|
|
Thalami taedaeque (v.18)
Il rito del matrimonio
A Roma, secondo il diritto, il matrimonio era l’unione di un uomo e di una donna (puberi) che esprimevano la reciproca volontà di essere uniti nel rapporto coniugale. Questa volontà si manifestava nel CONSENSUS e nel’AFFECTIO MARITALIS. Gli effetti che seguivano erano l’HONOR MATRIMONII per la donna, cioè la sua partecipazione al rango sociale del marito e la legittimità dei figli nati nel connubium. Nei tempi più antichi questo era possibile solo tra persone dello stesso strato sociale (endogamia); in un processo di tempo, per cause sociali, politiche e religiose fu permesso tra patrizi e plebei, poi tra romani e comunità latine e italiche (esogamia).
Nell’antica Roma il rituale del matrimonio era preceduto da quello del fidanzamento, che consisteva in un impegno reciproco che i fidanzati assumevano con il consenso dei loro rispettivi padri e davanti ad un certo numero di parenti ed amici, dei quali gli uni intervenivano come testimoni, gli altri festeggiavano il banchetto cui erano stati invita tutti e che concludeva la festa; il fidanzato consegnava alla fidanzata un anello simbolico che veniva infilato all’anulare, da dove si credeva partisse un nervo che arrivasse direttamente al cuore. Questo rituale simboleggiava la profondità del reciproco affetto.
Nel giorno stabilito per la celebrazione del matrimonio la fidanzata vestiva abiti richiesti all’uso: una tunica senza orli fermata da una cintura di lana e sopra un mantello color zafferano e sulla testa un velo arancio. Quando aveva finito di acconciarsi la fidanzata accoglieva il fidanzato in mezzo ai suoi. Allora tutti si recavano in un santuario vicino o nell’atrio della casa per offrire un sacrificio agli DEI. Quando il sacrificio della bestia scelta (una pecora, un maiale o un bue) era stato compiuto, intervenivano l’auspex e i testimoni. L’auspex, dopo aver esaminato le interiora dell’animale , offriva garanzia del favore degli auspicii, senza di che il matrimonio , disapprovato dagli Dei, non sarebbe stato valido. Dopo aver pronunciato in sua presenza questa parole , gli sposi in sua presenza si scambiavano il consenso reciproco. La loro gioia si prolungava in un festino che cesava al finire del giorno, quando era venuto il momento di sottrarre la sposa agli abbracci della madre e trasportarla nella casa dello sposo. Il tragitto proseguiva con tre amici dello sposo avanti a tutti: uno portava la torcia nuziale fatta di biancospini intrecciati; dietro a lui gli altri due si impadronivano della sposa, la sollevavano tra le braccia e le facevano superare, senza che i piedi tocchino terra, la soglia della sua nuova casa, adornata di fronde verdeggianti. Tre compagne della “nova nupta” entravano dopo di lei: due di esse portavano l’attrezzatura del telaio, emblema evidente delle sue virtù e dell’attività domestiche. Dopo che il marito le aveva offerto l’acqua e il fuoco, la terza la conduceva al letto nuziale mentre i presenti si ritiravano.
|
|