Quando giunsero a Shanghai
la città era già in guerra da un mese, ma ancora non si trattava
della fase più cruenta. I marinai italiani si trovarono così di
fronte alla città di sempre, non ancora mutilata e offesa: nella
zona internazionale si viveva come se non fosse accaduto niente
con l 'aggiunta del “brivido” di qualche bombardamento e qualche
combattimento. Ma nel resto di Shanghai la violenza della guerra
iniziava a seminare tragedia e rovine. L'incrociatore divenne sede
del Comando Superiore Navale in Estremo Oriente.
"Arrivati
a Shanghai ci siamo ancorati in mezzo al Wang Pu e siamo rimasti
fermi là per effettuare il servizio di controllo del fiume:
segnalavamo ad un comando internazionale quali navi uscivano ed
entravano e se i sampan che passavano sottobordo erano armati."
Quando chiesi a mio nonno di descrivermi Shanghai,
mi diede da leggere questo ritratto che egli aveva trascritto da
un giornale dell'epoca e conservato. Non conosco la fonte nè l'autore
ma credo che valga ugualmente la pena di riportarlo: "Città che
sorge in uno dei più melanconici e piatti paesaggi del mondo sotto
un cielo perpetuamente nebbioso, intriso di una calda e svenevole
umidità, distendendosi con il suo fronte di palazzi e di case per
decine di chilometri innanzi alle acque giallognole ed immonde di
un tortuoso braccio dello Jang Tze, il Wang Pu, che trascina verso
l'oceano lo spurgo ed i rifiuti di cento città, borgate e villaggi
e di almeno 200 milioni di abitanti. Questo stupore, questo senso
di disorientamento, più che di ammirazione, avvertito dal viaggiatore
in arrivo nel più grande emporio commerciale dell'Asia, nella più
babelica e trafficata metropoli d'Oriente, viene incisivamente sintetizzato
nel gergo Nord Americano da un'espressione: Shanghaied, che si applica
a un individuo che, sia per una sbronza fenomenale, sia per una
colossale perdita al gioco, sia per un cazzotto ben applicato, o
magari per qualcosa di peggio, si trovi in uno stato di inebetimento
tale da non capire più nulla."
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