La copertina del libro di Giuseppina Mormandi,
del quale ho avuto l'onore di scrivere la prefazione che, per puro
narcisismo, ho messo qui a fianco. Potete richiedere il libro via email,
al costo di €10 più eventuale spedizione.
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Lo sapevo di non essere nato in un posto qualunque.
Lo sapevo per via del famoso e famigerato senso di appartenenza alla “stirpe”. O, più semplicemente, ad un luogo.
Osservare le rovine del castello che incombono su Spezia, rigirarsi tra i denti quel nome, CO-DE-RO-NE, mi ha fatto sempre presagire un passato.
E’ stato bellissimo avere la conferma di tale predizione. Che, ad onor del vero, era in qualche modo supportata dalle storie che raccontavano i vecchi biassei! Con il suffragio di qualche libro sparso, il quale, nel tentativo di mantenere questa memoria, dava per scontata la tradizione orale, che, qua e la, trova riscontro negli studi del Formentini, piuttosto che del Mazzini.
Ma la conferma scientifica è un’altra cosa, dà ben altra soddisfazione: tu sai di essere perché hai le prove. Scritte! Certificate! Documenti mai esplorati, dimenticati nel limbo del tempo, serbatoi di testimonianze che ti servono per sapere di essere stato storia nella Storia.
Credo che il lavoro dello storico sia una specie di avventura, che sfocia nella realizzazione di un’opera, che è comunque arte. Si potrebbe anche parafrasare il titolo di un film: alla ricerca della confraternita della Santa Croce! Lì per lì può far sorridere, ma non è un paragone blasfemo: quanta emozione, e con quanta suggestione ci intriga la nostra storia.
Cercare, osservare, riconoscere. Come quando ci si pone di fronte a fotografie di gruppi di persone, o di anime! Si cerca, d’istinto, un volto noto, o nel quale si individuano rassomiglianze; si fruga tra quelle piccole firme nel fiume del tempo; si prende atto della cornice offerta dal panorama; si paragonano le immagini alla ricerca del divenire, per individuare il cambiamento.
Magari si ha la fortuna di averlo li davanti, il proprietario di quei cambiamenti. Si può osservare (studiare) le pieghe (rughe) del suo volto, e domandare di quello che ha nell’anima e nella memoria. Quindi collegare le tracce. Ricostruire, grazie a lui, il divenire comune.
Avere la possibilità e la capacità di studiare documenti antichi, deve offrire la medesima suggestione. Ed è sapere com’è andata, che ci rende partecipi di questi divenire e memoria. E, in definitiva, della Storia.
Ecco spiegata la gioia della certezza, e lo stupore dell’appartenenza ad un luogo fuori dal comune, sebbene io sia fermamente convinto che l’Italia sia luogo fuori dal comune, pieno zeppo di luoghi fuori dal comune, popolato da gente fuori dal comune.
Tanto che, alla fine, appartenere ad una piuttosto che ad un’altra di queste extracomunità, ci rende comunque tutti partecipi della medesima Storia.
Sono dunque grato a Giuseppina per almeno due cose: la prima per aver affermato di amare i paesi, sempre proprietari di avventurosa storia nella Storia; la seconda per aver scelto, assieme al marito Giovanni, destinatario della stessa gratitudine, di amare Biassa. |