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Fatis (v.14)
Termine di origine latina usato per indicare il destino ( FATUM = ciò che è detto ),la potenza che domina su uomini e cose. Originariamente indicava una decisione irrevocabile degli Dei e implicava probabilmente la fiducia nella potenza magica della parola. Il Fato, inteso come forza cieca e misteriosa cui non si può resistere, si presenta nella storia religiosa dei popoli antichi come un’idea e credenza intrecciata in vario modo con l’idea di natura e con gli Dei. Col tempo a Roma ,sotto l’influenza della religione greca, FATUM designò le divinità del destino come le Moire, le Parche (Cloto, Lachesi e Atropo, figlie della Notte o di Zeus e di Temi. La prima presiedeva alla nascita e tesseva il filo del Fato, la seconda lo svolgeva e la terza lo recideva) e le stesse Sibille. Le direttrici principali dell’affermazione del nuovo significato sono da un lato il culto di Apollo e tutto il processo di ellenizzazione della religione romana nel cui ambito si colloca anche l’introduzione di libri contenenti raccolte di profezie; dall’altro lato la poesia epica :da Livio Andronico a Virgilio si afferma sempre piò chiaramente la concezione del destino dell’eroe mutato dall’epopea omerica. Con l’affermarsi delle religioni monoteistiche l’idea del fato viene esclusa venendole contrapposta, soprattutto nel cristianesimo, la fede nella provvidenza e nella predestinazione divina.
Fortuna
Onnipotente figlia di Giove, sorella del Fato, arbitra universale degli uomini e degli Dei, stava per cosi dire, al governo delle cose umane, distribuendo a capriccio i beni ed i mali. I romani oltre la "Fortuna pubblica", la "Fortuna privata", la "Fortuna primigenia", adoravano la "Fortuna aurea" e la statua d'oro era collocata accanto al letto dell'imperatore regnante, da dove, appena morto, la trasferivano presso quella del successore.Dea latina che aveva un famoso santuario a Preneste, del quale, in occasione di una sua festa annua, venivano da tutto il Lazio a chiedere responsi oracolari. La consultazione aveva luogo estraendo tavolette lignee inscritte da un'arca per mano di un bambino. La Fortuna era concepita come una madre primordiale, nel duplice aspetto di generatrice del mondo e di matrice di ogni realtà, presente, passata e futura. Di qui derivava il suo culto oracolare. Come pura potenzialità, il mondo di Fortuna era dialetticamente contrapposto all'attualità di Giove. Per tanto la religione romana ispirata all'ordine di Giove proibiva ai pubblici magistrati la consultazione dell'oracolo predestino. L'iconografia romana della Fortuna è ricchissima e presenta la dea con attributi - le spighe, la corona turrita, la cornucopia, il globo, la palma - che ricalcano quelli della dea greca Tyche. Si possono distinguere grosso modo due tipi fondamentali: la figura femminile stante e la figura seduta, con globo, cornucopia e timone. Frequentemente è raffigurata ritta, con ali ai piedi, uno di essi già staccato nell'atto di volare mentre l'altro tocca appena la superficie di una sfera o cerchio di una ruota che gira, simbolo dell'incostanza. Nel Medioevo, la cornucopia divenne definitivamente attributo dell'Abbondanza e si fecero invece frequentissime le raffigurazioni della Fortuna con la ruota, già attributo dell'antica Nemesis, quando non fu la ruota sola a simboleggiare la dea. Nelle chiese romaniche e gotiche il rosone è spesso un'allegorica ruota della Fortuna. Nelle allegorie rinascimentali la Fortuna è una figura femminile alata, stante sul globo, che regge un paio di redini. Una rappresentazione della dea particolarmente frequente in Italia la mostra stante su conchiglia o delfino, sospinta da una vela sull'acqua.
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