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ANTEPRIMA
DELL'ORRORE
Buccella, Carli, De Rossi e il primo argento
da
“Diario di un fante” di Luigi Gasparotto, volontario di guerra e
decorato di tre Argenti e Legion d’Onore di Francia:
“...Vorrei che tutti
coloro che si indugiano nei caffè a commentare i bollettini di
guerra, sapessero che cosa vuol dire “andare all’assalto!”
Imparerebbero ad essere più generosi coi vinti, più riconoscenti
verso i forti. Sì, perché bisogna sapere che cosa sia l’assalto!
L’assalto! L’assalto, in questa guerra, è la più terribile cosa
che mente umana possa raffigurare, tanto terribile che, da ieri,
io non sogno che di vederlo scongiurato per sempre dal capo di
mio figlio*.
...Ma chi torna dall’assalto è certamente un uomo diverso dagli
altri; egli è il vittorioso della morte, perché visse nel breve
spazio di ore tutta intera una vita, ed ebbe in sé, sotto il
dominio della volontà posta a servizio della fede e del dovere,
raccolte ed affinate tutte le energie umane, fino alla loro
estrema sensibilità e rendibilità. L’Italia sappia almeno
ricordarsi dei suoi figli, quando siano tornati dall’ultimo
assalto”. |
*Luigi Gasparotto
Sacile (Pn), 31.5.1873 – Roccolo di Cantello
(Va), 29.6.1954 |
Luigi Gasparotto, avvocato
d'origine friulana, membro della Società democratica lombarda
dal 1897, fu eletto deputato nel 1913 nelle liste del Partito
radicale nel collegio di Milano. Partecipa come ufficiale di
fanteria alla prima guerra mondiale, guadagnandosi tre medaglie
d’argento al valore. Viene rieletto deputato nel 1919 e poi nel
1921 e ricopre la carica di Ministro della Guerra nel primo
governo Bonomi (lug.1921/feb.1922). Alle elezioni del 1924 si
candida, con altre personalità liberali, nel listone fascista.
Dopo il delitto Matteotti passa all’opposizione costituzionale
senza però partecipare all’Aventino. Il 9 novembre 1926 con
altri undici deputati vota contro le leggi eccezionali fasciste.
Durante gli anni della dittatura vive in esilio e riprende
l’attività politica alla vigilia della caduta del fascismo.
Fuoruscito in Svizzera vi svolse un'intensa attività di
solidarietà soprattutto dopo la fucilazione del figlio Poldo,
comandante partigiano. È Ministro dell’Aeronautica nel secondo
governo Bonomi (dic.1944/giu.1945) ed in seguito Ministro
dell’Assistenza post-bellica e poi della Difesa Fa parte della
Consulta Nazionale su designazione del Partito Democratico del
Lavoro e nelle liste dello stesso partito viene eletto
all’Assemblea Costituente, è poi nominato senatore di diritto
nel primo Parlamento repubblicano. Dal 1946 al 1953, anno della
morte, fu presidente dell'Ente Fiera di Milano. |
Leopoldo Garsparotto |
Il figlio Leopoldo (Poldo)
viene arrestato, con alcuni compagni, in Piazza Castello a
Milano l'11 dicembre 1943. Morirà a Fossoli di Carpi il 22
giugno 1944. Gasparotto, poco dopo mezzogiorno del 22 giugno,
venne prelevato dalla baracca, dove si trovava, dal
sottufficiale Haage, consegnato alla porta del campo a due
militari delle SS, e fatto salire su un automobile, che lo portò
via. Dopo mezz’ora i militari predetti si sarebbero presentati
al Ten Thito, comandante del campo, dicendo: "L’ordine è stato
eseguito."). |
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Se
l'intenzione era quella di sfondare e creare un corridoio
d'attacco
nella prevista guerra corta (lampo),
anche la nuova Divisione Speciale Bersaglieri ( 6°,9°,11°,12°
reggimento )
poteva essere utile ma, considerando
il luogo e l'indecisione che caratterizzava i primi giorni di
guerra, veniva spontaneo chiedersi se a qualcuno non fosse dato di volta il cervello.
Poi quello che era successo in Francia non contava nulla ?.
Il
24 maggio tutti i reparti passarono il vecchio confine del 1866
(che in pianura corrispondeva pressappoco al corso del
torrente Aussa-Corno, passava poco a ovest di Cormons, lasciava
fuori Palmanova e includeva Cervignano (dogana a Torri di Zuino) fino al mare e a Porto Buso) e nel volgere
di una settimana erano schierati lungo l'Isonzo e a nord con
le montagne (Monte Nero m.
2.250) oltre il Fiume
Isonzo in mano al
nemico
che li sovrastava. Le quote più basse del Monte Nero, a
nord il Vrata e a sud il gruppo del Mrzli, erano in quel momento
però poco
presidiate dagli austriaci. Il ponte "Napoleonico" di Caporetto
era stato minato. Era l'unico ponte disponibile ma bastava (2500
abitanti per 12 villaggi). Con l'arrivo degli Italiani 43a, 46a
e 50a divisione no. Il primo ponte di barche (poi di palafitte)
venne costruito dal Genio a Idrsko e due passerelle più a sud. Per la data
dell'attacco su Tolmino, prevista per il 1° giugno, il Monte Nero doveva già
essere in mani italiane pena la riuscita dell'azione. Gli attacchi del 28 maggio condotti prima da bersaglieri del 6° poi dagli alpini ed infine dall'89°
Reggimento (Brigata
Salerno) portarono ad un nulla di fatto. Il
12° Rgt. bersaglieri oltre che rispondere alla sua divisione in questo momento
dipendeva dalla 8a divisione del IV CdA da cui
dipendevano anche la Brigata Salerno e Modena. Alle
23 del 30 maggio un ordine perentorio del IV alla divisione
imponeva la conquista del versante sud del Monte Nero (Mrzli o
Smerle italianizzato) entro il 2
giugno. La brigata Modena, con soldati ancora provati dal giorno
precedente, dovette rimettersi in marcia, ma ciò avvenne solo
alle 16 del pomeriggio del 31 maggio perché gli ordini partiti alle 24
da Caporetto, per i mancati o saltati collegamenti fra i reparti,
arrivò a mezzogiorno. In una settimana non era stato possibile
stendere i fili tra i vari comandi che di conseguenza potevano
comunicare solo con portaordini. Quei pochi fili stesi erano stati tagliati
dalla popolazione locale a cui gli italiani erano invisi. L'improvvisazione non si
sarebbe fermata qui come vedremo dopo. Il 12° acquartierato a Luico
venne allertato per dare eventuale appoggio alla azione degli
alpini e dei fanti contro il Monte Nero. Da Luico alla base del Mrzli oltre
l'Isonzo
c'erano quasi 10 chilometri.
Il mattino del 30 il colonnello De Rossi messosi in contatto col corpo d'armata pregò
"lor signori" di avvisare la divisione che il reggimento si
sarebbe mosso per l'avvicinamento, ma che non aveva ordini in merito e
contatti con altri reparti. Passato l'Isonzo ed avviatosi lungo
le pendici, in terreno sconosciuto e non presidiato, non incontrò ostacoli fin quando
ricevette l'ordine di tornare indietro !!?. Se c'è
una cosa che il soldato non capisce sono gli ordini sbagliati e
gli ufficiali che li reiterano. Urgeva quindi spiegare agli
ufficiali la ragione delle mosse e darne una parziale
giustificazione. Il giorno dopo di
fianco a loro sfilarono i fanti di un reggimento della Brigata Modena che si
avviavano lungo il Mrzli, che non era più indifeso, sotto una
pioggia torrenziale. L'attacco fu disastroso come lo può essere
il primo impatto con la morte. Sotto un grandinare di proiettili
di mitragliatrici con il passo precluso dai reticolati (non
avevamo cesoie adatte) non restò
che tornare indietro. Il 1 giugno alle 9 il colonnello Eugenio De Rossi
con l'annuncio della nomina a generale comandante della Brigata Cagliari si
pose, nonostante potesse esimersi, alla testa dei
suoi bersaglieri del 23° e 36° Btg (12°), degli alpini del Pinerolo e dei
fanti dell'89° Salerno.
Questa volta il percorso per raggiungere Volarje
ai piedi del Mrzli fu un po' più lungo dovendo passare dal ponte
di Caporetto.
Alle 11, a pasto consumato, attesero l'arrivo del Generale di
Brigata che comandava l'azione. Come era già successo nei giorni precedenti il
superamento del dislivello di montagna con dispendio di calorie
e sudore riduceva i soldati alla sete e alla fame una volta in
quota, poiché nessuno s'era organizzato per un
eventuale rifornimento. Alla messa di Don Gilardi, che si tenne prima della partenza,
il colonnello poté notare
che dopo l'assoluzione in "articulo mortis" i suoi
uomini l'avrebbero seguito ovunque.
Eugenio De
Rossi mise l'aigrette bianca del
comando sul
cappello per essere sempre ben visibile anche se l'esporsi era
per il nemico un grande vantaggio ed iniziarono l'ascesa per
quota 1186 (quella del versante del paesino di Krn
http://www.austro-hungarian-army.co.uk/battles/krn.htm
in inglese). Alle 18 alpini e bersaglieri del 23° di Negrotto
giunsero a contatto del nemico. Il campo era ancora ingombro di
quanto avevano lasciato il giorno prima i fanti che andò, per
la parte alimentare a sfamare e dissetare i nuovi arrivati. Il
tiro d'artiglieria dei nostri, che fino a quel momento aveva
tenuto schiacciati nelle trincee gli austriaci, si interruppe e
da quel momento nelle file italiane cominciarono ad aprirsi
varchi enormi. Alle 20 gli alpini avevano conquistato parte
delle trincee di quota. Gli austriaci avevano provveduto al
recupero di tutti feriti del giorno prima lasciando però a
memore presagio tre corpi di uccisi fra il filo spinato. Il
sergente
Giuseppe Carli per evitare la continua falcidia di una
postazione di mitragliatrice si slancia con una squadra
all'assalto venendo colpito una prima volta. Si rialza e
continua nella sua corsa col nemico sempre più vicino. Viene
ferito altre due volte prima di quella mortale. La
notte fu lunghissima e orribile. Fra le cose che mancavano ai
soldati per farsi strada nei reticolati, pur se un anno di guerra
in Francia l'aveva insegnato, erano bombe a
mano e tagliafili. I paletti di sostegno del reticolato erano
infissi nel cemento, non in terra,
e ai bersaglieri non restava che abbatterli con la vanghetta !!. Il giorno dopo (2/6)
si studia un nuovo piano d'attacco per linee avvolgenti. I due
battaglioni si muovono di nuovo all'unisono:
"Sembrava che
nulla potesse arrestare lo slancio di quei diavoli" dirà
un ufficiale austriaco della 3a brigata. Quando il 36° giunge
quasi in cima, davanti a loro si para una dolina profonda,
ostacolo insormontabile sotto il fuoco nemico allo scoperto.
Il
colonnello si appresta ad ordinare la ritirata quando Negrotto
coi suoi del 23° si riporta fuori dei ripari. "Disapprovo
questo gesto" lo si sente proferire " Ma lo
trovo
eroico". Sono di nuovo tutti fuori col prete in testa. La
falcidia taglia le compagnie e Negrotto issato il cappello sulla
sciabola, si disse lo lanciasse oltre le trincee nemiche con
queste frasi " Andiamo a prenderlo ragazzi, è la vostra
bandiera ". Signora morte non risparmia nessuno, nemmeno il
colonnello già Generale che cade gravemente ferito. Resterà paralizzato
dalla cintola in giù. Scende la seconda notte
su quelle rocce ormai arrossate di sangue. A mezzogiorno del
giorno dopo quello che resta dei due battaglioni col Maggiore
Reali si lancia di nuovo sulle trincee nemiche con l'ultima
speranza di farcela. Il Re da un osservatorio ha seguito tutte
le fasi e riferisce agli aiutanti che è ora di porre fine al
massacro. Con Reali muoiono 20 ufficiali e 334 bersaglieri, 1/3
della forza. Laceri, bendati, sporchi di fango rientrano a Caporetto sfilando davanti alla tenda ospedale che ospita il
colonnello. Il Re recatosi a far visita ai superstiti dopo aver
chiesto loro di esprimere un desiderio si sente rispondere
" Tornare a combattere, gliela faremo pagare" Al
colonnello De Rossi, che morirà dieci anni dopo, e ai
battaglioni viene conferita
la medaglia
d'argento. Rinforzati i
ranghi un mese dopo si ritorna in linea sullo Sleme. Quando non
c'erano le grandi offensive, non si passava il tempo a
bighellonare, ci si occupava semplicemente di quelle piccole. Il
nuovo colonnello Nicola Marzucco li dovrà condurre di nuovo in
linea assieme al 21° Btg. Nei giorni di ferragosto lo scontro
si fa duro, muore il nuovo Colonnello e restano gravemente feriti i comandanti di
battaglione Pozzoli, Minardi e Salinardi. Si ripete qui quanto
successo due mesi primi con Carli. L'irredento trentino
Gino Buccella
viene ferito mortalmente durante un attacco disperato a
postazioni nemiche "Lasciatemi fare un lungo sonno, a voi
liberate Trento, Trento Italiana" sono le sue ultime
parole. Con Buccellla moriva un altro irredento Bernardi Pietro. All'appello mancano 22 ufficiali e 670 soldati. Al nuovo Comandante Magg. Coralli il Re dirà
"non
su un reggimento che non esiste più, ma su
un pugno di eroi lei
comanderà". Leggi
un'altra pagina sul Mrzli al link
http://digilander.libero.it/trombealvento/indicecuriosi/montesmerle.htm
La lunetta B del Mrzli era una posizione di punta, la quale
si allungava contro le difese austriache come un largo coltello a
doppio taglio. La lunetta era considerata un caposaldo e poiché
era scoperta e poteva essere colpita dalle batterie nemiche, era
stata coperta con scudi o altro materiale. Era quasi una posizione
sotterranea. La copertura non aveva nessuna efficacia sotto il
tiro del cannone; era anzi dannosa, perché se una granata la
coglieva in pieno sfondava scudi e massa coprente, seppelliva i
soldati e ostruiva il passaggio. I soldati chiamavano questa
posizione il budello del Mrzli. D'inverno si assiderava dal freddo
e dall'umidità, d'estate si boccheggiava per mancanza di aria e
per il puzzo di escrementi e rifiuti. In tutte le stagioni c'era
fango in quella maledetta trincea." (A. Pirazzoli).
Da quel momento il
comando supremo dirama l'ordine:
"mascherare per quanto possibile la divisa, non portare
insegne di comando, togliere il piumetto e l'Aigrette". Non sempre sarà osservato.
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