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UN NATALE CON I…DATTERI

Percorrendo Via Boschieri, dal Ponte dei Romani fino all’imbocco di Via Baracca, sono riuscito a contare dodici piante di palma da dattero. Alcune si ergono davanti ad abitazioni che possiamo definire storiche, altre di fronte a costruzioni più recenti. Ve ne sono parecchie disseminate nel territorio comunale, anche a Nogarè. Non riesco a capire che significato possa assumere questo albero che non appartiene alle culture tipiche dei nostri luoghi ed ho cercato di farmene un’idea, come sempre, ricorrendo al passato. La palma è originaria dei paesi caldi che si affacciano sul Mediterraneo e, da quei luoghi, prende avvio una storia carica di simbolismi. Da sempre è ritenuta l’emblema della vittoria, della immortalità. Nei Salmi dell'Antico Testamento si legge che: "il giusto fiorisce come la palma". I greci chiamavano la palma Phoenix (da cui l’attuale nome scientifico Phoenix dactylifera), come il mitico uccello Fenice, associandola ad Apollo, il dio solare per eccellenza e, Atena, la dea della saggezza, era raffigurata con in mano un rametto di palma. Hathor, la dea egiziana del cielo, era considerata la "signora della palma da dattero". Per i romani era simbolo della vittoria e la relativa dea era detta Palmaris. Proseguendo in questa breve analisi arriviamo a quello che i vangeli raccontano come ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme mentre la folla agitava rami di palma al suo passaggio. Leggenda vuole che, mentre la famiglia di Nazareth fuggiva in Egitto per eludere gli intenti infanticidi di Erode, le palme abbassassero i loro rami per rendere più agevole la raccolta dei datteri da parte di Maria e Giuseppe. Se tutto ciò non fosse ancora sufficiente a dimostrare la nobiltà di questo albero possiamo ricordare l'antica simbologia della palma del martirio. Tra le mani di quelli che la chiesa ha voluto santi per aver professato la fede in modo eroico vi è la palma, richiamo alla gloria romana dalla quale il Cristianesimo attinge il simbolo. L’albero slanciato con le foglie disposte a raggio è la raffigurazione del sole, della divinità. E’ quindi con una personale interpretazione che colgo in ogni segno apparentemente incomprensibile dell’uomo la storia dalle radici profonde, la nostra storia, quella che ha avuto una brusca accelerazione nei tempi recenti perché gli uomini vogliono correre più del tempo. Un gesto di proverbiale saggezza piantare una palma! Occorre pensare a tempi lontani per capire che gli anziani erano depositari della saggezza e loro era il compito di narrare gli insegnamenti di una vita che sentivano sfuggire. Il loro insegnamento era rivolto ai giovani, sovente ai più piccoli, attraverso le narrazioni fiabesche. Voi direte che tutto questo succede anche ai nostri giorni. A me sembra che anche gli arzilli vecchietti abbiano delegato questo compito alla televisione con inconsapevole complicità. I nonni invece di raccontare le fiabe ai nipotini sembrano preoccuparsi del nuovo corso di ballo sudamericano, del trekking in alta quota, dell’università del tempo libero e perché no? della compagna di turno. Per fortuna arriva il Natale a ripiombarci nel mito del passato e nel ruolo che ad ognuno compete. Nei momenti di intimità natalizia, quando zamponi e spumante avranno fiaccato anche gli stomaci dei più insaziabili buongustai, sarà il nipotino a chiedere: “Nonno, vuoi che ti racconti una storia?” ed il nonno, pensando che quello sia il suo nuovo ruolo, si metterà in ascolto. “Tanto tempo fa, in un paese lontano chiamato Persia, viveva un re che era solito rendere visita ai suoi sudditi. Un giorno, durante una passeggiata a cavallo, il sovrano s’imbatté in un vecchio contadino mentre stava piantando una palma”. Chi pianta datteri, non mangia datteri. Così recita un vecchio adagio con riferimento al frutto esotico che compariva puntuale sulle tavole a Natale. “Vecchio, speri di mangiare i frutti di quella pianta?” disse il re al contadino. “Sarai morto da un pezzo quando matureranno i primi datteri!” “Mio signore, io ho raccolto i frutti di chi ha piantato prima di me e mi accingo a fare altrettanto: metto a dimora questo albero e un giorno qualcuno godrà dei suoi frutti”. Il re soddisfatto di quella risposta fece consegnare al contadino mille monete d’oro e, rivolgendosi alla consorte regina, disse: ” Mia cara è grande soddisfazione avere dei sudditi come questo vecchio”. Poi sospirando aggiunse: “ e meglio ancora sarebbe se il mio regno durasse in eterno”. E lei: ”Se così fosse stato da sempre, il regno non sarebbe arrivato nelle tue mani”. “Hai capito nonno?” Il nonno, distogliendo lo sguardo imbambolato dalle calze luccicanti delle veline, risponde: “E’ proprio una bella storia”. E intanto allunga una mano sulla tavola imbandita, portando alla bocca un dattero ripieno di mascarpone. La storia viene da Oriente e vuole insegnarci che la vita va vissuta pensando al domani in modo da creare prospettive migliori per chi verrà. E’ questa la convinzione che ha spinto i nostri antenati a piantare le palme dalle nostre parti. Qualcuno obietterà che fu solo una moda, uno stile che traeva origine dalle conquiste in terra di Abissinia o di Libia, e che si rifaceva al tanto agognato “posto al sole”. Io vorrei credere che da queste palme si diffonda un augurio di pace e prosperità, che arrivi anche là dove vi è incomprensione e sofferenza. Spero che questa brezza abbia a durare più del breve spazio che corre da Natale a S. Stefano.

Tiziano Biasi - dicembre 2007