DATA: 23 maggio 1992
Personaggio: Giovanni
Falcone
Dieci anni fa in questa data gli artificieri di Cosa Nostra fecero
saltare in aria la macchina che trasportava il giudice Giovanni Falcone.
Nell'agguato, oltre al giudice, persero la vita la moglie, Francesca Morvillo,
e tre agenti. Falcone era in quel momento Direttore degli Affari penali
al Ministero della Giustizia.
La storia
Nato a Palermo il 18 maggio 1939,
Giovanni Falcone conseguì la laurea in Giurisprudenza nell'Università di
Palermo nell'anno 1961, discutendo con lode una tesi sull' "Istruzione
probatoria in diritto amministrativo".
Dopo il concorso in magistratura, nel 1964, fu pretore a Lentini per
trasferirsi subito come sostituto procuratore a
Trapani, dove rimase per circa dodici
anni. E in questa sede andò maturando
progressivamente l'inclinazione e l'attitudine verso il settore penale.
A Palermo. Il
consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affidò nel maggio '80 le indagini
contro Rosario Spatola, vale a dire un processo che investiva anche la
criminalità statunitense.
Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici fu
ucciso con la sua scorta, in via Pipitone Federico; lo
sostituì Antonino Caponnetto, il quale riprese l'intento di
assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli nelle indagini sui
delitti di mafia. Si costituì allora, per le necessità interne a queste
indagini, il cosiddetto "pool
antimafia", sul modello delle èquipes
attive nel decennio precedente di fronte al fenomeno del terrorismo politico.
Del gruppo faceva parte, oltre lo stesso Falcone, e i giudici Di Lello e
Guarnotta, anche Paolo Borsellino.
I funzionari di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti
collaboratori di Falcone e Borsellino, furono uccisi nell'estate '85.
Fu allora che si cominciò a temere per
l'incolumità anche dei due magistrati. I quali furono indotti, per motivi di
sicurezza, a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere
dell'Asinara.
Si giunse così - attraverso queste vicende drammatiche - alla
sentenza di condanna a Cosa nostra del primo
maxiprocesso, emessa il 16 dicembre 1987 dalla Corte di assise di Palermo.
Gli avvenimenti successivi risentirono con tutta
evidenza in senso negativo di tale successo. Nel gennaio il
Consiglio superiore della magistratura preferì nominare a capo dell'Ufficio
istruzione, in luogo di Caponnetto che aveva voluto lasciare
l'incarico, il consigliere Antonino Meli. Il
quale avocò a sè‚ tutti gli atti. Sopraggiunse poi un nuovo
episodio ad accentuare ulteriormente le tensioni
nell'ambito dell'Ufficio stesso, un episodio che ebbe gravissime
conseguenze su tutte le indagini antimafia. In seguito alle confessioni del
"pentito" catanese Antonino Calderone, che avevano determinato una
lunga serie di arresti (comunemente nota come "blitz delle Madonie"),
il magistrato inquirente di Termini Imerese si ritenne incompetente, e
trasmise gli atti all'Ufficio palermitano. Ma il Meli, in contrasto con il pool
rinviò le carte a Termini, in quanto i reati sarebbero
stati commessi in quella giurisdizione. La
Cassazione, allo scorcio dell'88, ratificò l'opinione del
consigliere istruttore, negando la
struttura unitaria e verticisti delle organizzazioni criminose, e
affermando che queste, considerate nel loro complesso, sono dotate
di "un ampia sfera decisionale, operano in ambito territoriale diverso ed
hanno preponderante diversificazione soggettiva". Questa
decisione sanciva giuridicamente la frantumazione delle indagini, che
l'esperienza di Palermo aveva inteso superare. Il 30 luglio Falcone
richiese di essere destinato a un altro ufficio. In autunno Meli
gli rivolse l'accusa d'aver favorito in qualche modo il cavaliere
del lavoro di Catania Carmelo Costanzo, e quindi
sciolse il pool, come Borsellino aveva previsto fin dall'estate in
un pubblico intervento, peraltro censurato dal Consiglio superiore.
I giudici Di Lello e Conte si dimisero per protesta.
Nonostante simili avvenimenti, infatti, sempre nel corso dell'88, Falcone
aveva realizzato una importante operazione in collaborazione
con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York,
denominata "lron Tower": grazie alla quale furono colpite le
famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina.
Il 20 giugno '89 si verificò il fallito e oscuro
attentato dell'Addaura presso Mondello. Seguì subito l'episodio, sconcertante, del cosiddetto "corvo",
ossia di
alcune lettere anonime dirette ad accusare astiosamente lo
stesso Falcone e altri.
Una settimana dopo l'attentato il Consiglio
superiore decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura
della Repubblica di Palermo. Nel gennaio '90 egli coordinò
un'inchiesta che portò all'arresto di quattordici trafficanti colombiani e
siciliani.
Nel corso dell'anno si sviluppa lo "scontro" con Leoluca Orlando,
originato dall'incriminazione per calunnia nei confronti del
"pentito" Pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare
europeo Salvo Lima. La polemica proseguì col ben noto argomento delle
"carte nei cassetti": e che Falcone ritenne frutto di puro e
semplice "cinismo politico".
Alle elezioni del 1990 dei membri togati del
Consiglio superiore della magistratura, Falcone, fu candidato per le liste
"Movimento per la giustizia" e "Proposta 88"
(nella circostanza collegate), con esito però negativo.
Intanto, fattisi più aspri i dissensi con
l'allora procuratore P. Giammanco - sia
sul piano valutativo, sia su
quello etico, nella conduzione delle inchieste - egli accolse
l'invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, C. Martelli, che
aveva assunto l'interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli
Affari penali del ministero, assumendosi l'onere di coordinare una vasta
materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione
internazionale. Si apriva così un periodo - dal marzo del 1991 alla morte -
caratterizzato da una attività intensa, volta a
rendere più efficace l'azione della magistratura nella lotta contro il
crimine. Falcone si impegnò a portare a termine quanto riteneva condizione
indispensabile del rinnovamento: e cioè la razionalizzazione
dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento
tra le varie procure. A quest'ultimo riguardo, caduta
l'ipotesi iniziale, di
affidare il delicato compito alle procure generali, la costituzione di procure
distrettuali facenti capo ai procuratori della Repubblica parve la soluzione
più idonea. Ma si poneva altresì l'istanza di un coordinamento di livello
nazionale. Istituita nel novembre del
'91 la Direzione nazionale antimafia, sulle funzioni di questa il
giudice dunque si soffermò anche nel corso della sua audizione al Palazzo dei
Marescialli del 22 marzo '92. "Io credo
- egli chiarì in tale circostanza, secondo un resoconto della seduta
pubblicato dal settimanale "L'Espresso" (7 giu. '92) - che
il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di
rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di
garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e
di assicurare la completezza e la tempestività delle
investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe
essere un organismo di supporto e di
sostegno per l'attività investigativa che va svolta esclusivamente
dalle procure. La sua candidatura a
questi compiti, peraltro, fu ostacolata in seno al Consiglio superiore della
magistratura, il cui plenum, tuttavia, non aveva ancora assunto una decisione
definitiva, quando sopraggiunse la strage di Capaci del 23 maggio.
Frattanto - giova ricordarlo - una
sentenza della prima sezione penale della Corte suprema di cassazione il 30
gennaio, sotto la presidenza di Arnaldo Valente (relatore
Schiavotti) aveva riconosciuto la struttura
verticale di Cosa nostra, e quindi la responsabilità dei componenti della
"cupola" per quei delitti
compiuti dagli associati, che presuppongano una decisione al vertice;
inoltre aveva ribadito la validità e l'importanza delle chiamate in correità.
Insieme a Falcone, a Capaci, persero la vita la moglie Francesca Morvilio,
magistrato, e gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio
Montinaro. All'esecrazione dell'assassinio, il 4
giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione (la n. 308)
intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui
Falcone era componente.
(Profilo biografico tratto dal sito della Fondazione
Giovanni e Francesca Falcone)