Allora
ci siamo. È arrivato il gran giorno. Oggi, dopo due anni e
mezzo di vane ricerche condotte da quei dilettanti dei
magistrati di Aosta, dei carabinieri, degli esperti del Ris,
dei periti della Procura e del Tribunale, sapremo finalmente
il nome del «vero assassino di Cogne», grazie alla squisita
gentilezza dell'onorevole avvocato Carlo Taormina e del suo
detective personale Giuseppe Gelsomino, che si divide fra
l'agenzia «Shadow Investigazioni» e le filosofie orientali.
I due, in arte Mino & Mina, destinati a soppiantare il
ricordo di Starsky e Hutch, di Clouseau e Kato, ma
soprattutto di Pippo e Topolino, hanno indicato il 30 luglio
come la data del grande annuncio. E, trattandosi
notoriamente di uomini di parola, terranno fede alla
promessa. È vero che l'attesa rivelazione slitta da oltre
due anni, ma ciò è dovuto alle tecniche investigative
d'avanguardia («con esperti internazionali») impiegate nella
controindagine: un binocolo, una walkie talkie, un cane da
tartufo, una bacchetta da rabdomante, una palla di vetro e
un tavolino a tre gambe. E poi i due segugi, animati da
spirito garantista, hanno voluto raggiungere la certezza
matematica di quanto andavano sospettando fin dal primo
giorno. Già il 23 luglio 2002, infatti, Taormina annunciava
sardonico: «Siamo a un passo dalla conclusione».
E il 26
agosto, trionfante: «Ho un'idea sul vero killer, ci mancano
solo le prove». Poi indicò la «pista satanica», molto
probabile sul Gran Paradiso. Poi alluse simpaticamente a un
vicino di casa che negli ultimi tempi «è vistosamente
dimagrito»: tipico sintomo da post-omicidio, prova classica
di colpevolezza. La signora Lorenzi, per dire, era in
perfetto peso forma, dunque innocente. Poi, in ottobre, Mino
& Mina fecero interrogare un altro vicino: «E venuto il
giorno del giudizio per il vero assassino». Naturalmente non
accadde nulla. «Sta per chiudersi il cerchio intorno al
killer», giurò l'onorevole avvocato il 10 febbraio 2003,
mentre perlustrava per la quarantesima volta lo chalet al
passo del leopardo. «Stiamo ottenendo risultati
straordinari», comunicò con un fil di voce l' 11 aprile
mentre ciondolava dal tetto appeso a una stalattite di
ghiaccio.
Il giorno
24, travestito da lichene, descrisse con la consueta
precisione l'arma del delitto: «Non è né un martello né una
pentola». Intanto il prode Gelsomino, camuffato da
stambecco, saltellava su per i monti e tornava la sera
stanco ma felice. «Scoperte clamorose, conclusioni
sconvolgenti, di assoluta scientificità» anticipò Taormina,
che aveva appena denunciato il Ris, la Procura, il Tribunale
e un gruppo di conifere comuniste che gli ostruivano la
visuale. Il 13 giugno, in una leggendaria conferenza stampa,
i due audaci segugi comparvero per la prima volta in coppia
e sciorinarono gli esiti mirabolanti delle loro ricerche:
«C'è l'impronta di un tacco sporco di sangue, scarpa da
ginnastica o da riposo, piede destro. E l'arma del delitto è
un oggetto circolare, cavo al centro: forse un moschettone
da montagna».
Il più era
fatto: «Ora dell'assassino sappiamo tutto: nome, lavoro,
abitudini, cosa mangia e cosa pensa. Sono 33 gli elementi
che lo accusano. Abbiamo intuito persino il movente». Ma
decisero di non informarne la magistratura, forse per
discrezione, forse per fare una sorpresa, forse per lasciare
il «vero killer» libero di divertirsi ancora un po' su altri
bambini. «Parleremo presto», «ancora pochi giorni», «un mese
al massimo», giuravano Mino & Mina a una sola voce (quella
di Taormina). Intanto se n'è andato un altro anno. E la
signora Lorenzi, così ben difesa, s'è presa 30 anni: il
massimo della pena, nel rito abbreviato. A quel punto il
sagace Taormina decideva di fare quel nome. Non subito,
però. «Solo il 30 luglio: prima dobbiamo ultimare alcune
indagini delicatissime».
Ma, proprio
sul più bello, l'inossidabile coppia scoppia. Gelsomino,
riuscito a liberarsi della benda che da due anni gli
impediva l'uso della parola, tracima sulla stampa: «Il vero
assassino è uno psicopatico di Cogne, l'abbiamo inchiodato
con prove clamorose: foto, filmati, pedinamenti,
testimonianze, sopralluoghi, analisi scientifiche,
osservazioni psicologiche, frequentazioni, precedenti
specifici, fatti terrificanti». Taormina lo fredda: «Ha
diramato notizie erronee, deve farsi carico dello sbaglio».
Un'ingiunzione di sfratto per l'ardimentoso detective,
proprio sul filo di lana. Gelsomino implora pietà dalle
colonne del Corriere, recitando il mea culpa, proclamandosi
nei secoli fedele al suo spirito-guida e ribaltando un
celebre detto di Bondi: «Scusi, Taormina, se ho parlato in
sua assenza». Pace armata.
Ma cosa sia
accaduto fra Mino & Mina non è dato sapere. Tre le ipotesi
più accreditate. 1) Gelsomino ha scoperto che il vero
colpevole è la mamma, e non ha mai avuto il coraggio di
dirlo a Taormina. 2) Mettendo insieme le tessere del
mosaico, i due si sono accorti che il «vero assassino» di
Taormina non coincide con il «vero assassino» di Gelsomino:
ne hanno scoperti due, ad abundantiam, e non sanno quale
scegliere. 3) Gelsomino sospetta di Taormina, e viceversa.
|