[news] : [artisti] : [gruppi & associazioni] : [eventi recenti] : [storia] : [definizioni] : [testi] : [links] : [contact] # Jarry e le stringhe #di Sergio Noja Noseda Se soggiorniamo un attimo sulla definizione di patafisica abbiamo la netta impressione che essa possa coinvolgere una visione della ‘natura stessa dell’universo’ e che in realtà i fisici che vi lavorano siano patafisici senza sapere di esserlo. L’uomo della strada da per scontato che l’universo abbia tre dimensioni spaziali, ma ciò, secondo la recente ma affermata ‘teoria delle stringhe’, non è vero: ci sono molte più dimensioni di quelle visibili, dimensioni strettamente arrotolate dentro la trama spaziale dell’universo, una ridefinizione di tempo e di spazio che ben sta nel pensiero di Jarry. La comune visione della materia, sempre copiata da quella dei greci che ne vedevano le componenti, anche se Democrito era arrivato a vederne qualcuna ovale, sempre puntiformi: essa è composta di atomi, che a loro volta sono fatti di quark e di elettroni. Secondo la ‘teoria delle stringhe’, tutte queste entità sono in realtà microscopiche ‘stringhe’ chiuse ad anello, ma possono anche non chiudersi, ed in vibrazione. Un tubo di gomma posto in orizzontale visto da grande distanza sembra un oggetto unidimensionale. Ingrandendo la figura, diventa visibile una seconda dimensione, quella a forma di cerchio arrotolata intorno al tubo. La superficie del tubo di gomma è bidimensionale: una è quella orizzontale, l’altra è quella circolare. Questa situazione, tagliando su molti legami, può essere un ‘tubuniverso’ nel quale possono vivere esseri bidimensionali. Ma queste due dimensioni possono esistere in numero infinito e tutte, esempigrazia, arrotolarsi ciascuna a forma di pneumatico di automobile (rectius ‘toro’) e così via: nascono le dimensioni extra! E non sono rilevabili! Proseguendo su questa strada i fisici considerano il sistema equilibrato, coordinato, etc. a undici dimensioni. L’elemento più piccolo è la ‘stringa’ che va immaginata non come un punto ma come una corda di violino vibrante. Non dimentichiamo che i modi di vibrazione più frenetici hanno più energia, altra grande fondamentale componente dell’universo. Ben valga in chiusura la frase incazzata di Feynman, uno dei padri di questa teoria: ‘...la natura è assurda dal punto di vista del senso comune. Lasciate che sia la natura a dire come si comporta e quel che è sensato o meno’ immaginando che lo stesso Richard abbia proseguito il suo discorso ai più bei cervelli del mondo ammonendoli con le parole degne di un grande Profeta: ‘E in verità, in verità vi dico: lasciate che sia la Patafisica...’.
# Teatrando Patafluens per la critica #di Valeria Ottolenghi Un’idea di gioco per il teatro. Non certo un quiz ma una problematizzazione sul momento, a sorpresa, cercando dialogo, confronto, a partire da un nome, una frase, uno spettacolo. Un gioco ancora da sperimentare. Perché poi si è preferito – per i tempi stretti, per altre urgenze – seguire percorsi personali di riflessione. si è tuttavia colta l’occasione “patafisica” per raccontare quell’ipotesi ludica così mancata: da sperimentare magari in altre situazioni, in diverse sedi. Ecco la formula, con leggerezza, una sorta di teatral-brainstorming con il pubblico, per evocare eventi cari, approfondire un pensiero, aprire discussioni: due o tre persone tra critici, studiosi, attori...che amano il teatro e lo conoscono in tante sfumature propongono frasi amate, da mescolare, come in una lotteria. Ad un tavolo il sorteggio: senza il tempo di pensare chi si trova a leggere pensieri o titoli di spettacoli o nomi legati al teatro, narra visioni, propone dubbi, stimola ricordi. Parole di Barba, per esempio, o di Peter Brook. Titoli come “La classe morta” di Kantor o “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Luca Ronconi. Testi della drammaturgia internazionale, qualche battuta da Beckett, Pinter o Muller, per esempio, o frasi ardue e ardite anche di saggi recenti, appena letti, che hanno colpito per motivi differenti, magari anche per il disaccordo che hanno suscitato. Subito all’istante, immagini, emozioni, racconto. Per pochi minuti. Potendo anche tentare nuovamente la sorte (non più di due cambi: e senza tornare indietro). E il gioco si può ampliare: gli stessi spettatori possono partecipare al sorteggio, con evocazioni di immagini e commento. Uno scambio breve, con divertimento, amando il teatro, e con quell’insieme di immagini, ricordi, riflessioni salutarsi proseguendo discussioni e dibattiti in pochi, magari a tavola – o viceversa stare ancora lì tutti insieme perché tra gli spunti del momento si è riconosciuta un’urgenza vera, inderogabile. Una proposta di iniziativa per la prossima edizione di Patafluens? Perché no? Intanto si è rilanciato un altro tema che sta molto a cuore: La questione della critica. Ma non per parlare di antichi quesiti, più volte enunciati e mai risolti, il ridotto spazio sui giornali, dove tanto spesso si preferisce l’intervista, l’anticipazione/velina, all’indagine seria, rigorosa di uno spettacolo, un disagio che viene avvertito anche dalla critica letteraria, musicale, cinematografica...più chiasso all’annuncio, tutto consumato per il lancio, perso ogni interesse, o quasi, dopo il debutto...Senza una adeguata sensibilità critica non si aiutano i giovani compositori, danzatori, scrittori, i giovani artisti a crescere, attori e registi. Che fare? Ma la questione principale che si voleva porre era un’altra: chi critica i critici? Quando c’è vera competenza? E’ possibile rifiutare una valutazione come sbagliata? Ma: se tutto è relativo, allora che senso ha lottare per quello spazio critico che non c’è? Può essere utile creare un fitto dialogo con gli artisti? Non può questo creare disagio? Conoscendo dall’interno, da vicino le fatiche degli artisti si perde il giusto distacco critico? Ma: e giusto il distacco critico? Forse domande inopportune per Patafluens? Ma la Patafisica con le sue soluzioni immaginarie non potrebbe aiutare la realtà? Tutto troppo serio? Ecco un’occasione per criticare la critica (o si dice solo il critico?).
# Habemus tempus #di SANTIAGO / Teatro della Lentezza Modus utopicus Modus indecisionalis Modus sindacalis Modus religiosum Modus Mortuorum [Sergio Noja Noseda è nato a Pola nel 1931. A parte i normali studi superiori e l’Università (si è laureato nel 1956), ha cominciato a frequentare la Biblioteca Ambrosiana come giovane studioso dove ha studiato l’arabo sotto la guida di Monsignor Giovanni Galbiati, Prefetto della biblioteca. Il suo primo scritto La lingua nelle Sacre Scritture è del 1948. Nel 1967 è stato chiamato dall’Università di Torino dove ha tenuto per dieci anni l’insegnamento di Diritto Musulmano. Nel 1976 viene chiamato, dietro suggerimento di Francesco Gabrieli, all’insegnamento di Lingua e letteratura araba presso l’Università Cattolica di Milano. Presso la Biblioteca Ambrosiana ha trovato e in seguito tradotto e pubblicato uno sconosciuto vangelo apocrifo di Tommaso in arabo di probabile origine siriaca. Ha dato il via al Progetto Amari con il collega F.L. Dèroche della Sorbona per preparare l’edizione critica del Corano mai tentata né in Oriente né in Occidente in 1500 anni. IL primo volume Sources de la transmission manuscrite du texte coranique. I, Le manuscrit 328a de la Bibliothèque nationale de France è stato pubblicato mentre in corso di stampa il II° volume dedicato al manoscritto della British Library di Londra.] [Valeria Ottolenghi è laureata in Pedagogia. E’ critico teatrale della Gazzetta di Parma e collabora alle riviste “Sipario”, “Hystrio”, “Il giornale dello spettcolo”. Insieme a Cesare Molinari, con cui ha collaborato presso l?Istituto di Storia del Teatro e dello Spettacolo dell’Università di Parma, ha scritto “Leggere il teatro” (Vallecchi). E’ vicepresidente della Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Ha fatto parto di numerose giurie teatrali e ha dato il proprio contributo al corso nazionale di formazione dei giovani critici ed è responsabile della rete di incontri nazionali “Criticando Criticando” dedicato in particolare al Teatro Ragazzi e al Teatro di Ricerca. Da diversi anni è membro della giuria del Premio UBU. A Parma ha ideato Uni/Tea, percorso di studi tra università e teatro con la responsabilità dei corsi di aggiornamento e delle attività di approfondimento ed è prima firmataria del progetto già attivato, ora la quarto anno, del primo e unico corso superiore in Italia in Discipline dello Spettacolo (Istituto d’Arte Toschi).] [Teatro della Lentezza, nasce nel 1993, in un freddo pomeriggio d’inverno all’interno di un centro commerciale. Ai fondatori, trovandosi di fronte a una macchinetta sfornabiglietti, venne la luminosa idea di stampare un centinaio di biglietti da visita in cui, per la prima volta, compare ufficialmente e pubblicamente il nome del Teatro della Lentezza. Già da diversi mesi il dubbio attanagliava le loro menti e per questo si recarono a fare un lungo viaggio tra le isole dell’Italia e del Mediterraneo a bordo di una barca a vela. Notarono che anche in barca il sole sorgeva e tramontava tutti i giorni. Fu allora che presero coscienza che tutto era stato fatto, che non sono gli uomini che raggiungono le cose, bensì le cose che raggiungono gli uomini. I fondatori sono Luis Tarsicio Matheus Rocha, figlio d’arte che ha imparato fin dai primi vagiti a praticare e perfezionare le tecniche che oggi stanno alla base del Teatro della Lentezza e Giovanni Badalotti, nato nei pressi del benedetto o maledetto fiume più grande della nazione. Ha frequentato, diplomandosi in seguito, la Clinica del Sonno di Ginevra, con una tesi sul moto perpetuo. ] |