5 - Ulisse, Athena e le Sirene Proprio all’eroe dei nóstoi per
eccellenza, Odisseo, e alle sue peregrinazioni neMediterraneo, durante il ritorno da
Troia a Itaca, sono legati due dei miti localizzati dalle fonti antiche
nell’attuale territorio del Comune di Massa Lubrense: il culto delle
Sirene (Isolotti ‘Li Galli’, antiche Sirenuse) e la fondazione del
santuario di Athena (Athenaion di Punta della Campanella). Le Sirene (uccelli dal volto di donna) trovarono
sulle bocche di Capri la loro collocazione ideale per l’immaginario
greco essendo esse legate ad una situazione liminale tra terra e acqua, a
punti cruciali di passaggio, al dominio sugli elementi atmosferici e in
particolare al controllo delle condizioni e degli elementi essenziali alla
navigazione. Queste saghe sulle Sirene dovevano essere parte del
patrimonio tradizionale dei naviganti protagonisti delle prime spedizioni
occidentali. Esse avrebbero avuto un tempio in un luogo ancora
controverso della penisola (per alcuni la suggestiva Baia di Ieranto, per
altri il versante napoletano della penisola). Il luogo mitico delle Sirene
è rappresentato dagli isolotti 'Li Galli', Sirenuse per gli antichi. Qui
le Sirene, secondo Licofrone, non essendo riuscite ad attirare Odisseo, si
gettarono in mare e i loro corpi furono trasportati dalle onde una a
Terina (Ligeia) una a Punta Licosa (Leukosia) e l'altra a Napoli (Parthenope).
Risalgono, secondo recenti studi, a rielaborazioni
degli Eubei di Cuma, sia l’importazione del mito delle Sirene in
penisola, sia la mitica fondazione del Santuario di Athena da parte di
Odisseo, sia la tradizione della fondazione mitica di Sorrento da parte di
Liparos, figlio di Auson, che, partito dall'Italia fondò Lipari e diffuse
l'agricoltura nelle isole vicine; in vecchiaia, preso dalla nostalgia e
aiutato dal genero Eolo (un greco), riconcquistò le terre intorno
Sorrento dove fu tenuto in grande onore e la sua tomba sarebbe divenuta
oggetto di culto. Tale fitta trama di referenti mitici e funzionali va
intesa nel senso di un “processo di ‘appropriazione’ e ‘controllo’,
di un intero orizzonte territoriale”. 1.6
- Le
Ville Romane costiere della Penisola
Sorrentina
Già dal I sec. a.C. si assiste al sorgere in tutti i punti più
panoramici della costa di ville romane costruite dalla élite romana che
fin dal secolo precedente aveva eletto come luogo di otia e di
villeggiatura il golfo di Napoli. La imponenza e il lusso di queste dimore
aristocratiche sorrentine è documentata da alcuni ritrovamenti degni
della capitale. Le terrazze sul mare della villa di Pipiano (a
sinistra del convento della Lobra a Massalubrense) erano impreziosite da
una lungo ninfeo nel quale si specchiava un grandioso mosaico articolato
sulla parete di contenimento (lunga circa 15 metri) in una ritmica
successione di nicchie e pilastri decorate con vedute di giardini,
candelabri, maschere, pesci, uccelli e incrostazioni di conchiglie. La villa di Pollio Felice, con ambienti rivolti verso
tutte le viste del golfo, aveva uno splendido portico costituito da
colonne monolitiche in marmo che portava dal promontorio alla marina e un
tempietto dedicato ad Ercole sul punto estremo del promontorio dove si
vedono ancora le tracce dell’approdo. La villa di Agrippa Postumo a Sorrento (hotel Syrene)
e quella del convento dei Cappuccini a S. Agnello (hotel Corallo)
esibiscono ancora oggi gli imponenti resti di piscine per l’allevamento
dei pesci e di ninfei rivolti verso il mare arricchiti da cascate
d’acqua. Al Capo di Sorrento la dependance marittima della domus,
che era più a monte, è essa stessa una grandiosa villa con una vasca
naturale utilizzata anche come approdo protetto. Molte altre ville erano sul versante del golfo di
Napoli, come quelle del Portiglione e di Punta San Lorenzo a Massalubrense,
dell'hotel Vittoria a Sorrento e del Pizzo a S. Agnello. La villa sulla Punta della Campanella, preceduta da
un portico colonnato verso sud-ovest, circondata da esedre disposte verso
i punti più panoramici, provvista di un faro nella parte più alta e
disposta a terrazze, fu con relativa certezza costruita in funzione di
guarnigione militare, in concomitanza con il trasferimento della corte
imperiale romana a Capri da parte di Tiberio tra il 27 e il 37 d.C. Qui
giungeva la Via Minervia che proveniva da Nuceria e che fu probabilmente
lastricata proprio agli inizi del I secolo d.C. Sul versante amalfitano, a parte alcuni ruderi a
Marina del Cantone e a Crapolla, troviamo due ville sulle isole. Sul Gallo
Lungo la casa attuale ricopre l’antica costruzione romana, ma sono
ancora visibili i resti delle cisterne e dell’approdo, mentre di fronte
(sulla Castelluccia) sopravvive lo scivolo, tagliato nella roccia, per
tirare a secco le imbarcazioni. Della villa sull’isolotto d’Isca si
conservano le calate a mare e i ninfei ricavati in anfratti naturali.
1.7
- Archeologia
Marina I fondali della penisola, nonostante le continue
spoliazioni avvenute maggiormente in quest’ultima metà del secolo, sono
ancora ricchi di preziose testimonianze della frequentazione e del
commercio antico. Dalle fonti sappiamo che anche una flotta romana con a
bordo Giulio Cesare fece naufragio presso la punta e che molte navi
affondarono. Numerosi relitti di navi romane e preromane sono localizzati
presso la secca in prossimità dell’isolotto di Vetara, ai Galli, alla
Punta della Campanella e al largo della costa di Massalubrense. Anfore
etrusche, ionico-massaliote, greco-italiche, romane, africane e medievali
vengono continuamente dragate dalle reti a strascico, oltre a ceppi
d’ancora e scandagli in piombo e ancore di pietra. Nei bassi fondali in
prossimità degli approdi delle ville romane vi è una gran quantità di
reperti e di elementi architettonici in marmo. Le acque della Penisola Sorrentina, a differenza di
quelle della Grotta Azzurra, di Cuma e di Pozzuoli, non hanno mai attirato
l’attenzione degli archeologi e la ricerca archeologica subacquea in
questa parte della costa campana stenta a decollare. Eppure, oltre a
reperti disseminati un po’ dovunque, l’area del Parco Marino offre
anche strutture marittime, emerse e sommerse, degne di attenzione ed
esplorazione. 1.8
- Le Torri
Costiere Le torri di avvistamento, che caratterizzano tutte le coste del Regno di Napoli furono volute dal vicerè Don Parafan de Ribera e realizzate per la maggior parte durante il viceregno di Don Pedro di Toledo. In Penisola Sorrentina furono costruite, a spese degli abitanti, dopo la terribile invasione di Massa e Sorrento da parte dei Turchi nel 1558. In quel periodo furono anche ricostruite e adeguate ai tempi la torre trecentesca dei Galli e quella coeva di Punta Campanella.
Esse sono disposte in modo che ognuna sia in vista delle due
vicine, talché in caso di pericolo dal mare si facevano segnalazioni con
il fuoco di notte e con il fumo di giorno, e tali segnali venivano poi
ripetuti a catena di torre in torre, mentre da alcune di esse (cosiddette
'torri cavallare') partiva un guardiano a cavallo per mettere in allarme
gli abitanti dei casali.
Per le Foto si ringrazia il dott. Antonio Coppola
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