Urania Celeste

 

 

 
 
"tanto adequatamente si potranno sentire le qualità 
delle lingue altrui, quanta sia nella propria, 
la facoltà di esprimerle". 
Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri

Petronio, Satyricon
traduzione di Monica Longobardi, Barbera, 2008

Nel suo passaggio ad un’altra lingua, osservata mediante una lente che ne ricerca profondità e prospettive, l’opera originale, con i suoi effetti pittorici, dipende dalla “camera oscura” del traduttore.
La traduzione di Monica Longobardi ha colto le complesse sfumature dell’anima cinica e malinconica di Petronio, ma molto racconta anche della cultura e della personalità della studiosa che, con tanto impegno – ne è prova evidente il ricco repertorio paratestuale –  si è dedicata all’impresa, senza peraltro dimenticare che i colori d’ogni lingua d’arrivo debbono conservare lo smalto della creatività primitiva.

La matrona di Efeso

[CXI] V'era in Efeso una dama talmente famosa per la sua morigeratezza, che anche dai paesi vicini richiamava donne, pulzell'e maritate, ad un simile spettacolo. Dunque, avendo accompagnato il marito nell'ultimo viaggio, non contenta di seguire il feretro - così fan tutte... - sparsa le trecce morbide sull'affannoso petto denudato in pubblico, volle anche seguire il defunto fin dentro la cappella, e, deposta nella cripta - secondo l'usanza dei Greci - cominciò a vegliare !a salma in diuturno e notturno pianto. Lei così afflitta, lei determinata a lasciarsi morire d'inedia, lei né i genitori né i parenti tutti riuscirono a dissuaderla. Infine, anche i magistrati, all'ennesimo rifiuto, desistettero vinti, e ormai tutti compiangevano quella donna senza pari, che non toccava cibo da cinque giorni. Ad assistere la sofferente c'era una sua diletta e fida ancella e univa a gara le sue lacrime a quelle della padroncina in lutto e ogni qual volta il lume del sepolcro accennava a spegnersi, provvedeva a rinfocolarlo. In città non si parlava d'altro, solo quell'esempio di amor coniugale uomini d'ogn'ordine e grado erano disposti a riconoscere sulla terra; quand'ecco che il governatore di quella provincia fece crocifiggere dei delinquenti comuni proprio accanto alla cappella dove la vedova persisteva nel planctus sul cadavere fresco. E così la notte successiva, quando un soldato, messo li di sentinella alle croci perché nessuno tirasse giù i corpi per dare loro degna sepoltura, nota il bagliore di una lampada che tra i sepolcri brillava più vivida e sente i gemiti di qualcuno che piange, per quel vizio dell'umana natura, venne preso dalla curiosità di saperne il perché e il per come. Discese allora nella cripta e quando vide quella femme fatale, sulle prime rimase médusé come da un fantasma o una visione diabolica. Ma poi, quando il suo sguardo si fu posato sulla frale spoglia, lì lunga distesa, ed ebbe considerato le lacrime e il volto della donna solcato dalle unghie, tornò alla realtà: una donna incapace di sopportare il distacco del caro estinto; e fu così che si portò giù nella cripta la sua gavetta e cominciò a pregare la piangente a non perseverare in un dolore ormai vano e a non straziarsi il petto con gemiti inani: tutti ci aspetta una fine e un unico domicilio e tutte quelle belle parole che medicano le ferite dell'anima. Ma quella, ancora più scossa dalla consolazione di un nuovo avventore, prese a straziarsi il petto con bissato vigore, e di ciocche embricava coi suoi crini la lacrimata salma. Il nostro milite ignoto, però, non batté in ritirata e con reiterato attacco tentò di dare del cibo alla poverina. Finché l'ancella, sedotta dall'olezzo del vino, per prima tese la vinta mano all'umanità di quel gesto, e poi, ristorata dalla bevanda e dal cibo, prese ad espugnare l'ostinazione della padrona. "A che ti gioverà" le diceva "lasciarti morire d'inedia, seppellirti viva e rendere l'anima innocente prima che il fato chiami?

Id cinerem aut manes credis sentire sepultos? [1]

Vuoi o no tornare a nuova vita? Vuoi mettere da parte questi pregiudizi da donniccioìa e goderti la vita finché ti lece? Proprio questo cadavere qui disteso dovrebbe convincerli alla vita".

Ora, qual è quello che ascolta malvolentieri chi lo forza a mangiare o a vivere? Così anche la signora, tenuta all'asciutto dall'astinenza di tutti quei giorni, lasciò che la sua ostinazione fosse infranta, e s'ingozzò di cibo non meno avidamente dell'ancella, che per prima aveva firmato la resa.

 «Preferisco rimetterci il morto, che perdere il vivo»

 [CXII] E del resto, sapete benissimo cosa tenta l'umana famiglia quando ha la pancia piena. Ebbene, con le blandizie il militare aveva ottenuto che la donna si riattaccasse alla vita, e con quelle stesse egli diè assalto alla di lei virtù. E a lei, alla casta diva, non sembrava poi spiacente né privo di savoir faire il giovinotto, tanto più che l'ancella si prodigava a farlo entrare nelle sue grazie col citarle:

''Placitone etiam. pugnabis amori?"[2]

 Insomma perché farla lunga? La donna non tenne a stecchetto nemmeno quella regione del corpo, e il soldato ebbe la meglio sull'uno e sull'altro fronte. E fu così che giacquero insieme non solo nella notte della luna di miele, ma ce ne fu un'altra ed una terza ancora, dopo aver ben chiuso - ça va sans dire - l'uscio della cappella, in maniera tale che chiunque, estraneo o parente, si fosse recato alla tomba, credesse che quella moglie castissirna avesse esalato l'ultimo respiro sulla salma del marito.

Intanto il nostro eroe, vellicato dalla bellezza della donna e da quel convegno clandestino, comprava quanto di buono poteva permettersi e al calar del crepuscolo lo portava giù nella cappella. E fu così che i parenti di uno dei crocifissi, come videro allentata la sorveglianza, una notte tirarono giù il loro congiunto dalla croce e gli dettero degna sepoltura. La sentinella, raggirato mentre era in "licenza straordinaria", quando il giorno seguente vide una delle croci senza il pendu, temendo le conseguenze, raccontò alla donna quel che era successo, e che non avrebbe aspettato il verdetto del giudice, ma che avrebbe regolato, con la spada, la propria negligenza; preparasse pure lei lì nella cappella un loculo anche per il condannato a morte, in modo che quella tomba fatale riunisse congiunte le spoglie del marito e dell'amico. Ma la missionaria, sposa e madre di misericordia, gli rispose cosi: "Gli dèi non permettano che nello stesso lutto veda la morte dei due uomini che ho amato di più nella vita. Preferisco rimetterci il morto, che perdere il vivo". Dopo aver pronunciato questa sentenza, ordina di togliere dalla bara il corpo del marito e di inchiodarlo alla croce rimasta spoglia. Il soldato mise a frutto l'alzata d'ingegno della navigatissima dama e, il giorno seguente, la gente si interrogava sul mistero di quel morto, come si fosse di nuovo crocifisso.


[1] «Una gran cura certo / Han di ciò l’ombre e ‘l cener de’ sepolti» (Aen. IV, 34)
[2] «Ma poi ch’ami, ad amor sarai rubella?» (Aen. IV, 38)

 

 

fabia.zanasi@libero.it