in dettaglio:
concilio di Fontaneto
il monastero
i luoghi del monastero
monaco benedettino
Benedetto da Norcia
la giornata di un monaco benedettino
i movimenti ereticali
il Monastero di Cluny
 

 

 

concilio di Fontaneto:

Il Concilio o “ Sinodo” di Fontaneto è l’avvenimento più famoso della storia dell’antico monastero benedettino. Il Sinodo fu indetto dell’arcivescovo di Milano Guido da Velate, al fine di debellare il movimento della Pataria. A quell’epoca la Chiesa lombarda viveva una situazione di decadenza e di crisi religiosa, l’arcivescovo Guido da Velate si rivelò una personalità troppo indulgente e libera di costumi, non certo dedito a reprimere la simonia e il concubinaggio allora dilagante. La reazione a tale situazione fu lo sviluppo di una corrente che sosteneva la necessità di una riforma dei costumi ecclesiastici; tra i fautori di questo cambiamento vi era Anselmo da Baggio, uno dei candidati alla sede arcivescovile. Per soffocare la sua protesta gli fu offerto il vescovado di Lucca. L’esigenza di rinnovamento tuttavia continuò, alimentata da personalità come quella di S. Arialdo. Egli era un diacono che gli storici fanno discendere dalla nobile famiglia Alciati di Cucciago. Animato da un forte spirito religioso, Arialdo auspicava una totale riforma dei costumi e un ritorno ai più autentici principi evangelici. La predicazione ardente di Arialdo e dell’amico Landolfo ridestarono l’animo di molti buoni che andarono ad accrescere le fila del movimento patarino. La protesta contro il clero libertino sfociò in episodi di dura condanna e di repressione. I preti simoniaci, atteggiandosi a perseguitati, si rivolsero all’arcivescovo Guido e a papa Stefano IX. Il pontefice, per le scarse e falsate informazioni ricevute, impose all’arcivescovo di radunare un concilio provinciale. La scelta del luogo cadde sull’abbazia di Fontaneto, che all’epoca doveva essere sufficientemente ampia per  ospitare un’adunanza di vescovi. Per l’estensione della Chiesa lombarda dell’epoca, Fontaneto doveva rappresentare una località abbastanza centrale, sicura e nello stesso tempo appartata, al riparo da possibili proteste.


Le discussioni durarono tre giorni, non si sa nulla di preciso su quali vescovi presero la parola. Si presume intervenne Oddone II, vescovo di Novara, d’idee indulgenti sui vizi del clero; contro Arialdo si espressero presumibilmente anche il vescovo di Vercelli, quelli di Asti e  di Cremona e forse Cuniberto, vescovo di Torino. Il Concilio si concluse con la decisione di scomunicare Arialdo e Landolfo.

Il diacono nel frattempo, si era recato a Roma per esporre le sue ragioni al pontefice. Stefano IX, inviò in Lombardia una delegazione composta da Anselmo da Baggio e dal cardinale Ildebrando, il futuro Gregorio VII, si aprì così un periodo di accese lotte e il loro intervento non servì a risparmiare la vita ad Arialdo, che fu assassinato per mandato della contessa Oliva d’Angera, nipote dell’arcivescovo di Milano. Pochi anni dopo la lotta contro la simonia trovò un valido riformatore proprio in Gregorio VII. Solo allora il giovane Arialdo fu riabilitato e poté essere venerato come un martire. 

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il monastero:

Il monastero o cenobio era una sorta di villaggio fortificato, sviluppato attorno ad un chiostro/giardino. Qui viveva la comunità dei monaci, secondo una regola di vita comune che, per il monachesimo occidentale, s’ispira a San Benedetto da Norcia.

La parte fondamentale del monastero era costituita dalla Chiesa Abbaziale, che rappresentava il cuore del monastero stesso, intorno ad essa, infatti, scorreva la vita dei monaci, cadenzata secondo le ore della preghiera comune, celebrata nel coro della Chiesa. Il chiostro, di solito, sorgeva a sud dell’abbaziale; esso si presentava come una galleria di portici che girano attorno ad un giardino. Nel diversi monasteri, gli edifici occupavano sempre la stessa posizione.  I locali che si affacciavano sul chiostro erano la sala capitolare, il refettorio, la cucina, lo scriptorio, l’archivio e l’infermeria; sopra la sala capitolare, in genere, si trovavano le celle dei monaci e la camera dell’abate; mentre al di là della chiesa c’era un secondo cortile con i magazzini, le cantine, le stalle, i pollai, i forni e le dimore dei servi. Sopra alla cantina, di solito, si trovava il granaio per l’essiccamento dei cereali. A lato della chiesa, c’era il cimitero dei monaci; in un altro settore era collocato l’orto e molti monasteri avevano anche un secondo piccolo orto, a parte, detto “aromatorio”, dove si coltivavano le erbe medicinali. Un’ala del monastero, chiamata foresteria, era riservata agli ospiti di passaggio, soprattutto all’accoglienza dei pellegrini. Nei monasteri più importanti vi erano alloggi destinati all’ospitalità di uomini di alto rango,  persino riservati a principi e a re.

Il monastero, a volte, era attorniato da un fossato pieno d’acqua, usato come arma di difesa. In questi casi per entrare nel complesso religioso, vi era un ponte levatoio, che veniva calato solo per fare entrare le persone fidate; in caso contrario, non si abbassava.

Con il passare del tempo, i monasteri divennero complessi sempre più grandi e la loro struttura si arricchì ulteriormente: all’ingresso si poteva trovare, di fronte alla casa del medico, una chiesa e il convento dei novizi. Poco più avanti sorgeva la casa dell’abate con a fianco una biblioteca per persone colte. Continuando si poteva trovare un ospizio per i poveri e una scuola piuttosto grande. Dopo la scuola, era collocato un altro dei tanti ingressi. Più in là, si poteva osservare un alloggio per gli ospiti e la casa dei guardiani, circondata dalle scuderie. Davanti ad essa vi era un grandissimo edificio: il dormitorio, ossia dove i monaci dormivano. Anche qui non potevano mancare il granaio, le stalle, gli orti per coltivare le verdure (verze, cavoli, carote… L’alimentazione dei monaci era fondamentalmente vegetariana, la carne veniva consumata a piccole dosi e non in tutti i periodi dell’anno) e, alla fine, il cimitero con a fianco l’ospedale.

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I luoghi del monastero:

La Chiesa: ciò che domina e colpisce della Chiesa monastica è la magnificenza e lo splendore; essa, con l'altezza delle sue cupole e delle sue torri, per lo più domina materialmente il resto dell'abbazia: questo sta ad indicare che l'Opus Dei, l'ufficio divino che si svolge nella Chiesa, prevale per importanza su ogni altra forma dell'attività monastica.

Il Capitolo: era la sede delle assemblee ufficiali della vita monastica. Qui il postulante si presentava a chiedere l'ammissione al monastero; qui, iniziando il noviziato, l'abate gli imponeva il nome nuovo e, in segno d’umiltà ed affetto, ad imitazione di Cristo, si piegava a lavargli i piedi; qui ancora prima di emettere i voti il novizio era accettato definitivamente alla vita monastica; divenuto membro della comunità, acquisiva il diritto a sedere in capitolo, ogni volta che l'abate decideva di consultare i fratelli su qualche affare importante, perché qui si trattavano gli interessi maggiori del monastero. Alle riunioni si accompagnava la lettura di brani della Regola. Il passo letto quotidianamente non corrispondeva sempre ad un capitolo, tuttavia questo nome restò attribuito alla sala ove i monaci prendevano conoscenza del loro codice.

I chiostri, circondati da portici sostenuti da colonne e pilastri, univano fra loro le varie costruzioni del monastero di cui formavano così l'ossatura. La loro funzione era di servire ai religiosi come deambulatori e riparo.  Nei chiostri vigeva la Regola del silenzio.

La biblioteca. Le biblioteche benedettine hanno avuto una funzione importantissima nel corso della storia: dopo la caduta dell'impero romano, furono i monaci a raccogliere dalle rovine quello che fu possibile salvare del sapere dell'antichità; così, per molti secoli, le biblioteche claustrali custodirono con cura innumerevoli manoscritti.

Il dormitorio. Il dormitorio comune, prescritto da S. Benedetto, si trovava, in genere, vicino alla Chiesa per permettere ai monaci di raggiungere in fretta il coro, dove, anche durante la notte, veniva celebrato l’Ufficio divino. Fu sostituito nel corso dei secoli dalle singole celle.

Il refettorio, è il luogo del pasto comune. Non era una banale sala da pranzo, ma anche qui, come in tutta l'abbazia, si rivela una caratteristica della vita benedettina: la cura di elevare le minime azioni della giornata ad atti profondamente religiosi. Prima del pranzo c’era la benedizione del cibo; durante il pasto veniva svolta la lettura pubblica d’alcuni brani della S. Scrittura, come prescrive la Regola: "Mai la lettura deve mancare alla mensa dei fratelli".

Il cimitero. Nessuno ha coltivato la pietà per i morti con tanto zelo quanto i monaci. La ragione di ciò è semplice e profonda. L'abbazia è formata da uomini che vivono insieme e non si dimenticano. La vita comune è troppo intima, il cimitero, il luogo dove riposano i corpi che attendono l'eternità, non è così lontano da permettere che i vivi non pensino ai defunti.

Nei secoli passati, quando le difficoltà delle comunicazioni rendevano enormi le distanze, i monaci avevano trovato il mezzo di annunziarsi scambievolmente la morte di un confratello e assicurare così i reciproci suffragi: d'abbazia in abbazia, di provincia in provincia, peregrinava un religioso che portava con sé la lista dei morti dove erano notati i defunti dell'anno con un breve profilo della loro vita.

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monaco benedettino:

L'ordine di san Benedetto (OSB) è il più antico ordine monastico dell'Occidente. Presenti sia nella chiesa cattolica che in quella anglicana, i benedettini raccolgono comunità maschili e femminili, che basano la loro scelta di vita sulla regola fissata da Benedetto da Norcia. A differenza di altri ordini religiosi, i benedettini non hanno un’organizzazione centralizzata. I monaci formano una famiglia di cenobiti sottoposti al padre comune, chiamato Abate o il Priore, a seconda della grandezza del monastero, che è come un piccolo Stato, autosufficiente e indipendente. Il monaco è legato al monastero, ma tra un monastero e l’altro la regola non stabilisce nessun vincolo.


All’interno del cenobio il monaco benedettino trae alimento per la propria vita spirituale e materiale; egli coopera con gli altri monaci, mediante la preghiera liturgica e il canto comune e tramite il lavoro che può essere materiale o intellettuale.

La storia della diffusione dei Benedettini, unico ordine monastico dell’Occidente fino al sec. XI, è inseparabile da quella della sua azione civilizzatrice. Le abbazie, che possedevano grandi estensioni di terreno, coltivato spesso, per la prima volta, proprio dai monaci, promossero la rinascita dell’agricoltura e furono grandi centri culturali, luoghi di conservazione e di trasmissione dei testi antichi. Oltre ad approntare le copie delle Sacre Scritture e dei libri liturgici, i monaci preparavano, negli scriptoria, copie delle opere teologiche e dei testi appartenenti alla cultura latina.

Numerosi i benedettini celebri nella storia della cultura: dal Venerabile Beda ad Anselmo d’Aosta, da Gregorio Magno a Pietro Abelardo a papa Gregorio VII. L’impronta benedettina è notevole anche in campo artistico, non soltanto nella miniatura dei codici, curata fin dai tempi più antichi, ma anche per l’influsso esercitato sull’arte cluniacense e cistercense.    

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Benedetto da Norcia

San Benedetto da Norcia (480- 547) è il monaco italiano fondatore dell’Ordine Benedettino. La Regola dei monasteri, che egli compose per i suoi monaci, divenne il modello di ogni regola monastica. La vita di Benedetto ci è narrata in particolare nei Dialoghi di papa Gregorio Magno, che la ricostruiscono circondandola di quell’impronta leggendaria che la figura di Benedetto aveva già assunto, quando il santo era ancora vivo.

Benedetto aveva compiuto studi umanistici a Roma, ma se ne era allontanato per trascorrere tre anni in assoluto eremitaggio, nei pressi di Subiaco. Dopo drammatiche traversie e la fondazione di numerosi monasteri, si dirige con un gruppo ristretto di seguaci verso sud, a Cassino, al centro di una regione selvaggia e desolata, dove gli abitanti hanno ripreso riti pagani. Lì, Benedetto costruisce il suo monastero, e vi stende, utilizzando antichi testi (una Regula magistri e norme di origine orientale) la sua Regola, che, con l'equilibrata prescrizione di preghiera, concentrazione devota e di fondazione della comunità dei monaci sul lavoro, ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della civiltà europea.

Il Santo è presentato da Gregorio, come largamente dotato di doni carismatici, profezie, guarigioni, lettura delle coscienze. Suoi primi discepoli furono Mauro e Placido; accanto a lui è pure presentata la dolce figura della sorella Scolastica, religiosa anch'essa, che una volta l’anno si incontrava col fratello nei pressi di Montecassino. Benedetto appare in contatto anche con alcuni importanti personaggi religiosi della regione; attratto dalla sua fama, si recò da lui pure re Totila, probabilmente nell'ottobre 546. San Benedetto vive quindi nel pieno della tremenda guerra greco-gotica (535-553), intrapresa dai Bizantini per il recupero dell'Italia occupata dagli Ostrogoti, anche se la tristezza di tali vicende non ha lasciato in pratica alcuna traccia nella Regola. La sua morte avvenne a Montecassino, tra il 543 ed il 555 d.C., in una data che l'antica tradizione ha fissato al 21 Marzo.

Due o tre decenni dopo, i Longobardi attaccarono Montecassino e vi compirono la prima delle memorabili distruzioni che scandiscono, come tragiche tappe, la storia di quell'abbazia.

I monaci scampati al disastro si rifugiarono a Roma portando con sé il testo della "Regola", quasi certamente autografo di san Benedetto. Nel 596, San Gregorio inviò in Inghilterra, per la conversione di quel popolo, il monaco Agostino e altri quaranta monaci romani del monastero del Celio. Attraverso tale missione, la Regola benedettina cominciava a varcare i confini della Penisola: del resto, il più antico - anche se non il più autorevole - manoscritto della Regola è un codice inglese. Si può affermare che la diffusione della Regola, mediante i monasteri fondati nel Nord dell’Europa, e la propagazione del Vangelo in quei medesimi Paesi, procedano di pari passo. Il monachesimo - di osservanza sempre più decisamente benedettina - costituisce un po' il filo conduttore di evangelizzazione delle diverse popolazioni germaniche. Saranno, infatti, i monaci celti e anglosassoni, riversatisi sul continente europeo, a favorirne l'evangelizzazione, la cultura e le fondazioni monastiche. Non meno cospicui furono i riflessi in campo strettamente culturale, con l'apporto alle lingue e letterature nazionali.

La Regola benedettina con le sue esigenze di ordine, di stabilità, di sapiente equilibrio fra preghiera e lavoro, si impose a tutto il monachesimo occidentale e fu seguita in tutti i monasteri europei.


San Benedetto e il miracolo del pane avvelenato

San Benedetto divenne così uno dei santi più popolari e venerati. Fu l’immagine dell'uomo suscitato da Dio per portare la pace là dove erano state seminate le distruzioni e la morte.

Nel 1947, Pio XII lo chiamò "Padre dell'Europa" e il 24 ottobre 1964, in coincidenza con la consacrazione della basilica di Montecassino, ricostruita dopo la distruzione della seconda guerra mondiale, Paolo VI lo proclamò "patrono d'Europa". La sua festa in Occidente si celebra l’11 Luglio.

 

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la giornata di un monaco benedettino:

All’interno del monastero, il monaco si perfezionava nella pratica della preghiera liturgica e nel lavoro intellettuale, come pure nella copiatura dei manoscritti, compito in cui erano specializzati gli amanuensi.

La vita quotidiana era semplice ma rigorosa. I monaci si alzavano all’alba, avevano sette momenti di preghiera (le Lodi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro e Compieta) e dedicavano il resto della giornata al lavoro cui erano preposti: accudivano il bestiame, coltivavano l’orto, aravano, seminavano, vendemmiavano, preparavano il vino e riparavano gli attrezzi.

Il pasto principale era consumato a mezzogiorno e consisteva in un piatto di zuppa, pane, verdura, formaggio, uova, frutta. Potevano esserci anche carne o pesce, sempre che non fosse giorno di digiuno.

Molte persone criticavano i monaci di Cluny, affermando che vivevano nel lusso, che mangiavano cibi raffinati e che non lavoravano. Queste erano solo calunnie. È vero che essi spendevano molto del denaro che ricevevano continuamente, sotto forma di donazione, e che non svolgevano lavori manuali.  Tuttavia, non era certamente per il loro piacere personale che si circondavano di ricchezze: lo facevano per rendere gloria a Dio, per celebrare e rendere manifesta la sua grandezza.

La loro giornata di preghiera iniziava ancora prima dell’alba, quando la campana suonava per richiamarli in chiesa, a recitare il Mattutino e le Lodi. Era faticoso alzarsi a quell’ora. Per questo il loro studio si concentrava sulla grammatica, che li aiutava a trovare le parole più adatte per esprimere il loro amore per Dio.

Pregavano cantando per almeno sette ore il giorno e nelle feste, ancora più a lungo. Quest’esercizio della meditazione e della recita dell’Ufficio richiedeva studio e preparazione, in particolare i monaci si dedicavano alla lettura ed allo studio della Bibbia, che rivestiva un ruolo centrale nella loro vita.

Varie categorie di persone possono far parte della comunità, per lo più nella condizione laicale, mentre i sacerdoti costituiscono una piccola minoranza. La Regola benedettina parla di "decanie", ossia di gruppi di dieci monaci, il che fa supporre che la comunità dovesse oscillare tra i venti e i trenta membri. Scavi recenti, del resto, hanno permesso di costatare che il primitivo insediamento monastico di San Benedetto a Montecassino era piuttosto modesto.

Ancor oggi la giornata del monaco è divisa secondo la regola di San Benedetto, quasi in modo equo tra “lectio divina” e “labor manuum”, in altre parole tra opera di Dio e lavoro manuale. Non solo San Benedetto ammette il lavoro, in contrasto con la civiltà greco-romana che lo assegnava solo agli schiavi, ma esso viene privilegiato, specialmente là dove la situazione del luogo o la povertà effettiva esige la dura fatica dei campi. La comunità monastica è, secondo la Regola benedettina, unica, indipendente, autosufficiente, separata dal mondo sul quale non è previsto alcun genere d’influsso. Il suo sostentamento proviene da lavori di carattere artigianale svolti all'interno del monastero.

Il Padre del monachesimo era convinto che, senza un serio impegno di lavoro, non si costruisce né la comunità, né l’uomo, né il monaco. Mettendo all’opera tante energie aumenta la produzione economica, la qualità del lavoro, i metodi di cultura; si abbellisce la casa di Dio, si accrescono le esigenze del culto, della biblioteca; il monastero diventa un centro dinamico e irradia la sua influenza su tutti i campi.

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i movimenti ereticali:

I secoli XII – XIII sono  l’età dello sviluppo comunale che portò con sé un vasto movimento e trasformò la struttura della società e delle istituzioni politiche, interessando anche la vita religiosa. In questo quadro politico economico e sociale in profonda evoluzione, rientrò necessariamente un’esigenza riformatrice della vita religiosa e degli ordinamenti morali. Infatti, in questi secoli i vescovi erano diventati grandi proprietari terrieri, i  monasteri facevano  concorrenza ai castelli. Con le decime e le donazioni il clero aveva accumulato un immenso patrimonio. La conseguenza  fu il rilassamento dei costumi.
I monaci, che avevano salvato le popolazioni dalle carestie e dalle pestilenze trasformando i loro conventi in refettori, ospedali, ostelli, allentarono la regola.
Le grandi abbazie cessarono di essere luoghi di pietà e diventarono aziende agricole e mercati. Ma non mancavano le eccezioni c’erano conventi dediti alla preghiera e alla carità, i cui monaci vivevano secondo i più rigidi principi evangelici evangelici.
In questo particolare periodo, storico si manifestano numerosi movimenti di riforma contro la secolarizzazione della chiesa, il commercio delle cariche ecclesiastiche, la corruzione e l’ignoranza ecclesiastica di una parte del clero. I primi a denunciare l’allontanamento avvenuto da quelli che erano i valori morali e spirituali del cristianesimo, furono uomini come Pier Damiani e Anselmo d’Aosta. Monasteri di grande fama, come l’abbazia di Cluny, acquistarono un enorme peso religioso e politico. I Cluniacensi, la cui polemica fu rivolta contro il concubinato del clero e contro la pratica della simonia, si proposero il compito di moralizzare la vita ecclesiastica e di riportare il clero regolare alle funzioni spirituali che gli erano proprie.

CATARI, ALBIGESI E PATARINI.
Non tutti coloro che auspicavano una riforma della vita religiosa  rimasero fedeli alla Chiesa di Roma, molti si staccarono da essa dando vita a movimenti evangelici con le caratteristiche di una vera e propria eresia, cioè la diffusione di una dottrina contraria ai dogmi di Roma.
Il primo movimento ereticale veramente organizzato fu quello dei Valdesi, dal nome di Pietro Valdo, un ricco mercante di Lione che aveva deciso a un certo punto della sua vita di vivere in assoluta povertà; essi rifiutavano, per esempio il purgatorio, il culto dei santi e la pratica sacramentale della comunione e della confessione.
Migliaia di cittadini ascoltavano i sermoni che Valdo teneva nelle piazze, nelle chiese e nei locali pubblici invitando i lionesi a seguire la regola degli antichi apostoli e mettere tutto  in comunione. Le adesioni piovvero, la setta s’ingrossava e i suoi adepti presero il nome di Poverelli di Lione.
Erano facilmente riconoscibili per i loro abiti modesti e dimessi. Non esercitavano alcun commercio e si rifiutavano di prestare giuramento. S’accontentavano del necessario e non accumulavano ricchezze.
Poiché il movimento Valdese continuava a fare proseliti, nel 1229 la Chiesa corse ai ripari convocando il Concilio di Tolosa che condannò l’interpretazione dei testi sacri da parte dei laici. Quando i fulmini romani s’abbatterono sull’eresia di Valdo, molti suoi seguaci abbandonarono Lione e emigrarono in Val Pellice, dove fondarono una comunità che ancora oggi sopravvive.

Un altro movimento di radicale contestazione antiecclesiastica fu quello dei CATARI.
Essi sostenevano l’esistenza di due principi, quello del bene e quello del male rappresentati da Dio e Demonio, perennemente in lotta tra loro.
Ebbero una grande diffusione nella Francia meridionale, particolarmente in provenienza nella zona di Albi (per questo motivo i Catari furono anche chiamati ALBIGESI), nell’Italia settentrionale e in Germania.
L’abbracciarono anche molti nobili vedendo in essa l’occasione per spogliare Vescovi e Abati delle loro proprietà e incamerarle. Gli eccessi però a cui s’abbandonarono nobili come il Visconte di Béziers e il Conte di Foix finirono per allarmare gli stessi riformatori.
Dal Pulpito di San Pietro, Innocenzo III bandì la crociata contro gli Albigesi e invitò stesso Re, Filippo Augusto ad arruolarvisi.
A Capo della spedizione fu messo Simone di Montfort, soprannominato per il suo zelo
l’ “Atleta di Dio”. A chi alla vigilia dell’eccidio gli faceva notare che tra gli albigesi c’erano migliaia di innocenti si dice che rispondesse: “Ammazzateli tutti. A riconoscere i suoi ci penserà il Signore.” Le vittime della Crociata non si contarono. I nobili avevano combattuto a fianco degli Albigesi furono spogliati delle loro terre che andarono ad arricchire il patrimonio della Corona.

In Italia tra i gruppi spontanei che si richiamavano sulle scritture, scegliendo di vivere in povertà e castità, opponendosi con forza al clero corrotto ci fu il caso della PATARIA, un movimento nato a Milano intorno al 1056. In seguito al diffondersi delle idee sostenute dai patarini si ebbero numerosi episodi di violenza tra cui l’uccisione di esponenti corrotti del clero. Per questo i PATARI (in milanese straccioni), a partire dal 1075, furono considerati eretici, combattuti e condannati dalla chiesa .
Le regole, che tali gruppi ereticali  usavano, furono spesso molto radicali, essi proponevano un’interpretazione assai libera nelle scritture e mostravano spesso atteggiamenti fanatici.
La chiesa ricorse allora all’Inquisizione. Fino al XII secolo  coloro che si macchiavano col delitto dell’eresia venivano giudicati dagli ordinari ecclesiastici secondo la procedura che regolava i reati comuni. Ma di fronte al dilagare dell’eresia fu necessario escogitare nuovi e più efficaci strumenti di repressione.
Da principio la chiesa usò con moderazione l’arma dell’inquisizione nel timore che la lotta contro l’eresia si trasformasse in una caccia delle streghe.
Il vero e proprio iniziatore dell’Inquisizione fu papa Gregorio IX. La procedura adottata era la seguente: gli inquisitori invitavano in piazza gli abitanti adulti di una città e li invitavano a declinare le loro credenze in materia religiosa.
I sospetti d’eresia avevano trenta giorni per ripudiare con un atto di fede (un auto da fé), le loro opinioni in contrasto con l’ortodossia. Se si rassegnavano  all’abiura, se la cavavano con qualche giorno di prigione e una piccola penitenza. Se invece persistevano nell’errore cominciava il processo.

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Il Monastero di Cluny

Il monastero di Cluny, fondato in Borgogna nel 910 d.C. dal duca Guglielmo di Aquitania, fu uno dei più grandi centri religiosi dell'epoca, dove si intese recuperare l'antica regola benedettina dell'Ora et Labora. Fin dalle origini, l'Abbazia ebbe il privilegio dell'esenzione dai poteri del vescovo della vicina Macon e posto direttamente alle dipendenze della Sede Apostolica. Questo la protesse dall'influenza delle famiglie aristocratiche e dei signori feudali e dalla decadenza economica. Cluny si arricchì di terre, giurisdizioni e monasteri disseminati in tutta Europa: alla fine del XII secolo, le abbazie dipendenti da Cluny erano circa 1200, tutte legate da vincoli di solidarietà.

Caratteristica fondamentale dei monaci di Cluny fu l'attenzione allo studio, alla cultura e all'arte come espressione della Bellezza e della gloria di Dio. A Cluny era esaltata soprattutto la celebrazione liturgica ed era ravvivata con particolare sensibilità la coscienza ecclesiale, anche se la lunghezza degli uffici in coro portava ad una riduzione del lavoro manuale. Fra i primi abati furono San Bernone, Sant'Odone, San Maiolo, Sant'Odilone e Sant'Ugo.

Il monastero fu costruito e ampliato nel corso dei secoli, fino alla sua decadenza. L'influsso di Cluny sulla società medievale fu immenso, rialzando il livello spirituale sia nel clero che nel laicato. L'abbazia contribuì efficaciemente al consolidamento della cristianità medievale e al rafforzamento dell'autorità papale. La lotta per la libertà della Chiesa dalle ingerenze imperiali, l'idea di crociata, la rinascita religiosa dopo il Mille, perfino una nuova concezione della storiografia sono strettamente legate alle motivazioni ideali che avevano dato vita alla grande abbazia borgognona, in cui la forte coscienza dell'unica. Si deve ai monaci di Cluny l'istituzione della celebrazione dei defunti ogni 2 novembre.

Il sacro recinto di sant’Ugo

L’abbazia, inizialmente, era costituita da una fattoria con una semplice cappella.
Fra tutti i benefattori  sorge il nome di Ugo, abate, canonizzato 11 anni dopo la morte.
Sotto la sua amministrazione il numero dei monaci salì da 60 a 300; la sua opera più importante fu la costituzione della chiesa di Cluny (era la terza chiesa dell’abbazia, a partire dalla fondazione). Fino alla consacrazione di San Pietro, Cluny vantò la chiesa più grande del mondo.
Il nuovo refettorio di S. Ugo sorgeva alle spalle del chiosco, situato a sinistra della chiesa; su di esso si affacciava la sala del capitolo, sopra alla quale si trovava il dormitorio dei monaci.

IL CUORE DELLA COMUNITA’

L’immensa chiesa romanica misurava 140 metri di lunghezza, aveva 5 navate, 500 capitelli di colonna e pareti decorate da affreschi. Era il locale dove i monaci trascorrevano la maggior parte del loro tempo

Tra i benefattori della comunità, dai parrocchiani più poveri ai signori più ricchi, si distinsero per generosità i re Alfonso VI di Castiglia ed Enrico I d’Inghilterra.

Racconta una cronaca che furono i santi Pietro, Paolo e Stefano a rivelare in sogno la pianta della costruzione del monastero ad un certo Gunzo, un ex abate che viveva a Cluny.

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Ingresso | Chiesa di S. Fabiano e S. Sebastiano | Palazzo Vecchio | Palazzo Nuovo

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