Miniere
Miniere Galleria "Su Zurfuru" Lo
sfruttamento delle miniere nel fluminese iniziò in epoche molto
antiche, ciò è testimoniato dal ritrovamento degli scavi
fatti dai Romani e dai Pisani. Si
ha notizia di una città: Metalla, dove i Romani mandavano i condannati
a lavorare, ma ancora non è stata localizzata la zona precisa
in cui sorgeva. La presenza di un luogo di culto come Antas,
fa ritenere che fosse proprio in questa zona.
Così in tutte le parti del territorio
di Flumini c'erano miniere dove lavoravano migliaia di operai, tante
donne e tanti ragazzi. Si aprirono miniere a Terras
Nieddas ad Arenas,a Gutturu
Pala, a Candiazzus, a
Su Sizzimurreddu, a Perd'e Fogu, a S'Acqua
Bona, a Santa Lucia, a
Buggerru e in tanti altri posti. Il lavoro nella miniera era molto faticoso
per tutti: per i minatori che scavavano e portavano fuori il minerale
dalle gallerie e dai pozzi per depositarlo nel piazzale della miniera,
per le donne e per i ragazzi che lo pestavano per separare il minerale
dalle pietre per essere pronto per il trasporto fino al mare. *Tratto da:Personaggi Avvenimenti
Curiosità *Come sarà stata la vita nel nostro paese fino alla metà dell'800, prima che il nostro territorio venisse profondamente interessato dall'attività mineraria?(...) A Flumini in quel tempo si viveva di agricoltura e di pastorizia: la valle del Rio Mannu produceva rinomati prodotti, in particolare agrumi, che per la prospera vegetazione e per la molta bontà dei frutti possono primeggiare sui luoghi più lodati della Sardegna, mentre la collina forniva cereali e pascoli adatti alle pecore e alle capre. Anche la montagna, dove prosperavano alberi secolari, garantiva ottimo legname e ristoro alla selvaggina. L'ambiente era davvero idilliaco, ma la maggior parte degli abitanti, che nel 1839 erano 1760, distribuiti in 425 case, possedeva poco e si trovava in ristrettezze economiche. Che dire del centro abitato? Molte case umili, domixeddas, costitute da una o due camere e da un cortile, domu e sobariu quando la stanza del pianterreno si sopraelevava con mattoni crudi, raro era l'uso di quelli cotti, per creare altro spazio nel sottotetto. Appariva modesta anche la nostra chiesa parrocchiale, che trovasi in condizioni estetiche molto deficienti, con un campanile tozzo che è sollevato poco, perciò a stento si lasciava scorgere da lontano. (...)Ma sotto le nostre montagne, ricche di boschi, erano nascosti ingenti tesori, i minerali, che, trascurati a lungo anche se non dimenticati del tutto, attendevano di essere messi a nudo per dare lavoro e ricchezza. Povertà e isolamento erano i gravi mali che affliggevano la nostra popolazione alla fine della prima metà dell'800. La viabilità esterna, scarsa e approssimativa, rendeva difficile il collegamento con i paesi vicini. "Basta dire che dalla valle della Canonica sino a Sant'Angelo si deve passare più di 80 volte lo stesso torrente che scorre sopra un suolo pieno di pietre, bronchi e cespugli quasi impenetrabili": queste erano le difficoltà descritte da Della Marmora nel suo viaggio verso Flumini. Il Paese ai primi del '900 Nel 1860 i collegamenti esterni erano ancora in quello stato, perché altre fonti ci dicono che le strade presentano pendenze orribili per cui vi è impossibile il transito dei carri! Meglio quindi usare il basto per i trasporti e andare in sella all'asino o al cavallo per gli spostamenti personali. Ma anche così era arduo viaggiare, perché i cavalcanti per passarvi scendono dalla sella temendo che i loro cavalli non abbiano a scivolare col pericolo della vita! E le merci che viaggio facevano? (...)con la legge del 1848, anche la Sardegna adeguava l'attività mineraria a quella in vigore nel Piemonte già da otto anni: era la norma che stabiliva la separazione della proprietà del suolo da quella del sottosuolo. E ciò non fu di poco conto, perché favorì l'arrivo di ingenti capitali continentali e stranieri per lo sfruttamento delle ricchezze sotterranee, con grandi conseguenze per l'avvenire economico e sociale di molte parti della nostra isola. (...) Andare alla ricerca di tracce minerarie fu un hobby, ma è meglio dire un lavoro, che avvinse molti: in realtà procurava buoni compensi fornire indizi della presenza dei minerali alle persone interessate a sfruttarli. A questa particolare caccia al tesoro partecipavano davvero in tanti, dai pastori, che meglio degli altri conoscevano il territorio, ai taglialegna, che, operando nei boschi e mettendo a nudo il suolo, evidenziavano gli affioramenti dei minerali. Insomma una specie di diavoletto minerario permeava l'attività e la mente di molte persone. Delle miniere della Sardegna ho quindi seguito le vicende e la storia, nei pochi momenti di splendore e in quelli più frequenti di crisi, caratterizzati da scioperi, occupazioni, proteste, drammi. Ho osservato gli operai sondare e perforare le viscere della terra, affaticarsi negli avanzamenti, arricchire i minerali nelle laverie: notavo il loro orgoglio nel manovrare le macchine più progredite, la loro ansia negli scioperi, la loro felicità nelle conquiste. Ma purtroppo ne ho visto molti morire nel posto di lavoro, schiacciati dai mezzi meccanici, fulminati dall'alta tensione, dilaniati dalla dinamite. Che tristezza! Che dolore! Che dramma! Piccole, antiche, care miniere… siete tutte presenti in noi e ci siete care, perché cari ci sono i minatori, i protagonisti che hanno scritto molte pagine della storia fluminese. Si, ci siete cari tutti, uomini, donne, ragazzi, quelli che hanno operato nelle strutture grandi e quelli che hanno faticato nelle piccole miniere, delle quali sono quasi scomparse le tracce, ma che vivono nella memoria degli anziani che le hanno viste attive e animate. (...)L'adulto o il ragazzo che frequentava le osterie e le botteghe artigiane del paese, principalmente sartorie e calzolerie, e io ero fra quei ragazzi, non sentiva parlare d'altro se non di gallerie e di minerali, perché l'operaio, rientrato dal lavoro nel tardo pomeriggio, se non oziava nell'osteria di ziu Ermandu Satta e di ziu Srabadoi Pintus, o in quella del saragatiano Antonio Massa , in compagnia delle carte da scopa e di un quarto di vino, improvvisando talvolta qualche battorina , trascorreva le ore nel laboratorio dell'amico dove non si consumava e non si spendeva, ma si raccontava e si discuteva. Era proprio così: la bottega diventava un osservatorio ideale per il lavoro e per la politica, ineguagliabile apprendistato per noi ragazzi che dovevamo parlare poco, ma ascoltavamo tanto. Le donne non erano presenti nelle botteghe, perché per loro non c'era posto là dove talvolta volavano parole sconce, ma io ricordo bene zia Maria Zanda, zia Teresa Casula, zia Nicolina Farci, zia Laura Puxeddu e molte altre, tutte operaie cernitrici, per averle viste spesso nei piazzali di Perd'e Fogu a frantumare con la massetta le pietre mineralizzate, separando le parti sterili da quelle ricche con sveltezza e maestria. *Tratto da
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L'inquinamento *Caratteristiche generali Una caratteristica che accomuna la maggior parte
delle miniere del Fluminese è che esse sono nate in aree di contatto
fra scisti e calcari; infatti in questa zona di passaggio fra rocce
diverse si ritrova la maggior parte dei giacimenti metalliferi.
Nelle miniere importanti vennero costruite le cantine,
che erano i negozi di proprietà delle stesse miniere, dove gli
operai comperavano i viveri e le altre cose e potevano non pagare subito,
perché glielo scontavano dalla paga a fine mese. |
Tra realtà e fantasia I fluminesi, esperti conoscitori del territorio, erano però dei ricercatori solitari spinti dalla speranza di trovare un ricco giacimento o un filone d'oro o d'argento, o un tesoro che avrebbe risolto i loro problemi esistenti. Da cui la leggenda di "DOMIGHEDDU ROSSI" un personaggio solitario e misterioso che possedeva oro e argento nelle grotte de " is concas de monti argentu" dove abitava con la bellissima figlia. " Se qualcuno gli chiedeva dell'oro e lo trovava di buon umore era disponibile a dargliene; ma se chiedevano la figlia in sposa gli faceva rotolare addosso un grande sasso. Filastrocca Dommigheddu Rossi
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