[963] Siccome ciascuno pensa
nella sua lingua, o in quella che gli è più familiare, così ciascuno gusta
e sente nella stessa lingua le qualità delle scritture fatte in qualunque
lingua. Come il pensiero, così il sentimento delle qualità spettanti alla
favella, sempre si concepisce, e inevitabilmente, nella lingua a noi
usuale. I modi, le forme, le parole, le grazie, le eleganze, gli ardimenti
felici, i traslati, le inversioni, tutto quello mai che può spettare alla
lingua in qualsivoglia scrittura o discorso straniero, (sia in bene, sia
in male) non si sente mai né si gusta se non in relazione colla lingua
familiare, e paragonando più o meno distintamente quella frase straniera a
una frase nostrale, trasportando quell'ardimento, quella eleganza ec. in
nostra lingua. Di maniera che l'effetto di una scrittura in lingua
straniera sull'animo nostro, è come l'effetto delle prospettive ripetute e
vedute nella camera oscura, le quali tanto possono essere distinte e
corrispondere veramente agli oggetti e prospettive reali, quanto la camera
oscura è adattata a renderle con esattezza; sicché tutto l'effetto dipende
dalla camera oscura piuttosto che dall'oggetto reale. Così dunque
accadendo rispetto alle lingue (eccetto in coloro che sono già arrivati o
a rendersi familiare un'altra lingua invece della propria, o a rendersene
familiare e quasi propria più d'una, con grandissimo uso [964] di
parlarla, o scriverla, o leggerla, cosa che accade a pochissimi, e
rispetto alle lingue morte, forse a nessuno) tanto adequatamente si
potranno sentire le qualità delle lingue altrui, quanta sia nella propria,
la facoltà di esprimerle. E l'effetto delle lingue altrui sarà sempre in
proporzione di questa facoltà nella propria.