L’ONDA VERDE

di Antonio Cederna

L' onda verde che si va ingrossando inquieta i partiti, li obbliga a meditare sul ritardo con cui hanno affrontato la questione ecologica: quale che sia il giudizio sulle intenzioni politiche dei verdi, le loro ragioni sono innegabili se appena consideriamo il nulla di fatto per l' ambiente e il territorio dei quarantatrè governi della repubblica. La questione ecologica non ha mai eccessivamente commosso politici e uomini di cultura.

C' è voluta l' immane catastrofe indiana per indurre a riflettere sul paradosso di una società produttrice di veleni che, insieme ai parassiti, sterminano gli uomini. Limitarsi a deplorare la sopraffazione delle multinazionali è riduttivo: i morti e gli accecati di Bhopal obbligano a ripensare dalle fondamenta le scelte sbagliate della società industriale, sia del capitalismo che del socialismo "reale", che ha basato lo sviluppo sull' ignoranza delle conseguenze delle proprie azioni, sul mito della crescita illimitata, sul saccheggio delle risorse naturali.

Viene così confermato l' allarme che da una ventina d' anni lanciano studiosi e associazioni di tutto il mondo, enti e istituzioni internazionali, mettendo in guardia l' opinione pubblica circa lo stato di estrema vulnerabilità del nostro ambiente di vita, grazie al dissennato modo di produrre e consumare praticato fin qui. Dai rovinosi mutamenti climatici che va provocando l' aumento dell' anidride carbonica nell' atmosfera alle piogge acide che attaccano la vegetazione e sbriciolano i monumenti, dalla distruzione delle foreste tropicali (al ritmo di 22 ettari al minuto, per alimentare il bestiame e produrre la carne per i paesi ricchi) all' inquinamento del suolo e delle acque ad opera dei fertilizzanti azotati (causa di cancro) e dei detersivi (è il caso clamoroso dell' Adriatico), dall' avanzare della desertificazione all' impoverimento della varietà genetica (una specie vivente scompare ogni quarto d' ora), dalle migliaia di prodotti chimici immessi ogni anno sul mercato di cui si ignora la tossicità, alle monocolture che isteriliscono il suolo, e via dicendo: sotto accusa è l' imprevidenza, il modo in cui abbiamo gestito le risorse della Terra.

Per la prima volta nella storia la specie umana mette in forse la propria sopravvivenza.

Si impone dunque un radicale cambiamento di mentalità, ed è quello che ci si aspetta dalla cultura di sinistra. Occorre che essa si renda conto che non può continuare a barattare la salute e l' equilibrio ambientale, con qualche posto di lavoro, senza curarsi del futuro e delle alternative; che l' ambiente non possiede doti taumaturgiche per resistere all' aggressione, che i tempi biologici e i tempi storici sono separati da un abisso (in due generazioni abbiamo bruciato gran parte dei combustibili fossili per la cui formazione sono stati necessari milioni di anni). Che soprattutto è insensato continuare a confidare nel mito di una crescita illimitata, misurata in base a quel dio-feticcio che è il prodotto nazionale lordo: una crescita che oltretutto provoca (in termini di rifiuti, desertificazione, inquinamento, consumo del territorio eccetera) ingenti costi sociali, le cosiddette diseconomie esterne che la contabilità tradizionale degli economisti si è finora ben guardata dal prendere in considerazione.

Ed ecco che l' autocritica della sinistra ci viene oggi presentata con grande chiarezza in un recentissimo saggio di Enzo Tiezzi, direttore del Dipartimento di chimica dell' università di Siena, dal titolo "Tempi storici, tempi biologici - la Terra o la morte - i problemi della nuova ecologia" (presentazione di Barry Commoner e di Laura Conti, editore Garzanti). Se è facile, leggiamo, rispondere alla cultura di destra che nessun equilibrio è possibile senza giustizia sociale, più difficile è convincere alla svolta la cultura di sinistra "soprattutto quando i rospi che deve ingoiare si chiamano Malthus e i limiti della crescita": quando cioè si tratta di farle accettare le semplici ipotesi (non capite da Marx) secondo cui la produttività della Terra è limitata mentre illimitata è la spinta riproduttiva della popolazione, quindi esuberante rispetto alle risorse disponibili.

I concetti fondamentali per affrontare i problemi mondiali (cibo, energia, sovrapopolazione, risorse in rapido esaurimento) sono dunque i concetti di limite e di rinnovabilità: il limite (l' esauribilità delle risorse energetiche) è superabile solo se si mette fine alla crescita (della popolazione, degli sprechi, dei veleni, della desertificazione, della produzione di armi eccetera), e se si fa ricorso alle energie rinnovabili, pulite, "eterne" (sole, vento, geotermia, biomassa, eccetera).

Una scelta obbligata, imposta dalle leggi ineluttabili dell' entropia, ovvero dal rendimento decrescente dell' energia e delle tecnologie (drammatico è il calo costante della produzione di cereali in rapporto all' impiego dei fertilizzanti chimici).

L' errore commesso è stato di aver favorito la produttività del lavoro anzichè quella del capitale, l' aver costruito grossi impianti con tecnologie costose divoratrici di energia, ad alto tasso d' inquinamento e scarso impiego di manodopera.

Di qui la necessità di uno sviluppo diverso, a bassa produttività del lavoro e ad alta produttività di energia, a scarso potenziale inquinante e ad alto impiego di manodopera: difesa dell' ambiente è difesa dell' occupazione.

I dati in proposito abbondano, solo che li si vogliano prendere in considerazione. I posti di lavoro offerti dall' utilizzazione dell' energia solare sarebbero sei volte superiori a quelli del nucleare; recenti studi dell' Enea stimano in almeno 200.000 i posti di lavoro per tecnici da impiegare nel settore del risparmio energetico e delle energie rinnovabili; almeno 15.000 sarebbero i posti di lavoro diretti e indotti se entro il Duemila si arrivasse a proteggere almeno il dieci per cento del territorio nazionale.

Oggi il sei per cento della popolazione mondiale consuma un terzo delle risorse mondiali: si tratta di scegliere tra un benessere senza avvenire (pagato con la miseria del resto del mondo) e le alternative a portata di mano.

L' energia del carbone è uno stock, quella solare è un flusso: si arriverà al momento in cui per estrarre carbone occorrerà più energia di quella contenuta nel carbone da estrarre.

Reazionario è dunque chi ancora, senza aver mai letto una riga della Carson, di Odum, Commoner, Brown, Daly eccetera (o dei rapporti del Club di Roma) continua a snobbare queste elementari verità, ripetendo frusti luoghi comuni, come ad esempio che il nuovo prospettato sviluppo significherebbe un "ritorno alla candela". Alla candela, anzi a molto peggio, arriveremo invece immancabilmente se continueremo a saccheggiare la Terra come abbiamo fatto finora.

(Tratto da "La Repubblica" - Martedì, 8 gennaio 1985 - pagina 10)

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