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Favola di Natale

ONDINA PUPAZZETTA DI NEVE

 

Era felicissima Ondina quando, inarcandosi in alto insieme alle sue compagne riusciva a circondare i “surfisti” che giornalmente le sfidavano. Ondina e le altre cercavano di incutere loro timore, formando creste spumeggianti e tunnel d’acqua interminabili. Le piaceva pure avvolgere dolcemente i bambini che vicino alla spiaggia cercavano avventure nell’acqua e a volte era costretta a spruzzarli in viso per farli scappare e impedire loro, così, che potessero allontanarsi troppo dalla riva: tutto il suo mondo era lì. A volte si avventurava un po’ più al largo per competere con i natanti a non farsi solcare dalla loro chiglia insieme a qualche delfino che si accompagnava per quella particolare gara, e lei riusciva sempre vincitrice anche perché le piaceva un mondo farsi accarezzare dal suo amico vento e questo la favoriva sempre nelle prove di velocità.

Era da poco entrata la primavera e si cominciava ad avvertire un certo tepore che non le dispiaceva affatto, infatti spesso, cessati i giochi, si distendeva beata ad attingere il calore dei raggi del sole nella placida rada, per ore ed ore. I giorni scorrevano sereni e che potevano sembrare tutti uguali, in realtà erano sempre diversi, anche perché diversi erano i ragazzi con i quali si intratteneva tanto volentieri.

Passati i mesi primaverili, si avvicinava inesorabilmente l’estate e lì a quella latitudine il sole picchiava forte tanto che nessuno più scorazzava per la rada cercando invece le ombre dei palmizi. Ondina pur amando il sole, al calore del quale le piaceva crogiolarsi, cominciò ad accusare un certo fastidio, infatti avvertiva una maggiore leggerezza nei movimenti che le provocava un’ incontrollabile agitazione ed un legame meno forte con il suo ambiente naturale. Era una sensazione strana che non aveva provato mai in passato; la leggerezza aumentò sempre di più nei giorni seguenti, quando si accorse che pian piano si innalzava in alto sempre più in alto,e guardando giù vide la spiaggia lontana tanto da aver le vertigini a quella visione e quindi distolse subito lo sguardo, guardandosi intorno e scrutare il nuovo ambiente in cui si trovava. Ondina con una certa inquietudine si accorse che si era trasformata in una piccola nuvoletta bianca che si librava nel cielo, spinta dal suo amico vento, insieme alle compagne di tanti allegri giochi. Col passare dei giorni, l’inquietudine cessò, perché l’ambiente sottostante era sempre familiare e le sue compagne erano sempre nei paraggi; decise, quindi, di trarre profitto dalla nuova situazione, dato che, Ondina era piuttosto ottimista e amante dell’avventura.

Cominciò a scorazzare per il cielo, approfittando di ogni pur minimo alito di vento, gareggiando spesso con le altre nuvolette e a volte pure con gli uccelli che ora li ritrovava troppo vicini al suo viso. La sera, stanca, si sentiva più appesantita e le sembrava quasi, a volte, di toccare l’acqua sottostante, ma con il sorgere del sole si ritrovava nuovamente in alto. Col tempo riuscì ad accettare quel suo nuovo stato e la tristezza che, a volte, si impadroniva di lei la abbandonò definitivamente fino al giorno in cui vide all’orizzonte un’enorme massa grigio scura che si avvicinava minacciosa verso di lei e le sue compagne. Le nuvolette prese da timore si avvicinarono le une alle altre stringendosi in un forte abbraccio di incoraggiamento, ma Ondina che era un po’ più distante non ebbe il tempo di aggregarsi e rimase isolata dal gruppo con una sorta di paura che ben presto si trasformò in terrore, quando quella enorme massa scura che lanciava bagliori seguiti da rumori assordanti e spaventosi, fu sopra di lei avviluppandola e trascinandola lontano dalla sua amata spiaggia: era stata inghiottita da una grossa nube temporalesca di cui Ondina aveva spesso sentito parlare. Cominciò quindi a piangere a dirotto e pianse, pianse per tanto tempo.

                Fu trascinata in lungo e in largo, in giù e in su e alla fine stremata ed infreddolita sempre di più, si lasciò andare sfinita e si assopì, sognando come dei flash, i suoi luoghi, le corse fino alla battigia, lo scorazzare con i bambini che la circondavano da tutti i lati con le loro grida, grida che le risuonavano anche adesso senza smettere e che anzi si facevano sempre più insistenti ed assordanti. Si svegliò di soprasalto, non comprendendo dove fosse andata a finire, di certo era finita a terra e si sentiva molto impacciata nei movimenti anzi non poteva muoversi affatto anche se la sensazione che provava era piacevole, infatti si accorse che giaceva su di un manto bianco e soffice con tanti ragazzini che giravano attorno a lei gridando a squarcia gola come sanno fare solo i bambini, tanti evviva e inneggiando a qualcosa a lei incomprensibile e sconosciuta: la neve.

Una prodigiosa trasformazione aveva agito su Ondina che era scesa giù sulla terra in tanti bianchi fiocchi di neve. Si guadò attorno, un po’ impaurita, ma a poco a poco si fece coraggio poiché sentiva le manine dei bambini che la accarezzavano e pian piano l’aiutavano a rialzarsi. In poco tempo si ritrovò in piedi con una sciarpetta intorno al collo ed un berretto rosso con un pon-pon bianco alla punta. I bimbi della bianca neve, caduta nella nottata, ne avevano fatto un pupazzo. La cosa non dispiacque affatto Ondina, la quale con un sorriso sembrò ringraziare i suoi nuovi festanti amichetti che le giocavano sempre intorno anche se quello che l’attirava maggiormente era uno splendido albero luccicante che si spegneva per poi riaccendersi di nuovo  e pieno di stelle dorate. A volte le sembrava di percepire dei canti e una piacevole musica proveniente dalle finestre circostanti ed un augurarsi spesso da più parti Buon Natale.

                Un mattino, però, i bambini, compagni di Ondina, non si presentarono per i loro girotondi e i loro giochi e la pupazzetta rimase sola sul marciapiede di fronte a quell’albero che fino al giorno avanti era sfavillante ed ora invece era spento da sprigionare una profonda contagiante tristezza, che si trasformò in un profondo dolore quando lo vide spoglio di tutti gli addobbi che l’aveva fatto sembrare così maestoso e a lei, ironia della sorte, fu pure tolta la sciarpetta e il cappuccio rosso. Rimase lì per parecchio tempo, con le forze che l’abbandonavano pian pianino, sola nelle mani di un cupo, triste ed ignoto destino; due rivoli di lacrime cominciarono a solcare le sue paffute gote che scavarono man mano due solchi sempre più profondi.

Un bel giorno, un caldo raggio di sole le diede il risveglio, indorandola tutta e lei felice per quel tepore di cui aveva un lontano ricordo, ma una grande nostalgia, cominciò a sciogliersi sempre più velocemente man mano che il giorno avanzava e ad iniziare a scorrere per quelle stradine sconosciute. Proseguendo quel cammino forzato si guardava intorno e vedeva una natura, allontanandosi dal paese, a lei sconosciuta,  ma tanto, tanto bella da farla restare senza fiato e quasi in estasi per il suo innato temperamento romantico. Il risveglio fu alquanto brusco allorché andò a rifrangersi su di un masso del torrente che man mano si ingrossava e che scendeva sempre con maggiore violenza verso valle. La discesa  fu piuttosto traumatica ma alla fine dopo innumerevoli cascatelle e scontri più o meno duri lungo il persorso, giunse in una radura dove il terreno pianeggiante concesse a Ondina un po’ di quiete e la possibilità di potersi riposare.

                Improvvisamente una potente ondata con un rombo assordante la raggiunse alle spalle e con vigore e impietosamente la trascinò per un lunghissimo percorso e per un tempo che sembrò a Ondina non finisse mai. D’un tratto una sferzata sul viso le fece percepire un sapore che le sembrava fosse scomparso per sempre: era un leggero sapore di sale. Si stropicciò gli occhi e vide un’immensa distesa azzurra che man mano le si apriva d’avanti: era di nuovo nel suo amato mare.

                Ondina era ritornata a casa.

G. Rineira

 

 

 

 

 
Aggiornato il: 14 marzo 2013