Rerum Naturae Exillandschaften Il colore Viola della natura Artriti
Norwid, una traccia biografica, un cenno dal quale far emergere un'esistenza possibile.
Risale al 1979-80 l'ultima performance di Luigi Viola, ispirata a Cyprian Kamil Norwid (1821-1883), poeta polacco del periodo post-romantico, quasi sconosciuto, che visse a Parigi in un isolamento totale cui lo relegava la sua lontananza dal gusto contemporaneo.
Che sia difficile, nell'operare artistico, dire dove inizia l'Io del poietés, è limpida consapevolezza dell'artista veneziano.
Durante la piéce, tenuta al Centro UH! di Genova, Viola, seduto a terra, reggeva fra le mani una lastra di cristallo di forma circolare, illuminata da sotto e lateralmente da piccoli spots. Alle spalle del performer si formavano aree brevi di luce, intensi aloni, quasi nubi a decorare il vuoto della parete. Performance, Il sogno di Norwid, dunque un'actio che sottolinea la dimensione corporalmente attiva della poíesis. La performance come comprensione del profondo valore della kínesis, intesa qui nelle
sue valenze produttive, di oper/azione che investe direttamente l'artista. Della kínesis è arché, la Physis, afferma Aristotele. Dobbiamo intendere il concetto di Physis non come una categoria sussumente una vastità altra da noi, ma come ciò che ci investe in prima persona, come ciò che incessantemente ci gioca.
Scriveva Rossana Apicella nel 1973 riferendosi ai primi lavori performativi di Viola (Renaissance, In quibus membris corporis humani sacra religio): "... la gestualità (azione dello scrivere) si traduce in segno alfabetico, elemento verbale che diviene esplicativo e complementare di un elemento visivo (il corpo umano), ma questo corpo ha una movimentazione, una azione mimica, una dinamica di ininterrotta kínesis:
("Pulchrum - secondo Erich Przywara, teologo e filosofo -, deriva dal greco polychroon. Polychroon esprime il poly della chróa, cioè la tessitura molteplice della pelle, la carne, il corpo, al modo in cui ciò viene esperito soprattutto nel contatto").
In Video as no video del 1977-78, una telecamera riprendeva frontalmente una seconda telecamera per tutta la durata, circa tre minuti, del videotape. Viola, a mo' di introduzione, premetteva che la staticità assoluta che contraddistingueva il lavoro, cioè, "l'assenza di un'azione nel video non significava la sua negazione, al contrario, quanto minore spazio è concesso al movimento dell'immagine, tanto più largo è il movimento dell'immaginario".
Un doppio movimento dunque, di cui, paradigmaticamente, possiamo individuare le polarità nell'alfabeto, elemento statico, animato e trasformato dal corpo in azione
Norwid contempla l'omphalós di cristallo illuminato che regge fra le mani, ma non può vedere le immagini che la luce crea e modifica incessantemente sulla parete alle sue spalle. Norwid non vede l'accadere luminoso di cui egli è parte attiva (le sue mani che reggono il cristallo, il suo corpo leggermente inclinato,
"Theorós - dice H.G.Gadamer - ... è colui che prende parte ad una delegazione
Ora è fermo Norwid, guarda le immagini che il cristallo-pozzo, omphalós ed áxon fra le profondità ctonie e il cielo dello sguardo, ha prodotto. Egli non agisce, ha sospeso il suo movimento, non è più performer, per lasciar spazio (spatium, che, ricorda Heidegger, significa intervallo) all'actio del contemplare. Nel 1981-82 Viola presenta alla Galleria del Cavallino di Venezia e Unimedia di Genova, una serie di lavori dichiaratamente pittorici, nei quali l'origine fotografica (la ripresa delle macchie luminose prodotte sulla parete nella performance Il sogno di Norwid) è ormai difficilmente identificabile, data la sovrapposizione dei pigmenti colorati distribuiti con l'air-brush.
Viola si emancipa da quel medium a cui molto deve per il suo lavoro negli anni '70, senza però cedere ad alcuna post-concettuale ricusazione. (E come potrebbe, del resto, avendo il mezzo stesso registrato ciò che Norwid non poteva vedere; perché è quel mezzo, trascrittore di luminose grafie, a concedere a Norwid la sua integrità di theorós, partecipante e contemplante). Così vengono mostrati al pubblico i Fuochi in laguna e le visioni di una terra slabbrata dalla luce, di un'isola persa fra dorate acque generatrici: Paesaggio fantastico di Torcello.
La performance Il sogno di Norwid, costituisce quel cardine, quella soglia attraverso la quale avviene il passaggio dalla fase di ascendenza fredda, concettuale, ad una fase più intensamente pittorica che contraddistingue il lavoro di Viola negli anni '80. Non vi è alcun rappel a l'ordre in questa scelta, soltanto un trascorrere per interna coerenza, da un medium ad un altro, senza che ciò sfoci in alcuna preclusione verso gli strumenti ieri usati; si vedano in proposito le dichiarazioni dell'artista riguardo un suo nuovo interessamento al video. Si avverte la convinzione in Viola che non tanto il mezzo in sè stesso, ma la necessità di ciò che con quel mezzo viene espresso sia sola, possibile dichiarazione di rigore poietico.
Noi stessi, medesimi a Norwid, incantati da luminosa vertigine, affacciati alla riva, guardiamo l'acqua, il sole sulla sua superficie. Le polimorfie dorate che si formano e sfanno continuamente. Si può riconoscere un volto in un'area dalle mobili geometrie, quando pensieri senza peso vengono vicini. Vi sono acque calme, che riposano fra conchiusi recinti di terra, canne, qualche albero. Acque dai fremiti brevi, l'emergere di un pesce, l'involo di un uccello. (Simboli del canto orfico, elementi della motilità cosmica nei regni turchini). Il lento espandersi delle onde circolari, come un lievissimo canto, una sillaba santa. Le acque interne della laguna, il vento che plasma la loro tersa epidermide.
Quest' acqua apparentemente immobile, subisce però una costante alterazione, come un respiro: la marea solleva, gonfia il corpo irregolare compreso fra margini terrestri, ne tende la superficie. A scansioni sempre uguali, ritmate, la marea, vastissimo pneúma, altera la calma delle acque, rivela la tensione sottocute che le pervade. Nessuna acqua, nemmeno quella quieta degli specchi interni della laguna ristà immobile. Ogni acqua è eraclitea, generatrice. Madre polimorfa dai molteplici parti, vaso, fons et origo, del possibile evenire. "Acqua, tu sei la fonte di tutte le cose e di ogni possibile esistenza" (Bhavisyottarapurna).
Nel 1983-84 compiendo un deciso passo innanzi verso quell' immagine statica, luogo dell'actio imaginalis, Viola presenta una serie di grandi tele, ad olio ed acrilico:
Come le spugne di Yves Klein, autore al quale per molti versi (ad esempio la declinazione di un aspetto profondamente lirico della concettualità) si può accostare Viola, come le spugne del maestro del Nouveau Realisme, organismi assorbenti ciò che li circonda (trasparenti metafore dell'attività dell'artista, Porifero atto a ricevere qualsiasi cosa convenga alla trasformazione poietica), così le macchie biomorfe del veneziano.
"Non si sogna presso l'acqua senza formulare una dialettica del riflesso e della profondità.
Del periodo concettuale, della sua atmosfera analitica, le Maree conservano la rigorosa serialità degli elementi che le costituiscono. Le macchie, disegnate con cura, quasi affioranti dal fondo ottenuto frequentemente con variazioni tonali di un' unica tinta, l'uso volutamente ricorrente dell'oro a coronamento del lavoro. Pochi elementi, una procedura minimalista che costituisce l'analitica, progettata costruzione di una sontuosa epidermide. Così il risultato, altamente lirico, di questi lavori che, con Crispolti, potremmo definire ipnografici, è in realtà sostenuto da una dichiarata organizzazione di pochi segni costitutivi.
Anche l'oro delle Maree è una di quelle tracce che rendono leggibile la coerenza del percorso di Viola. Lungamente preparato è esito di un'attenzione, di una cura, che l'artista veneziano ha sempre rivolto all'aperto apparire delle cose, al loro manifestarsi nella, o grazie alla, luce.
Riccardo Caldura
Fare spazio dal tempo Immerita laudatio D'aure pestifere
sull'opera di Luigi Viola 1973-1986
Un sogno è Norwid, poeta di cui si descrivono le lentissime abitudini, il reclinare del capo all'incedere della luce. Da quella finestra socchiusa, da quella fessura.
Indistinti corpi di cose, perché lo sguardo trema nello splendore che dirompe una silenziosa oscurità. Una finestra può essere pensata come la sommità
luminosa di un pozzo.
Al fondo del pozzo, Norwid, con le mani tende all'alto confine, ne sfiora i bordi, quasi accarezzando la chiarità di un corpo. "Come sei silenziosa ed inquietante Maria,
tu memoria del mondo immenso, che emergi ora e ti mostri, ti irradi
come febbre e fuoco nel sogno di Norwid" (Viola).
Dei suoi ultimi giorni, trascorsi all'ospizio polacco di S.Casimiro, Viola ricostruisce l'ipnotico vedere, con una tensione partecipativa che rende indistinguibile sapere quando sia Norwid a scrutare la stanza, e quando sia invece Viola ad incantarsi
per i monogrammi di luce registrati dal suo mezzo fotografico.
Si rivada alla breve presentazione del video Who is Luigi Viola? del 1976, dove l'autore definiva gli scambi di identità con alcune persone riprese nel tape un " ... gioco,
un sogno forse? ", e alla domanda "Ma chi è Luigi Viola?" rispondeva rifrangendosi nella molteplicità di cose ed atti e persone che lo circondavano. Egli è " l'uomo che prega, o quello che si rade la barba, quello che beve, o la ragazza che gioca a ping-pong? ".
Così in Norwid ciò che la soggettività del poietés attesta è una particolare condizione aperta dell' umano esperire, recepente quello che solo apparentemente si dà come alterità. L'omoíosis con il respiro di un'altra vita (quella del visionario di S.Casimiro)
rivela l'origine misterica e pitagorica del processo di assimilazione, ove l'anima
"entro di sé " accoglie l'állos mediante "epodé, (incantagione) e psicagoghía (evocazione delle anime) " (Untersteiner).
Il performer esibendo non un'opera, ma esibendosi quale opera in atto, presentifica quella Physis, principio generativo, che non lasciando spazio alla mediatezza della rappresentazione, diviene accadimento im/mediato.
alla primitiva singlossia della Poesia Visiva (incrocio di elementi idosemantici e fonosemantici) si aggiunge
un terzo strumento di discorso: il corpo vivente, nella sua motilità, nella sua dimensione cinetica". Viola animava l'alfabeto tracciandone le lettere su alcune parti del corpo. Così che in movimento l'alfabeto si modificasse, assumendo le diverse figurazioni che il corpo nel suo agire imprimeva. Idosemantica cinesi, scritta sulla superficie del sóma, sull'involucro epidermico. Un alfabeto affiorante, che muta con il mutare delle posture. Un alfabeto senza alcuna valenza rappresentativa, che non concede perciò alcun chorismós.
Incarnazione dei verba.
Già in Voyage. Il viaggio come pretesto d'una ricerca all'interno della propria coscienza del 1976, Viola esprimeva l'ambivalenza del percorso accostando sincronicamente le modalità di svolgimento di un viaggio fra Venezia e Torino.
Con una descrizione che ricorda la secchezza analitica di un enunciato matematico,
( dati: un mezzo di locomozione - il treno -, una persona e i limiti del percorso - le due stazioni -, punti relati "nello spazio e nel tempo", quanti sono i possibili viaggi?).
Le fotografie e la registrazione magnetica che accompagnavano il lavoro descrivono
" in termini reali e quindi di verità oggettiva" la corsa di un treno e di alcuni passeggeri.
Al contempo però l'aspetto performativo del viaggio, rivela l'altro possibile percorrimento del tragitto fra due punti limite nello spazio e nel tempo.
Quello cioè, di "Alice attraverso il finestrino-specchio", un viaggio ove "cresce l'avventura e matura la scoperta".
Il "vissuto reale" disvela la sua "simbolicità vivente", l'actio imaginalis che lo attraversa.
Solo con la consapevolezza di questo duplice aspetto del viatico è forse possibile reintegrarsi "nella totalità dell'esperienza" (Viola).
(In quibus membris corporis humani sacra religio), e nella telecamera, strumento che dovrebbe descrivere, seguendo, l'azione, inquadrata invece nella sua assoluta immobilità,
(Video as no video). La rinuncia al movimento sappiamo però non dover essere intesa come negazione dell'azione ma, al contrario, come garanzia di poter agire per l'immaginario.
Nessuna negazione insomma di quell'elemento cinetico che sostanzia
i lavori di Viola (la sua dichiarata e mai venuta meno attenzione per il mosso), ma condizione per un ulteriore approfondimento. Un tentativo in Video as no video di descensus lungo il pozzo oscuro dell'obiettivo della telecamera per tentare di toccare "l'anima dello strumento" (Viola).
lo sguardo che segue i microeventi di luce sulla trasparente superficie).
Egli è performer, incluso, partecipante all'evenire dell'actio.
inviata a una festa.
Chi partecipa a una delegazione di questo genere non ha altra qualificazione e funzione che di assistervi.
Il theorós è dunque lo spettatore nel senso autentico della parola, che prende parte agli atti della festa attraverso il fatto di assistervi e per ciò stesso acquista una qualificazione e dei diritti sacrali ..."
Ancora: "assistere significa, invece, partecipare" ed "essere spettatore è dunque un modo autentico di partecipare".
Si noti, dall'actio corporalis all'actio imaginalis in Viola.
Ma così come non vi è in questo passaggio caduta o negazione di azione, così diviene comprensibile l'assistere quale forma autentica di partecipazione.
M. Heidegger, limpidamente nel saggio Scienza e meditazione, afferma che per i Greci
si qualificava "un modo di vita (bíos) ... in base al theoreîn".
Ed era definito bíos theoretikós "il modo di vivere di colui che contempla, che guarda
in direzione del puro apparire delle cose presenti ". Da ciò si differenziava il bíos practikós, cioè la modalità dell'esistenza che implica essenzialmente l'agire.
Però, pur rimarcando tale differenza "... va tenuta costantemente presente una cosa:
per i Greci, il bíos theoretikós, la vita contemplativa, specialmente nella sua forma
più pura, è il supremo agire".
le Maree.
La particolarità di questi lavori che richiamano la policroma e cangiante superficie di un'acqua biomorfa sfiorata dal sole, è di costituirsi come frammenti di un fluire che non ha in realtà alcuna soluzione.
I quadri, campi di un accadimento, sono circoscritti témenoi per lo sguardo contemplante una cosmogonica cinesi.
Non vi sono forme riconoscibili nelle Maree, (e questo comunque non comporta un esito astratto del lavoro), perchè ciò che avviene in queste superfici prepara, predispone l'ordito delle cose nasciture.
Le macchie sono elementi di un'organicità proliferante ed antichissima. "Principio dell'indifferenziato e del virtuale, fondamento di ogni manifestazione cosmica, ricettacolo di tutti i germi, le acque simboleggiano la sostanza primordiale da cui nascono tutte le forme, e alle quali tornano, per regressione o cataclisma.
Le acque furono al principio e tornano alla fine di ogni ciclo storico o cosmico; esisteranno sempre, però mai sole, perché le acque sono sempre germinative, e racchiudono nella loro unità indivisa le virtualità di tutte le forme.
Nella cosmogonia, nel mito, nel rituale, nell'iconografia, le Acque svolgono la stessa funzione, quale che sia la struttura dei complessi culturali entro cui si trovano: precedono ogni forma e sostengono ogni creazione" (Eliade).
Se Klein ripercorre un nuovo esito empedocleo dell'ordinamento elementare del cosmo, così Viola ad una Cosmogonie de la pluie può accostare l'azzurro profondo, l' "oro psichico" di una sua Marea.
E' come se dal fondo acquatico un'oscura materia salisse ad alimentare il riflesso.
Il limo è l'evento che rende l'acqua specchiante" (Bachelard).
Guardiamo una Marea, sulla pelle monocroma dell'acqua navigano sospese delle chiazze, delle macchie.
La materia che le compone è scura, densa, un affioramento del fondo acquatico.
Residui di microrganismi, ricettacoli di alghe, spore, diatomee.
Un'animazione non distinguibile di organici minimalia. E l'oro sull'oscurità limacciosa di queste emersioni risplende altissimo. Incoronamento, diadema, Sol Invictus che riscalda, che accompagna il lento vagare sull'acqua della vita prima.
"Come tutto è nuovo in un'acqua mattinale! Quale intensa vitalità deve possedere questo fiume-camaleonte per rispondere con tanta prontezza al caleidoscopio delle prime luci del giorno" (Bachelard).
Si rivedano le finestre semiaperte nei lavori fotografici descriventi La camera di Norwid, o la serie di Immagini nelle quali brani del reale (piccoli cortili, ancora una finestra, delle piante, oggetti dimenticati fra l'erba), emergono da una soffusa oscurità, rischiarata appena da resti luminosi violacei, verdastri, ceneri di lontane deflagrazioni.
O le nubi, le folate di vento di "oro psichico" (la cui polvere dorata viene distribuita sul supporto con eleganti movimenti del pennello, mantenimento qui, nell'actio pingendi, di una irriducibile, per la poetica dell'autore, cinesi) che ornano il manto scuro della notte circondando un astro "quasi da luminaria" (Crispolti) nella serie dedicate alla Stella.
O, ancora, nei particolarissimi lavori fotografici chiamati Centri mistici, gli aloni azzurri e gialli che sembrano emanare da piccoli, comuni fiori, nei quali, con trasparente trasposizione su un piano simbolico, potremmo riconoscere dei Mandala.
Dunque una profonda tematica della luce percorre la produzione di Viola.
Luce pensata come condizione necessaria di quella meraviglia (tháuma) causata dall'imprevedibile irruzione delle cose, dal loro stupefacente giungere alla presenza. Perchè ciò che si manifesta è posto sotto l'egida di Phánes, il Risplendente, e di Pháos, la Luce, da cui il nome della cosa che appare phainómenon,
e del libero vagare del pensiero dell'uomo, phantasía.
Luce, comunque, non da pensarsi solo come un mezzo attraverso cui le cose si mostrano, cioè, aristotelicamente come diapháneia, ma anche e soprattutto, riferendosi ai lavori succitati, come proprietà interna dei corpi stessi. Depositari di una lux intima,
seme di una lux aeterna, scintilla di vita animante le creature.
E' questa luce che emerge, quale coniugazione della luce interiore che sale e della luce superna che pervade il mondo, facendo risplendere le epidermidi e dilatando i confini fisici dei corpi.
Non è senza significato, e Viola autore delle Maree ne è del tutto consapevole, che metafore esplicative dell' 'aura', "radicate nel fondo dell' "anima", siano
" la brezza e ... l'alone luminoso " (Zolla).
L'oro non può essere allora che l'evidenza iconografica di una poetica della luce lungamente elaborata nel corso della sua produzione.
Dalla fotografia, che dobbiamo intendere nel suo senso letterale di scrittura di luce,
all' "oro psichico" che circonda il sidereo luccicare di una Stella, fino al dorato bagliore del Sole che si specchia nelle acque ancestrali della Marea.
Solo potrei nell'eterno
dare realtà a quest'ansia
della bellezza completa.
ci fosse un suono o una luce
nè un sapore che dicessero
basta all'ala della vita.
del vivere e del sognare
variasse azzurro e oro). J.R.Jimenez
Venezia, 1988, Kirchanschöring, 15 Giugno 1993
Il presente testo, col titolo di Sogni, Maree : note intorno all'opera di Luigi Viola, risale al 1988.
E' stato pubblicato nel 1993.
Luigi Viola