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Dido (v.192)
Elissa era moglie di Acherbas (Sicheo), ricchissimo sacerdote di Melqart, e sorella del re di Tiro, Pigmalione. Nel corso del suo VII anno di regno, Pigmalione fece assassinare Acherbas per impadronirsi delle sue ricchezze. Elissa riuscì tuttavia a fuggire da Tiro con un gruppo di fedeli e con le ricchezze del marito. Elissa ottenne da Iarba un terreno tanto grande quanto poteva essere coperto da una pelle di bue. Quindi tagliò la pelle in strisce sottilissime, circondando la collina che sarebbe stata in seguito il centro della città. In questo racconto c’è un evidente gioco di parole in quanto l’acropoli di Cartagine si chiamava Byrsa, che in greco significa appunto “pelle di bue” . La città venne così fondata e divenne presto fiorente, ma la sua regina ebbe una tragica fine. Il re di Iarba, infatti si innamorò di lei e chiese di sposarla, minacciando altrimenti la guerra. Spinti dalla situazione, i notabili costrinsero con un inganno la regina a dichiarare la sua disponibilità alle nozze. Nel libro IV dell’Eneide, Didone è combattuta da due sentimenti contrastanti: l’amore che ormai sente irresistibile per Enea e il rimorso di aver tradito il giuramento di fedeltà fatto a Sicheo. La sorella Anna, con cui si confida, le consiglia di cedere all’amore perché il matrimonio con l’eroe troiano rafforzerà il regno di Cartagine. La storia di Didone ha ispirato Giuseppe Ungaretti, che ha composto diciannove brevi cori descrittivi, gli stati d’animo di Didone, nei quali si è voluto dare l’esperienza fisica del dramma con rappresentazioni di momenti felici, con trasognanti incertezze, con pudori allarmanti, in mezzo al delirare di una passione che si guarda perire e farsi ripugnanti, desolante, deserta. Il terzo e quarto coro di Ungaretti.
III
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Ora il vento s’è fatto silenzioso
E silenzioso mare;
Tutto tace; ma grido
Il grido, solo, del mio cuore,
Del cuore che brucia
Da quando ti mirai e m’ha guardata
E più non sono che un oggetto debole.
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata
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IV
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Solo ho nell’anima coperti schianti,
Equatori selvosi, su paduli
Brumali grumi di vapore dove
Delira il desiderio,
Nel sonno, di non essere mai nati.
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Parafrasi del IV coro
Sento nel profondo dell’anima schianti dolorosi, mi sento soffocare come se mi trovassi in una sola selva equatoriale e immersa tra i densi vapori delle paludi nebbiose mentre grido, durante nel sonno, il mio desiderio di non essere mai nata.
Luxu (v.193)
Deriva da: luxus-us IV declinazione. Significa eccesso, intemperanza, dissolutezza, mollezza, fasto, lusso, magnificenza.
Cupidine (v.194)
Deriva da cupido-cupidinis III declinazione. Significa: desiderio, voglia, brama, cupidigia, smania, passione, amore, passione amorosa.
Dea Foeda (v.195)
Figlia dell’ira della terra: la fama. Fama è il nome che i Romani attribuivano poeticamente alla greca Iris, la messaggera di Giove. Secondo la leggenda essa si aggirava, giorno e notte, per annunziare tanto le cattive quanto le buone notizie, senza mai tacere.
Ora
Deriva da os-oris III declinazione. Significa: bocca, viso, faccia, sfacciataggine, aspetto, cospetto, voce, parole, linguaggio, apertura, entrata.
Iarban (v.196)
Re della Libia, che si trova sulla fascia costiera mediterranea dell’Africa ed è compresa tra l’Egitto, a Est, e la Mauritania, a Ovest. Egli aveva ceduto a Didone il territorio sul quale fondare Cartagine, anche se la principessa fenicia non aveva voluto sposarlo per non tradire il marito. Iarba, sdegnato dal comportamento di Didone, chiede aiuto a Giove, re degli dei, al quale è molto devoto ed egli lo ascolta. Giove, infatti, chiama Mercurio e gli ordina di recarsi da Enea per convincerlo a partire per il Lazio.
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