Cronaca vicentina
della Co: Ottavia Negri Velo
1796-1814
[Giornale]
[Ricerca e trascrizione di Mirto Sardo]
Il dettaglio degli avvenimenti del 1796, saranno sempre memorabili all'infelice Italia, come pure li mali sofferti nello Stato Veneto e la total distruzione di una Republica, che fu per 14 secoli, un singolar modello dell'industria e del talento degli uomini. Io riassumerò nel suo principio la storia, per sempre confermarmene la memoria; e non avendo cominciato un esatto giornale, non potrò descrivere in sostanza, che le cose più rimarcabili, come un quadro da osservarsi, piuttostoché una storia da leggersi.
La Repubblica Francese, già stabilita, cogli istessi contrasti, che la volevano distrutta, si estendeva, e nel suo interno governo, e per l'esterno delle sue costanti vittorie. Già la Prussia, con una strana Politica, e la Spagna dalla necessità rese umiliate, fruivano d’una pace onerosamente ottenuta. Il soldo dell'Inghilterra e la sorprendente costanza dell' Imperatore sostenevano soli la guerra.
Il Belgio e l'Olanda già conquistate dai Francesi facevano eco ai progressi sul Reno. La debole, e mal difesa Italia, osservava in silenzio, tutti gli evventi, e ne temeva i contracolpi.
Nella primavera, si vide impensatamente l'Italia resa al momento un Teatro di guerra, di depredazioni e di rivoluzioni.
Beaulieux che in tal evento commandava in capite l'armata austriaca in Italia, senza viveri, e senza truppe, unitamente al Re Sardo, sostenne la difesa e attaccò i Francesi, con qualche forza, ma non egual coraggio. Questi Republicani, comandati dal genio di Bonaparte, si trovavano di già nelle Alpi, dove passarono l’inverno con una incredibile magnanimità respinsero gli Austriaci, e sparsero il terrore e lo spavento coi loro progressi. La debole e titubante Sardegna compresa dall' orrore di essere funestamente invasa, cesse sul momento le sue piazze, ritirò le sue truppe, facendo una pace delle più umilianti. Pervennero dunque i Francesi, con ogni felicità in Milano. Beaulieux salvò parte della sua armata avendo posto tutto il suo ingegno in una bellissima ritirata. Accolti con entusiasmo e spavento i Francesi in Milano,
dopo
pochi
momenti
lo
misero
alla
contribuzione
di
20
milioni
di
lire
tornesi,
e
disorganizzarono
l'antico
governo;
poi
progredendo,
con
porzione
dell'armata,
che
non
si
volle
mai
numerosa,
sino
nel
Bresciano,
per
distruggere
com'essi
dicevano
li
resti
dell'armata
austriaca,
ed
assediar
Mantova.
Gli
Austriaci,
nella
loro
ritirata,
si
prevalsero
di
Peschiera,
debole
fortezza
veneta,
infrangendo
anche
coi
modi
la
veneta
neutralità,
facendo
a
sé
medesimi
il
torto
di
entrare
in
una
fortezza,
dove
sapevano
di
non
poter
sostenersi.
Ecco
dunque
uno
dei
bei
pretesti
che
servì
sul
momento
ai
Francesi
per
occupar
Verona,
che
lo
eseguirono
il
sempre
memorabile,
e
terribile
primo
di
giugno
1796.
Un'armata
vittoriosa,
che
non
conosceva
argini,
dei
principi
rivoluzionari,
che
li
dilatavano,
una
misera
Neutralità
disarmata,
che
aveva
dati
dei
frivoli
pretesti,
particolarmente
sull'asilo
dato
agli
emigrati
francesi,
tutti
questi
riflessi
misero
lo
spavento,
e
il
terrore
nella
Città
di
Verona,
promosso
da
chi
meno
doveva,
e
perciò
prima,
che
sul
far
del
giorno,
vi
arrivassero
i
Francesi,
tutte
le
famiglie
primarie
se
ne
fuggirono,
con
un
immenso
disordine,
e
posero
il
Governo
Veneto
in
un
indicibile
avvilimento.
Il
Provveditor
Foscarini,
appena
giunto,
non
servì
per
non
dir
altro,
che
a
maggiormente
avvilire
la
circostanza.
Tutte
le
città
venete
intimorite
e
quasi
tratte
alla
capitale
temevano
ogni
cosa;
quando
un
manifesto
del
Generale
Bonaparte
restituì
un
poca
di
calma;
era
questo
espresso
in
sostanza
così:
che
l'armata
francese
non
passerà
nello
Stato
Veneto
che
per
inseguire
i
resti
dell'armata
austriaca;
che
rispetterebbe
il
Governo,
la
Religione,
le
Proprietà,
e
che
sarebbe
pagata
ogni
cosa
in
denaro
contante.
Si
cominciò
subito
l'assedio
di
Mantova,
e
di
già
in
otto
giorni
Bonaparte
contava
di
impossessarsene.
S’impadronì
dei
Castelli
di
Verona,
di
tutte
le
munizioni,
e
ne
fece
evacuare
la
maggior
parte
della
guarnigione
che
vi
si
ritrovava,
col
riflesso,
che
i Schiavoni,
non
simpatizzavano
coi
Francesi.
Volle
l'alloggio
nelle
case
dei
particolari
(per
essere
la
sua
armata
dei
veri
flibustiers,
sprovveduta
di
ogni
cosa)
di
tutti
gli
ufficiali
calcolandosi
in
tal
armata
sino
gli
ufficiali
mulatieri.
Il
dominio
era
deciso,
le
requisizioni
eccessive,
e
gli
ordini
autorevoli.
Frattanto
andò
ad
impossessarsi
del
porto
di
Livorno,
e
durante
le
trattative
col
Papa
di
Bologna
e
Ferrara
e
degli
Stati
di
Massa
e
Carrara,
esiggendo
contribuzioni
grandiose,
continuandole
tutti
i
giorni
in
denaro,
cavalli,
generi
ed
altro,
animando
il
partito
rivoluzionario
interno
per
sodisfare
alla
più
inusitata
cupidigia
delle
sue
truppe,
sotto
il
manto
sempre
della
più
filosofica
rigenerazione.
I
suoi
generali
si
impossessarono
delle
casse
Publiche,
e
spogliarono
spietatamente
tutti
i
Monti
di
Pietà.
La
prima
cosa,
che
si
ricercava
era
armi
e
denaro.
Pavia,
Binasco
e
Lugo
furono
saccheggiate
e
bersagliate
per
la
resistenza,
che
opposero.
Ciò
spaventò
le
altre
vittime
e
si
diffuse
che
se
si
troverà
morto
un
Francese
sarà
abbruciato
quel
paese,
in
cui
verà
commesso
un
tal
eccesso.
Ciò
successe
più
volte,
ma
intimorì
l'universale.
La
voracità
dei
commissari
sostenuti
dalla
maggior
parte
dei
generali
e
l'indisciplina
delle
truppe
francesi
fu
portata
al
sommo
grado,
e
se
non
successe
cose
maggiori
fu
solo
che
la
Provvidenza,
veglia
sopra
la
misera
umanità
anche
in
mezzo
ai
maggiori
gastighi.
Frattanto
l'Armata
Austriaca
si
riuniva,
per
soccorrer
Mantova
e
liberar
la
Lombardia.
Gli
ultimi
di
luglio
effettuarono
la
loro
discesa
in
quattro
Colonne,
comandate
dal
maresciallo
Wurmser
discesero
queste
con
rapidità,
e
li
Francesi
si
ritirarono
da
Verona
e
abandonnarono
totalmente
l'assedio
di
Mantova,
lasciando
in
ballia
dell'inimico
tutti
i
vantaggi
e
le
conseguenze
di
questa
inaudita
risoluzione.
Di
già
sembrava
liberata
l'Italia
quando
il
concentramento
delle
truppe
Francesi,
diedero
fra
le
altre
la
memorabile
e
sorprendente
battaglia
di
Castiglione
che
mise
in
piena
rotta
l'armata
Austriaca,
la
quale
si
abbagliò
sugli
acquisti
di
Mantova,
e
si
ostinò
miseramente
sotto
Peschiera,
senza
prender
la
fortuna
di
volo
e
proseguir
rapidamente
la
sua
marcia
vittoriosa.
Dopo
questo
strepitoso
avvenimento,
Bonaparte
privo
di
modi,
andò,
come
poté,
a
ripigliar
l'assedio
di
Mantova,
e
si
dovette
contentare
di
bloccarla.
Indi
andò
a
stabilire
tutto
provvisoriamente
le
nuove
Repubbliche,
dando
loro
la
costituzione
francese
dell'anno
terzo,
ed
esaurendole
di
numerario
e
di
generi.
Venezia
in
queste
luttuose
circostanze
fece
un
armamento
alla
sola
difesa
delle
sue
lagune
e
non
pagando
i
Francesi,
lasciava
vergognosamente
le
Città
Suddite,
tutto
il
peso
delle
somministrazioni
a
loro
carico,
avendo
prima
barbaramente
esatto
le
Casse
dette
del
Bagattin,
desiderato
dei
esporsi
[esborsi]
volontari,
e
sovvenendo
in
appresso
di
poco
denaro,
ai
bisogni
continui
e
sommi
delle
Provincie
oppresse,
colla
ragione
umiliante
dell'esausto
erario.
Brescia
e
Verona
ch'ebbe
vivamente
ad
arricchirsi,
e
Vicenza,
furono
le
più
bersagliate,
le
due
prime,
nelle
stazioni
maggiori
dei
Francesi,
ma
però
tutte
e
tre
maggiormente
soggette
ai
passaggi
di
truppe,
alla
indisciplina
dei
soldati,
al
guasto,
ed
alla
rovina
delle
battaglie,
trionfi
e
ritirate.
Di
nuovo
ancora,
si
rimise
in
ordine
l'armata
Austriaca
con
alla
testa
il
Wurmser,
e
non
si
sa
con
qual
piano,
mentre
rinforzandosi
egli
a
Bassano,
aveva
distaccato
Mezzaros,
con
9.000
uomini
di
Cavalleria,
che
s'inviava
verso
Verona.
Impensatamente
per
Wurmser,
gli
sopravvennero
i
Francesi
dal
Tirolo,
mentr'esso
giocava
alle
carte,
lo
sloggiarono
da
Bassano
lo
misero,
come
esso
si
diceva,
in
piena
ritirata
li
8
del
settembre.
Doveva
egli
per
il
piano
francese
esser
messo
in
mezzo,
ma
ebbe
il
coraggio
e
la
sorte
di
salvarsi
in
Mantova,
con
12
milla
uomini,
gran
parte
di
Cavalleria.
La
division
augerau,
per
aver
mancato
pochi
momenti
a
Legnago,
cagionò
questa
sua
salvezza.
Vittoriosi
però
i
Francesi,
più
non
si
dubitava
del
destino
imminente
dell'Italia.
Rinforzarono
il
blocco
di
Mantova,
s'impadronirono
di
Modena
e
Reggio,
formarono
le
due
Republiche
Cispadana
e
Traspadana,
e
più
non
si
parlava,
che
d'impadronirsi
di
Trieste
e
che
mai
più
un
Tedesco
porrebbe
piede
in
Italia.
Ai
primi
di
ottobre
la
Division
Massena,
si
portò
a
Bassano.
Si
sentiva
che
i
Tedeschi
si
ritornavano
ad
uscire;
ma
si
calcolavano
reclute,
in
poco
numero
e
fuggiaschi.
Le
vociferazioni
crescevano
ma
si
credeva
impossibile
una
quarta
armata
di
pianta.
Il
primo
novembre
comparve
al
passaggio
della
Piave
40
e
più
milla
uomini,
comandati
al
General
Alvinzi;
li
equipaggi
sorprendenti,
ma
poca
cavalleria,
contando
esso
molto,
sopra
quella
di
Mantova.
Massena
essendo
a
Bassano,
si
portò
sollecito
a
Treviso,
per
far
una
scoperta
dell'inimico,
si
ritirò
indi
a
Vicenza
per
aspettar
rinforzi,
ed
il
giorno
5
di
novembre,
spiccatosi
da
Verona
Bonaparte,
si
portò
con
Massena
in
numero
solo
di
dodeci
milla
uomini
al
più
sulla
Brenta.
Vi
volle
poco
che
non
costringessero
gli
Austriaci,
a
rinculare,
se
le
sue
direzioni
sul
Tirolo
avessero
avuto
effetto.
Diedero
due
battaglie,
alli
sei
una,
alle
nove
l'altra,
all'Ospital
di
Brenta,
in
cui
calcolando
d'ambe
le
parti,
si
contò
in
tutto
la
perdita
di
400
uomini,
esaggerando
al
solito,
che
non
vi
fu
fuoco
simile.
La
superiorità
del
numero,
e
la
necessità
della
difesa
all'Adige,
fece,
che
Bonaparte
abbandonò
il
campo
al
nemico,
e
fece
una
ritirata,
dopo
un
tentativo
dei
più
decisivi,
che
gli
andò
a
vuoto
e
passò
da
Vicenza
arrabbiato,
ma
la
truppa
sembrava
un'armata
vittoriosa.
Augerau
salvò
la
ritirata
sulla
Tesina,
tagliò
il
ponte
di
Lisiera,
e
nella
notte
dei
8
improvvisamente
e
tacitamente
se
ne
partì.
Gli
Austriaci
entrarono
pacatamente
nello
stesso
giorno,
non
curando
d'inseguire
i
Francesi
e
il
loro
contegno
era
assai
timido
e
taciturno,
non
tale
però
nelle
esazioni
autorevoli
ed
istantanee
di
approvvigionamento,
che
già
erano
preparate.
Il
loro
numero,
però,
quantunque
di
nuove
reclute
e
i
loro
equipaggi
sorpresero;
sfilarono
per
due
giorni
interi,
i
carriaggi
poi
continuarono
una
settimana;
si
portarono
sulla
strada
di
Verona,
furono
respinti
una
volta
sin
verso
l'Olmo,
poi
sempre
vigliacchi
di
non
progredire
sino
a
Verona,
per
cui
quì
avevano
fatta
una
requisizione
di
500
scale
per
assaltarla,
mentre
Bonaparte
teneva
dietro
al
valoroso,
e
perciò
invidiabile
Davidovich,
attesero
quasi
le
sconfitte
di
Arcole
e
di
Ronco,
per
le
quali
furono
costretti
di
ritirarsi
quasi
precipitosamente.
Il
Generale
Alvinzi
giunse
il
giorno
24
novembre
a
Vicenza,
quattro
ore
avanti
le
sue
truppe,
come
il
solito
dell'Ufficialità
Tedesca.
Il
Maresciallo
Provera,
fratello
del
Generale,
assicurò,
ch'erano
partiti
con
40
milla
uomini,
e
che
se
ne
ritornavano
con
12
mille,
e
ch'essi
erano
stati
battuti,
in
ogni
fatto.
Un
pugno
di
Francesi
bastò
a
rovesciare
un'Armata,
che
ricordava
la
magnificenza
di
quelle
di
Xerse.
La
Cassa
di
guerra,
i
barconi,
i
Pontoni
fecero
un
gran
girare.
Il
genio
di
Bonaparte
e
l'attività
indicibile
delle
sue
truppe
formano
il
sogetto,
della
sorpresa,
e
delle
riflessioni
se
ciò
succeda
per
valore,
per
fortuna,
o
per
tradimento.
Si
ritirarono
dunque
per
Vicenza
i
Tedeschi
e
in
due
giornate
che
dimorarono
in
essa,
per
il
cattivo
tempo,
fecero
molti
danni
ne'
suoi
contorni.
Poi
all'improvviso
sfilarono
parte
per
Bassano
e
parte
per
Padova,
ivi
si
fermarono
sino
alla
mettà
di
gennaro
1797,
e
si
credeva
comunemente,
che
facessero
tranquillamente
i
quartieri
d'inverno,
o
che
succedesse
un
Armistizio,
ma
invece
i
picchetti
francesi
coi
Tedeschi,
si
azzuffarono
spesso,
anche
sul
Corso
di
Vicenza
con
gran
valore
degli
Usseri
Austriaci,
e
ignominia
dei
Francesi
bensì
contro
tutti
i
riguardi,
che
la
Guerra
stessa
vuol
rispettare,
e
che
una
Città
Neutrale,
doveva
attendersi.
Venne
in
seguito
per
pochi
momenti
il
General
Francese
Clarke,
si
disse
per
maneggiare
con
Mr.
Vincent
Austriaco
l'Armistizio;
ma
da
un
momento
all'altro
svanì
questa
trattativa.
Frattanto
Mantova
era
alle
strette,
e
col
rinforzo
di
Würmser
avendo
anche
prima
trascurato
l'articolo
delle
sussistenze
e
non
eseguite
le
spianate
necessarie
ad
onta
dei
millioni
avuti,
non
poteva
perciò
più
sussistere.
Fece
il
General
Alvinzi,
l'ultimo
sforzo
improvvisamente
a
Rivoli.
Il
General
Provera
arrivò
arditamente
e
pericolosamente
fin
sotto
Mantova,
e
il
General
....
con
3
milla
uomini
a
Caldiero,
fu
di
niuna
utilità.
Il
colpo
del
General
Alvinzi
fu
improvviso
e
da
uomo
disperato
e
quasi
valevole,
mentre
gli
Austriaci
avevano
perfettamente
colto
in
mezzo
i
Francesi,
ma
per
una
di
quelle
cose
inconcepibili,
il
genio
e
i
ripieghi
di
Bonaparte,
la
sua
immensa
attività
attrasse
a
sé
la
vittoria.
Battè
completamente
Alvinzi,
da
lui
chiamato
Monsieur,
e
mai
Generale,
mandò
verso
Mantova
dei
pronti
soccorsi
che
invilupparono
Provera,
fece
un
furor
di
prigionieri,
e
indusse
Würmser
a
capitolare.
Mantova
si
rese
con
delle
suficienti
condizioni
alli
3
di
Febraro
1797.
Dopo
Bonaparte,
ritornò
in
Romagna,
da
dove
erasi
sul
momento
spiccato,
per
le
mosse
di
Alvinzi,
e
fece
al
solito
diffinitiva
la
pace
col
Papa,
il
quale
dimostrò
sempre
d'esser
uno
dei
sovrani
più
avveduti
e
coraggiosi,
ma
le
forze
mancavano
e
il
raggiro
era
all'ordine
del
giorno.
Il
Re
di
Napoli
facendo
la
sua
pace
separata,
abbandonò
miseramente
e
traditoriamente
gl'interessi
del
Papa,
e
forse
i
suoi
propri.
A
tali
strepitosi,
e
complicati
avvenimenti,
era
stupida
l'infelice
Italia,
e
già
prevenendo
un
funesto
destino
non
sapeva,
che
tacitamente
argomentarlo,
né
niente
fare
per
ovviarlo.
L'
Imperatore
ad
onta
di
tanti
discapiti
in
Italia
elettrizzato
dai
vantaggi
sul
Reno
decisivi,
quantunque
sempre
sul
proprio,
conservava
la
sua
costanza
inamovibile
di
continuare
la
guerra,
per
cui
tutti
i
troni
gli
dovranno
o
l'esistenza,
o
la
destruzione,
incitata
e
sostenuta
dagli
Inglesi,
pensò
dunque
che
il
bravo
e
unico
valoroso
Principe
Arciduca
Carlo,
passasse
dal
Reno
a
comandare
l'armata
d'Italia,
con
alcuni
suoi
valorosi
battaglioni
per
impedire
ai
Francesi
l'occupazione
dell'interno
della
Germania.
Ma
esso
trovò
gli
affari
d'Italia
in
molto
peggior
stato
di
quelli
che
aveva
trovato
dapprincipio
sul
Reno.
Bonaparte
a
questi
indizi
partì
verso
la
Piave
e
si
rimarcò,
passando
da
Vicenza,
che
non
volle
vedere
il
Publico
Veneto
Rapresentante,
ma
solo
i
deputati
della
città,
per
ringraziarli
delle
cure,
per
approviggionare
i
suoi
soldati,
assicurandoli,
che
questa
sarebbe
l'ultima
volta
che
avrebbe
avuti
tanti
disturbi.
S'incamminò
esso
sino
nel
seno
della
Germania,
per
cercarvi,
come
diceva,
la
pace.
L'Arciduca
framettendo
poche
resistenze,
si
ritirò
sempre
sino
a
sole
40
leghe
distante
da
Vienna.
Ivi
non
si
sa
se
per
battaglie,
o
per
posizione,
o
per
maneggi,
o
altro,
certo
è
che
questo
punto
è
stato
sempre
coperto
da
un
gran
mistero,
quanto
nei
Francesi
quanto
nei
Tedeschi:
si
conchiuse
certamente
quando
meno
si
credeva
la
Pace
a
Leoben
ai
17
d'[Aprile
1797],
cui
si
volle
in
seguito
chiamare
i
Preliminari
di
Pace
di
Leoben.
Che
faceva
lo
Stato
Veneto
in
queste
critiche
contingenze?
Io
non
ho
colori
onde
dipingere,
a
onor
del
vero,
un
tal
evento,
mi
attenirò
solo
all'universalità
dei
discorsi.
Erano
9
Mesi
che
le
Armate
Belligeranti,
affliggevano
il
Veneto
Territorio.
L'esaurimento
dell'Erario
publico,
la
niuna
lusinga
di
venire
indennizzati
dalle
Armate,
faceva
fare
dei
passi
al
Governo
non
troppo
concilianti
e
confortanti
per
la
misera
e
tradita
terraferma,
derivanti
però,
com'essi
dicevano
da
una
reale
impotenza.
Eranoo
dunque
ridotte
queste
sudite
Città
a
supplire
a
se
stesse
e
a
proprie
spese
a
tutto,
restando
intatti,
com'essi
dicevano,
i
pubblici
pesi
a
loro
dovuti.
In
mezzo
a
tali
lagrimevoli
dibattimenti,
fra
il
Sudito
e
il
Principe,
Bergamo
impensatamente,
scosse
il
giogo
Veneto
e
con
50
Bergamaschi
andò
ad
assistere
la
rivoluzione
di
Brescia.
Sbalordito il Governo, spedì Provveditori in Terraferma e mandò a Gorizia l'ottimo Procurator Pesaro dal General Bonaparte, per intendere, com'erano le cose. Questo soggetto per i suoi principi non parve opportuno a tal affare. Ma già Bonaparte avrebbe dato a ognuno l'istessa risposta, ed è ch'egli non aveva alcun sentore di queste novità, che consigliava Venezia, di non tenere ristretta la sua sollecitudine alle sue sole lagune, e che mandasse pure della Truppa per ammansare gl'insorgenti, ed a riacquistare le sue Provincie.
Tutto ad un tratto Salò fece della resistenza ai Bresciani, che vennero a rivoluzionarlo, si batté e ne prese diversi prigionieri. Questi come tanti ribelli, passarono di qui, con tutta la formalità, trattati con rigore dal nostro Provveditor Straordinario Erizzo. Il Provveditor Battaja, ch'era a Brescia, lasciò prudentemente (chi volle maliziosamente senza riflettere che il nemicoo era forte in forze e in seduzione) Brescia e ritirò in confronto apparente di 50 soli Bergamaschi e fu perciò dai Veneziani richiamato e fatto per punizione Avogador. Fu posto, in suo luogo a Verona il Provveditor Giovanelli, e da noi l'Erizzo. Tutto a un momento, le poche truppe dello Stato Veneto, si pongono lentamente in marcia, si fa dei confusi preparativi di guerra e si ordina la leva delle masse generali. Tutto ciò, si diceva, per opponersi agl'insorgenti. Nulla si sapeva, sul ritardo delle progressive nuove di Salò. Le Truppe e le masse andavano per contrade insolite, ma il centro della difesa era stabilito nella disgraziata Verona. Qual momento per noi! Ignari di tutto, si vedeva una moltitudine inetta sull'armi, la confusione e l'anarchia a regnare. Il giorno 17 Aprile 1797 giorno, in cui si segnava a Leoben la Pace, nacque in Verona una scena fra alcuni Veronesi e Francesi per un preteso insulto di alcune femmine, ma in sostanza per un misterioso disegno, venne date alcune archibuggiate all'aria e tutto il Paese prese parte in questo dibattimento, ammazzando e inseguendo i Francesi. Questi si rinserrarono nei Castelli, che non vollero mai lasciar liberi ai Veronesi, per difendersi se arrivavano i Bresciani per rivoluzionarli, circostanza che sviluppa parte del mistero. L'orrore però di quei giorni fu terribile, si massacrarono da 400 Francesi con tutto l'odio, che avea eccitato la loro condotta, e il disordine e l'anarchia furono al colmo.
Si assicurava, che Bonaparte era in ritirata dalla Carinzia, che Landon scendeva vittorioso dal Tirolo e che l'armata Francese andava tutta a perire, col mezzo dei Veneziani, uniti agli Austriaci, come al tempo di Carlo ottavo. Tutto era viceversa presso i più accorti. Ma Verona riscaldata, era sedotta, ed acciecata e la sua fedeltà che sempre la distinse formò la sua rovina. Solo 2000 Francesi, discesero da Milano, ed essendo di ritorno dalla Carinzia, il General Vittor con 7 milla uomini, attesa la Pace sottoscritta, i Francesi sparsero, che circondavano Verona, come però stante la località potevano fare, e la ridussero a Capitolare. I Francesi dimostrarono di volerla fare con dell'umanità, ma l'Erizzo andato di rinforzo a Verona, il povero Contarini, e Giovanelli sedotti dal primo, dopo di averla firmata, con molto riflesso, ed espresso in un Articolo, d'essere i due Provveditori Erizzo e Giovanelli in ostaggio. Il Contarini rimaner nella sua carica di Capitanio, e che niuna persona e niun Cavallo dovesse per tre giorni sortir da Verona, colla conciliatoria di rimaner nulla la capitolazione, se ciò seguisse. Questi vili, e inumani, dopo di aver firmato, fugirono e lasciarono quel paese, sommamente fedele e suddito, in preda alla discrezione militare. I Francesi, mercé dei Cittadini che esposero se stessi per il proprio Paese, la trattarono bensì da Paese di conquista, e al loro solito, non con quei diritti, che una simile azione poteva dar luogo.
Dopo di ciò i Francesi s'impadronirono di tutta la Terraferma, la rivoluzionarono, la dilaniarono, e dichiararono la guerra a Venezia, ciò si eseguì nel giorno 25 Aprile 1797 dal quale io ho cominciato a scrivere questo giornale.
25 [aprile 1797]
Già si diceva ieri in Verona l’armistizio, e si credeva una composizione, attesa la voce della pace, sentita li 23 del corrente e si faceva una strepitosa processione a San Marco, quando questa mattina arrivarono fugitivi da Verona il provveditor Giovanelli col comico general veneto Stratico, indi il provveditor Erizzo col rappresentante Contarini; dicendo che tutto era perduto, e che i Francesi prendevano il possesso di Verona, essi fugirono subito come il lampo per Padova.
26 [aprile 1797]
Si raccontava confusamente la capitolazione di Verona, si gettava sciable e coccarde venete e si vociferava i Francesi a Villanova per invasarci, e a 23 ore italiane giunsero otto Francesi di cavalleria, unitamente ai cavalieri Enrico e Pietro Bissari, che andarono senza saputa di alcuno a Montebello coll’oggetto di rendere umani i vincitori, ma che fu un passo preso nell’universale per una genialità di partito. Il rappresentante Barbaro a tal annunzio fuggì a piedi per la porta di San Bortolamio. Questi 7 Francesi raggiunsero due miserabili cariaggi di Bodoli, e si alloggiarono, in casa Bissaro, dove si disse, che vi fu un club quella sera. Si sparse però che i Francesi venivano come amici, memori dell’ospitalità vicentina, et che il paese non avrebbe altro incomodo, che la delizia di cambiar governo. Il Vicentino sbalordito dimostrò tutta la prudenza, e la calma.
27 [aprile 1797]
In mezzo ai sforzati chiassi suscitati dal partito democratico si ha abbattuti tutti i San Marchi, e si hanno poste le coccarde nazionali. I deputati, il cui capo era il conte Giovanni Battista Fracanzani, sono andati incontro al generale francese Hoz, giunto a 19 ore, il quale pose la sua truppa di 2000 uomini fra Francesi e Polacchi in Campo Marzo, e andò ad alloggiare dal Cordellina: accettò il complimento e disse che restituirà la visita ai deputati alla loro residenza, ma non lo fece per i maneggi dei patrioti, che volevano soli dominare, e disponer di tutto.
28 [aprile 1797]
Questa mattina con sorpresa, ragiro e clamori si creò la Municipalità, protestando che tardando i deputati a farla i patrioti non potevano trascurare di supplirvi. Era l’intenzione dei Francesi di conservare il corpo dei deputati con delle aggiunte democratiche, anche per non innovare la maniera di esser provvisti. Vicenza tranquilla soffriva ogni cosa con pascienza e a stento i Patriotti trovavano un discretissimo applauso. I presidenti furono i cittadini Brunoro Muzani, Filippo Ceroni, Giovanni Scola. Arrivò in quest’oggi da Legnago la divisione del general Victor e vi fu una gran confusione per aloggi, viveri, ma si diceva che sarà l’ultimo passaggio.
29 [aprile 1797]
Partita la divisione di 7 milla: uomini del generale Victor, si è moschettato in Campo Marzo un soldato polacco per aver rubato a un francese. Si ha demolito da alcune frasche detti energici la statua di Pietro Pisani, ch’era sulle scalinate fatte a sue proprie spese alla Madonna di Monte.
Sono partiti li due cittadini municipali Enrico Bissari e Carlo Basso per Verona dirigendosi al general Kilmaine per ovviar la minaccia dello spoglio del Monte di Pietà, che si voleva eseguire dai liberatori del popolo, o almeno da alcuni esecutori di questa alta impresa.
30 [aprile 1797]
Sono venuti 2000 uomini della divisione del generale Baraguay d’Hilliers.
Arrivarono da Padova prigionieri gli Eccellentissimi Francesco Labia, ivi rappresentante, Alvise Contarini, e Leonardo Foscarini con due padovani capi della massa, accompagnati da 300 uomini e un cannone. Il patriotta Roselli con dei compagni, insultarono quest’infelici.
I schiamazzi democratici si fanno sentire, ma niuno fa eco.
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Primo [maggio 1797]
La divisione venuta ieri si è diretta per quel che si crede a Treviso. Il general Hoz fu ieri alla Rottonda accompagnato da alcuni nostri energici a cavallo. Nulla si sa dei paesi vicini e molto meno le condizioni della pace. Si attende Bonaparte. Verona è tansata di 350 mille ducati di contribuzione senza saldo, visite domiciliari ecc.
La divisione di Baraguay d’Hilliers si dice andata contro il famoso assassino Gabardo, il quale è appiat[t]ato con 800 uomini e 2 Cannoni nel canal di Brenta, si vuole che vi vadino a riunirsi tutti i birri e spadacini banditi.
Di Venezia nulla si sà. Vi si calcolano molti partiti e molto terrore.
Leon piagato a morte
Vede la sua ferita
Sente mancar la vita
E fa pregadi ancor.
2 [maggio 1797]
Nulla si traspira della modalità della pace. Il Sacro Monte vien guardato a vista. C’è il comandante Gamberteau, il quale si porta bene, ma non durerà.
Enrico Bissari e Carlo Basso portano da Verona uno scritto del generale Kilmaine portante la esenzione del Monte e di essere considerata la città di Vicenza come amica.
3 [maggio 1797]
Si maneggiò e si ottenne in oggi il manifesto dell’abolizione dei titoli, della deposizione dell’arme, livree, e pergamene. I Francesi lasciano fare, e non curano di accordare sennon quello, che si accorda al loro interesse. Si fece la requisizione di tutti i cavalli di sella, pagati ai particolari dalla povera cassa nazionale.
Bonaparte è andato verso Mantova. Era preparata l’illuminazione a cere di tutta la città, e gran ballo nel Teatro Nuovo. Si voleva illuminare il Teatro Olimpico, ma si ha temuto, che fosse troppo debole per sostenere una tal calca. Esso è in un disordine che fa però torto al paese.
4 [maggio 1797]
Si ha rimandati i cavalli da sella, perché essendo partito La Hoz, essi restarono ai proprietari.
Si fanno gran preparativi per l’albero, ma si si lagna, che lo spirito pubblico non si riscalda. Si sente gli energici a dolosamente profferire non v’è energia, non v’è energia. Si esaurisce tutte le sorgenti della forza, e si vuol forza! Oh pazzi!
5 [maggio 1797]
Si va spargendo, che Venezia stia trattando del suo destino, ma non si sa nulla e non si riceve più lettere. Si ha richiamato, stante le leggi dell’invidia, il solo cittadino Orazio Porto da Venezia, come Capo di Casa. Si vuole ripposte tutte le armi. Questo è un articolo che preme assai e che dimostra la spontanea rivoluzione dei popoli.
Si fece un manifesto di moderazione, e cessazione di tumulti popolari, forse perché scorgono che non prendono piede. Ieri sera, si giocò alla Bottega Nazionale di Pigozzo il faraone per contrassegno di libertà.
Bonaparte è a Padova da dove si stampa, ch’esso ha detto, che saremo liberi, dicendo: Volete ch’io vi levi a un Tiranno per darvene un altro? Ma nulla si traspira delle condizioni della pace di Leoben, né niente si fa della situazione di Venezia.
La requisizione de’ cavalli è ridotta solo a 11.
6 [maggio 1797]
Arriva la divisione del generale Joubert riattata dalle sue confessate sconfitte nel Tirolo.
Ordine che tutte le armi vengano ripposte nella propria città e comuni termine due giorni.
Si allestisce per domani l’innalzamento del famoso albero della libertà. Si ha sfacendato da Pietro Bissari a piantarne uno sull’Isola dicendo, che il popolo lo voleva, ma il popolo fu sordo ad andarvi e vi volle la banda d’istromenti per richiamarvi un pugno di gente.
7 [maggio 1797]
Si fece la gran funzione dell’albero strappata dai Patriotti, i quali volevano 2000 ducati da spargere al popolo per animarlo a concorrere.
La Municipalità con 100 vecchi e banda d’istrumenti si portò in piazza, dove c’erano due palchi ben architetati, con poltrone ricamate, con una femmina simboleggiante la libertà, e dove allo sbarro del cannone s’innalzò l’albero, e si abbrucciò i titoli di nobiltà. Brunoro Muzani fece un energico discorso con gesti di fratellanza, indi la banda francese, e la musica dei dilettanti e anche del Clero, festeggiarono la giornata. Nella sera s’illuminò a ludri la piazza, e di torce il Palazzo Municipale. Si aperse il Teatro Civico con opera buffa, e gran Carmagnole. Questo spettacolo fece nel generale una sensazione tetra e il sussurro dei patrioti non venne mai accompagnato, che sforzatamente. Mr. Mader detto Mustachina disse in tal giornata: quante pazzie, voialtri sarete certamente Austriaci. Ma l’orgasmo non fa discerner mai nulla, né nei fatti, né nelle parole.
Le requisizioni per approvvigionar l’armata sono continue, e immense, niente basta a saziar la violenza e l’ingordigia.
Abbiamo quì 3000, fra Francesi Cispadani e Polacchi, l’anderivieni poi è incomprensibile.
Si dice, che a Venezia si sia fatta la pace, ma niente si sa, mentre non possono venir lettere. Infine tutto incerto.
Si dice che il generale Augerau, prendi il comando della Lombardia coll’ex-Stato Veneto. Il general Kilmaine è di già partito da Verona. Giunsero da Venezia ieri tutti i prigionieri Bresciani, che dai Veneti vennero arrestati per opinioni politiche. Poveri Veneziani!
8 [maggio 1797]
Il comandante Gambertau, ritornò questa mattina a ripigliare il comando della piazza con universale applauso, mentre il comandante Chevalier, che era un cattivo soggetto, è partito.
Il Monte è di nuovo guardato per ordine del general Augerau, ma si trema.
Sono partiti per Verona a tal oggetto il maggior Patrizzioli, e il cittadino Basso. Li cittadini poi Enrico Bissari e Girolamo Milana, sono andati a Milano, e forse a Parigi, fin che ritrovano Bonaparte, sperando questi di dare anche un miglior turno alle cose.
9 [maggio 1797]
Gran ladronezzo, incontro e confusione sul Monte; la risposta del generale Augerau farebbe sperare, ma non tutti; dice di venir quì fra tre giorni; egli è il comandante in capite dell’armata d’Italia, per quanto si crede.
Tutti i Monti ex veneti sono sigillati, ma il nostro è in maggior pericolo, perché più ricco.
Li Municipalisti, dalle fatiche sono la più gran parte ammalati.
Si organizza la Legion Vicentina, il di cui capo di battaglione, è il cittadino Mario Bissaro. Oh che Eroi!
Si prenderà in nota tutte le argenterie de privati e già si è prese quelle delle chiese e felicemente divorate, in tutti i sensi. Le requisizioni e le spese sono immense e mal amministrate, e non v’è un soldo in cassa. I cittadini ricchi pagheranno tutto dice la lingua e l’occhio cupido e invido del moderno democratico.
Il paese è nella massima tristezza per il Monte; il teatro è vuoto ad onta d’un buon spettacolo.
10 [maggio 1797]
È arrivato a 24 ore il general Augerau con un seguito decente, i Municipalisti energici furono incantati d’un uomo, che li comprese subito esaggerando il republicanismo, e la persecuzione, ma niente ha parlato d’affari. Fu al teatro dove rimarcò le faccie smunte degli aristocratici per cui si rise molto, la porta era a gratis, e il teatro illuminato. Guadagnò da questi stupidi un bel carrozzino, 1000 zecchini, e le opere di Palladio, mentre loro promise la sicurezza del Monte, che a loro premeva per non attirarsi apertamente l’odio del popolo.
11 [maggio 1797]
Si conta che Venezia siasi disarmata e che si attende gli ulteriori ordini di Bonaparte, avendogli inviati tre ambasciatori Donà, Mocenigo, Giustinian. Dalle lettere, che vengono, non si penetra nulla, esse si hanno dalla parte di Chioggia.
Tutti i Veronesi sono richiamati alla loro patria. Così si dice che verrà fatto dalle altre Municipalità negli altri paesi. Premerebbe di riacquistare le ricche famiglie venete originarie di terraferma.
Il generale Augerau è partito verso sera per Padova, lasciando ordini per liberare il Monte. La Municipalità gli regalò una delle più belle carrozze del paese. Amava in questo generale lo spirito rivoluzionario, e pronto a far man bassa sui ricchi possidenti. Esso ciarlava, formava armate; ed’essi veneravano un tal ciarlatano.
È arrivato il generale Joubert, il quale volle alloggiare dove era stato Bonaparte dal Cordellina. Egli è un uomo, che sembra un inglese, molto filosofo, e passabilmente onesto. Fu nel palco Porto, ove non volle, né Municipalisti, né Patriotti, ciò dispiacque per timore di non poterlo ragirare.
È passata la parte che la Municipalità Provvisoria, non abbia stipendio, atteso le angustiose circostanze della cassa. Il nostro paese in questo punto non può far di conservar esternamente una disinteressata consuetudine.
Fu proibito in quest’oggi il faraone, gioco, che potrebbe distrarre le persone dai grandi oggetti.
12 [maggio 1797]
Oggi viene la divisione Joubert. È partito esso generale per Verona, come pure Augerau proveniente da Padova. È arrivato ieri il general Guillot, che comandava questa piazza, vi fu scena perché Brunoro Muzan comandò alla gente di servizio del conte Annibale Thiene, ch’era a Venezia, di trattarlo a spese della casa Thiene.
Verso sera giunse un superbo Manifesto di Bonaparte che mette in sicurezza totale il Monte di Pietà, inveendo contro i ladri e briganti e raccomandandone il gastigo ai generali di divisione, dicendo che nello Stato Veneto c’è il rendez-vous di tutti i ladri dell’armata.
13 [maggio 1797]
Oggi per espresso, si ha avuto la notizia, che i Veneziani, si sono democratizzati, e che domani pianteranno il grand’albero di libertà, han dato 2 ducati d’argento a tutti i Schiavoni, rimandandoli ai loro focolari, nulla si sa di più.
Per lettera dei cittadini Enrico Bissari e Girolamo Milana, si sa che han ritrovato a Milano Bonaparte, il quale li ha accolti con somma clemenza: trattandoli sempre a pranzo ed avendo ottenuto assai per la sempre maggiore prosperità del nostro paese, avendone esso testificato, tutta la buona opinione. Scrivono altresì, che gli ambasciatori Veneti, non fanno che piangere nell’anticamera e non sono stati ancora ricevuti.
14 [maggio 1797]
Oggi arriva quantità di truppa francese da Padova, tutta rippiena di spoglie dei Veneziani in cavalli, legni, carozze, mobili, ect. Mentre si dicono spogliate tutte le loro case di Padova, e palazzi, e casini lungo la Brenta.
Oggi sono arrivati da Bassano 7 milla: uomini della division Joubert, dicendo di rimaner quì tre, o quattro giorni: adducendo per motivo la mancanza di sussistenze a Bassano; hanno fatto gran requisizioni.
15 [maggio 1797]
Questa mattina si sa che 200 e più bei legni dei Veneziani, sono partiti per la parte di Verona, e che li 2000 uomini, che dovevano qui rimanere per qualche giorno, sono partiti improvvisamente almeno per mettà, non si sa per qual direzione, si congettura che possino esser andati per Mestre, richiamati dai Veneziani per soccorrerli contro i Bodoli malcontenti [nobili veneziani decaduti che svolgevano attività di rigattieri] .
Avendo dovuto disigillare il Monte per ordine di Bonaparte, si finge che i sigilli fossero della Municipalità, scaltramente presi sul momento dai loro bottoni, volendo con ciò inferire che essa era responsabile, se nel Monte mancasse qualche cosa. Oh che orrori! Deve essere stata una pena per i galantuomini di ritrovarsi anche per questo in quel posto. Ma in queste ruberie furono troppo pubblici i fautori!
Si dice, che si vada amoreggiando dai Francesi tutta l’argenteria delle chiese, già presa dalla Municipalità per pretesto al bisogno, ma in fondo a sacchi senza ricevuta sennon con tal calcolo; per non darla ai Francesi sono partiti Battajni e basso dal generale Bonaparte,ma già questi sono affari intesi.
Il generale Augereau ha rimandati dei cavalli, dicendo magnificamente essere essere essi troppo necessari al servizio delle campagne per trattenerli. Quanta virtù scritta e proferita senza pratica.
Si dice, che la porzione della division Joubert, che abbiamo qui, si fermerà qualche giorno. Tutto questo andirivieni è formato per fare perdere la traccia del ripiego che si fa a tutte le brigate maltrattate. Gran soldati e gran requisizioni.
Di Venezia si è di nuovo all’oscuro, né nulla si penetra delle condizioni della pace.
È quasi un delitto il lasciar veder, che si pensa di dubitare di restar sempre infelici. Gran ansietà però di sapere decisamente il proprio destino.
16 [maggio 1797]
Ieri fu intimato sul momento alle monache di San Silvestro di passare in quello di Santo Pietro e per grazia fu loro accordato 24 ore di tempo. Gran scatenamento coi conventi e ciò favorisce il pretesto, che non c’è caserme per i soldati.
Si sentì a Verona le vittime sacrificate, particolarmente una, che colla fede sacra dell’ostaggio doveva essere inviolabile.
A Venezia il Maggior Consiglio ha abilitato ai 12 del corrente, ed ha nominata una Municipalità di 60 presa fra tutti gli ordini di persone.
20 [maggio 1797]
Gran passaggio, e permanenza di truppe. Gran requisizioni. Vien insistito sul argenteria delle chiese.
Vari dibattimenti sulle espressioni dei Manifesti di Venezia, a Padova (che si distinse per il suo furore contro i Veneziani) vennero inibiti e brucciati sotto l’albero della libertà. In mezzo alle catene si fa i legislatori, e si stabilisce le cose, e i Francesi godono della follia generale.
21 [maggio 1797]
Tutti i conventi tremano. Il Vescovo ha fatto una pastorale, che fu finalmente approvata dalla Municipalità Il cittadino Vescovo trema e i balordi amano un tal trionfo.
C’è un furore di generali, 26 de’ quali sono dimessi dal Direttorio per la spesa. L’argenteria delle chiese è poi partita per Milano, atteso l’ordine, i democratici a cui non duole il danno altrui, dicono per rallegrare il popolo. I piani fatti sono impossibili a rimuoversi.
I piccoli ladri, si dicono, che seguono la scuola dei grandi.
Si vocifera cento cose di Venezia, che abbia ottenuta una pace decorosa, ma niente si sa di preciso né di Venezia, e nulla della permanenza o giro delle truppe.Gran caos inesplicabile.
La Municipalità cerca di organizzarsi s’è possibile in mezzo al disordine, e si agisce con energia per la leva di volontari per la truppa e per la Guardia Civica.
22 [maggio 1797]
Si parla d’imprestiti forzati, e altre misure. Le requisizioni sono immense e s’impara a maneggiarle alla moderna, il solo galantuomo vi perde.
Il general Joubert è qui da alcuni giorni, si dice che resterà.
Molti ufficiali vanno per veder Venezia. In generale il francese è colto e non lascia sfuggire la menoma osservazione anche sulle belle arti.
Si sta organizzando la Guardia Civica da 16 ai 50 anni. Si vuole un reggimento di 600 volontari. Non c’è mai un momento di quiete.
La Municipalità con Manifesto invita i cittadini a soccorrere la madre Patriacol loro superfluo, aggiungendo ch’ella sa fin dove arriva. L’astio non si può mai nascondere, ma i promotori si scansano da tutto se non approfittano decisamente.
Gran requisizioni del general Joubert e gli energici si lagnano, ch’egli continuamente non fa che insultarli; questo piace, mentre si sà ch’è uno dei più bravi uomini e sensati dell’armata e va bene che li tenghi a dovere.
Vennero in oggi dei nostri Vicentini, ch’erano da più mesi in Venezia. Portarono le notizie che i Francesi si portano quietamente per la paura del locale.
Li ex-patrizi sono avviliti e dileggiati e il rimanente del paese se la passa. Questi Vicentini racontano l’orrore e lo spavento della giornata del 12 di maggio, sempre memorabile a Venezia, e l’angustia e la sospensione di questi giorni. Ecco gli anedoti di Venezia in proposito della democratizzazione di quella città.
Si ha sempre calcolato nella più gran fiducia, di esser certamente riguardati come neutrali, sino al primo di marzo 1797 e non si considerava, che alla massima spesa, in servizio delle armate belligeranti. Quando alla mettà di marzo si seppe la rivolta di Bergamo e Brescia, allora si rimarcò in quei del governo una massima inquietudine, ma l’universale del paese non ne risentiva nulla, perché del tutto all’oscuro.
Si credé facile di mandar delle truppe venete, per riprender quelle città; si negoziò con Bonaparte, e si unì le masse dei contadini per facilitar un tal oggetto, e così si sparse nelle città venete, assicurando, che se i Francesi si fossero dichiarati per proteggerle, si avrebbe abbandonato ogni cosa. Con questa idea si andava unendo gente, la maggior parte malvolentieri per l’incertezza delle cose e con somma pena per questo riflesso delle città suddite, che presentavano un quadro della Secchia Rapita. Li 22 di marzo si fece la solita processione a San Marco per il nome di Gesù; si attendeva nella piazza che processionassero al solito facendo un bellissimo tempo; ma si sciolse il clero e la Signoria e si tennero chiuse le porte, si mise per questo in qualche costernazione il popolo, ma più non se ne parlò. Il giorno di San Marco, si seppe l’esito degli affari di Verona e già l’angoscia si vedeva in tutti i volti, si fece però le solite funzioni in chiesa, però a porte chiuse, e anche il banchetto, che sembrava quello della morte; contuttociò tutto era tranquillo; due giorni dopo si vociferò, che c’era una congiura in Venezia e che i congiurati erano armati e con coccarda bianca e rossa si si rinchiuse nelle case e si tennero parimente chiuse tutte le botteghe e continuava delle grandi consulte e pregadi, con un tremore, e un avvilimento sommo.
Il partito interno giocava tutte le suste [suste=molle] possibili. Li 28 del corrente trovandosi con molta gente ai Giardini della Zuecca [Giudecca] al passeggio e a merenda, improvvisamente si sentì due cannonate, si spaventarono tutti e andarono alla volta di Venezia, dove trovarono un patrizio che veniva da Fusina, il quale disse che c’era Bonaparte e che la guerra era dichiarata coi Veneziani; vi andarono subito di commissione del senato Donà e Giustiniani a parlamentare; si presentarono da Bonaparte, e gli ricercarono con sorpresa che voleva significare un tal cambiamento ed egli loro disse: Non sapete quel che ho detto a Pesaro a Gorizia, e che gli ho anche scritto e fatto dire dal ministro Lallemande. Essi caderono dalle nuvole, protestarono che nulla sapevano né loro né il senato e che però loro accordasse un armistizio e che anderebbero intesi. Bonaparte glielo accordò fidandosi nella scaltrezza de’ suoi e nel timore universale, ed essi ritornarono a Venezia. Si seppe indi, che il signor Pesaro tenne segrette le ricerche di Bonaparte, ch’erano: di disarmare, di non aver solo la sollecitudine di guardar le lagune, ma anche la terraferma, di liberare i prigionieri per opinioni politiche, e il risarcimento della fregata francese: cose tutte forse combinabili al creder dei Veneziani, ma che lui fermo nell’opinione, del braccio degli Austriaci, non volle palesare se non ai soli inquisitori di Stato ch’erano a quel che si dice del suo parere. A tal tradimento tutti si smarrirono e ricercarono di esso, ma già egli antecipatamente fu da un banchiere, si fece dare a nome del governo 7 milla: zecchini e se ne fuggì sopra una publica nave. Si cercò di rimediare alle cose e di combinare; ma le ricerche sempre maggiori che quindi ne nacquero da Bonaparte che voleva Venezia a tutto costo, fece sì che sino al 12 di maggio non si poté combinare nulla. Ma i maneggi, la paura, l’avvilimento fecero nascere l’abdicazione del patriziato, ciò seguì nella giornata dei 12. Si radunò il Maggior Consiglio; e il doge fece un discorso sui vantaggi della democrazia e della necessità d’abbracciarla nelle loro circostanze. Si sentì delle smanie, e dei dibattimenti. In questo medesimo istante si udì lo scoppio d’un moschetto fatto in piazza, si disse ad arte, per risolvere questi valorosi Veneti Repubblicani. Allora il Doge veementemente ne assunse l’argomento, dicendo, che il popolo poteva sollevarsi, nascer una guerra civile, e tutti i malori, che ne vengono in conseguenza, al qual momento tumultuariamente si ballottò, chi disse che non passò la parte, ma la stridarono certamente passata di 500 balle; tutti sortirono, ma come il popolo stava ansioso al di fuori e attaccatissimo al governo, sortirono i consigliari con un fazzoletto bianco gridando viva San Marco, si seppe dappoi la grave risoluzione spinta efficacemente dall’aver fatto poner Bonaparte il sequestro formale a tutti i beni dei patrizi e la erezione di una Municipalità Provvisoria. Nata l’abdicazione per ischivar i tumulti, si portarono gli ex patrizi, alle case loro e si pubblicò indi la parte presa, allora alcuni facinorosi col pretesto del governo caduto e in nome della RepubblicaVeneta fecero gli orrori pur troppo noti di saccheggi, cominciando dai democratici, che la piazza nominava; e già arrischiava di andar la città a saccheggio e a incendio, quando due cannoncini da campagna posti providenzialmente sul ponte di Rialto e fatti scoppiare, uccisero 60 birbanti, sbaragliaron gli altri, e ritornò la calma in quella ormai misera città. Ma essa stette anche in una perfetta anarchia, fino alla susceguente mattina, che s’installò la Municipalità Provvisoria. Dopo l’abbattimento, i dileggi furono immensi per li patrizi, e il partito democratico sommamente energico, ossia furioso. Si apersero le prigioni dette i Piombi e si trasse uno Schiavone che era 43 anni che vi era: i patrizi diceano per esser stato capo di una ribellione in Levante, ma i Patriotti dicevano ad alta voce, conducendolo per tutte le strade in trionfo, ch’era perché Zuanne Zusto allora generale in Levante volendo fare una vendetta sopra alcuni regimenti di soldati, confidò a questo, il progetto di farli tutti massacrare, loche avendo avuto effetto non rimaneva, che solo questo Schiavone, che avesse potuto tradire il segreto, e assicurarsene lo mandò a Venezia, traditoriamente sotto i Piombi. Questa cosa se fosse vera è di un orrore insopportabile. Ma il carattere del degno personaggio è troppo noto se bastasse l’astio di simili Patriotti. La casa Zusto si dovette portare dal parroco a San Servolo per assicurarsi del concitamento popolare. Tali scene vere o false che caratterizzano un governo strano in tutte le sue parti, sbalordirono in più di un senso un paese fin a quel momento pacifico, fortunato, e quasi unico.
Il complesso però del discorso lasciando la rabbia delle opinioni si è, che si era neutrali, che si nutrì la tigre, che doveva divorarci, che si diventò nemici, che si dichiarò guerra con 12 cannonate, che subito dopo si fece l’armistizio, che si si democratizzò, e che si ottenne una dispendiosa pace, e che fu allora di una massima necessità di richiamare spontaneamente i Francesi per la pubblica tranquillità, e che essi arrivarono quietamente e non senza paura per il locale la mattina del 16 corrente; anzi tutti li scopersero in piazza a guardar i loro posti essendo ciò eseguito cautamente nella notte.
Oggi tutti i cittadini portano il loro superfluo alla madre patria, secondo il Manifesto; tutto è superfluo all’occhio cupido dell’invidia. I Patriotti o non eseguiscono il comando o danno con una mano e prendono con quell’altra. Oh che comoda e orribile filosofia!
Si mette in dubbio la pace e si vorrebbe altresì quelle truppe che si dicono che vanno alla Piave, vadino invece in Dalmazia per stabilirvi vieppiù la democrazia.
I Francesi ch’erano a Venezia in numero di 4 mille, sono partiti, ma ne va, e viene continuamente. Il generale Baraguais d’Hilliers alloggiato dal democratico sig. Alvise Pisani vi staziona sempre. Il soldato francese non si trova bene a Venezia per il caldo, per l’acqua et per la mancanza di verdura, e per non poter rubare a loro piacere stante la località, che si opporrebbe facilmente, sicché i generali sono costretti di cambiarli dopo 4 o 5 giorni, mentre dicono che vi soffre la loro salute, perciò è un anderivieni perpetuo di barconi.
24 [maggio 1797]
Molta ufficialità è partita per diporto a vedere Venezia. Si dice che si vuol erigere un club, o Sala Patriottica nel Teatro Olimpico.
25 [maggio 1797]
Si dice sottoscritta la pace con Venezia ma non se ne sa gli articoli. Si vuole, che il doge dopo l’abdicazione per una delle solite apparenze l’abbia avuta da Bonaparte in una lettera, rimandata ad esso sigillata perché non v’era più tempo.
L’incertertezza poi della sottoscrizione di quella di Leoben, ora le gazzette ci fanno credere, che saremo liberi, facendo centro del governo, ora Bologna, ora Venezia, ora Milano, ora qualche altra picciola comune, ora, si dice, che siamo dati in compenso all’imperatore, ora che il Duca di Parma verrà traslato in queste nostre città, se si unisce poi all’incertezza del nostro destino le immense requisizioni, le condotte arbitrarie, le ruberie, il non discernere, il tempo si amareggia, si oscura di molto il bel quadro di felicità che i pazzi vorrebbero lusingarci per l’avvenire. Dopo pranzo si ha tutti i giorni il bello e rumoroso spettacolo degli esercizi militari in Campo Marzo, con istromenti e tamburri, e ci va molta gente a piedi e in carozza.
La situazione non può esser più bella.
26 [maggio 1797]
Continuano le argenterie delle chiese a passare a Milano avendo dato ordine Bonaparte di aver anche il resto, non lasciando alle chiese che un calice per ogni due altari. L’argenteria fusa già a beneficio di alcuni Municipalisti, egli la lascia in compenso al povero Monte di Pietà. Si spera ancora il rilascio delle casse publiche. Il cittadino Enrico Bissari sta sempre a Milano, per ottenere a stento delle continue variazioni e modificazioni, ma i piani dei generali sono impossibili a rimuoversi, tale è in sostanza la sua risposta e ancora vi son dei sciocchi, che aloggiano tante fole. I fatti parlano, ma le parole incantano.
Tutto giorno si parla dell’energia sfrenata di Brescia, che si vorrebbe imitare, del buon sistema e andamento di Padova, e si critica i dolcissimi manifesti veneti, di cui fa male però, le continue crudeli invettive che si permettono contro di Venezia degli uomini ragionevoli ai quali dovrebbe bastare, se però ciò fosse vero, l’abolizione dell’antico governo senza inveire bassamente cogli individui, di cui ora siamo per vero democratismo fratelli. Le passioni girano ogni cosa a loro modo.
Tutti i nostri generali sono andati ieri a Venezia ed abbiamo quì 3000 uomini.
27 [maggio 1797]
Gran rumori per il Dell’Acqua, licenziato dai Municipalisti e strappazzato dal cittadino Niccolò Monza per aver egli democraticamente mangiato l’abito della città.
Un barcaiolo Veneziano vedendo sui cantoni i Manifesti con il leone che in cambio di portare il Pax tibi Marce etc. dice I doveri [lapsus freudiano: i diritti] dell’uomo e del cittadino, esclamò, de Diana, dopo tanti anni San Marco si hà pensà de voltar carta?
Si proibì in oggi le locande sulla sera per i disordini e tumulti dei soldati e per conseguenza le cosi dette ...[illeggibile]. I patrioti, ch’ivi stabilivano della roba, della quiete e della vita altrui si lagnano di questo ordine e ne ricercano una mitigazione.
I nostri legislatori di accendono colla bottiglia all’apice della democrazia, senza vino e senza pattate non si può esser buon patriotta.
28 [maggio 1797]
Corre oggi un invito della trentatreesima brigata per una festa da ballo da essi nella casa del cittadino Ottavio Trento ai 30 del corrente. Credo che vi sarà molto concorso, mentre assicurano che non vi sarà disordine e poi perché gli ex Nobili se ne formano un riguardo.
Si sta ansiosi del nostro destino o almeno della cessazione delle requisizioni e della figura che devono prender le cose. Sembra veramente tutto in un caos indeciffrabile. Enrico Bissari ritornato da Milano non porta nulla di positivo sui nostri interessi. Bensì, che il general Bonaparte gli ha detto che desidera e crede, che saremo liberi, che a momenti, manderà un suo aiutante generale il quale combinerà molte cose per il bene di questo paese, e per gli affari che interessano queste contrade: dice poi che Milano presenta il quadro della povertà, Brescia quello dell’energia e Verona quello della desolazione. Si conta che a momenti verrà democratizzata Genova, e che in Milano si ride dei manifesti veneti.
29 [maggio 1797]
Giunse ieri sera la nuova della pace fatta con Venezia e quella Municipalità fa dire alla nostra che in breve ne farà la publicazione. Ma qui non si vuol saperne di Venezia, si teme l’inganno degli astuti Veneti e non si sa mai che cosa si faccia. Oh che scene!
Massena giunto a Parigi, si dice, che proclamerà la pace a Osopo. Il general Bonaparte ha mandato il ripparto delle requisizioni in generi, che devono somministrare alle truppe le città dell’ex governo veneto.
Esse sono assai forti, stante i carichi, che da vari mesi soffrono queste infelici contrade, rese dalle più strane combinazioni, il teatro della guerra.
I Francesi dicono, che dopo le requisizioni richieste nel riparto, sarà terminato tutto e che saranno certamente le ultime, ciò potrebbe darsi se la pace fosse sicura.
Secondo i calcoli fatti, le ruberie sul Monte di Pietà, ascendono a 193 mille lire, non computando la confusione delle partite sui libri, dove hanno fatto lo scosso anche con delle date posteriori.
Intanto si va piantando alberi di libertà, a Castelgomberto, dove il parroco ne formò una funzion Sagra, costretto da alcuni energici, a Arzignano, Schio, Montecchio Maggiore. Il contadino più avveduto, soffre simili scene e non le seconda, che per forza.
Il teatro ier sera era superbo, v’erano gran Francesi, i quali si portarono civilmente; ma dove gira nei palchi chi vuole, sia ufficiali, o soldati semplici. Vi stanno però attentissimi ed amano di sentir a suonare la loro Carmagnola, di cui accompagnano la musica con battimani. Dettrata la festa, il teatro è spoglio perché ognuno si annoia, e teme qualche scena.
30 [maggio 1797]
Si vorrebbe sempre inquietar monache e frati e più di tutto fruire dei loro beni. Oggi corre il progetto di unire Santa Chiara, San Tomaso, e Ognissanti in un convento solo, ed ivi riponervi tutte le monache del paese con una pensione vitalizia. A Arzignano vi fu dei romori per l’erezione dell’albero.
Ieri successe lo spoglio dell’argenteria della Madonna di Monte dai Francesi. Li padri di Monte l’esposero tutta sull’altare di essa e questi rapacemente la presero. Si dice, che vogliano mandar degli agenti, per prender li residui che possano esser restati nelle ville. I nostri Patriotti sono attentissimi a tali suggestioni e ricerche.
Nulla di certo, né della pace, né del destino di Venezia, né del nostro, né del giro delle truppe francesi, e delle austriache, che sono in Italia.
Qui stazionano 3 milla: uomini, ma dei generali e ufficiali, sempre in gran numero, vanno e vengono. Infine è un caos di cose, di cui non si scopre che la distruzione di tutto all’ordine del giorno.
31 [maggio 1797]
Iersera vi fu una bella festa di ballo in casa del cittadino Ottavio Trento, data dal corpo 23 e mezzo [23a mezza brigata. Gli eserciti della rivoluzione introdussero la mezza brigata come unità combattente più sciolta] . La civiltà dei Francesi è stata somma, come pure la delicatezza spinta alla violenza negl’inviti. Vi furono 60 cittadine, la maggior parte ex Nobili. Il comico dello spettacolo non tolse la riflessione, che si ballava sulle nostre lagrime.
Ieri sera vi fu una mozione in piazza, all’albero, dal cittadino Roselli di qualche tumulto, invitando egli il popolo ad andar a gettar dalle finestre i Municipalisti. Essi si chiusero a discuter del pericolo, non a cambiar condotta, ed esser più ragionevoli.
Fu stabilito iersera il piano della società Patriottica, per presentarlo in oggi alla Municipalità. In fondo essa è composta dei Patriotti, che vorrebbero cangiar la municipalità ed eriggersi nel loro posto. La voglia di comandare li rende puerilmente smaniosi.
Si hanno fatte le cariche militari di 80 volontari con promessa di esser sedentari e non guerrieri. I nostri giovani amano il tono e la divisa e nulla più.
Requisizione di camicie ed altro.
Si vede continuamente delle casse di argenterie portate piangendo dai comuni, e dai parrochi, che devono partire alla volta di Milano.
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Primo [giugno 1797]
Oggi è l’anniversario dell’ingresso dei Francesi a Verona, della precipitosa fugga di quei abitanti e del terrore impressoci. Riconosciuta indi una curiosa forma di neutralità, passarono qui a vicenda, 4 o 5 volte le armate belligeranti, con quei bisogni, e quegl’incagli che saranno memorabili nella storia, e che portarono l’esaurimento di queste contrade. Appena si potrebbe ripetere, et le precipitose fughe, e le continue ritirate, il ragiro, il maneggio, il chiaro-oscuro delle opinioni, l’andamento delle truppe e dei generali e le moltiplicate trionfanti variazioni, e compassionevoli combinazioni.
La Municipalità tiene il suo comitato segreto, da cui nulla si trapella, ed ha imparato, che nei governi tutto non si può dire a tutti, come avevano lusingato ai sciocchi. Dio sa come verranno trattati i più importanti affari da simili legislatori!
Sono tre giorni, che si fucila in Campo Marzo, li tre Gabardiani. I Patriotti vorrebbero far altrettanto de’ galantuomini; ma i Francesi stessi li tranquillizzano, si sente però a gridare frequentemente morte agli aristocratici.
2 [giugno 1797]
Nulla si traspira dei segreti del Comitato, che si tien chiuso quasi tutto il giorno; sono partiti i due cittadini Brunoro Muzzani ed Enrico Bissari alla volta di Treviso per combinar superbamente coi Veneziani, almeno ciò vien supposto, altri credono per Milano, onde intavola[r] una comunicazione delle Repubblichette.
In questa sera in Municipalità, venne preso, a precipizio, eccitati dal cittadino Leonardo Bissari, senza esami e con battimani, per la prepotenza di esso l’imprestito forzato di 500 mille ducati, ed il scioglimento delle Dimesse di Santa Maria Nuova, in due ore di tempo.
Il cittadino Roselli fu amonito dalla inquieta Municipalità per la sua parlata in piazza contro di essa, volendo pure, che altri più non parlino all’albero. Ciò va bene, ma convien usare giustizia anche agli altri.
3 [giugno 1797]
Il comandante Guimbertau, conobbe le ragioni delle Dimesse, le assicurò del loro soggiorno, facendo dire alla Municipalità, che i suoi soldati non avevano bisogno di quel luogo, anzi che gli riusciva superfluo anche San Silvestro. Ciò dispiacque alla irreligiosa Municipalità, ma bisogna nell’intraprendere le cose, esaminarle e schivare di malcontentar diversi e più di tutto i propri soci.
Questa sera si apre le sessioni dell’Istruzion Publica in Teatro Olimpico. La cosa dovrà riuscir comica, mentre non si pensa che ad abbagliar i gonzi per eriggersi.
4 [giugno 1797]
Questa notte e questa mattina, continuarono ad arrivare per ben dodici mille uomini della division d’Augerau dalla parte di Bassano, si dice, che passerà indi a Verona.
La truppa è vivace e repubblicana, ma galante. L’incrociamento però delle truppe è sempre per noi un mistero ed un affar sorprendente: mai si sa nulla di preciso, nemmeno di quello, che si ha sotto gli occhi e che si mantiene a gran dispendi.
Sempre più si accrescono le dubiezze degli articoli della pace coll’Austria, nemmen quelli di Venezia si sanno. Questa città si dirigge curiosamente colla finezza antica, e colla energia democratica, alta in tutti i modi, non sa dimenticarsi d’esser stata una capitale, e le deboli città della terraferma inquiete, e piene di sospetti, ne parlano con degli orrori, ma il padre abate deciderà. La Municipalità ier sera, costretta dalle voci e grida universali prese la parte con tre voti contro, di stabilire una nuova Municipalità Provvisoria da eleggersi legalmente. Nell’attuale vi son due, o tre individui, che dispoticamente comandano e sussurrano quel che vogliono. È una vera comedia il sentire come questi rappresentanti del popolo si lacerano, e disprezzano vicendevolmente, ma adesso rinnovano la loro amicizia, per conservarsi il comando, che ambiscono sopratutto e non vorrebbero in fondo immaginarsene un termine.
5 [giugno 1797]
Oggi vi fu la prima apertura dell’istruzione publica; presidente l’abate Velo, che fece una gran parlata, mentre è facile il dire e il distruggere, più che edificare: essa è composta di 33 individui, la maggior parte veri modelli di scienza e costume. Povera nazione!
Due ore dopo la mezzanotte, sono partiti li soldati della division Augerau in numero di 13 milla:. Ier sera era un vero spettacolo in Campo Marzo, il vederli accampati alla Spartana. Tutte le strade erano affollate mentre c’erano da 2000 ufficiali.
Il teatro era pieno. Sotto il portico di esso dormivano i Francesi per la pioggia e non si poté andarvi, che caminando sopra di essi.
6 [giugno 1797]
Ier sera arrivò in teatro il generale Joubert, che fu a Venezia per diporto e di cui ne parla con poca sodisfazione come tutti gli altri militari. Si dice, che Joubert resterà nella sua divisione, parte qui e parte a Bassano.
Le città della terraferma, ossia quelli che ne usurpano il comando non vogliono sentire di fraternizzar con Venezia (credo ciò sia manipolato dai Francesi), ma sempre la Municipalità si erige in Comitato segreto, manda a Padova e Treviso dei Municipalisti, si crede per prender dei lumi su tal oggetto, non badando che i Francesi c’impongano legge in tutto. Venezia però inibisce con manifesto, amorevolmente qualunque estrazione di generi, alla terraferma dal suo porto, sinché non fraternizza. Oh che scene!
Gran caos per le nuove generali, se ne sente di ogni genere, e contraddittorie, non ogni giorno, ma ogni momento. Adesso si vanno accumulando le requisizioni ordinate nel riparto.
7 [giugno 1797]
Deve arrivare 4 mille uomini, da Verona, per riunirsi alla mancante division Joubert; sempre un andarevieni simile, frastorna qualunque congetture delle cose.
La Municipalità lavora le otto e nove ore al giorno, e la maggior parte dei membri che la compongono ne rissentono, e nella salute e dalla fatica.
Anche i membri dell’Istruzion Publica fanno a proporzione lo stesso.
Quando si disserta sul falso e con tante passioni diverse sulla più piccola cosa, e che vien alterata a capriccio di ognuno, la questione non si finisce mai.
È passata la parte nella Municipalità di eleggere due teologhi da unire al Comitato di Sicurezza Pubblica, ma si crede che si scioglierà questa curiosa mozione in nulla. Noi abiamo 17 Sicurezze Publiche e mai non siamo stati meno sicuri di nulla, dice il Pizzetta.
La Società Patriotica ha sul tavolino quattro candellieri uno di legno, l’altro di ottone, uno d’argento e l’altro d’oro, volendo significare con questo, che ognuno può portare la sua candella per illuminare il popolo, e non sarà più solo il candelliere d'oro, che avrà la preferenza. Questa similitudine è veramente chiara e sublime.
Le requisizioni sono continue e grandiose, oltre le sussistenze sibaritiche, si vuol panno, scarpe, cappelli, camicie, scarpe che mangiano come il pane, e poi imprestanze di migliaia di lire tornesi, e tutto sul momento, termine mezz’ora. Il paese si vede rovinato ed esausto, ed ancora i pazzi esclamano che non c’è energia.
Del resto i soldati in città non molestano a quel grado, che potrebbero, mentre non c’è qualsiasi disciplina e sono essi infatto un impasto indicibile di violenza, di malizia, di spirito, di dolcezza e di contradizione. Per le strade del territorio, per cui passano, nulla si può salvare, quando sono ubriacchi, ma altrimente ascoltano la ragione, e non c’è tanto male. Nella piazza poi spendono alla ricca tutto quello, che rubano e ciò piace ai botteghieri. Il resto del popolo li aborisce per natura. Degli ufficiali, che alloggiano nelle case, quasi nissuno se ne può lagnare, tanto essi cercano di addattarsi al modo di pensar di tutti, destrezza quasi particolare ai Francesi, si uniscono però fra d’essi, come le cerese [ciliege], e ogni giorno par che si dieno la parola per tener tutti lo stesso tono, o di sdegno, o di moderazione, o di guerra, o di pace. Noi presso d’essi siamo indietro di un secolo, sicché la forza, e i lumi, ci vanno vessando a vicenda, e l’oggetto di predarci tutto il nostro, si eseguisce continuamente e non ci lasciano il modo di poterci lagnare apertamente.
Oltre il peso degli alloggi, che succede naturalmente per le truppe, v’è tutto quel di più, che l’invidia, il maneggio, e i patrioti comandano. Il è il più vessato di tutti essendo ormai casa generalizia [residenza del generale].
8 [giugno 1797]
Iersera repentinamente si mandò un ordine della Municipalità, che termine due ore, dovessero evacuare le monache dell’Ara-Celi dal loro convento, senza nemmeno assegnarle un luogo ove ricoverarle. Si mossero i Parenti ed andarono dal general Joubert per pregarlo di lasciarle tranquille. Convien notare che alcuni Marcanti avevano formato il disegno di stabilir in esso un laboratorio di sete, e che essendo esse delle prime famiglie, poterono con tal pretesto, venire a termine del loro dissegno. Joubert dunque rispose, che se gli era fatto supporre, che fossero in 6 vecchie, che desideravano di passare in altro luogo, ma che non essendo così, non è conveniente d’inquietare le povere monache, sinché non si ha esaurito tutti i luoghi più convenienti, al che ricercò al suo aiutante se vi fosse un convento di frati a proposito, egli rispose che tale sarebbe Santa Corona, il che fu preso.
Questa mattina evacuano dunque precipitosamente quei poveri Padri, vittime più dell’irreligione e della cupidigia, che del bisogno. Veramente si ha delle gran Truppe, e convien alloggiarle, ma se vi fosse direzione, e probità si potrebbe combinar le cose con quella discrezione, e convenienza, che la ragionevolezza della necessità farebbe tollerare, anzi esibire. Ma la distruzione è all’ordine del giorno, con tutte quelle passioni, che la può render più amara.
Si dice che rimarranno in Italia le due divisioni Joubert Bernadotte.
C’era in Vicenza il Casino detto de’ Nobili, ma essendosi cambiate le circostanze più non doveva sussistere e i Pres.ti di esso invece di vendere i mobili, e sciogliere possibilmente l’affittanza, pensarono di presentare un memoriale alla Municipalità, esibendogli i mobili in vendita, e pregandola di scioglierli dal contratto dell’affitto. Il Presidente loro rispose: che era bene indifferente alla Municipalità, che vi fosse un casino o no, che tutti i cittadini, con una denominazione differente, possono aver un luogo dove ballare, e conversare, ammettendo chi più a loro piace, che per i mobili essi non ne sapevano che fare, che per il contratto poi dell’affitto, si deve stare alle solite norme di giustizia nei contratti privati. Si poteva schivare una tal scena piena di viltà, e non esponersi al ridicolo, che tanto amano i nostri falsi democratici.
9 [giugno 1797]
La Società Patriotica comincia a far dei torbidi perché ci cada la Municipalità, e ponersi in suo luogo. Il Cit.o Cochio fa una mozione alla Municipalità di formarne una di stabile, di democratizzar militarmente il territorio, che non vuol sentire le pazzie della città, per cui i Patriotti arrabbiano e reclamano la resa de’ conti. La Municipalità intimorita fece delle bellissime risposte, ma maneggia e cerca di distruggere la Società Patriotica per renderle vane.
Scoppiano delle inquietudini nei Sette Comuni per le armi e per le argenterie, e più di tutto per non accettar il presente stato di cose, e minacciano di dedicarsi all’imperatore, o di voler essere un dipartimento totalmente indipendente, e di venir un giorno ad abbruciar tutti i Giacobini. Questi cercano di rovinarli presso il generale Joubert, il quale, colla solita sua moderazione fa sempre arrabbiare gli energici. I Francesi ci vietano tutto esclamano essi! In qual angolo è riposta la nostra fluttuante sicurezza! Povera Patria, dicono i galantuomini.
Lagno dei Veneziani per l’odio gratuito della terraferma. Le ragioni di questa sono il timore, che Venezia divenga il centro e di combinar nei debiti di quella comune, e nei aggravi, che si è posta per i Bernabotti, e ministri e il di cui deficit ascende a 46 millioni. Ognuno discerne che questa opinione potrebbe venir attraversata da chi comanda, ma non si vuole cadervi da sé. Ciò può esser in cambio quel che si cerca, perché la forza e la politica ci gira come dei marionette. Quel poi che mi dispiace è di sentire l’odio individuale, il quale non dovrebbe, anche nel loro modo di pensare, aver più luogo, quando l’antico governo si trova di già cambiato; e lo spoglio, che si fa di tutte le loro case, come proprietà comune, non può esser permesso da nessuna legge, quand’essi si prestano a pagare tutti i loro pesi. Il discorso è: tutto il senato si è arricchito colle nostre sostanze, dunque tutti i senatori devono essere spogliati a benefizio della nazione. Farebbe ridere se lo sdegno non fosse maggiore. Ma né Venezia, né nessuno sa il loro futuro destino, cosa angustiosissima per tutti. Si dice, che Venezia abbia ottenuto la pace, ma ancor non si vede la liberazione dei sequestri fatti dai Francesi a tutti i loro beni, che i Patriotti sperano scioccamente di fruire ottenendoli in dono dalla Francia. Quali deliri! Il tempo deciderà, ma non se ne vede il principio.
Sono arrivati ieri 3000 uomini della division Joubert, che devono star quì di permanenza; e però sussulti grandi per sciogliere fraterie e conventi. Le monache girano come le passere, mentre vanno in un convento e poi passano in un altro, e non possono mai esser quiete. L’inquietudine è all’ordine del giorno, per ogni età, stato, e condizione.
La Municipalità affatica i giorni interi, ma tutto con confusione, senza piano, senza gente abile, dando per la sua dapocaggine e malizia, mille vantaggi ai Francesi, nelle loro immense requisizioni, facendo delle scelte infelici di ministri, pagandoli esuberantemente e moltiplicandoli, infine uno scompiglio e una malcontezza universale, e quel, che è rimarcabile più in quelli, che sono infervorati nel democratismo, che negli altri. La voglia di dominare, di soverchiare, di approfittarsi, si scorge in molti, e se ne raccontano delle scene palmari, anche in chi meno si avrebbe creduto. Oh che Babilonia!
La Guardia Civica in numero di 80, è di già in funzione, senza qualsisia paga. La truppa mobile vicina a 500, e in essa non trovasi che la maggior feccia possibile, ciò vien rimarcato dai Francesi stessi.
10 [giugno 1797]
Ieri sera gran dibattimento alla Municipalità fra i membri ed Enrico Bissari ebbe una trabile, per cui è ammalato, atteso il memoriale dei padri di Santa Corona, per conservarsi nel loro convento, e ricercando le parti prese sulle monache e sulle Dimesse. Si dibatté molto, ma tutto rimase incerto, attesa l’opposizione del generale Joubert. Ma oggi tutto all’improvviso, si diede l’ordine alle monache dell’Ara-Celi di sortire domani a 12 ore per passare nelle Dimesse, le quali vennero sempre sostenute dal cittadino Brunoro Muzan.
In oggi si proibì i lacché, e si voleva, anche i musici.
Oggi si trovano in Vicenza 7000 uomini di Joubert, i quali non si sa quanto si fermeranno. Somme requisizioni.
11 [giugno 1797]
Questa mattina sono passate le Araceliane nelle Dimesse.
È arrivato un ordine di Bonaparte di liberare i sequestri dei Nobili veneziani (questa frase dispiacque e diede a pensare) dovendosi reintegrare i loro agenti dei mobili derubati, cosa che pose in iscompiglio la Municipalità, (la quale ben sa che ciò è impossibile, ma vede che gli si toglie il modo di continuare a imperversare) che ha abusato in questo a tutte le leggi di civil società. Essi non avevano più un letto da dormire quando ritornassero alle case loro. Gran orrore e gran bassezza. Almeno questi mobili avessero servito alle loro case vuote in città, ma tutti gli altri usi, la cosa è insoffribile. Eppoi si decanta la virtù, la democrazia più pura, e si fa delle azioni che ne sono incompatibili, anche a loro dire, ma essi sono i carnefici, non i benefattori dell’ordine sociale.
12 [giugno 1797]
Grande scompiglio municipale per le operazioni sospette di Venezia. Spedizione di due inviati per trattar affari di finanze.
La Società Patriottica ha estesi 60 temi, cioè di sciogliere i Fideicommissi, liberazione totale delle acque, ed altri importanti oggetti, tutto a getto di penna.
Si riffonde gli uomini e il mondo, come ridere.
I Municipalisti arrabbiati dell’odio universale, mostrano un raffredamento di ardore, parte si trovano ammalati, e parte inquietati, e protestano che la somma afluenza del popolo sovrano, che va a interrompere le discussioni, non gli lascia per i suoi battimani il campo di trattare le cose come convengono. Il poco popolo, che vi va, non la farebbe temere, ma vede, ch’esso vien mandato da dei partiti della Società Patriotica, e per ciò vorrebbe liberarsi anche da questa soggezione.
13 [giugno 1797]
Si va risarcendo, per forza i mobili esistenti o compensabili dei Veneziani, con molta rabbia, sembrano tanti bambocci.
Essendo sciolto il casino degli ex Nobili, si vorrebbe fare una Casa di Amicizia, con 200 associati, che abbiano ognuno 4 viglietti disponibili, pagando 60 d’ingresso, e 6 al mese. Progetto del cittadino Carlo Vicentini.
Gira una carta, la cui testa è il desiderio degli Italiani di fondare una Republica grande ed indivisibile; dipende dall’arbitrio di ognuno di sottoscriversi, sarà data a tutti i Parochi, onde farle più sollecite, e sicure. Se fosse alla testa i Francesi, converrebbe sottoscriversi, perché in mezzo alle baionette, non si fa obbietti. Ma ella è una cartuccia che viene dall’Emilia ai mercanti Milana, i quali vorrebbero farsi onore anche con questo. Essi la predicano e s’arrabbiano, perché tutti vorrebbero una Repubblica tanto grande, quanto si potesse starvi dentro, e vivervi tranquilli, e non danno a loro quell’orecchio che desidererebbero.
Mi raccontò un municipalista degno di credenza, che Augerau loro disse, che i beni de’ Veneziani dovevano rimanere alle città in cui esistono, e che esse acquistandoli guadagnerebbero il 50 per cento poi che ne disponessero liberamente a risarcimento dei loro crediti. La liberazione nata dai sequestri, manda in fumo tali lusinghe. Esso poi fortemente fece intendere che bisognava mettere sul piede militare 2000 uomini, mentre a stento non si poté arrivare a farne 500. L’altro giorno, il general Joubert qui preside [Comandante in capo, ricercò ai Municipalisti di che ne volete fare di questa gente? Essa non può esservi che una spesa inutile. Licenziateli. Ma soggiunse poi amaramente: se noi agiamo al concerto dei Francesi, facilitano tutto, e poi cangiano, se non lo facciamo s’irritano, e ci strapazzano. Tale situazione se è vera, è molto imbarazzante. Bisognerebbe cercare, prima di non esservi, poi non potendo fare a meno di agire con tutto il buon ordine, prevalersi dei migliori cittadini, cercar soprattutto di non far dei conti senza l’oste, tener a Milano due migliori soggetti per veder s’è possibile in un tal pozzo, poi converebbe addattarsi al destino delle cose senza rimorsi, e dispiaceri. La massima di agir bene e lasciar che tutti dicano, sarà sempre addattata in tutte le operazioni e in tutti gli avvenimenti umani particolarmente in una lotta così terribile di opinioni diverse.
È stata presa la massima dell’imprestito forzato con un certo piano, che rovina come il solito i maggiori possidenti, con vero giubilo patriotico. Questi sono i preamboli per giungere al ben della grandezza d’Italia; i sacrifizi però ben fatti, se ottener si potesse con questi la pace, e la tranquillità, ma dall’attual sistemazione di cose, non si può arguir che sommi mali, senza qualsisia compenso.
14 [giugno 1797]
Corre una carta per sottoscrizione di desiderare una Repubblica grande ed indivisibile piuttostoché una picciola. I Parochi sono incombenzati di cercar di farne.[?]
Si dice, che la pace con Venezia (i cui articoli non si ha mai potuto vedere) abbia l’articolo della unione della terraferma, e rimanendo a peso di tutti la contribuzione, che vi si ricerca.
Ai 28 del corrente, ci sarà una festa civica in Campo Marzo, ordinata da Bonaparte.
Domani si sarà lo spettacolo popolare della Rua, decorato dalla truppa italiana, per la publica tranquillità. Alla processione, vi sarà la Municipalità, e la Società Patriotica, con contrassegni tricolorati.
15 [giugno 1797]
La processione fu seguita dalla Municipalità in sciarpa e abiti verdi e rossi e da tre o quattro della Società Patriotica e dalla nostra civica e truppa italiana, che fece per la prima volta la sua miserabile comparsa. La Rua fu portata, ma non vi fu mai niuno dal territorio, e pochissime voci, e balli angustiosi di libertà, non si volle fermarla alle case ex Nobili, ma bensì ai cantoni, si portò emblemi contro i Veneziani, ma tutto senza qualsiasi applauso, né allegria, fu anche molestata dall’improvvisa pioggia, che mandò i nostri storpiati militari al riposo.
Iersera vi fu gran altercazione, alla Società Patriotica tra il presidente abate Velo e il cittadino Cocchio e si pretende, che terminassero colle pugna, se le fischiate non avessero terminato le cose sul momento. Oggi essa è rimasta chiusa. La Municipalità non è tranquilla sinché continua questa fucina rivoluzionaria.
I cittadini Lorenzoni e Bologna, come comitato di Finanze, sono partiti per Venezia essendo colà richiamati dal cittadino Haller per intendersi sopra di un tale argomento. Poveri noi! Si dubita, che nella contribuzione di Venezia possa esservi annessa la terraferma, ma quello ch’è certo è che ci scorticheranno.
Non si sa ancor nulla della pace di Leoben, ma sembra che tutto debba svilupparsi in breve. Il fermento delle cose è grande. La carta, onde sottoscriversi per una Republica grande, ovver picciola, essendo stata trasandata per non esservi né capo, né piedi, è stata avvallorata con manifesto della Municipalità, la quale aggiunge, al solito, che chi non la sottoscriverà verrà riguardato come aristocratico; dice, per altro avanti, che sarà in libertà di ognuno di farlo, solita contradizione della moderna democrazia.
16 [giugno 1797]
Iersera un certo cittadino Camerella, fece una mozione alla Municipalità di qualche tumulto, si dissimulò, ma si penserà al castigo, mentre questi sovrani non amano di venir detronizzati. Neppur oggi la Società Patriotica non aperse le sue sessioni, la cosa è in maneggio della diffidente Municipalità e se ne saprà l’esito. I Milana furono i primi a volerla, poi si fanno debito di sopirla, per non pregiudicarsi nell’esenziale: avendone di già ottenuto l’intento. Cochio serve di mezzo termine e dà il campo facile, perché non ha a che fare con dei storditi.
Si va organizzando i vari dipartimenti dal cittadino Leonardo Thiene, che dovranno anche formare, s’intende con lentezza, una stabile Municipalità.
Vi sono vari Municipalisti ammalati, Ceroni, Enrico Bissari,Testa, Guzzan ed altri che vi vanno ad agire con tepidezza, particolarmente cita.
Gran prodigio: il general Joubert appena arrivate le rimesse, supplì all’imprestito incontrato colla cassa nazionale di 100 milla: lire che si pretendono porzione di soldo fatto contribuire dall’ex Duca di Modena, che incautamente si lasciò ritrovare a Venezia.
17 [giugno 1797]
Oggi Camerella, per la sua parlata tumultuaria alla Municipalità, intaccandola palmarmente sul cattivo maneggio delle finanze, ad onta di aver essa risposto, che attesi gli affari non potrebbe ascoltarlo sennon dopo tre giorni, fu ordinato il suo imprigionamento, e il cittadino Segala, unico talento scoperto nella rivoluzione, si prese l’impegno di eseguirlo da sé, senza soldati. Questa condotta inquisitoriale in un governo libero sorprende.
Sono arrivati da Venezia, Lorenzoni, Bologna, essendovisi colà il cittadino Giambattista Muzzani, tutti e tre ivi richiamati come Comitato delle finanze, dal cittadino Haller sopraintendente alle Finanze generali: furono da esso lodati come atlantici e filantropi in tali materie, e indi loro emanò l’ordine di far contribuire dalla terraferma, detratte alcune città, 28 millioni di lire nostre, da pagarsi con scala, dai maggiori possidenti. Essi formeranno il piano per Vicenza.
Si è fatto il processo a Padova del famoso ladro del Monte nostro di Pietà, e a tale oggetto, furono richiamati due individui, che invigilano su di esso. Ma essendosi costui, come ben si può credere, assai difeso, non fu condannato dai Francesi, che a soli 5 anni di prigione, facile a sciogliersi, perché il reo è nelle loro mani. Di risarcimento non si è nemmeno parlato. Gli affascinati, che credono infallibili i Francesi, si tengono sicuri di detrarne la somma dalla contribuzione. Poveri sciocchi!
La Società Patriotica si riaperse questa sera, ma fu al quanto insipida e vi concorsero pochissimi spettatori, e niun di quelli, che vi vanno unicamente per godere i pazzi.
18 [giugno 1797]
Baldisserotto parlò in piazza, sul piedestallo dell’albero, c’era marcato, e i contadini fugirono, ed egli loro lanciò dietro il proprio capello, dicendo: non meritate, che si affatichi per voi.
Oscurità politiche inesplicabili.
Società Patriotica quasi deserta.
Ultima recita dell’opera buffa, a cui intervennero tutti i soldati francesi, i quali tumultuarono per entrarvi a segno, che gli abitanti dovettero tralasciare di andarvi. Un distaccamento di truppa aquietò ogni cosa. Spiace ai Francesi di non aver più un trattenimento alla sera e parimenti al paese per la sua tranquillità.
19 [giugno 1797]
Oggi pranzo dal generale Rose a Caldogno dal conte Pietro, la cittadina Trissino, Sala e altre tre, ma la società riuscì fredda, mentre i Francesi erano distratissimi.
Padova ha stampato un bando per i Veneziani, talmente, ch’essi non potranno nemmeno passar. Ma sulla liberazione dei sequestri dei loro beni, si dovette ritrattare una simile bestialità, e far loro, con cortese invito al contrario: succede poi che nel momento istesso la Municipalità veneta inibisce ad essi di sortir da Venezia. Quante contradizioni!
20 [giugno 1797]
Il cittadino Leonardo Bissaro, pieno di zelo e sistema, ha voluto poner tutto l’ordine fattibile nella Municipalità, richiamandola a poche ore del giorno, e a due soli giorni alla settimana, l’intervento del popolo sovrano, del qual si teme l’aspetto, mentre invece di applauso, non riscuotono, che fischiate. Pose anche in attività i diversi comitati; ciò era necessario, mentre prima tutto il giorno si discuteva con gran confusione e bisbiglio, sino a notte avvanzata, né v’era un piano immaginabile.
I Sette Comuni non vogliono sentire la rivoluzione, portano la coccarda veneta e in proposito di argenterie e di armi, dicono che chi le vuole, se le vadi a prendere, ch’essi le difenderanno. Il general Joubert prende con moderazione queste espressioni, forse vedendo che v’è del rischio e non un oggetto a costringerli, ma v’è chi anima i Francesi a farlo. Gli uomini sono molto cattivi.
La Società Patriotica, continua, ma senza applauso, né concorso, le penne maestre la lasciano languir da sé anzi han mosso Joubert a scriver una lettera in questi termini al presidente abate Velo: che chi dirigge tali società, dovrebbero essere degli uomini istruiti e ragionevoli i quali stabilissero preventivamente delle solide leggi fondamentali; più, che si devono restringere all’istruzion solamente, senza altri rapporti ambiziosi, che potrebbero divergere da un oggetto tanto interessante; e se ciò si eseguirà, egli la farà rispettare e vi venirà in persona, quando li suoi affari glielo permetteranno. Si pretende che l’aria e gli epiteti dell’abate abbiano imposto a Joubert, vi andava egli dicendogli liberamente cittadino generale, e prendendo in parola i Francesi, essi restavano confusi di tanta franchezza, quantunque essi meglio di tutti ne conoscessero la stupidità.
Ecco una curiosa lettera stampata sul termometro politico che dà un’idea del pensare dei nostri stessi abbagliati Patriotti. Essa si crede dell’abate Velo e dipinge il nostro paese in qualche parte.
Vicenza 7 pratile
anno I° della Libertà Italiana
I Vostri saluti mi sarebbero stati cari in ogni tempo e luogo, ma una spontanea Vostra lettera scrittami in tempo della feroce dittatura di Erizzo, e che perciò non ricevei, e la seconda che ricevo nel momento, che recuperiamo un’indipendenza e una patria, mi riescono oltremodo carissime. Tanto più che oltre ad essere una dolce memoria dell’amicizia, sono pure una sincera congratulazione pel nostro stato ed ordine di cose, che la Lombardia dopo una schiavitù di secoli va sicuramente ad incontrare e a mantenere.
Questo felice ed inapprezzabile momento per altro (come suol avvenire nei grandi e totali cambiamenti) porta seco un carattere di arbitrio e di disordine rivoluzionario, più, o meno sensibile nelle varie città insorte a norma dei vecchi pregiudizi e delle passioni, più o meno dominanti nelle diverse padane regioni, che sotto gli auspizi della forza e delle vittorie francesi resersi indipendenti. A Brescia e Bergamo lo spirito democratico ardente e fermo ha fin dalla sua culla abattuto con colpi sicuri l’idra schifosa dell’aristocrazia. A Padova la scelta dei più zelanti ed abili filantropi ed una saggia organizzazione Municipale, che mette in azione le migliori teste ed i caratteri più risoluti di quella popolazione promettono sicuramente l’abbassamento e la distruzione dell’orgoglio aristocratico. In Verona persino, nella disgraziata Verona, dove la fermezza d’autorità d’un popolo umiliatore d’ogni potenza in Europa ha istallato una Municipalità tutta di veri e provati Patriotti, composta la cosa pubblica, comincia a prendere un andamento fermo, risoluto e pel futuro ordine di cose decisivo.
Tra noi diverso termometro di filosofica cultura, di energia nazionale e di pregiudiziale ostinazione ha partorito effetti molto diversi e conseguenze meno felici per il pubblico bene.
I buoni patrioti è vero, profittarono dello sbalordimento degli aristocrati all’avvicinarsi de Francesi e Cispadani d’ogni canto vittoriosi per strappar loro di mano ogni autorità. Ma necessità, timore, incertezza, fretta più che altro produsse nel maggior numero la rivoluzione. Prevenzioni particolari, personali interessi, spirito di partito presiedevano la nomina della Municipalità provvisoria.
Una fazione non filosofica, né educata dai lunghi e profondi studi sull’uomo e sulla prodigiosa rivoluzione delle Gallie; ma alimentata coi discorsi di piazza e dei caffè una fazione d’indifferenti a qualunque forma di governo purché si conformi ai loro interessi, determinata alla democrazia più dalla necessità di cedere all’irresistibile preponderanza francese, che persuasa per principi, piu per spirito di incitazione, che per cognizione di causa; questa fazione, oppressa prima dalle esclusioni ed animosità dell’altro partito, colse l’opportunità del nuovo sistema politico per figurare, mettersi alla testa della popolazione ed opprimer la fazione contraria.
Le cattive conseguenze di tal premessa non poteano nella total loro estensione, che corrispondere alla malignità del principio. Quindi ingiusta e pregiudiziale intrusione ed esclusione di persone promossa dal pregiudizio e dalla passione, diretta dall’intrigo e dal maneggio; quindi la maggior e miglior parte dei patrioti esclusa dall’ingerenza dei pubblici affari; quindi i più accorti e mascherati aristocratici prescelti; quindi l’interesse privato sostituito all’amore del ben publico e il personale orgoglio al vero utile del popolo.
Un’infinita presunzione di sé medesimi, la quale è sempre figlia dell’ignorante mediocrità e che mi sembra formare la base morale de miei concittadini, osò promettersi di tutto regolare, distribuire, organizzare e perfino di tutto scrivere con un miserabile stile, parto di teste prosuntuose, esaltate dall’acidentalità non meritata del posto, e mai riformate cogli esemplari del gusto, colla solidità del carattere, coi precetti della filosofia, e coi principi dell’analisi.
Il coro si è lasciato nell’inazione per la ben rididicola superbia di non adottare le buone provisorie regolazioni che se ne son fatte a Padova e Verona. Non si sono istituiti comitati, poiché io non chiamo formalmente tali l’unione di due o al più tre persone in una tale materia più intriganti che dotte. Il peggio è che si sono omessi i più integranti come quello di Sanità, di Pubblica Istruzione, di Agricoltura e Commercio, né si vuole per una compassionevole presunzione di imitare l’ottima organizzazione della patavina municipalità. E ciò certamente con piena malizia; poiché il carattere dell’aristocrazia, il quale è concentrativo, come è diffusivo quello della democrazia, non si vuole su molti estendere la diffusion del comando.
Non si chiama alcun francese illuminato per sistemare le cose di concerto colla Municipalità. Nelle elezioni militari non si consultano né i generali né il comandante della piazza; nessun anzi mai di questi chiamato, assiste alle sessioni. Queste fannosi a porte chiuse, né alcun luogo si trova destinato per l’intervento del popolo, o alcuno dei più distinti cittadini. Non si pubblicano le materie né trattate né da trattarsi, non si vota coll’accessione e discussione della persona ma coi bossoli ciechi; ogni operazione è coperta col velo dell’arcano e specialmente quelle cose dedicate al pubblico erario.
Il Ministero in genere è composto parte di ladri, parte d’inetti, tutti fatti per broglio ed avvanzi detestati e corruttibili della passata oligarchia municipale.
Si fà si disfà, si ordina e si disordina, si propone né si risolve, si pretende di far tutto,innovar tutto, e tutto intanto si trova in un disordine e confusione perfetta e siamo ancora all’alfa di questo grande affare.
Eccoti, o stimabile e caro Amico, la nostra situazione veramente rivoluzionaria! I buoni e abili gemono; il popolo freme e minaccia. Esso è lontano… sì lontano e ogni cosa va come a Dio piace. Si è parlato e si parla, ma inutilmente. Questi Catoni da nuova specie non ascoltano, che la loro sapienza attinta a tutte altre fonti, che a quelle degli antichi, ch’essi non conoscono; e de’ grandi legislatori delle Gallie, ch’essi non leggono o non intendono nemmen l’idioma. Ho tardato a risponderti per istenderti questa dolorosa Iliade sulla nostra non so se si debba dir, rivoluzione o disgrazia. Amami.
Salute e fratellanza. Accludo una cosuccia recente.
Il tuo cittadino
G. V.
Questa lettera fece molta sensazione a Parigi al dir dell’abate Fortis, ma a noi può servir di prova, che ogni governo è suscettibile di critiche, particolarmente dal canto degli ambiziosi, che si veggono negletti. Un vero ed istrutto filantropo è ben raro, ma la rivoluzione attuale non lo comporta.
Si stanno facendo dei gran preparativi in Campo Marzo per la Festa Civica dei 28 corrente, che celebrerà la memoria, di tutti i generali ed ufficiali, che si sono distinti e che hanno perduto la vita nelle campagne d’Italia. I cittadini Iseppo Gastaldi e Alessandro Trissino, sopraintendenti della gu[g]lia, diretti dai Francesi, e sino a quest’ora supplisce alle spese la Municipalità.
21 [giugno 1797]
Nulla si traspira degli articoli della pace. Si dice che a momenti si farà un Gran Congresso, che tratterà della pace generale, ma ogni cosa è congettura.
Giunge un ordine di Bonaparte, molti credono per la lettera quì soprascritta dell’abate Velo, ma io credo per i suoi soliti fini, che soprime tutte le Municipalità della terraferma veneta. Forma egli sei dipartimenti, in ognuno dei quali, ci deve esser una Municipalità Centrale di 23 individui da eleggersi dai generali francesi stazionati in esse città. Venezia è lasciata in bianco, qual mistero! Questa notizia, riuscì inaspettata ai nostri politici, e soprattutto di dolore agl’impiegati, stante i precisi rimproveri di Bonaparte, di mala aministrazione di giustizia, di finanze, assassini, e anarchia ec…. A ciò si unisce il giubilo universale di un bel cangiamento. È vero, che si teme moltissimo della scielta futura, mentre gl’intriganti ed i raggiratori si presentano più facilmente dei galantuomini, ma intanto stampi quell’altra. Il general Joubert però, è un bravo uomo, ed è sperabile, che voglia, e sia informato d’ogni cosa, s’è però possibile in tal imbroglio. Egli si ritrova, da due giorni a Bassano, sentiremo cosa succede, mentre l’ordine è istantaneo.
Quando mai si correggeranno gli uomini dal formar dei piani puerili e di far tanti conti senza l’oste!
22 [giugno 1797]
Il general Joubert si trova ancora a Bassano, e quasi sarebbe desiderabile, che componesse colà la nostra Municipalità, senza poter venir ingannato dai brogli degli ambiziosi, che già fermentano. Ma questo bravo uomo, forse seconderà quelle giuste ed oneste intenzioni, di cui mostra d’esser ripieno, e che gli niegano solo quelli, che non le conoscono, e che perciò gli rendono maggiormente giustizia col loro biasimo. A che siamo ridotti!
Questa mattina si mandò in giro un Municipalista, col parroco alle case per aver sottoscrizioni alla repubblica grande o piccola liberamente, ma non si vuol restrizioni. Oh che comedie! Per me credo, che quel che sarà stabilito seguirà e che sia molto inutile l’orgasmo di alcune teste riscaldate, le quali amerebbero, di fare impazzire per i loro interessi tutto l’universo. Oh il bene per il bene, è molto raro! se a questo si potesse solo avvicinarsi, quanti galantuomini vi concorrerebbero di core!
Manifesto di proibizione di lacché [È utile ricordare che i lacché portavano la livrea della casa nobiliare in cui servivano.La proibizione dei lacché stava a significare eguaglianza per tutti]. Adesso si sforza le carte per il comando, nella spirante indiavolata Municipalità.
Nel lazzeretto vi sono 300 rognosi e se ne attendono altri 800 d’incurabili. Non si sa il luogo dove verranno posti per salvezza comune.
23 [giugno 1797]
È arrivato il general Joubert da Bassano. Li Municipalisti furono subito a ricevere i suoi comandi, in adempimento all’ordine di Bonaparte: ed esso loro ricercò, una nota di tutti li cittadini, che credessero abili tanto in Vicenza, come a Bassano e in questi due territori, e ciò verrà fatto in pochi giorni. Speriamo bene.
Si ha sciolto improvvisamente il Colleggietto Bertolini a San Zulian dopo tante espressioni sull’educazione.
Si attende la division Bernadotte, per la festa funeraria, ch’è stata protratta d’una decade.
La Municipalità si è riunita, con tutto l’imbarazzo e la disperazione e fino a 6 ore italiane, non era ancor terminata la sessione della sua dimissione.
Nulla di nuovo in materia di pubbliche notizie, ma una quantità di ciarle, che sempre più ingolfano le idee.
24 [giugno 1797]
La Municipalità affatica, nella scielta di 46 cittadini di cui l’ha incombenzata Joubert e si è ballottata, essa stessa, per non mancar dei migliori, come è ben naturale, ma strano.Verrà però ciò deciso fra pochi giorni dal generale Joubert.
Il comandante della piazza Ghuimbertau, ha terminata la sua rappresentanza, molto calcolata in paese, ma esso non fu gran fatto grato verso la casa Trissino dove abitava, esigendo, ad onta del trattamento sempre ad esso fatto, che il paese lo rimborsasse del suo mantenimento. Il comandante Laval lo rimpiazzerà, di esso pure se ne dice bene.
25 [giugno 1797]
L’antica Municipalità è composta di 35 individui, ognuno di essi ha dato una nota di 46 soggetti; tanto si abbisogna di essere governati. Si è poi ballottata essa stessa, cosa assai disdicevole particolarmente anche per li epiteti non lusinghieri, ma infamanti, che sono precisati nell’ordinazione di Bonaparte, stampata e divulgata. Il generale Joubert, ha anche loro rimproverata la dimenticanza per non averne cognizione di nomine Bassanesi, e loro disse: come non conoscete voi degli uomini 18 miglia qui lontani? Esso generale riceve le note private d’ognuno e i galantuomini cercano di esentarsene di darne e si espresse, che sarà una Municipalità provvisorissima. In breve si sentirà l’installazione che in questi momenti è sospirata, di degni soggetti e capaci.
La Società Patriotica restò chiusa per la mancanza totale di spettatori e forse per speranze future. Si dice però, che ci sia stato per distruggerla, dei gran maneggi; ma molto ha dipenduto dal tono disprezzabile, con cui era incominciata. Forse risorgerà colla nuova Municipalità e con il cambiamento in sé stessa di alcuni soggetti, che la compongono. Ma per verità queste Sale Patriotiche non sono composte che di gente ambiziosa, che aspira al comando Municipale e prende il pretesto dell’Istruzione per farsi conoscere e avere un partito.
30 [giugno 1797]
Gran impegno del general Joubert e Beillard per fare una buona Municipalità, lagnandosi essi, che tutti i cittadini si scansano di servire. Gran curiosità e gran maneggi per questa nomina. Si assicura, che il general Joubert si troverà fuor di città per non accettar in appresso alcuna dispensa.
La vecchia Municipalità è melanconica, minaccia che la futura dovrà far pagare assai, perché le casse son vuote, e dà dei segni di vita con delle innovazioni, per non poter abbandonare l’idea d’un dispotismo, a lei palesemente troppo caro ed assoluto.
Essa Municipalità ha mandato 40 Soggetti tutti Patriotti per le ville, onde fare le sottoscrizioni alla Repubblica Grande ec.; tutti i Preti e i Possidenti dovettero sottoscriversi, ma il popolo non volle mai intendere di farlo, onde venendo raguagliati dal Sindico e Notaro del luogo, ch’era impossibile di far sottoscrivere tutti anche per il tempo. Risposero col mezzo dei commissionati. Non serve, prendete i libri del battesimo, trascrivete i nomi e s’intenderanno tutti sottoscritti, senza che lo sappiano e se lo verranno a sapere, verranno a dare il loro dissenso. Ecco le solite libere espressioni del sentimento degli odierni popoli liberi. Molti villaggi si sollevarono e non furono tranquilli nemmeno verso il loro parroco per timore che avesse dato i libri battesimali, o ch’esso fosse d’accordo coi democratici. Non fu mai possibile di far intender al villico l’odierna maniera di pensare, senza riscuotere tutto il disprezzo e l’odio possibile, e mai niuna persuasione. I democratici arrabbiati cercavano di rigettarne la causa sui preti e gli ex Nobili, mentre in essi non v’era che il senso comune che li conduceva e li diriggeva.
La Società Patriotica, va vivendo con la critica, e colla decadenza, oggi si deve fare un nuovo presidente; essa spera nella nuova Municipalità.
Si proibì per adesso qualunque vestizione e la professione di qualunque convento. Cosa presa in un tratto e che si poteva almeno lasciarne l’esame alla futura reggenza. Si pretende che gli Scalzi [Carmelitani Scalzi], avvertiti da un Municipalista, abbiano nella notte anteriore professati 7 novizzi.
Nulla si traspira delle nuove generali, ora si teme di nuovo la guerra, ora si rimarca e si spera la pacificazione generale. Per Venezia ora si crede di vederla centralmente a risorgere, ora viene annichilata, e dalle apparenze e dall’odio di alcuni della terraferma, che prendono lo spezioso pretesto del suo immenso deficit, ma che in fondo è per una rabbia, e presunzione naturale. Non si sa quel che sarà. Si vocifera, ma così a fior di labra, e non si può prudentemente a pieno informarsene, che l’Istria, e la Dalmazia, sieno occupate dagli Austriaci. Se ciò fosse, a me parrebbe indicar assai. Il tempo deluciderà ogni cosa, frattanto il nostro incerto destino non è il minore dei nostri presenti mali.
Quando mai la tranquillità, il buon ordine, la sicurezza vera delle persone, e delle proprietà, il bastante temperamento dei caratteri rimmetterà nel nostro vivere, quel balsamo salutare, senza di cui la vita è un martirio. Allora si potrà dire, ed esprimere la gioia del governo, in cui la Provvidenza ci avrà condotti.