ALLA RADIO DI S . BENEDE TO DEI MARSI
13 gennaio 1977
Innanzi tutto vi ringrazio dell'invito che mi avete fatto per farmi intervenire
alla vostra... alla nostra radio e vedo che vi siete bene organizzati. Mi
congratulo con tutti voi per la bellissima iniziativa e in modo particolare
con Nino che è stato ed è un coraggioso. Con tutta sincerità
debbo dire che siamo un po' tutti meravigliati, direi quasi sbalorditi della
tua intraprendenza, bravo!
Veramente un bravo a tutti ,a Cesare a Bruno, alle disinvolte annunciatrici,
a tutti i collaboratori . Tanti tanti auguri.
Noi sambenedettesi siamo orgogliosi di tutti voi. E poi dicono che questi
giovani sono dei buoni a nulla,dei contestatori,dei squinternati musicomani.Voi
invece state dimostrando che tutto questo non è vero,se ci sono dei
giovani scapestrati, purtroppo ci sono, ma non siete voi, anzi così
facendo dimostrate che alla fin fine i giovani... cattivi sono una minimissima
parte.
Ehi! Duilio, ti stai accalorando! Ma tu che ci fai in mezzo a tanta giovinezza?
Ma non te ne sei accorto che giorni addietro sei andato al l'anagrafe del
comune a ricopiarti tutti i nati del 1927 ? Per festeggiare il 50°-anno
di età? Io me ne sono accorto e come! E me ne accorgo ancora di più
mentre sto qui circondato da tutti questi bei volti sorri- denti,schietti,vaporosi,
pieni di vita. Però è bello stare insieme a loro e m' inorgoglisce
vedermici... Vuol dire che ci posso ancora stare.
Questo è stato un preambolo un po' giocoso,un po' di prammatica, ma
non ha sottratto niente alla mia sincerità e alla mia ammirazione per
voi
Mi avete invitato e molto volentieri sono venuto. Purtroppo però, sono
venuto in mezzo a tanta gaiezza a portare una nota alquanto triste, direi
molto triste. Oggi 13 gennaio, come tutti sapete ricorre i 62° anniversario
del tremendo terremoto del 1915 e mi sembrava ingiusto non commemorare quell'ìimmane
catastrofe che si abbatté sulla nostra Marsica.
Non ho la minima presunzione di saperlo fare, però l' opportunità
della radio mi ha spinto, in tutta la mia umiltà, a dire qualche parola
ai nostri morti che non li abbiamo dimenticati.
Perché dopo 62 anni una voce di San Benedetto si fa sentire per ricordare
i nostri morti? Perché come non mai il decorso 1976 più di una
volte ce li ha fatti ricordare più da vicino.
Quanti terremoti ai sono susseguiti: nel Friuli, nell 'Unione Sovietica, nella
Turchia, nella Cina,nel nostro Molise e adesso nell'Iran.Da per tutto ha seminato
lutti e rovine.
Quanti lamenti, ma i lamenti che noi abbiamo sentito più da vicino
so stati quelli del Friuli. anche perché figli e nipoti di terremotati
della Marsica si trovavano lì a prestare il servizio militare.
Quante scene strazianti viste alla televisione, quanti bambini soli tra le
macerie in cerca della mamma sepolta e le scosse, le migliaia di scosse, che
si sono susseguite per mesi e mesi. Assieme alle case sono crollate le cose.Non
solo le cose fatte di cose ma di ricordi, di affetti, di speranze appese a
quelle pareti che non ci sono più.
E noi, particolarmente noi, abbiamo rivissuto tutto con tutta la sua drammaticità.
Il nostro fu uno dei più disastrosi del mondo assieme a quello di Messina
e Reggio Calabria del 1908,con circa 30.000 morti,senza contare i feriti e
gli storpi. Fu un vero cataclisma.
Lo scrittore Pietro Pennazza così lo descrive: " Dall' alto una
molecola, in piccolissimo punto nero, invisibile, in un mattino d' inverno
scompare all 'improvviso sulla crosta della minuscola terra, sulla terra:
La mia città completamente rasa al suolo.Come ha potuto resistere a
tanto dolore il mio debole cuore di uomo? Mia madre e tutti i miei parenti
giacciono sotto le
macerie con migliaia di altri morti. Chi mi darà ora un badile per
disotterrare mia madre? Mani mercenarie indifferenti, ma alle quali debbo
essere grato, con me hanno scavato e mi è stato possibile riabbracciare
morta colei che non rivedevo da quattro anni.
Non ho pianto, ma in cinque minuti ho sentito quello che non avrei provato
vivendo anche dieci secoli."
E poi seguita: " Il bel tempo con ironia ha sorriso per due giorni dopo
il terremoto, si è mutato in brutto : fa freddo e nevica. La mancanza
di ricovero e di aiuti mi scacciano dalla terra del dolore dove brandelli
della mia carne mi vorrebbero tenermi avvinto;debbo fuggire mentre gli sciacalli
umani rodigini e forestieri seguitano indisturbati le loro rapine".
Sono parole toccanti che danno, se pur minima l' idea del dramma vissuto nella
più profonda intimità.
L' occhio non ha lacrime, il cuore batte perché è un muscolo,
il sangue rimane ghiacciato nelle vene, lo sconforto t' imprigiona avvinghiandoti
come una morsa mortale.Tutto è immoto si sentono qua e là gli
scriccioli delle travi dissestate che si assestano, i lamenti dei moribondi
che cercano aiuto e che non possono averlo. Solo la morte muta e spavalda
aleggia su tutte le cose, mani rattrappite fuori da mucchi di macerie,teste
squarciate dalle pietre, corpi maciullati disseminati ovunque.
Lo smarrimento dei pochi scampati completano miseramente questo quadro spettrale.
Ecco . . .io . . . ho cercato d' inserire le parole più lugubri eppure
non sono riuscito a descrivere l' orribile scenario.
Gli abitanti sentirono per l' ultima volta la voce della campana amica, i
tocchi dell 'Avemmaria furono come le altre mattine annunciando un nuovo giorno,
poi i rintocchi per la Messa mattutina, il paese ricominciava a muoversi dopo
il notturno riposo. Chi andava in chiesa, chi ad accudire le bestie, chi accendeva
il fuoco e intanto si facevano piccoli progetti per il da farsi della giornata.
Ad un tratto un boato come una grossa esplosione, che veniva dalle viscere
della terra, squarciò in un baleno tutto quanto era in piedi, in più
punti la terra si aprì formando grosse voragini, una nube di polvere
seppellì ogni cosa e tutte le speranze, i ricordi giacevano con gli
uomini sotto le macerie.
La campana non fece più sentire la sua voce nemmeno ai pochi sopravvissuti,
perché anch' essa era morta assieme agli uomini che l' avevano da sempre
ascoltata.
Quanti morti! ... Tanti, troppi. Per un lungo periodo, mi raccontava mia madre,
non si riuscì a fare la conta perché dopo giorni e giorni tornavano
alla luce i redivivi, anche qui a S. Benedetto, quasi l' epicentro del sisma,
tanto che ci furono3.100 vittime su 4000 abitanti. Una bambina di sei an ni
fu ritrovata dopo sei giorni e volle rientrare nella buca dove era stata tirata
fuori per riprendere una pupa di pezza unica compagna delle interminabili
ore passate sotto le macerie. Bordiglione Resterna,divenuta moglie di Percossi
Eugenio,
una donna di Avezzano, proprio oggi mi e stato raccontato dal figlio, partorì
la sera del 13 gennaio sotto le macerie. Fu riportata al mondo dei così
detti vivi quattro giorni dopo il, 17 gennaio, rattrappita allo spasimo delle
forze, però stringeva tra le braccia una bambina viva avvolta in un
grembiule nero.Il colore della morte avvolgeva quell 'esile corpicino.
Mentre la signora delle tenebre falcidiava i vivi, fra le sue fauci spuntava
il germoglio della vita.
Di fronte a tanto miracolo si rimane esterrefatti,annichiliti.
UN TESTIMONE OCULARE NARRA LA CATASTROFE di PESCINA e di S. BENEDETTO DEI
MARSI
Da Castellamare Adriatico (Abruzzo) il sig. Ignazio Barbagallo ci manda alcuni
particolari constatati de visu al momento stesso del disastro circa
la devastazione di San Benedetto dei Marsi e di Pescina, due piccole città
in quel di Avezzano, la prima delle quali nell 'ultimo censimento contava
circa 4000 abitanti, l' altra paco meno di 5000.
Ecco la sua lettera:
CASTELLAMARE Adriatico,14 gennaio.
Sono stato testimone oculare di uno dei tanti episodi di terrore che il terremoto
ha causato in questo Abruzzo sventrato! Parlo della scomparsa di San Benedetto
dei Marsi e di Pescina! Oggi queste due cittadine - che fino a poco tempo
fa furono rivali e forse forse anche nemiche per ragione di autonomia amministrativa
- non esistono più! Restano due monti di macerie e i pochi sambenedettesi
e pescinesi superstiti sono accomunati nella sventura che insieme li ha colpiti!
Per ragione professionale sono arrivato a San Benedetto dei Marsi, in vettura
dalla stazione di Cerchio, cinque minuti prima del disastro .Questi cinque
minuti mi hanno sal vato la vita.
E' stato uno schianto e poi ho visto crollare tutto, diroccare, tra un polverio,
un turbine che tutto ha travolto Poche :persone ho visto salve, deliranti,
atterrite.
Dov' erano tutti gli altri Sambenedettesi? Tutti sepolti!
I SOCCORSI A S. BENEDETTO
I pompieri di Pesaro- dieci- con due automobili hanno recato grande beneficio
a questo paese. Sapete quanto grave sia stato il disastro a San Benedetto
de' Marsi : di abitanti ne sono scampati un migliaio di cui molti feriti.
Sperduto nel mezzo del Fucino fuori dalle vie di comunicazione, il paese ha
avuto i soccorsi molto tardi. I primi ad accorrere furono il drappello di
volontari abruzzesi, dei quali prese il comando il figlio del ministro Riccio.
Tre studenti di medicina del sesto anno, Barcaioli, Caldarelli, Cataldi e
l'infermiere della Croce Rossa maresciallo Villetto, senza alcun medico provvidero
da soli alle medicazioni. Ho visto questi giovani valorosi lavorare affannosamente
oggi per salvare una giovane tratta allora dalle macerie in gravi condizioni,
Ida Tarquini, mentre gli altri scampati della sua famiglia due giovanetti,
piangevano sommessi. Forse la giovane, che è robusta per quanto gravemente
ferita, potrà salvarsi.
Ma altri scampati tratti con gravi stenti dalle macerie dovettero soccombere
per mancanza di aiuti.
(dai giornali di quei disastrosi giorni).
LA PIETOSA FINE DEL PARROCO DI SBENEDETTO DON PÌLIPPO DE TOMASO (celebre
predicatore)
Un tenente del I3° fanteria,del quale ci rincresce non avere potuto sapere
il nome per segnalarlo all 'amministrazione pubblica, rovistando tra le macerie
presso la Chiesa di S. Benedetto,sentì una debole chiamata.
Egli si fermò. Il sepolto si fece riconoscere per il parroco don Filippo
De Tommaso e riuscì a far capire che si trovava seduto sopra una sedia.
Indicò con precisione il luogo sul quale dovevano lavorare e il tenente
lavorò tutto un pomeriggio e tutta una notte.Don Filippo parlava sempre,
instancabilmente, malgrado le raccomandazioni dell 'ufficiale di non affaticarsi.
Ma egli non volle ubbidire. " Sono stato 48 ore, diceva , senza potermi
muovere, respirando male, soffrendo il freddo. Ho chiamato sempre con quanto
fiato avevo in gola, alternando le grida alle preghiere.
Avevo già perduto ogni speranza. Avevo cominciato a prepararmi a morire
quando fui udito.Non mi negate la soddisfazione di parlarvi e di ringraziarvi".
Dopo il secondo giorno di lavoro, mentre giungeva da Roma la sorella del parroco,
accorsa per avere notizie di lui, don Filippo venne liberato. Il tenente personalmente
continuò i lavori di scavo. Si fece legare alla vita e,trattenuto da
altri soldati per mezzo di corde, penetrò con la testa nel buco aperto
per meglio comprendere qual' era la posizione del sacerdote . Verso sera infine,
don Filippo poté gettarsi tra le braccia del la sorella.Il tenente
gli improvvisò un letto e una capanna; ma non ebbe il modo di coprirlo
bene e non poté soccorrerlo con cordiali. La mattina dopo il parroco,
scampato dal terremoto, moriva per una polmonite doppia.
La donnetta, che accompagniamo ora alla stazione, ha avuto il coraggio ieri
di correre a Roma e di tornare sabato a San Benedetto con la cassa per il
fratello.
Non è possibile trascrivere le orribili scene disseminate nei centri
terremotati. Io ho voluto raccogliere, in minima parte, ciò che è
accaduto a S. Benedetto, perchè e stato uno tra i paesi più
disastrati.
Sono notizie riportate dai vari giornali del tempo e trascritti nel libro"MARSICA
1915" DI BRUNO VESPA E ARNALDO PANECALDO CON LA PRESENTAZIONE DI GIANNI
LETTA.
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