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Lo sviluppo sostenibile

Cari soci, amici e navigatori

pubblichiamo, di seguito, alcuni chiarimenti ed osservazioni in merito al concetto di sviluppo sostenibile. Riteniamo che sia un elemento utile alla discussione politica nostrana, anche perché ne sentiamo parlare spesso e forse, molto spesso, se ne abusa.

Buona lettura                                                                                                                                     La Redazione

Lo sviluppo sostenibile

La Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, ha visto l’adesione di 174 Nazioni ad Agenda 21, che propugna un ruolo attivo da parte delle Comunità locali nella promozione delle politiche per lo Sviluppo sostenibile.

 La maggiore conquista della Conferenza e l’aspetto più innovativo è quella di lanciare l’iniziativa di un progetto di collaborazione globale fra tutti i maggiori gruppi sociali ed economici. Benché, infatti, il documento si rivolga soprattutto ai governi, è ritenuta fondamentale una vasta partecipazione pubblica: Agenda 21 può realizzarsi solo se tutti i gruppi sociali appartenenti alle diverse comunità sentiranno la responsabilità di renderla effettiva. L’evoluzione delle politiche ambientali anche in Italia sta conducendo le amministrazioni a superare l’atteggiamento “passivo” nei confronti degli inquinamenti o dei danni ambientali, comunque presenti, per organizzare, invece, un sistema basato sulla prevenzione, sulla partecipazione volontaria delle imprese e dei soggetti presenti sul territorio, sulle integrazioni tra i diversi settori e comparti e sulla concertazione tra le amministrazioni.

L’associazione “Sicu-Mera” - agenzia per Ambiente, Giustizia sociale ed Economia sostenibile, di recente costituitasi, con sede  a Torre Annunziata ha come scopo la promozione nella città di Torre Annunziata, nella Provincia di Napoli ed in Regione Campania del processo di Agenda 21 Locale per rendere sostenibile lo sviluppo integrando aspetti economici, sociali ed ambientali secondo gli indirizzi delle Carte di Aalborg, Goteborg e Ferrara.

Nel rispetto di tale premessa, l’associazione “Sicu-Mera” - agenzia per Ambiente, Giustizia sociale ed Economia sostenibile - propone un momento di informazione/formazione, dal titolo “CITTADINANZA ATTIVA per uno SVILUPPO SOSTENIBILE”, sui temi dell’economia e dello sviluppo sostenibile e della cittadinanza attiva rivolto ad operatori sociali ed a quei cittadini desiderosi di assumere un ruolo propositivo rispetto a tematiche decisive per il nostro presente ed il futuro delle generazioni a venire.

A seguito dell'adesione ad Agenda 21 da parte dei Governi di 174 Nazioni, partecipanti alla Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, un ruolo attivo nell'affermazione delle politiche per lo Sviluppo sostenibile lo hanno assunto le Comunità locali. In ambito comunitario, è stata avviata una Campagna delle città europee sostenibili mentre in Italia l'attivismo di diversi comuni ha dato luogo al Coordinamento nazionale della Agenda 21 Locale.

 

Agenda 21

AGENDA 21 è il documento adottato dai 174 Paesi partecipanti alla Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992 quale riferimento globale per lo sviluppo sostenibile nel XXI secolo.
Il documento denominato
AGENDA 21 non implica nessun obbligo giuridico per i soggetti aderenti bensì si pone come una dichiarazione di intenti verso obiettivi comuni ai quali, non solo i singoli Stati, ma tutta la comunità internazionale è invitata ad aderire. Nelle quattro sezioni per un totale di 40 capitoli, Agenda 21 traccia un percorso ed indica le modalità per un modello futuro di crescita economica che tenga conto anche degli aspetti sociali ed ambientali e che è indicato appunto come sviluppo sostenibile.
La maggiore conquista della Conferenza e l'aspetto più innovativo è quella di lanciare l'iniziativa di un progetto di collaborazione globale fra tutti i maggiori gruppi sociale ed economici. Benché, infatti, il documento si rivolga soprattutto ai governi, è ritenuta fondamentale una vasta partecipazione pubblica:
Agenda 21 può realizzarsi solo se tutti i gruppi sociali appartenenti alle diverse comunità sentiranno la responsabilità di renderla effettiva. In Italia si parla di Agenda 21 soprattutto riferendosi ad alcune iniziative nate in ambito metropolitano che fanno riferimento al capitolo 28 relativo alla c.d. Agende 21 locali.
L'evoluzione delle politiche ambientali anche in Italia sta conducendo le amministrazioni a superare l'atteggiamento
"passivo" nei confronti degli inquinamenti o dei danni ambientali, comunque presenti, per organizzare, invece, un sistema basato sulla prevenzione, sulla partecipazione volontaria delle imprese e dei soggetti presenti sul territorio, sulle integrazioni tra i diversi settori e comparti e sulla concertazione tra le amministrazioni.
La passata esperienza, in cui l'elemento ambiente è stato considerato solo in termini di valutazione finale dagli effetti di determinate opere, ha manifestato un'inadeguatezza non tanto del metodo operativo, quanto del momento in cui la valutazione interviene, ossia solo a scelte compiute.
E' evidente, pertanto, l'accordo unanime ad anticipare l'inserimento dell'elemento ambiente nelle valutazioni delle scelte sin dal momento della pianificazione, della programmazione e della progettazione.
L'anticipazione del ruolo dell'ambiente all'origine della decisione ha un'altra rilevante valenza: quella di spostare l'ambiente da fattore limitante per lo sviluppo, a fattore portatore di nuove possibilità di sviluppo. Queste riflessioni, che costituiscono il presupposto del sostanziale cambiamento di rotta delle politiche ambientali da difensive a proattive, hanno trovato, appunto, la loro specificazione nella
Agenda 21 di Rio de Janeiro.
Pur essendo la responsabilità dell'attuazione dell'Agenda 21 demandata ai Governi nazionali, chiamati a definire un quadro di riferimento per le politiche a livello settoriale o locale , l'
Agenda 21 al capitolo 28, come già detto, riconosce il ruolo decisivo degli enti locali nella concreta realizzazione dell'obiettivo della sostenibilità, invitando ogni comunità a contribuire direttamente con una propria Agenda 21 locale che risulti, quindi, essere la traduzione e l'attuazione locale dell'Agenda 21 approvata a Rio.
Le amministrazioni locali, difatti, si collocano ad un livello prossimo a quello in cui vengono percepiti i problemi ambientali e il più vicino ai cittadini, e condividono a tutti i livelli con i governi la responsabilità del benessere dei cittadini e della conservazione della natura. Le città svolgono, pertanto, un ruolo fondamentale nel processo di cambiamento degli stili di vita e dei modelli di produzione, di consumo e di utilizzo degli spazi. L'
A21L finalizzata al continuo miglioramento delle condizioni locali di sostenibilità, si ispira a criteri di equità, prevenzione, precauzione, responsabilità condivisa e sussidiarietà. Come tale è un processo dinamico, di lungo termine, promosso dall'Amministrazione locale e condiviso dall'intera comunità interessata. La realizzazione di una A21L presuppone un'approfondita conoscenza delle condizioni ambientali e l'attivo coinvolgimento della comunità locale (cittadini, istituzioni, gruppi di interesse e movimenti d'opinione, organi dell'Amm.ne pubblica ed imprenditori) in uno sforzo comune per raggiungere un ampio consenso sulle azioni da intraprendere, determinando un piano d'azione locale per la sostenibilità continuamente aggiornato verso livelli crescenti di sostenibilità secondo un percorso trasparente, negoziale e partecipato

 Ma cosa è lo SVILUPPO SOSTENIBILE?

Il termine "Sviluppo Sostenibile" (Sustainable Development — SD) è apparso sull'arena politica essenzialmente con il Rapporto Brundtland nel 1987 (WCED, 1987). Pur se dai contorni concettuali ancora vaghi, tale termine sembrava adatto a combinare e riconciliare gli esiti del dibattito, maturato all'interno delle Nazione Unite, sulle politiche dello sviluppo e su quelle dell'ambiente.

Da quel momento in poi, la "questione ambientale" diventa un tema politico prioritario e mette in discussione la visione fortemente antropocentrica dei tradizionali modelli di sviluppo, quella basata sulla superiorità dell'uomo rispetto alla natura. Cresce così la consapevolezza della globalizzazione del rischio ambientale come minaccia alla sopravvivenza dello stesso genere umano. Tutto questo accade dopo quasi venti anni dall'allarme lanciato dal famoso libro su "I limiti dello sviluppo" (Meadows, 1972).

La Commissione Brundtland definisce sviluppo sostenibile come:

uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni;

un processo nel quale lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico ed il cambiamento istituzionale sono tutti in armonia, ed accrescono le potenzialità presenti e future per il soddisfacimento delle aspirazioni e dei bisogni umani.

Questi concetti implicano consapevolezza degli attori, decisioni strategiche ed azioni adeguate per utilizzare, mantenere e tramandare le risorse disponibili alle future generazioni affinché esse governino saggiamente tale eredità (patrimonio ambientale), riducendo progressivamente i deficit ambientali che potrebbero rappresentare un fardello ed una minaccia per la posterità.

Questa potente dichiarazione significa che sostenibilità e sviluppo devono procedere insieme:

sostenibilità come precondizione per la conservazione di uno sviluppo duraturo, ricostituendo e sostituendo le risorse delle attuali e future generazioni;

sviluppo come modo per superare la povertà, amministrando le risorse per affermare, contemporaneamente, equità sociale (all'interno delle singole comunità e nel rapporto tra esse e gli individui), equità interlocale e/o interregionale (tra le varie comunità territoriali), equità intergenerazionale (tra le presenti e le future comunità).

Due principi assumono, in particolare, un significato ed un ruolo trasversale: quello inter-temporale e quello inter-regionale.

Il principio inter-temporale si riferisce all'avvenire (o posterità), al presente ed al passato.

L'equità, come valore da realizzarsi fra generazioni, chiama la società ad operare su una scala temporale diversa rispetto a quella correntemente usata in economia.

Per garantire lo sviluppo sostenibile si deve adottare una programmazione di lungo termine al fine di prendere in considerazione l'impatto sul benessere delle future generazioni.

Il principio di "posterità" deve diventare un valore che incoraggi la società (in tutte le sue componenti, quali popolazione, governo, istituzioni, imprese, etc.) a sviluppare una visione di "cosa si vuole sostenere".

Le politiche (ad ogni livello) devono riconoscere che l'ambiente è entità e forza dinamica per il progresso umano; devono essere pro-attive, combinando l'approccio costruttivo (a favore di cambiamenti integrati e strutturali) e quello difensivo (per conservare risorse e potenzialità).

Il principio inter-temporale si riferisce anche al passato, poiché le risorse rappresentano la dotazione di riserve e i depositi naturali accumulatisi nel corso di un tempo lunghissimo; con la loro attuale utilizzazione, la società sfrutta anche il tempo che è stato incorporato dall'inizio della loro trasformazione in riserve naturali (ad esempio la combustione di un litro di petrolio distrugge un processo dinamico che è forse durato milioni di anni).

Il significato di "eredità" può essere pienamente apprezzato considerando sia il passato che il futuro del patrimonio che una generazione prende in prestito da quella successiva.

In questa relazione tra passato, presente e futuro, le culture umane manifestano la loro saggezza di occuparsi della scarsità, della utilizzazione delle risorse, del loro esaurimento e dei bisogni intesi come domanda individuale e collettiva per una migliore condizione di vita. Welford (1995) sottolinea che gli Indiani Irochesi del Nord America avevano un orizzonte di programmazione di sette generazioni; essi cercavano di prevedere gli effetti delle loro decisioni sulle successive sette generazioni.

Il principio inter-regionale si riferisce all'assenza di confini della dinamica ambientale.

Nessun paese può considerarsi separato dagli eventi generali della natura. Oggi questo è vero anche nell'economia e nella società (globalizzazione dei mercati, istituzioni, stili di vita, culture). Ogni cosa è connessa. Le diversità sono mischiate. In questo ambito, locale e globale, sono importanti e simultanei poiché "una comunità sostenibile vive in armonia con il proprio ambiente locale e non danneggia ambienti a lei distanti ed altre comunità — ora e nel futuro " (IUCN, UNEP, WWF, 1991).

Nel 1949, Roosevelt, introdusse nella politica internazionale il concetto di "paesi sottosviluppati" insieme all'idea di una direzione universale dello "sviluppo" e richiese programmi internazionali per mitigare le disparità fra economie nazionali (Sachs 1989). Infatti, con la decolonizzazione, l'aumento del commercio internazionale, la crescita d'importanza del sistema delle Nazioni Unite e la competizione fra capitalismo e socialismo crebbe l'interesse mondiale riguardo allo sviluppo economico nei paesi meno favoriti.

Più recentemente, l'idea che le risorse considerate essenziali per mantenere lo stile di vita dei paesi sviluppati (in genere quelli occidentali) potessero esaurirsi nell'arco di una o due generazioni ha dato origine ad una nuova attenzione sulle intricate interconnessioni dei problemi di equità inter-regionale.

E' emersa anche la preoccupazione sugli effetti cumulativi, a danno della capacità di assorbimento da parte dell'atmosfera, degli scarichi prodotti dall'uso delle risorse secondo tale stile di vita.

Si è, così, sentita l'esigenza di un concetto più ampio di sviluppo che fosse in grado di tenere conto del rischio globale derivante dal mantenimento e dalla diffusione di tale stile di vita anche alle altre aree del mondo; un concetto che includesse contemporaneamente limiti all'impiego delle risorse e loro ripartizione equa tra le varie aree del mondo.

Quanto sopra scritto evidenzia come fosse diventata ormai impossibile una trattazione separata delle questioni ambientali e dello sviluppo da quelle dell'equità inter-regionale ed inter-temporale, anche negli stessi negoziati internazionali.

Sicuramente, il punto di svolta è rappresentato dalla Conferenza di Rio del 1992 che, con la sua Dichiarazione supportata da importanti convenzioni e protocolli, testimonia la crescita di consapevolezza dell'umanità ed avvia un nuovo modo di agire da parte dei governi del mondo. Si tratta di un punto di non ritorno basato sul pieno riconoscimento e sulla completa legittimazione del concetto di sviluppo sostenibile, come confermato dalla recente Conferenza di Kyoto del 1997.

In sintesi, lo sviluppo sostenibile non significa soltanto creazione di ricchezza ma conservazione delle risorse ed equa distribuzione di costi e benefici fra le generazioni. Ne consegue che ognuno dovrebbe impegnarsi per il miglioramento della qualità della vita e dell'ambiente, date le implicazioni di ordine generale contenute nel concetto di sviluppo sostenibile. Esse chiamano in causa tutte le attività umane. Infatti:

il paradigma di sostenibilità, che tenta di conciliare crescita ed equità nel contesto della stabilità intergenerazionale delle risorse, considera lo sviluppo come il conseguimento, nel breve e nel lungo periodo, di obiettivi interconnessi di sostenibilità sociale, economica ed ambientale (Khan, 1995); ove per stabilità, secondo Edgar E. Gutiérrez-Espeleta (1995), va intesa la capacità della società di mantenere, senza variazioni importanti, la tendenza alla trasformazione del sistema naturale;

la sostenibilità può essere intesa come un principio organizzativo in grado di governare le attività a tutti i livelli; essa somiglia meno ad una dottrina e più ad una metodologia di ricerca appartenente al mondo quotidiano della scienza applicata, come il metodo empirico nelle scienze fisiche e naturali (Basiago, 1995).

Sullo sviluppo sostenibile esistono varie teorie, approcci, punti di vista e significati che, come scrive P. Samson (1995), non sono soltanto ugualmente legittime, ma assolutamente necessarie per la salute del dibattito. Lo sviluppo sostenibile può essere realizzato con successo soltanto se vari punti di vista forniscono il loro contributo alla soluzione, proprio perché non esiste una sola soluzione a un dato problema ambientale. Quindi, sempre secondo Samson, le strategie di sviluppo sostenibile non possono essere messe in pratica facendo prevalere un solo approccio, dato che esso contiene soltanto una parte di verità e potrebbe escluderne altre. Occorre, invece, garantire un'evoluzione e un bilanciamento continui tra i vari approcci e le diverse discipline.

Il percorso e le considerazioni sopra sintetizzate fanno sì che lo sviluppo sostenibile possa essere considerato come:

un valore di riferimento universale, molto più ampio del limitato significato che gli viene attribuito da singole discipline, scienze e scuole di pensiero;

l'espressione simbolica di una nuova civiltà che attraversa molte culture per effetto dei fenomeni di globalizzazione;

il contenitore di molti significati specifici, tutti legittimi e necessari, coinvolgendo molteplici discipline, punti di vista, contesti e dimensioni temporali (passato, presente e futuro);

un paradigma in continua evoluzione, destinato ad influenzare scelte operative, in quanto effetto e causa dello sviluppo di pensiero strategico, dell'articolato raggio di azione (da locale a mondiale e viceversa) e dell'ampia portata temporale (ingresso nel nuovo millennio);

l'assunzione da parte del genere umano dei problemi dello sviluppo e delle incertezze che essi comportano nell'individuazione di soluzioni che hanno effetto sulle generazioni future. 

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Aggiornato il: 16 maggio 2002